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Camorra, il boss del parco Verde chiese ai suoi pusher di autotassarsi per pagare il carabiniere corrotto

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Caivano. ‘Marcolino’ era sul libro paga del ‘Dio’ del Parco Verde, Pasquale Fucito ‘o marziano, organico al clan Sautto-Ciccarelli. Marcolino è Lazzaro Cioffi, brigadiere fino a pochissimo tempo fa in servizio a Castello di Cisterna, che aveva una sua ‘squadretta’ specializzata nei controlli al Parco Verde. A parlare di lui, tanto da far aprire un’inchiesta parallela a quella che ha portato all’emissione di un’ordinanza di custodia cautelare a carico di Bruno Giordano e dei suoi uomini, è stato Andrea Lollo, neo collaboratore di giustizia, ex ‘uomo fidato’ di Giordano. Quando ad ottobre scorso, Lollo ha deciso – da uomo libero – di avviare la sua collaborazione con le forze dell’ordine, quello di ‘Marcolino’ Cioffi è stato uno dei primi nomi che ha fatto. Il brigadiere, in servizio a Castello di Cisterna, ha avuto un ruolo fondamentale per Pasquale Fucito: lo informa di blitz e perquisizioni e si mette a disposizione di tutti i componenti dell’organizzazione. I due si frequentano anche con le rispettive mogli come fossero amici. Fucito è ritenuto un ‘Dio’ nel parco Verde di Caivano, tiene sotto controllo oltre 40 piazze di spaccio e dà soldi a tutti, oltre che cocaina a ottimi prezzi. “Prende 20 chili a settimana dall’Olanda – spiega Andrea Lollo – a volte arriva anche a 120-130 chili al mese”. Pasquale Fucito, appena 36enne, ha avuto l’imprimatur per il rifornimento delle piazze dal boss Nicola Sautto, suo parente acquisito, al quale elargisce 50mila euro al mese dai suoi guadagni: “ad Antonio Ciccarelli o a Nicola Sautto, a secondo di chi era libero, Fucito consegna 50mila euro” racconta Andrea Lollo. 
Il nucleo dell’ordinanza che ha portato all’arresto di Fucito, Cioffi, ed altri 15 indagati è però il legame tra il boss del Parco Verde e il brigadiere dei carabinieri. Dopo le dichiarazioni di Lollo, che riscontravano quelle rese da Nunzio Montesano, arrestato nel 2016, affiliato agli Scissionisti di Secondigliano, con Vincenzo Notturno prima e con Arcangelo Abete dopo, viene avviata un’indagine serrata su Lazzaro Cioffi che viene monitorato dai colleghi. Ed è proprio durante le indagini che, due carabinieri della sua squadra lo avvisano, delle indagini in corso e del fatto che è intercettato anche lui. Tanto che, si evince dall’ordinanza firmata dal Gip Francesca Ferri, vi sono almeno altri due carabinieri indiziati di aver svelato segreti sull’indagine in corso. I due sono stati convocati in Procura e hanno avuto modo di ascoltare le accuse mosse nei loro confronti. 
Lollo, in ogni caso, dà una spinta decisiva alle indagini e racconta all’antimafia di Napoli di Marcolino Cioffi: “La prima volta l’ho visto prima dell’estate 2015 mentre ero sotto casa di Pasquale (Fucito, ndr) al parco Verde di Caivano: eravamo io e Pasquale fermi a parlare mia moglie era in macchina con le miei figlie – una 500 L nera- all’improvviso, era di sera circa le 21.30, arrivò nel parco Verde ad andatura lenta una Delta di colore grigio con tre persone a bordo, Pasquale mi disse, non ti muovere questo è Marcolino, del quale Pasquale mi aveva già parlato come di un Carabiniere amico, in quanto corrotto. Marcolino era al lato passeggero, un’altra persona guidava la macchina ed un terzo dietro, tutti in borghese. Marcolino scese mi salutò con la mano, senza chiedermi documenti o altro, si prese a Pasquale sotto il braccio e se ne andò sotto i porticati. Si trattennero a parlare almeno 20 minuti, io rimasi ad aspettare. Quando ritornò Marcolino si rimise in macchina ed andò via, Pasquale mi disse che gli aveva chiesto notizie su un latitante tale Manganiello delle Case Celesti, perché si diceva all’epoca che stava per Caivano”. Secondo Lollo, Fucito era un confidente di ‘Marcolino’ ma gli faceva recuperare solo della droga ‘senza arresti’. “Fucito gestiva le piazze di spaccio il rapporto era ormai fiduciario, nel senso che chi gestiva la piazza di spaccio comprava il quantitativo e lo doveva comunque pagare sia che lo vendeva sia che glielo sequestravano è questa una regola. Fucito quindi non aveva nessuna perdita dai sequestri di droga che faceva fare a Marcolino perché comunque gliela pagavano. Chiaramente non faceva arrestare nessuno, ma faceva solo sequestrare la cocaina. Ovviamente il rapporto era reciproco con Marcolino che come vi ho detto avvisava di imminenti operazione di perquisizioni”. Il rapporto era reciproco tra Cioffi e Fucito tanto che – secondo quanto rivela Lollo – il brigadiere dice al ras del Parco Verde e allo stesso Lollo che sono imminenti i loro arresti. Secondo il Gip, Cioffi avrebbe creato addirittura una squadra a tutela degli interessi del ‘marziano’ e delle sue piazze di spaccio, per avere il controllo di tutte le iniziative investigative che si facevano in quella zona. E Fucito paga, paga tanti soldi a Cioffi, tanto che ad un certo punto chiede ai suoi uomini di autotassarsi per pagare il brigadiere, visto che delle sue ‘soffiate’ si avvantaggiavano tutti.
Nel novembre dello scorso anno, gli inquirenti ascoltano una conversazione che li lascia allibiti. Lazzaro Cioffi, Marcolino, è in licenza dal servizio per motivi di salute, quando viene effettuata una perquisizione nel Parco Verde, proprio ad opera dei componenti della squadra dei carabinieri guidata da Cioffi. L’obiettivo è un soggetto che, secondo una fonte confidenziale, ha dello stupefacente in casa. Fucito viene informato e chiede immediatamente l’intervento di Marcolino affinchè distragga i suoi uomini e permetta alla donna di entrare in casa e far sparire il danaro che custodisce per conto del ‘Selvaggio’ suo debitore per l’acquisto di cocaina. Cioffi però, già nel mirino, non riesce nel suo intento ed è furioso per l’iniziativa assunta dai suoi colleghi senza preavviso. “Io stavo incazzato, adesso sto come un pazzo” si sente in un’intercettazione. Dice che i suoi colleghi si stanno comportando da ”infami”: “sono pure infami stanno aspettando che me ne andavo io, perché devono stare solo a te incompr… i piedi hai capito…Raffaele, l’ho sempre detto io”.
Ritornato a casa, Cioffi racconta quanto accaduto alla moglie. Le dice che se questo mese Fucito non gli dà i soldi lo abbandona completamente e si metterà a fare un’altra cosa: “NON FA NIENTE TANTO ORA QUESTO…SE NON MOLLA I SOLDI QUESTO MESE SE NE VA A FARE IN CULO, CHE MI DEVE DARE I SOLDI A ME…MI DEVO METTERE A FARE QUALCHE ALTRA COSA….incompr..”.
Poco dopo a casa di Cioffi si presentano Fucito, con la moglie Veronica e il loro figlioletto, pretendendo di sapere da Cioffi chi è il confidente che ha fatto la soffiata ai suoi carabinieri.
Ma nel corso delle indagini è emerso che sono proprio due militari della squadra di Cioffi, Salvatore e Raffaele, che nel corso di un pranzo a casa del brigadiere gli avevano rivelato delle indagini in corso. A rivelare questo particolare la moglie di Marcolino, Emilia D’Albenzio, finita agli arresti domiciliari, mentre parla con Veronica Zaino, moglie di Fucito. La donna spiega cosa si sono detti il marito con i colleghi, durante il pranzo, tanto che Veronica Zaino è preoccupata che Cioffi possa aver rivelato ai colleghi dell’affare del ristorante a Caserta, acquistato dal marziano per 130mila euro circa, ma ne valeva molto di meno, e intestata ad genero del fratello, Alessandro Iorio (finito ai domiciliari). 

Questa l’intercettazione tra le due donne
D’ALBENZIO Emilia: Lo ha rotto col martello, mille pezzi, tolse tutte le schede che aveva e le accese sul fuoco.
ZAINO Veronica: Si mise paura..incompr..
D’ALBENZIO Emilia: Mi ha fatto pulire tutta la casa, i cassetti, ha detto questi ci vengono a perquisire..
ZAINO Veronica: I colleghi che hanno detto Emilia?
D’ALBENZIO Emilia: Hanno detto che lui parla troppo assai, è scemo, ehh Veronica, perché nei telefoni poi li sentono, quello parla troppo assai..
ZAINO Veronica: ..incompr..il ristorante no? Non glielo ha detto ai colleghi?
D’ALBENZIO Emilia: No a loro no, non glielo ba detto, gli ha detto che lui gli ha dato una mano per venderlo, è vero, gli ha fatto conoscere a quello, non gli ha detto del fatto dei soldi, niente, capito?

Rosaria Federico

1.continua

@riproduzione riservata

(nella foto Lazzaro Cioffi)

Cronache della Campania@2018


Napoli, ‘falsa’ stesa sotto casa di Ciro Mariano. Quando il boss di difese dalle accuse del fratello pentito. LA DEPOSIZIONE

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C’è grande fermento ai Quartieri Spagnoli a Napoli per il ritorno in libertà dopo 30 ani di carcere del boss Ciro Mariano capo dei famigerati “Picuozzi”. La polizia che presidia la zona ha dovuto far fronte alla notizia risultato poi non veritiera di una sparatoria o meglio di una stesa proprio ai Cariati dove abita il boss. Nessun bossolo, nessuna ogiva, niente di niente. Tantomeno qualcuno della zona hanno confermato la notizia. Probabilmente si è trattato dell’iniziativa di un mitomane. Ma la tensione e l’attenzione da parte delle forze dell’ordine è alta. In primo luogo perché Ciro Mariano che ha pagato il suo conto con la giustizia senza mai cedere invece come ha fatto lo scorso anno il fratello Marco che uscito dal carcere nel 2013 e dopo aver cercato di rifondare il clan quando è stato riarrestato dopo poco ha deciso di pentirsi seguendo il suo braccio destro Maurizio Overa che nel frattempo era diventato il suo grande accusatore. Ora il ritorno in libertà di un boss del calibro di Ciro Mariano rimette di nuovo in discussione quelli che sono gli ultimi assetti criminali tra le varie famiglie malavitose dei Quartieri Spagnoli che una volta erano nell’orbita dei Mariano.

Con i Saltalamacchia  che mantengono rapporti saldi con i Ricci-“Fraulella” e con i Cardillo mentre su un fronte opposto si trovano i Masiello, i Mazzanti, i Terracciano. I Ferrigno, invece avrebbero creato un asse con i reduci dei Lepre e con i Festa nella zona del Cavone. E infine i Trongone che si sono ricreati il loro spazio nella zona di Piazza Borsa. Nuovi equilibri e vecchi incroci criminali che dovranno per forza tenere conto della presenza di Ciro Mariano che negli ultimi processi si era difeso strenuamente dagli attacchi del fratello pentito. “Mi volete condannare solo perché esisto. Se sono qui oggi è perché io non sono tempestiva­mente intervenuto nelle cavolate di mio fratello”. Aveva detto due anni fa in aula al maxi processo contro il clan Mariano, che si è concluso con la sua assoluzione mentre il pm aveva chiesto una condanna a 8 anni di carcere. Ciro Mariano in aula fece una lunghissima deposizione nella quale ripercorse la storia del clan. Eccola.

LE ATTIVITÀ COMMERCIALI
«Per quanto riguarda le attività commerciali e i proventi si dice che i miei figli hanno beneficiato del mio nome per fare affari. Questa teoria e accusa sono improponibili e non corrisponde ai fatti reali anche perché quest’accusa darebbe vita ad una nuova filosofia giuridica, ovvero il reato ereditario».

IL CLAN MARIANO

“Nel riassumere la mia storia posso sfatare alcuni luoghi comuni. Innanzitutto sull’esistenza del clan Mariano e sul predominio territoriale esercitato durante la detenzione. Agli inizi degli anni Ottanta, quando la criminalità si impadroniva di tutti i vicoli noi scugnizzi siamo stati costretti a fare la guerra per salvarci e questa non è una giustificazione ma un dato di fatto. Il clan Mariano non è mai esistito e non ci sono stati eredi e mai ci saranno. Per quanto riguarda l’ipotesi del predominio territoriale l’accusa ha rimosso che da più di un ventennio il sodalizio Misso, Sarno e compagni si sono divisi il predominio con i Secondiglianesi dei Quartieri Spagnoli. Ettore Sabatino e Salvatore Torino con i Russo dei Quartieri Spagnoli, operanti sotto il cartello Misso-Sarno hanno eliminato gli scissionisti. Dopo hanno avuto un conflitto con i Di Biasi ovvero i Faiano, causando una serie di omicidi. Tuttavia nessuno di costoro, cioè Sabatino, Torino, Misso, Sarno e Raffaele Scala, hanno chiamato in casa Mariano o qualcuno della loro famiglia per eventi delittuosi o illeciti durante tutta la loro collaborazione con lo Stato. Sempre rispetto al predominio territoriale che esercito ricordo al giudice che Marco Mariano in una intercettazione dice: “Non posso andare a nome di Ciruzzo perché non ha nulla Ciruzzo”»

LE LETTERE DAL CARCERE

«Per quanto riguarda la mia corrispondenza sequestrata, essa è circoscritta alla vita carceraria, di questo carcere ed è così da vent’anni. Estrapolare frasi delle mie lettere, ad effetto, non dà il senso compiuto del discorso ma soprattutto le trascrizioni sono inesatte. Non credo che sia crimine dire di“risalire la china” davanti allo sfascio della mia famiglia. Se confidare sull’aiuto di qualche detenuto per qualche piacere è un reato l’ho commesso. L’avrei poi commesso io che faccio l’azione non chi si limita a commentarla. Bisogna poi dimostrare se tale azione se pur pensata è stata poi fatta o no».

LE “IMBASCIATE”

«Per quanto riguarda le “imbasciate” si dice che mia sorella presenziava alle riunione e portava messaggi a mio fratello alle riunioni, dopo essere stata da me in carcere. Voglio dire che negli ultimi dieci anni ho visto mia sorella cinque volte, addirittura prima mai perché ero al carcere duro. A proposito dei colloqui in carcere: mia moglie non ha mai avuto un’autista personale per un lungo periodo quando ero cal carcere di Pianosa: mi moglie veniva con il fratello di un altro detenuto e con la moglie di questo detenuto tutti assieme».

FABIO MARIANO

«A mio figlio Fabio è stato attribuito l’accusa che avrebbe portato una mia imbasciata in occasione del colloquio effettuato al carcere di Melfi. Il contenuto dello stesso è quando io dico che: “voi state distinti da me, tutto il bene e tutto l’affetto ma dite che noi non vogliamo sapere nulla”. Ho chiesto a gennaio al pm, tramite delle lettere, di acquisire tutti i colloqui videoregistrati a Melfi in quanto si palesava chiaramente la distanza da mio fratello Marco e da tutte le sue iniziative».

LE ACCUSE A MARCO

«A proposito di mio fratello è chiaro che costui sta consumando la vendetta contro tutti coloro che non hanno voluto scegliere la strada della sua scelleratezza. Tutti coloro che hanno rifiutato di seguirlo. Ci tengo a precisare che confonde la viltà con il coraggio. Il vero coraggio ce l’ha suo fratello Salvatore da 25 anni a marcire in carcere da innocente. Dimostra ancora una volta il suo egoismo e che non merita il senso di commiserevole pietà. Per le accuse mosse a miei figli e ad Ernesto, ovvero di riciclaggio, posso dire che se avessi avuto partecipazioni nella loro attività commerciale di sicuro non sarebbero falliti e non ci sarebbe stata la necessità di accendere un mutuo sulla casa di mia moglie che tutt’ora pende. Mio figlio è uscito dalla società con zio Ernesto per i dispettucci e le angherie di Marco e adesso lui si trova a lavorare sotto padrone, come dipendente. Mio fratello Marco, non ho fatto accordi con Sarno, è uscito nel 2009 e l’ho visto la prima volta nel 2012 e si può controllare dai colloqui. In merito all’associazione, concordo con il pm, quando poi dice ad Overa a pagine 116 del faldone: ma che clan è questo? La brutta copia dell’armata Brancaleone? Spero che il mio passato non influenzi la sua decisioni non penalizzi i miei figli, glielo chiedo da padre. Marco mente di sapere di mentire»

GLI ALTRI SOGGETTI

«Per quanto riguarda mio cognato Ernesto Tecchio in 25 anni l’ho visto una sola volta tutto questo è controllabile dai tracciati dei colloqui. Mario Savio dice che “sta cercando lo zio”, ovvero Marco Mariano per una imbasciata a suo fratello Ciro e non viceversa. Mario Iuliucci detto “Marittone”, lo possiamo definire vicino a Mariano? Non l’ho mai conosciuto».

GLI ALTRI PENTITI

«Per quanta riguarda i collaboratori le loro dichiarazioni sono non spontanee né coerenti. Per esempio Saporito e Gallozzi risultano sconosciuti e non citati nelle intercettazioni ne da Maurizio Overa. È risaputo che chi spaccia deve pagare dazio ai clan e costoro non vengono chiamati da Raffaele Scala. Lui lo avrebbe saputo se i Mariano avessero fatto un affare di milioni di euro al mese. Misso-Sarno, non avrebbero mai permesso di spacciare senza il loro permesso». Per il boss sono non credibili Angelo Ferrara, Alfredo Cannavo, Luigi Giuliano, Salvatore Gaudino, Maurizio Overa e Ciro Sarno”.

MAURIZIO OVERA

«Lui dice che con i miei figli ha fatto due traffici di droga, il primo verificatosi nel 2003 e se ne ricorda per un mancato pagamento di 700mila. Afferma di aver ricevuto una mia imbasciata. Questa è una insinuazione priva di fondamento».

 

Cronache della Campania@2018

Brigadiere sul libro paga del clan: Cioffi si difende. Per il Gip era organico al gruppo di Fucito

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Una vita in chiaroscuro, quella di Lazzaro Cioffi detto Marcolino, il brigadiere finito in carcere con l’accusa di aver fatto parte di un’associazione di narcotrafficanti con a capo Pasquale Fucito, il marziano, del Parco Verde di Caivano che riforniva oltre 40 piazze di spaccio con la sua cocaina importata direttamente attraverso l’Olanda. Marcolino Cioffi, difeso dal’avvocato Bruno Cervone, è stato interrogato dal Gip Francesca Ferri, deve rispondere di accuse gravissime, alcune delle quali sono costate anche gli arresti domiciliari alla moglie Emilia D’Albenzio. Nel lungo interrogatorio di ieri mattina, Cioffi si è difeso sostenendo di non essere uno stipendiato del clan come emerge dalle indagini e dalle accuse di Andrea Lollo e Nunzio Montesano i due collaboratori di giustizia che hanno parlato dei rapporti tra il brigadiere, in servizio a Castello di Cisterna, e Fucito. Tutto ruoterebbe intorno al ristorante di Caserta della moglie di Cioffi e venduto, attraverso l’intermediazione di Fucito, ad un suo parente Alessandro Iorio. L’accusa sostiene che l’esercizio commerciale che valeva poco meno di 60mila euro, sia stato venduto per circa 120mila euro, il doppio. Un prezzo di favore per ingraziarsi il carabiniere che forniva soffiate a Fucito e ai suoi uomini. Ma Cioffi respinge le accuse e seppure dice che ha sbagliato a frequentare Fucito (il ras di Caivano andava persino a casa sua e la moglie di Cioffi si occupava del suo bambino), sostiene di non essere uno stipendiato del clan anzi di non aver favorito la camorra. Sostiene di essersi interessato al lavoro dei colleghi nel parco Verde per fingere un interessamento agli occhi di Fucito. Una vita in chiaroscuro quella di Cioffi che nel 2006 ebbe un encomio per il suo contributo in un blitz contro dei narcotrafficanti. Certo ne è passato di tempo dal 2006 e le cose potrebbero essere cambiate. L’inchiesta che lo ha portato in carcere ha avuto una rapidissima evoluzione alla fine del 2017 quando Andrea Lollo, uomo di fiducia di Bruno Giordano, il narcos di Giugliano latitante da oltre un anno, ha deciso di pentirsi da uomo libero e cominciare la collaborazione con la giustizia. Secondo la difesa di Cioffi, il brigadiere sarebbe molto provato dalle accuse che gli vengono mosse, non è escluso che all’interrogatorio del Gip possa seguirne un altro con il pm della Dda che ha indagato su di lui, Mariella Di Mauro, per approfondire le tesi difensive già illustrate nel corso dell’interrogatorio di garanzia. “Non ho mai preso denaro” ha detto più volte Cioffi. Ma di danaro si parla spesso nelle intercettazioni captate dai colleghi del Roni di Cioffi. Per il brigadiere quel rapporto economico sarebbe tutto da ricondurre a quel ristorante e il finto interessamento alle vicende di Fucito era volto a carpire notizie nell’ambito del suo lavoro. Una posizione difficile la sua, anche perchè se il ras di Caivano fosse ritenuto un informatore è molto strano che tra il carabiniere e il narcos ci fosse un rapporto così stretto e addirittura familiare. Basilare per l’accusa un’intercettazione ambientale captata sulla Ford Fiesta del carabiniere nella quale, il brigadiere condivide con un altro ‘associato, Ciro Astuto, il pasticciere, la rabbia per i ritardi nei pagamenti da parte di Fucito. Cioffi si lamenta per non aver ricevuto in tempo quanto dovuto e minaccia di ‘rovinare’ Fucito. Secondo il Gip Francesca Ferri anche l’atteggiamento di Cioffi fa ritenere che i rapporti con Fucito siano estremamente prudenti proprio perchè sa che potrebbe essere sotto osservazione. “Cioffi sa bene che le cimici possono essere nascoste anche in casa, in una cucina o in un soggiorno e sa bene che l’accertamento del suo coinvolgimento nelle illecite attività del marziano comprometterebbe per sempre il destino suo e della sua famiglia. Non bisogna mai fare il nome del Fucito o utilizzare il soprannome con cui lo stesso è conosciuto: ‘Marziano o Shrek’ – scrive il Gip – Cioffi non contatta mai telefonicamente il Marziano e si rivolge ai fedelissimi del Fucito per concordare appuntamenti. In realtà la prudenza del Cioffi riguarda anche il modo in cui entra in contatto con gli uomini del gruppo di Fucito: per parlare con Ciro Astuto, il pasticciere, Cioffi si rivolge ad Adolfo Stufa, un imprenditore estraneo all’associazione, che fa da tramite tra Cioffi e il pasticciere. Si registrano solo occasionalmente contatti diretti tra Cioffi ed Astuto e ciò appare singolare se si riflette sulla circostanza che Astuto è evidentemente un amico di famiglia del Cioffi, essendo stato invitato al compleanno della moglie del brigadiere ed essendosi occupato dell’organizzazione del rinfresco”.

 Rosaria Federico

@riproduzione riservata

Cronache della Campania@2018

Processo strage bus, il teste tra i ‘non ricordo’ costretto ad ammettere che nella sua officina ci fu una manutenzione non corretta

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A distanza di quasi cinque anni dalla strage del viadotto Acqualonga, emergono elementi che fanno vacillare l’intero impianto accusatorio a carico di Gennaro Lametta, proprietario del bus che il 28 luglio 2013 precipitò dal viadotto.
Per cinque lunghi anni, durante tutte le fasi del processo, che vede indagati anche personale e dirigenti di Autostrade S.p.A. e della MCTC di Napoli, è stato ipotizzato, ma solo ipotizzato, con forza, che l’autobus di Gennaro Lametta fosse privo di ogni manutenzione, una carretta, insomma, soprattutto perché vi erano poche fatture di interventi meccanici. All’ultima udienza tenutasi al Tribunale di Avellino è stato ascoltato il teste Pasquale Favilla, ex meccanico della Volvo, e già da molti anni titolare di una grossa officina meccanica, generica, ma non per questo illegale, specializzata nella manutenzione di mezzi pesanti. Il meccanico, interrogato dall’avvocato Sergio Pisani, difensore di Lametta, ha inizialmente riferito che il Lametta era un suo cliente sporadico, che vedeva raramente, ma poi, di fronte ad una registrazione ambientale, depositata agli atti del processo, ha dovuto ammettere che circa un mese prima della tragedia il Lametta aveva portato il proprio bus nella sua officina, a suo dire per il solo cambio dei filtri del gasolio. Nel prosieguo dell’ascolto della registrazione è invece emerso che nell’occasione il Lametta chiese ad un dipendente della Officina, tale Pierino, di controllare proprio la trasmissione e che questi lo avrebbe fatto controllando se i perni erano stretti. Di fronte a tale innegabile evidenza il Favilla si è trincerato dietro una lunga serie di “non ricordo” (cfr Verbale di udienza del 20.04.2018), assumendo, addirittura di non conoscere il cognome del suo dipendente Pierino, ne dove abitasse, poiché persona tenuta in prova per poche settimane. Successivamente, alle pregnanti domande formulate dal Giudice il meccanico ha dovuto ammettere, anche se con palese reticenza, che il Lametta si era portato presso la sua officina anche 15 giorni prima di quando furono controllati i perni della trasmissione, per altri controlli, e, soprattutto, che non sempre emetteva fatture.
Inquietante è apparsa, infine, la dichiarazione resa dal teste che, a domanda del Giudice, ha affermato che per controllare i perni della trasmissione non ha usato chiavi dinamometriche, come previsto, ma semplici chiavi di serraggio.
Va detto, inoltre, che alla precedente udienza il Lametta ha depositato agli atti del processo documentazione attestante la sua iscrizione presso il Comune di Cercola, in netto contrasto con quanto sarebbe emerso dalle indagini della Polstrada che nulla ebbero a rinvenire presso il detto Comune. La prossima udienza è prevista per il 4 maggio.

Cronache della Campania@2018

Il carabiniere, il boss e le rispettive mogli a cena al ristorante: le foto che lo inchiodano

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Napoli. Le frequentazioni tra il boss di Caivano, Pasquale Fucito e il brigadiere dei carabinieri, ‘Marcolino’ Cioffi erano più familiari: i due si frequentavano spesso anche con le rispettive mogli, al ristorante, a casa di Cioffi a Casagiove. Le mogli dei due a loro volta uscivano insieme e in alcune occasioni, Emilia D’Albenzio – finita poi agli arresti domiciliari – oltre ad accudire il figlioletto del ras del Parco Verde tenendolo a casa sua, accompagnava spesso anche la moglie di lui Veronica Zaino. Ad evidenziarlo intercettazioni ambientali e telefoniche recentissime, ma anche immagini di telecamere di locali pubblici.

Spiegare tutto ciò con esigenze investigative da parte di Lazzaro Cioffi, diventa difficile. Nell’ordinanza firmata dal Gip Francesca Ferri ci sono, oltre a conversazioni esplicite sui rapporti tra il carabinieri e il pregiudicato Pasquale Fucito, detto ‘o marziano, anche le immagini di un incontro in particolare. Le coppie Cioffi-Fucito vanno a ristorante insieme e anche quando devono uscire i due evitano posti dove possono essere riconosciuti. “Domenica 29 ottobre 2017 i due si incontrano con le rispettive consorti per andare a cena fuori si danno appuntamento direttamente in autostrada” scrive il giudice. Appena le due auto si avvicinano Fucito dice a Cioffi “E tieni le guardie.. le tieni dietro perciò mi sono fermato … inc … “. La certezza che quello che affianca l’auto di Cioffi sia proprio Fucito, spiega il Gip, è dato da un particolare emerso proprio quel giorno. ‘O Marziano è contento perchè quel giorno ha preso una ‘bolletta’ (scommessa) e poche ore prima lo ha detto alla sua amante Anna Bendieri. Una vincita di 4100 euro, per una puntata di cento euro. E proprio nel corso dell’incontro con Cioffi, quel particolare rispunta: “Ho preso una bolletta…Guarda te lo stavo dicendo stamattina te lo giuro … Non mi credi? 4100 euro te lo stavo dicendo stamattina.. “. La prova che le due famiglie sono insieme è data anche dai tracciati Gps installati sull’auto del brigadiere Lazzaro Cioffi. I quattro sono andati in un ristorante di Monteruscello, le cui immagini interne vengono poi acquisiti dai carabinieri nel corso delle indagini. Cioffi e Fucito con le rispettive mogli entrano nel locale alle 20,34 e vi restavano fin verso le ore 22.50. Il conto viene pagato da Pasquale Fucito, al quale il cameriere porta il conto. E proprio la cena è oggetto della conversazione captata nell’auto di Cioffi, monitorata dagli inquirenti. Emilia D’Albenzio si lamenta con il marito, non vole accompagnare Veronica Zaino in una clinica di Napoli il martedì successivo, per un intervento di chirurgia estetica: “Martedì non ci voglio andare ad accompagnare a questa … Perché non sa parlare lei … Non tiene nessuno che l’accompagna?” dice al marito. Cioffi si infastidisce e la rimprovera: “… manco questo vuoi fare?”. Secondo il Gip, Lazzaro Cioffi è a disposizione di Fucito a 360°, non solo lui ma anche i suoi familiari, non a caso la moglie accudisce spesso il bambino della coppia di Caivano. 

Ecco l’intercettazione tra Lazzaro Cioffi e la moglie Emilia D’Albenzio, all’uscita dal ristorante di Monteruscello
D’ALBENZIO Emilia: Martedì non ci voglio andare ad accompagnare a questa.
CIOFFI Lazzaro: Perché non ci vuoi andare?
D’ALBENZIO Emilia:E non ci voglio andare…che vado a fare…quella si deve fare le cose e io devo andare.
CIOFFI Lazzaro: Va bene…se si vuole fare accompagnare vai che fa!
D’ALBENZIO Emilia: Perché non sa parlare lei.
CIOFFI Lazzaro: Embè…vai tu e che fa.
D’ALBENZIO Emilia: Non tiene nessuno che l’accompagna?…inc… …inc…manco questo vuoi fare?

 Rosaria Federico

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Cronache della Campania@2018

Omicidio Vassallo, scambio di informazioni tra Dda Napoli e Salerno dopo l’arresto del brigadiere

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Salerno. Gli atti dell’indagine che ha portato all’arresto del brigadiere dei carabinieri Lazzaro cioffi, detto Marcolino, verranno trasmessi alla Procura di Salerno e ai magistrati titolari dell’inchiesta sull’omicidio del sindaco di Pollica Angelo Vassallo. La notizia arriva all’indomani degli arresti della settimana scorsa, anche alla luce della riapertura del fascicolo d’indagini sul delitto di Pollica, archiviato nei mesi scorsi, dopo sette anni, per mancanza di nuove prove. Lo scambio di informazioni tra le due procure (anche i pm di Napoli infatti acquisiranno atti dai colleghi salernitani) si riferisce alla posizione del brigadiere dei carabinieri Lazzaro Cioffi, arrestato nell’ambito dell’inchiesta della Dda di Napoli – coordinata dal pm della Dda di Napoli Mariella Di Mauro e dal procuratore aggiunto Giuseppe Borrelli – e sospettato di stretti legami con uno dei boss del narcotraffico, Pasquale Fucito, ‘o marziano, del Parco Verde di Caivano. Il nome di Cioffi, accusato di far parte dell’associazione per delinquere capeggiata da Fucito, spuntò anche negli atti di indagini svolti sull’omicidio del sindaco di Pollica. Cioffi, in servizio presso il gruppo di Castello di Cisterna, all’epoca dell’omicidio e fino a pochi giorni fa, fu visto da un testimone e la sua presenza fu riferita agli inquirenti, ma tale circostanza non risultò confermata dagli approfondimenti investigativi (Cioffi, va precisato, non è stato mai indagato nell’ambito dell’inchiesta sul delitto Vassallo). Proprio oggi il procuratore nazionale antimafia Federico Cafiero de Raho, in un’intervista all’edizione napoletana di Repubblica rilasciata in vista di un dibattito in memoria di Vassallo che si terrà domani al Teatro San Carlo, ha affermato che quel delitto non deve restare impunito. “Il sindaco – ha ricordato Cafiero de Raho – aveva dato fastidio alla criminalità sotto diversi profili. Il porto di Acciaroli, il traffico di stupefacenti del Cilento, altre situazioni di cui si sentiva l’unico conoscitore”. Per il procuratore Antimafia bisognerà prestare la massima attenzione per poter individuare i responsabili”.
Gli inquirenti salernitani, si concentrano infatti sul movente dello spaccio di stupefacenti per dare un volto e un nome all’assassino del sindaco di Pollica, ucciso il 5 settembre del 2010.

Cronache della Campania@2018

Prostituzione minorile: 10 anni di carcere per il gestore del circolo privato

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Aveva messo in piedi un giro di prostituzione minorile usando come copertura un circolo ricreativo storico per generazioni di studenti avellinesi e non solo. Federico Di Vito dovra’ scontare dieci anni e quattro mesi di reclusione e versare una multa di 70mila euro. Condannato anche Mario Luciano, 86enne facoltoso imprenditore di Lapio, cliente tra i piu’ assidui del circolo di via Vasto, nel centro di Avellino, dove accanto alla sala giochi con bar, Di Vito aveva allestito una camera da letto per gli incontri con giovanissime studentesse. L’anziano ha ottenuto la sospensione della pena di due anni di carcere. Il terzo imputato, Pino Rosiello di 51 anni, aveva gia’ patteggiato una condanna a due anni di reclusione. L’indagine risale allo scorso anno ed e’ andata avanti per mesi con intercettazioni ambientali ma anche con la collaborazione delle giovani vittime e in un caso del fidanzato di una ragazzina. Secondo quanto accertato, le studentesse venivano adescate con la promessa di un lavoro al circolo. Da quel momento cominciava un percorso di “formazione” da parte del titolare del circolo che spiegava alle ragazze come dovevano comportarsi con i clienti. Per alcune la paga poteva arrivare anche a 1500 euro al mese. Il processo con rito abbreviato si e’ concluso dopo una camera di consiglio durata tre ore. 

Cronache della Campania@2018

‘Adesso ci siamo noi e dovete pagare’, così il nuovo clan D’Ambrosio imponeva il pizzo

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“Adesso ci siamo noi e dovete pagare. Siamo gli amici di Cercola”. Si presentavano così, quelli del neonato clan D’Ambrosio, i nuovi signori del pizzo ai commercianti di Cercola, Sant’Anastasia. Ma il nuovo gruppo criminale nato dalle costole del clan De Micco “Bodo” di Ponticelli ai quali erano legati e ai quali pagano il pizzo sulle piazze di spaccio che gestivano fino all’arresto di tutti i vertici avvenuto due mesi fa, è stato smantellato ieri da una operazione condotta dagli agenti della Squadra Mobile di Napoli e del commissariato di Ponticelli che ha stroncato sul nascere la compagine camorristica forte, organizzata anche militarmente (sequestrate armi, infatti, nel corso dell’indagine), che dal quartiere di Ponticelli, dove agisce in una piccola porzione del rione Conocal pagando il ‘pizzo’ ai De Micco, stava cercando una strada di autonomia prima a Sant’Anastasia, poi a Cercola. D’Ambrosio, un passato tra le fila dei Vollaro per il quale ha un precedente per associazione a delinquere di stampo mafioso, e poi tra quelle dei Sarno, cosca che ha tentato di eliminarlo, ha tentato di costruire un gruppo forte, gestendo piazze di spaccio e usura, nonche’ facendo il ‘grossista’ di droga per reti di pusher di Benevento e Avellino, senza intaccare il suo legame con i De Micco, garantito da Antonio Rolletta, suo luogotenente in quanto trait d’union con una delle cosche egemoni a Ponticelli. Altro uomo di fiducia di D’Ambrosio e’ Sannino, suo nipote. D’Ambrosio e’ stato arrestato un mese fa dai carabinieri in flagranza a Sant’Anastasia per una estorsione, proprio mentre la polizia indagava sul suo gruppo. La nuova misura cautelare che lo riguarda e riguarda gli altri 10 indagati e’ relativa a episodi consumati tra il 2015 e i primi mesi del 2016.

L’indagine ha appurato che nel territorio erano in corso una serie di attivita’ estorsive da parte di alcune persone che si presentavano a nome degli ‘amici di Cercola’ per chiedere il ‘pizzo’. Nell’ottobre del 2015 furono arrestati in flagranza per il reato di estorsione aggravato dal fine di agevolare un clan Salvatore Ottaiano, 37 anni, detto Me’-Me’, Pietro Fusco, 48 anni, alias o’ sfarditiello, gia’ sottoposto alla misura della liberta’ vigilata con obbligo di Soggiorno nel Comune di Cercola. Da questi provvedimenti di fermo e’ nata una indagine, coordinata dalla Direzione distrettuale antimafia, che ha accertato la nascita di un nuovo gruppo criminale che fa capo a Roberto D’Ambrosio. Oltre alle attivita’ legate allo spaccio di sostanza stupefacente e all’usura, la nuova cosca imponeva a molti spacciatori, non legati all’egemonia criminale, di pagare delle quote per continuare a gestire le loro attivita’. L’usura veniva supporta anche da minacce, mentre la vendita di stupefacenti, oltre che al minuto, veniva anche eseguita all’ingrosso e fuori dal Comune di Napoli. D’Ambrosio, gia’ detenuto, deve rispondere di estorsione e rapina aggravata dall’art.7 L.203/91; e pure in carcere sono altri tre spacciatori Carmine Aloia, Luigi Gitano e Valerio Rolletta. Provvedimento restrittivo in prigione per un altro spacciatore, Ciro Oliva, e Rosario Rolletta, ai vertici del nuovo sodalizio, cui viene contestata l’associazione per delinquere di stampo camorristico, ma anche i reati di estorsione, rapina. Rolletta è stato legato fino al suo arresto al ras e spietato killer del clan D’Amico, Antonio Di Martino, arrestato due mesi fa nel maxi blitz contro i “Bodo” e sospettato di avere avuto un ruolo nell’omicidio della donna boss, Nunzia D’Amico a’ passilona. Ai domiciliari Davide Martinelli, Antonino Rolletta, Luigi Russo, spacciatori, una donna che gestiva l’usura, Anna Alfuso, amica del boss D’Ambrosio e Luigi Sannino, elemento apicale del gruppo. La prima amica del boss D’Ambrosio e il secondo il nipote.

 

 (nella foto da sinistra Roberto D’Ambrosio, Antonio Rolletta, Rosario Rolletta, Luigi Gitano, Anna Alfuso, Antonio Rolletta junior, Carmine Aloia, Davide Martinelli, Luigi Russo, Ciro Oliva)

Cronache della Campania@2018


Chiesto il processo per don Barone, il prete esorcista

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La difesa di don Michele Barone cercherà di dimostrare che la ragazzina tredicenne era realmente posseduta dal demonio e per questo le benedizioni del prete di Casapesenna erano l’unica strada percorribile per provare ad aiutarla. Teoria oscurantista che si scontra evidentemente con la posizione dei pm che sostengono invece che gli esorcismi sulla tredicenne siano stati delle “torture medievali” che le hanno provocato una lesione permanente.
È stato notificato ieri il decreto di giudizio immediato per il sacerdote, per i genitori della vittima e per il vicequestore di polizia Luigi Schettino. E, perlomeno per la parte che riguarda don Barone, si preannuncia un processo come quello che seguì le vicende di Annaliese Michel, la giovane donna morta in Baviera nel 1975. La famiglia della ventiquattrenne, come ricorda Il Mattino, si convinse che fosse posseduta dal demonio e l’affidò alla Chiesa. In realtà Annaliese manifestava paralisi degli arti, uno smisurato accrescimento del torace, rigidità improvvisa del corpo e l’impossibilità di parlare. Sintomi simili a quelli della ragazzina del casertano, portata dal sacerdote in pellegrinaggio con un collare e costretta a ingerire l’ostia e l’acqua santa nella quale il sacerdote sputava. Storie simili ma con esiti, fortunatamente, diversi: Annaliese morì e i genitori e l’esorcista furono condannati per omicidio colposo. La piccola del casertano, anche se malridotta, con un orecchio sfregiato dal piede del prete e dalle manovre che il sacerdote esercitava per costringere il diavolo lasciare il suo corpo, è viva. Per la Procura i genitori della ragazzina sono responsabili dei maltrattamenti in concorso col prete. Stessa accusa per il poliziotto Luigi Schettino che tentò anche di ostacolare la denuncia sporta dalla sorella della ragazzina.
Ma contro il prete ci sono anche le accuse di due ex adepte che sostengono di essere state abusate sessualmente sia a Casapesenna che durante i pellegrinaggi a Medjugorie. In questo caso, le vittime sono maggiorenni e hanno già testimoniato nel corso dell’incidente probatorio che ha cristallizzato la prova e consentito ai pm Alessandro Di Vico e Daniela Pannone di chiedere il giudizio immediato. Ma anche ciò che raccontano le due ventenni ha delle analogie sorprendenti con le vicende di Annaliese. Parlano di esorcismi filmati, e i video sono stati ritrovati, e affermano che a Casapesenna c’è una ragazzina che, dopo essere stata “liberata dal demonio” da don Barone, si è trasformata in una veggente e che “attraverso di lei parlano la Vergine Maria, l’angelo e Gesù”. Anche Annaliese sostenne di aver avuto contatti con la Madonna, tanto che la sua tomba è tutt’oggi meta di pellegrinaggi.
Se da un lato le due ragazze hanno confermato gli abusi sessuali subiti, dunque, dall’altro sembrano convinte che a Casapesenna si verificassero fenomeni paranormali. Una delle due, incalzata dall’avvocato di don Barone, durante l’incidente probatorio ha dichiarato che “nel corso delle benedizioni” le comparivano “dei tagli sulle braccia”. Il penalista le ha chiesto, esibendo una dozzina di foto che appunto ritraevano le ferite, se non le si aprisse anche una specie di “s” sulla lingua, ma in questo caso la ragazza ha spiegato che quella era l’impronta dell’apparecchio per i denti. A ogni modo, dalla natura delle domande rivolte alla ragazza, sembra che la difesa intenda sostenere l’esistenza del demonio o, quanto meno, provare che quelle benedizioni erano il giusto rimedio per persone ritenute possedute dal maligno. La prima udienza è fissata per giugno dinanzi al tribunale di Santa Maria Capua Vetere. 

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Ferimento a Nocera Inferiore, la polizia arresta Francesco Benigno

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Nocera Inferiore. Sparatoria davanti al tribunale di Nocera: è stato arrestato stamane Francesco Benigno, 51 anni, accusato di aver ferito a colpi di pistola Pasquale Iannone, ieri pomeriggio in via Borsellino a Nocera. Gli agenti del Commissariato di Nocera Inferiore, lo hanno rintracciato a Cava nei pressi del supermercato Conad. Benigno e Iannone, secondo quanto ricostruito dalla polizia avevano avuto un violento diverbio al quale aveva fatto seguito la sparatoria. Benigno aveva impugnato la pistola e aveva sparato ferendo Iannone all’addome. La lite che, secondo i protagonisti, sarebbe per futili motivi però potrebbe nascondere qualcosa di più losco. Gli inquirenti pensano che dietro ci sia qualche affare andato male, forse droga. E allora indagano a 360° sul movente che ha spinto il pregiudicato a sparare. Benigno, noto alle forze dell’ordine, e negli ambienti malavitosi nocerini faceva il parcheggiatore proprio nei pressi del tribunale. Stamane, verso le 11,30 è stato rintracciato e fermato dagli agenti, la Procura sta formalizzando le accuse a suo carico che vanno dalle lesioni gravissime al tentato omicidio. Iannone, già ieri pomeriggio, è stato sottoposto ad un delicato intervento chirurgico perchè aveva una perforazione all’addome. Nei prossimi giorni vi sarà la convalida dell’arresto per Francesco Benigno.

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Dario Vassallo: ‘La pista del carabiniere? Potrebbe essere la svolta’

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“Potrebbe essere la pista giusta”. Cosi’ Dario Vassallo a proposito dell’apertura di un nuovo fronte investigativo sull’omicidio Vassallo e, in particolare, sulla figura di Lazzaro Cioffi, sottufficiale dei carabinieri in servizio presso il nucleo investigativo di Castello di Cisterna attualmente indagato per traffico di stupefacenti aggravato dalle finalita’ mafiose. A rimettere in discussione la posizione di Lazzaro Cioffi, gia’ “attenzionato” dagli inquirenti nei mesi successivi all’omicidio del sindaco di Pollica, potrebbe infatti essere l’ordinanza notificata al brigadiere dei carabinieri che la Procura di Napoli ha contemporaneamente inviato anche alla Procura di Salerno, impegnata da anni a fare luce sull’assassinio del sindaco-pescatore. In quella ordinanza, infatti, potrebbero esserci elementi interessanti per l’inchiesta. “Speriamo che questa volta l’indagine abbia imboccato la strada giusta. – prosegue il fratello del sindaco-pescatore. Quella del traffico di droga, non e’ una pista nuova. E’ stata al centro dell’indagine per tutti questi anni. Spero che si chiariscano certe responsabilita’, e soprattutto si faccia chiarezza su chi ha gestito il traffico di droga qui a Pollica”. “Stupito che rappresentanti dei carabinieri siano coinvolti nelle indagini? – conclude Vassallo – Affatto. Questo non vuol dire che non abbia fiducia nelle forze dell’ordine. Puntiamo entrambi allo stesso obiettivo, fare pulizia”. “Dopo tante illazioni e distrazioni, – aggiunge il sindaco di Pollica Stefano Pisani – questa potrebbe finalmente essere la strada giusta. Io mi auguro che sia cosi e che, dopo tanti anni di indagini, la magistratura e gli inquirenti possano arrivare a chiarire una volta per tutte responsabilita’ e colpevoli”.

Intanto sulla vicenda è intervenuto nel pomeriggio di oggi con un tweet Antonio Bassolino, ex sindaco di Napoli ed ex Governatore della campania, ma soprattutto amico del sindaco pescatore, Angelo vassallo- “Fa piacere che l’omaggio del @teatrosancarlo ad #AngeloVassallo si tenga nelle stesse ore della riapertura delle indagini sull’omicidio del sindaco pescatore: e’ una bella coincidenza”. 

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Omicidio Vassallo, Cafiero De Raho: ‘Ci sono altre piste investigative, prenderemo i colpevoli’

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“Ci sono tuttora altre tracce, piste investigative”. Lo ha detto Federico Cafiero De Raho, a capo della Direzione nazionale antimafia, in merito alle indagini sull’omicidio di Angelo Vassallo, il sindaco “pescatore” di Pollica, ucciso nel 2010. “Dal 2010 – ha affermato – non si e’ ancora arrivati all’identificazione dei responsabili, ma e’ anche vero che dal 2010 le indagini sono proseguite”. “Di fronte a determinati crimini non c’e’ mai la parola fine – ha aggiunto – fino a che non si arriva all’identificazione degli autori. Otto anni di omerta’ – ha sottolineato – ma le indagini non si sono fermate di fronte a questa omerta’. E’ vero che ogni qualvolta ci siano fatti di questo tipo – ha proseguito – e’ come se si fermasse quel percorso di legalita’ che avvertiamo soprattutto in regioni a piu’ alta densita’ mafiosa, ma e’ vero che ancora una volta si sta andando avanti e sono convinto che in questa, come in altre indagini, si arrivera’ a identificare i responsabili”. “La Direzione nazionale antimafia ha compiti di coordinamento e impulso – ha concluso – laddove vi e’ una procura distrettuale, come quella di Salerno, che in modo instancabile e inarrestabile prosegue nelle indagini, non possiamo che seguire dal di fuori e verificare se vi sono momenti di coordinamento o di stanca”.

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Camorra, Giuseppe Misso: ‘Io spremuto e cacciato dal programma di protezione e ora minacciato senza che nessuno intervenga’

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‘Vorrei avere il piacere di parlare con il procuratore nazionale antimafia dottor Federico Cafiero De Raho per spiegare la mia situazione. Sono stato cacciato dal programma di protezione e nonostante questo vado puntuale ai processi a sostenere le accuse e ora mi arrivano minacce da parte di un boss del rione Sanità che dice che ucciderà mia madre e i miei figli. Ho denunciato la cosa ma nessuno è intervenuto. Perché tutto questo? Perché questo accanimento contro di me?”. A parlare è Giuseppe Misso junior , ex pentito, fratello dello spietato killer Emiliano Zapata Misso e nipote dell’altrettanto famoso Giuseppe Misso ‘o nasone.  Ora, uno dei fondatori del clan Misso del rione Sanità, si trova agli arresti domiciliari: sta scontando una condanna per furto e nei mesi scorsi è stato anche denunciato dalla ex moglie per minacce. Ma lui dice di non sentirsi un ex pentito e non vuole arrendersi di fronte a quello che lui definisce “l’abbandono da parte dello Stato”. E poi il suo sfogo e le sue emozioni: “Sono demoralizzato, deluso. Io ho dato la mia vita in mano allo Stato e non penso di meritarmi questo trattamento”. E quando gli si ricorda che ha commesso reati durante il programma di protezione parte in quarta: “E’ vero ho rubato- ammette- ma l’ho fatto per dar da mangiare alla mia figlia. Ci sono persone che durante il programma di protezione hanno commesso omicidi, hanno fondato nuovi clan, hanno spacciato, hanno concordato le deposizioni e nonostante questo hanno continuato a stare nel programma. Potrei fare decine di nomi ed esempi. A me invece no. Sono stato subito cacciato. Perché forse non ho voluto accusare le persone che volevano accusassi? Ho detto sempre e solo la verità,. Il mio calvario è iniziato quando ho cominciato a dire i primi no. Sono dovuto andare a rubare per guadagnare e sono stato cacciato.  Mi sono rimboccato le maniche e sono andato avanti. Nonostante questo sono andato sempre puntuale hai processi, mai mancato come teste a un solo processo. Eppure vengo dichiarato ex collaboratore di giustizia. Un paradosso. Si dovrebbero vergognare.Giuseppe Missi ha fatto quello che ha voluto nel programma di protezione, Michelangelo Mazza è uscito dal programma di protezione, si è fatto liquidare e poi ha chiesto di rientrare. Giuseppe Esposito del clan Sarno ha fatto la stessa cosa. Perché a loro si permette di rientrare e a me no? Forse perché non mi sono prestato ad accusare chi volevano? E perché non sono andato in soccorso di pentiti che mentono? Io a volte penso che  i pentiti non sono altro che limoni da spremere, essere usati e poi buttati. Ciro Gennaro Spirito, grande accusatore del clan Mazzarella, è stato abbandonato in carcere e si è suicidato. La stessa cosa ha fatto Angelo Ferrara. Io non mi uccido, Ma vorrei parlare con il dottor de Raho per capire il perché di questo trattamento. Voglio capire chi sono e cosa sono per lo Stato Italiano io oggi dopo anni di collaborazione. Ho l’impressione che si stia facendo il gioco del clan Mazzarella che vuole la mia morte. Ma io non mi arrendo. Il mio non e un grido di paura perché io non li temo. Ma perché questo trattamento?”.

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‘Per favore, lasciami’ le ultime parole del 18enne ucciso in provincia di Salerno. Il racconto da brividi del killer

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“Per favore, lasciami”, ha implorato al suo assassino che menava fendenti al cuore. Queste le ultime parole di Antonio Alexander Pascuzzo prima di morire, il 18enne italoperuviano di Buonabitacolo nella Vallo di Diano in provincia di Salerno trovato morto il pomeriggio  del 14 aprile scorso a otto giorni dalla sua scomparsa. Il racconto choc degli ultimi momenti di vita del ragazzo sono stati raccontati con una lucidità disarmante dal suo assassino, Karol Lapenta di origini polacche ma adottato da una famiglia del luogo. Un omicidio per 50 grammi di marijuana e tutto premeditato come lo stesso assassino ha raccontato. “Ci eravamo dati appuntamento per acquistare la droga, lui voleva 500 euro per 50 grammi di hashish. Ero andato sul luogo con l’intenzione di fare quello che ho fatto per avere la droga senza pagarlo, ho preso il coltello in macelleria e l’ho fatto”. Ieri, come riporta l’edizione di Salerno de Il Mattino, l’assassino, rinchiuso nel carcere di Potenza e in attesa di essere sottoposto a una perizia psichiatrica, è stato ascoltato dal gip alla presenza del suo avvocato Michele Di Iesu. Il suo racconto è da brividi: “A un certo punto Perù (il soprannome dato dagli amici ad Antonio Pascuzzo ndr) ha appoggiato lo stupefacente vicino alle tavole che chiudono uno degli accessi al capannone e in quel momento mi ha guardato aspettando che io gli dessi il denaro. A quel punto, senza dirgli nulla l’ho colpito con il coltello che avevo nella mano destra che non avevo fatto vedere al Perù. Dopo averlo colpito si è accasciato a terra e gli ho dato un calcio in testa. Non so perché. Ricordo di avergli dato due coltellate, le altre non le ricordo. Per favore lasciami, mi ha detto. L’ho trascinato per le braccia fino al greto del torrente distante circa 15 metri e l’ho fatto rotolare giù. Dopo sono tornato in dietro, ho preso la bicicletta con la quale ero arrivato sul luogo dell’appuntamento e l’ho gettata all’interno del capannone dismesso attraverso una finestra, ho preso la droga e sono andato alla Cupola per stare con gli amici. Ho lasciato il coltello su un muretto lungo la strada, l’ho ripreso dopo, l’ho messo nello zaino avvolto in dello scottex. Il giorno dopo l’ho riportato in macelleria. Mi aveva venduto già della droga e non avevo debiti con il Perù.Non ho detto a nessuno quello che ho fatto, e sul posto sono ritornato il sabato mattina, quello del ritrovamento, per sincerarmi che il suo corpo stesse ancora lì dove lo avevo fatto rotolare”. E’ un racconto che non ha bisogno di commenti: Karol Lapenta è accusato di omicidio premeditato per motivi abietti, e agito con crudeltà, occultamento di cadavere e rapina.

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Camorra, il pentito: ‘Il carabiniere corrotto disse al boss di iscriversi al Sert così in caso di arresto sarebbe uscito subito’

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Non solo soffiate, favori di varia natura ma anche suggerimenti su come uscire presto dal carcere in caso di arresto. E’ l’inquietante spaccato che esce fuori dai verbali dei pentiti che accusano il carabiniere corrotto Lazzaro Cioffi in servizio al comando di Castello di Cisterna e finito in carcere la scorsa settimana insieme con altri dodici persone tra cui la moglie (che è ai domiciliari) per legami con il clan Ciccarelli del parco Verde di Caivano e in modo particolare con il reggente, il boss Pasquale Fucito detto ‘o marziano. Il rapporto tra il carabiniere corrotto e il boss del parco Verde era così intenso che il militare secondo il pentito Andrea Lollo gli suggerì “di iscriversi al Sert e farsi fare una visita psichiatrica per prepararsi il terreno per essere poi scarcerato”. Sono due le deposizioni di Lollo che toccano questo argomento e del grado di corruzione di Cioffi. La prima è del 15 ottobre del 2017:

” … omissis .. La SV mi chiede e sono a conoscenza di forze dell’ordine corrotte. Le dico che sono amico e ho rapporto dii “lavoro” con tale Fucito Pasquale di Caivano il quale a sua volta è molto amico di un carabiniere di Cisterna tale “Marcolino”…. Il predetto Marcolino aveva un1 ristorante a Caserta, 50 metri dopo l’uscita di Caserta nord verso la Reggia, sulla destra, sono anche andato mangiare, ha tre vetrine sulla strada. Questo ristorante lo ha rilevato nel 2016 ma poi siccome non andava bene, lo ha comprato il fratello di Fucilo Pasquale, Giovanni, al prezzo di 120.000 – 130.000 euro circa, ma in realtà il ristorante vale 50-60.000 euro perché non lavorava. Io e Pasquale andavamo a mangiare proprio per farlo lavorare perché era sempre vuoto. Giovanni ha recuperato i soldi tramite la sua attività dell’Eurobet ma per lo più dall’illecito traffico di eroina che il predetto Giovanni Fucilo tratta con la mamma e con il fratello Mimmo. Chiaramente il prezzo maggiorato probabilmente non risulta ufficialmente ma comunque rientra nel rapporto particolare tra Pasquale e quel carabiniere il quale da ultimo ha riferito a Pasquale che tra ottobre e novembre vi sarebbe stato un blitz che avrebbe colpito anche me lui e altri soggetti di Caivano. Pasquale mi disse che lui sarebbe subito uscito in quanto, come stanno facendo tutti, si stanno iscrivendo al Sert in modo che appena arrestati escono subito. Fucito Pasquale mi ha anche detto che da dei soldi mensili a Marcolino ma non mi ha mai detto quanto. Costui è andato ospite suo a Mondragone quest’estate. Preciso che Pasquale ha due amici alla Maggiore di Capodichino tramite i quali ha fatto noleggiare la macchina alla figlia di Marcolino una 5OOX bianca. Attualmente Pasquale, Fulvio e Ivano del suo gruppo di cui vi parlerò, noleggiano macchine cambiandole ogni mese … omissis … “.

E a proposito delle auto tre giorni dopo il collaboratore di giustizia in un altro verbale contenuto nelle 252 pagine dell’ordinanza di custodia cautelare firmata dal gip Francesca Ferri precisa: “… Fucito non sta comprando più macchine le sta noleggiando. Fu Pasquale a dirmi che Marcolino gli aveva consigliato di noleggiare e  non di comprare .. . omissis …Fucito Pasquale fin dal 2015 ha iniziato a parlarmi di Marcolino: preciso che nel Parco Verde Marcolino è molto conosciuto perché ha fatto diversi blitz, l’ultimo me lo ricordo nel 2005-2006 oltre ad altri arresti di spacciatori vari. Il predetto Fucito con il quale avevo un ottimo rapporto mi disse che Marcolino si era aperto un ristorante a Caserta Nord e gli aveva chiesto di portargli un po di clientela, avevo già capito che i rapporti tra Pasquale Marcolino erano buoni. Siamo andati a mangiare una decine di volte con le famiglie da Marcolino: nel ristorante c’era sempre lui o la figlia e la moglie. Poi come già Le ho detto dopo pochi mesi, forse sette otto mesi, il ristorante andava male come mi disse Pasquale e gli propose l’acquisto. Ricordo in particolare a novembre del 2015 un1 giorno ero a casa di Fucito, io lui Zio Michele e la moglie Veronica, Pasquale mi disse che nell’arco di 2 settimane doveva dare 60.000 euro a Marcolino perché aveva dei problemi economici. Ricordo che era sotto Natale 2015. Pasquale mi disse che glieli doveva dare ma che Marcolino aveva detto che glieli avrebbe restituiti a gennaio 2016. Pasquale mi disse che gli aveva detto che non voleva nessuna restituzione, glieli regalava. Nell’occasione però Pasquale rivolgendosi a me mi disse “Siccome lavoriamo insieme 50.000 euro li metto io e 10.000 li metti tu. I 60.000 era stati raccolti da Pasquale in quest’ordine: 25.000 erano stati dati dalla madre di Pasquale, dal fratello Mimmo e dall’altro fratello Giovanni, 25.000 lo stesso Pasquale e 10.000 li avevo messi io. Pasquale mi diceva sempre che in questo modo stava tranquillo perché Marcolino “aveva un occhio di riguardo” ovvero se c’era un blitz o una perquisizione lo avvertiva sempre. lo gli diedi 10.000 euro che ovviamente avrei fatto in modo di recuperare nelle vendite che gli facevo. Ricordo anche che dopo quest’episodio dei 60.000 euro, quindi nel corso del 2016, un giorno Pasquale mi disse che Marcolino lo aveva avvisato che il giorno successivo alle 16.30 sarebbero a fargli una perquisizione e quindi di farsi trovare pulito.
lo chiesi a Pasquale se andava proprio Marcolino a fargli la perquisizione ma lui mi disse che Marcolino non sarebbe andato ma era stato avvisato dai colleghi di fuori zona perché, così mi spiegò Pasquale, quando i colleghi di fuori zona dovevano fare una perquisizione dovevano avvisare i carabinieri competenti. Marcolino fa servizio a Cisterna. Infatti il giorno successivo effettivamente nel pomeriggio andarono a .fare una perquisizione a casa di Fu cito Pasquale, mi ricordo che mi disse che erano andati insieme Carabinieri e Polizia, ma non avevano trovato nulla. Dico ciò perché Fucito normalmente ha grossi quantitativi di droga a casa sua almeno fisso uno o due chili per smerciarli, ovviamente con vedette sotto casa che lo avvisano davanti e dietro e hanno già pronta una via di fuga dal tetto. A casa Fucito viene coadiuvato dalla moglie Veronica, ricordo che Pasquale mi ha detto che per timore che la moglie venisse arrestata ha deciso di avere un nuovo bambino così potrà godere degli arresti domiciliari. Come Le ho già detto trovandosi in difficoltà il predetto Marcolin0 ha chiesto a Pasquale di comprarsi il suo ristorante che negli ultimi periodi non andava affatto bene… il ristorante è stato pagato tra i 100-130.000 euro ed è stato comprato da Giovanni fratello di Pasquale Fucito.
Preciso che quando ultimamente Pasquale Fucito che Marcolino gli aveva anticipato che fra ottobre e novembre io e lui saremmo rientrati in un blitz e saremmo stati arrestati, gli aveva anche consigliato di iscriversi al SERT e farsi fare una visita psichiatrica per prepararsi il terreno per essere poi scarcerato.Mi disse pure che a settembre il predetto aveva avuto problemi di salute e in quell’occasione era stato visitato presso la sua abitazione da ufficiali importanti di Roma. Mi diceva sempre che Marcolino godeva di una grande stima all’interno della sua caserma”.

 Rosaria Federico

 @riproduzione riservata

Cronache della Campania@2018


Contromano in Tangenziale, per i periti ‘Mormile era consapevole’

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Oggi non ricorda, perché l’alcol gli ha creato un blackout nella memoria, ma al momento dell’inversione a U in Tangenziale e della guida contromano che si concluse con un incidente e due morti, Aniello Mormile, al momento di quella inversione ad U in Tangenziale mentre guidava contro mano causando un incidente e due morti, non avrebbe perso completamente lucidità, non era in uno stato di ubriachezza profonda, ma frastornato dalle birre e dai cicchetti che aveva bevuto. Conclusioni queste a cui sono giunti i consulenti nominati dai giudici della terza Corte di Appello che domani dovranno valutare la posizione di Mormile nel processo di Appello che lo vede imputato e condannato in primo grado a venti anni di reclusione con l’accusa di omicidio volontario per la morte della fidanzata Livia Barbato (studentessa e promettente fotografa con lui in auto) e di Aniello Miranda, il quarantottenne di Torre del Greco che come ogni giorno, all’alba, percorreva la Tangenziale per recarsi a lavoro.
I fatti risalgono al 25 luglio 2015 e a distanza di quasi tre anni c’è un nuovo processo, quello di secondo grado voluto dalla difesa di Mormile per sostenere la tesi dell’omicidio colposo, e c’è una nuova perizia disposta dai giudici per sciogliere il nodo su due punti centrali di questa storia: l’amnesia di Mormile, che dopo l’incidente, durante le indagini e il processo di primo grado, ha sempre sostenuto di non ricordare nulla di quei chilometri percorsi contromano, e il suo stato psicofisico al momento dei fatti. “Non vi è dubbio – si legge nella perizia – che all’atto dell’incidente il tasso alcolemico fosse di 2,15 g/l e quindi in un ambito che era tra il frastornamento e lo stato confusionale, per cui è possibile giustificare che non tutto quanto vissuto potesse essere ricordato da Mormile”.
I consulenti parlano di amnesia da blackout alcolico, affermando che “si potrebbe sostenere una compatibilità tra l’amnesia e le reazioni avute dallo stesso subito dopo l’incidente” quando ai primi soccorritori ammise di aver fatto una cazzata» e diede indicazioni sulla fidanzata che era sanguinante in auto.
Il vuoto nella memoria di Mormile, dunque, è possibile come conseguenza dell’intossicazione da alcol e dello choc per l’incidente. Quanto a ciò che accadde prima, i consulenti definiscono «regolari e rapidi», senza barcollamenti e lucidi, i passi con cui Aniello e Livia si diressero verso la macchina, ripresi dalle telecamere puntate sulla strada che percorsero dopo la serata in un locale. E a proposito dell’inversione a U come riporta Il Mattino, scrivono i periti: “Non è noto il motivo della manovra poiché è stata effettuata poco dopo l’immissione nella Tangenziale. Si può ipotizzare che Mormile abbia avuto dei momenti di esitazione e smarrimento per aver compreso di viaggiare in senso opposto a quello che aveva intenzione di percorrere e che abbia rallentato per cercare di capire come recuperare l’errore”. La sua auto aveva le luci posteriori di arresto accese, il freno azionato e rilasciato più volte e, senza mai arrestarsi, percorse circa 7 metri sulla banchina, per poi proseguire verso Pozzuoli. Ma casa di Livia era nella direzione opposta, a Fuorigrotta.
“In quei momenti – recita la perizia – Mormile potrebbe anche aver valutato la possibilità di invertire immediatamente il senso di marcia e aver poi deciso di continuare fino a una prossima uscita per immettersi nella giusta carreggiata, o ha ricordato che era vicino l’ampliamento della carreggiata nella zona dove vi sono i caselli di pedaggio nel piazzale degli Astroni e dove le auto rallentano”.
“Si potrebbe ipotizzare che Mormile, raggiunto il piazzale degli Astroni, abbia compreso che per uscire dalla Tangenziale e reimmettersi nell’altra carreggiata avrebbe dovuto oltrepassare i caselli, e irragionevolmente realizzò la scelta di ripercorrere la strada contromano”. Domani, in aula, ci sarà da stabilire quindi se l’omicidio di cui è accusato sia volontario o colposo. Intanto i familiari di Livia e i familiari di Aniello Miranda si sono costituiti parte civile.

Cronache della Campania@2018

Inchiesta Fondazione Banco Napoli, Marrama: “Chi mi ha accusato ne risponderà’

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“E’ finito il tempo in cui si dicono parole in liberta’, le persone che hanno detto lanciate accuse alla gestione della Fondazione Banco di Napoli, dovranno essere chiamate a rispondere dei danni che hanno provocato e non manchero’ di farlo”. Lo ha detto l’ex presidente della Fondazione Banco di Napoli Daniele Marrama, nel corso della presentazione del bilancio 2017 della Banca Regionale di Sviluppo di cui e’ presidente. Proprio l’investimento da otto milioni di euro della Fodnazione Banco di Napoli nella Brs era stato uno dei motivi di attacco nei confronti della sua gestione: “La Fondazione Banco di Napoli – sottolinea Marrama – e’ stata oggetto di una ispezione ministeriale durata sei e mesi conclusa con una relazione ispettiva di 61 pagine che non contiene alcun rilievo alla gestione della fondazione. Io sono stato accusato con il cda della Fondazione Banco di Napoli di aver fatto un investimento illecito in Brs e di aver snaturato la Fondazione, avendola resa un soggetto imprenditoriale. La relazione ministerale ha smentito di netto queste gravi accuse e la relazione di una societa’ di revisione, la Kpmg, ha attestato che il valore della partecipazione in Brs sia intatto, quindi non c’e’ stata una perdita di valore dell’investimento. Parlano i fatti”.

Cronache della Campania@2018

Scambio di voto a Scafati, Aliberti & C. rinviati a giudizio: il consigliere Paolino rischia la sospensione

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Scafati. Scambio di voto con la camorra: rinviato a giudizio l’ex sindaco Pasquale Aliberti e tutti gli imputati nel processo scaturito dall’indagine Sarastra, inclusa la moglie Monica Paolino, consigliere regionale di Forza Italia che ora rischia la sospensione dalla carica. Solo tre richieste di rito abbreviati con sconto di pena, nell’udienza preliminare che si è conclusa poco dopo le 15, 30 nell’aula bunker del carcere di Fuorni. A chiedere il rito alternativo i capi dell’organizzazione criminale Loreto-Ridosso che avrebbe ottenuto benefici dall’amministrazione dell’ex sindaco Aliberti, in cambio di voti alla coalizione. Luigi Ridosso jr, suo cugino Gennaro Ridosso e Alfonso Loreto saranno giudicati il 25 giugno prossimo dal Gup Emiliana Ascoli che ha accolto la richiesta dei difensori, Michele Sarno, Pierluigi Spadafora e Luigi Ferrone.
Decreto di rinvio a giudizio e processo fissato il sei giugno prossimo, dinanzi al primo collegio del tribunale di Nocera Inferiore, presieduto da Raffaele Donnarumma, per Pasquale Aliberti, il fratello Nello Maurizio, la moglie Monica Paolino, il factotum-staffista Giovanni Cozzolino, l’ex consigliere comunale Roberto Barchiesi, l’ex vicepresidente dell’Acse Ciro Petrucci e per Andrea Ridosso. Per il filone ‘pompe funebri’ è stato disposto il processo per il dirigente dell’area economica del Comune Giacomo Cacchione, l’ingegnere Nicola Fienga, Giuseppina Ametrano, legale rappresentante de l’Eternità, Alfonso e Catello Cesarano, amministratori della ditta Cesarano Nicola Pompe funebri, all’epoca dei fatti. 
Il rinvio a giudizio del consigliere Regionale Monica Paolino con l’accusa di 416 ter (scambio di voto politico mafioso) apre di fatto la procedura di sospensione dalla carica elettiva, che dovrà essere proposta dal Presidente del consiglio dei Ministri. E Monica Paolino, moglie dell’ex sindaco, potrebbe finire anzitempo la sua esperienza nella legislatura guidata dal Presidente Vincenzo De Luca, in cui è stata anche presidente della Commissione antimafia fino all’arrivo dell’avviso di garanzia nel settembre del 2015. Il decreto di rinvio a giudizio sarà trasmesso al Consiglio Regionale della Campania e alla Presidenza del Consiglio dei Ministri per gli opportuni provvedimenti. 
E’ la debacle politica della famiglia Aliberti quella scaturita dall’indagine Sarastra seguita dalla Direzione investigativa antimafia, coordinata dal colonnello Giulio Pini e dal capitano Fausto Iannaccone, con il coordinamento della Dda di Salerno. Stamane, il definitivo passo verso il processo dibattimentale che si celebrerà al Tribunale di Nocera Inferiore. Un processo basato sull’apporto politico fornito dal clan Loreto-Ridosso, operante a Scafati, all’ex sindaco Pasquale Aliberti nelle amministrative del 2013 a Scafati e alla moglie Monica Paolino nelle Regionali del 2015, in cambio di favori per le ditte ‘apparentemente pulite’ . E’ il primo filone che arriva al vaglio dei giudici del dibattimento. Uno dei tanti aperti dall’indagine che ha portato poi allo scioglimento del Consiglio comunale per infiltrazioni mafiose e all’arresto dell’ex sindaco Aliberti, detenuto attualmente ai domiciliari a Roccaraso. Stamane, Aliberti ha accennato delle dichiarazioni spontanee riguardanti in particolare un’intercettazione ambientale che riguardava Aliberti e Cozzolino a proposito dell’affare pompe funebri, dichiarazioni smorzate dalle lacrime in aula. Poi, l’ex sindaco ha lasciato il bunker senza assistere alla lettura del dispositivo del Gup Ascoli. Non sono state ammesse, invece, le dichiarazioni spontanee che ha tentato il fratello dell’ex primo cittadino Nello Maurizio Aliberti, riguardanti gli ultimi atti depositati dal pm Vincenzo Montemurro il 23 aprile scorso. La documentazione ‘aggiuntiva’ riguarda l’attività social degli Aliberti, ma anche alcune intercettazioni ambientali captate dagli investigatori tra Nello Aliberti e Giovanni Cozzolino, l’uomo che da staffista e portaborse è diventato amico di famiglia e di affari politici della famiglia. Le ambientali sono state registrate negli ultimi mesi e annesse agli atti che arriveranno dinanzi ai giudici nocerini. 
Stamane, il Gup Emiliana Ascoli ha sciolto anche il nodo decisivo dell’udienza preliminare quella che riguarda l’incidente probatorio chiesto dalla pubblica accusa per sentire testimoni chiave, in audizione protetta, e blindare così le dichiarazioni di accusa. Due i testi ammessi che saranno sentiti dal Gup il 16 maggio prossimo. si tratta di Aniello Longobardi, ex presidente dell’Acse, imprenditore conserviero, costretto a pagare tangenti al clan Loreto-Ridosso, costituitosi parte civile nel processo con l’avvocato Giovanni Annunziata e Raffaele Lupo, ex consigliere comunale, tra gli ispiratori della lista Grande Scafati che candidò Barchiesi al consiglio comunale del 2013 al posto di Andrea Ridosso, dal cognome compromesso perchè figlio di Salvatore Ridosso, ucciso dalla camorra. Longobardi e Lupo sono tra i principali testi di della pubblica accusa, in relazione proprio al reato di scambio di voto. Entrambi hanno raccontato episodi che avvalorano la tesi delle cointeressenze tra Pasquale Aliberti e i Ridosso-Loreto, nelle fasi elettorali clou, con l’organizzazione di liste ad hoc e incontri elettorali, come quello a casa della zia dei Ridosso, alla vigilia delle Regionali 2015. Le testimonianze dei due imprenditori verranno cristallizzate e trasfuse, poi, nel processo che si terrà a Nocera senza che i due debbano essere ascoltati come testimoni. 
Un processo che racconterà un epoca politica, affaristica e malavitosa di circa un decennio nella città di Scafati. Un processo nel quale verranno messe a nudo le vite degli amministratori pubblici della città e i loro legami, in un intreccio che – secondo l’antimafia – ha consentito alla criminalità organizzata di instaurare una trattativa di ‘dare e avere’ con le istituzioni pubbliche. 

Rosaria Federico

Cronache della Campania@2018

Pompei. Chiedeva “regali per i carcerati”: 4 anni per Vincenzo Severino

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Pompei. Aveva preso parte al tentativo di estorsione a danni di imprenditori titolari di un’industria conserviera anche se “non ha mai parlato”. Indagine lampo degli agenti del commissariato di Pompei che avevano accertato l’azione estorsiva della banda nello scorso agosto quando quattro uomini avevano avvicinato i due fratelli imprenditori chiedendo un “regalo per i carcerati”, 3mila euro da versare a Natale, Pasqua e Ferragosto. Tre rate per conto del boss Dario Federico a cui loro appartenevano. Finirono così in manette Aniello Cirillo, di 43 anni, Angelo Cirillo di 22 anni e Valerio Varone, di 39 anni. Un quarto componente del gruppo, invece, è stato arrestato in secondo momento con l’accusa di concorso in tentata estorsione aggravata dal metodo mafioso. Si tratta del 25enne incensurato di Pompei Vincenzo Severino che incassa una condanna a 4 anni di reclusione su richiesta del pm Cimmarotta della DDA di Napoli. Severino era stato riconosciuto in secondo momento tradito da un tatuaggio che l’aveva reso riconoscibile ai poliziotti. L’uomo è imparentato con uno dei tre arrestati. Era giunto in commissariato per salutare e ai poliziotti non è passato in osservato il tatuaggio ed il collegamento è stato facile ed immediato.

Cronache della Campania@2018

La perizia su Diele: ‘Non è certo che fosse drogato alla guida al momento dell’incidente’

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 “Non è possibile affermare che Diele, al momento dell’incidente, fosse in uno stato di alterazione psicofisica tale da giustificare una sua incapacità alla guida”. E’ scritto nella relazione dei periti medici secondo i quali non sono stati effettuati specifici test psicoattitudinali nella immediatezza dei fatti. Anche le visite mediche e le testimonianze di quanti erano presenti andrebbero in questa direzione. E’invece confermata l’assunzione di eroina nella ventiquattr’ore precedenti. Centocinquanta pagine di perizia  a firma del medico legale Antonello Crisci, del tossicologo Ciro Di Nunzio e dell’ingegnere Alessandro Lima per rispondere ai quesiti posti dal gup Piero Indinnimeo. E se, carte alla mano, l’ipotesi della guida in stato di alterazione psicofisica viene ad essere ridimensionata, le perizie sull’auto avrebbero dimostrato che Diele avrebbe potuto frenare in tempo e (così) non sbalzare in aria lo scooter a bordo del quale viaggiava Ilaria Dilillo, la giovane salernitana rimasta uccisa nella notte tra il 23 e il 24 giugno scorso nei pressi dello svincolo di Montecorvino Rovella dell’Autostrada del Mediterraneo.
La perizia, come riporta l’edizione di Salerno de Il Mattino,  è stata depositata ieri mattina presso la cancelleria dell’ufficio gup del tribunale di Salerno e ora il processo in abbreviato per l’attore potrà finalmente andare avanti.
Quando Diele fu arrestato risultò positivo sia ai cannabinoidi che agli oppiacei (i primi esami gli furono fatti nell’immediatezza dei fatti) ma, poiché la Cassazione ritiene che gli effetti della droga possono variare da soggetto a soggetto, è stato necessario verificare quei risultati. L’attore, comunque, non poteva guidare in quanto gli era stata sospesa (un anno prima) la patente di guida, anche allora per uso di stupefacenti. Diele però ha sempre sostenuto di non aver fatto uso di alcuna droga quel giorno ma di essersi solo distratto mentre era alla guida dell’auto: stava cambiando un cd – ha dichiarato più volte – quando è avvenuto l’impatto con lo scooter della vittima. Così il gup aveva posto chiesto di sapere se sui tempi di reazione di Diele incidesse il suo stato di alterazione; quindi di verificare il tempo di reazione all’urto tenendo conto anche dell’incidente dei tempi meccanici di attivazione del sistema frenante. 

Cronache della Campania@2018

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