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Channel: Cronaca Giudiziaria
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‘Primavera Nolana’, sgominati due clan di trafficanti di droga: 32 gli arresti. TUTTI I NOMI. IL VIDEO

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Nola. Traffico di stupefacenti: la Dda sgomina due gruppi criminali tra l’area nolana le province di Avellino, Benevento e Caserta. Gli agenti della Polizia di Stato del Commissariato di Pubblica Sicurezza di Nola, unitamente a personale della Sezione Criminalità organizzata della Squadra Mobile di Napoli, coordinati dalla Procura della Repubblica di Napoli – Direzione Distrettuale Antimafia, hanno dato esecuzione ad un’ordinanza del Gip del Tribunale di Napoli per 32 misure cautelari, di cui 18 in carcere e 14 in regime di detenzione domiciliare.
L’operazione, denominata “Primavera Nolana”, è il risultato di una fervida ed incessante attività investigativa, condotta per oltre due anni, con sequestri di stupefacenti, arresti in flagranza e segnalazioni amministrative.
Le indagini hanno portato alla completa identificazione di due distinti gruppi criminali dediti al traffico e allo spaccio di ingenti quantità di cocaina ed hashish, costituite da soggetti con grande disponibilità di mezzi e basi logistiche idonee a favorire il funzionamento di una struttura criminale, per così dire “ben organizzata” capace di seguire l’illecita attività in ogni fase, dal rifornimento alla custodia ed allo spaccio per la distribuzione ai consumatori finali.
Entrambi i gruppi avevano esteso il loro raggio di azione anche nelle provincie limitrofe di Avellino, Benevento e Caserta ed alcuni di essi non disdegnavano di compiere anche reati contro il patrimonio – furti ed estorsioni – per procurarsi denaro da reinvestire nel lucroso traffico della droga.
La peculiarità dei due gruppi criminali, emersa nel corso delle indagini, sta nella specificità dei ruoli attribuiti ai sodali e nel perfetto scambio di informazioni e di attribuzione delle funzioni di ciascuno, che consentiva la non sovrapposizione degli incarichi ed il funzionamento della macchina criminale.

ARRESTATI DEL 1° GRUPPO

1. QUARANTA Antonio, nato a Napoli, il 10.10.1985, (PROMOTORE PRIMO GRUPPO)

2. SODANO Valentino, nato a Napoli, l’1.03.1988,

3. GALLO Stefano, nato a Pollena Trocchia (Na), il 23.12.1986,

4. GALDIERO Anna, nata a Napoli, il 09.07.1989,

5. GALDIERO Angela, nata a Napoli, il 03.10.1995,

6. BELFIORE Giovanni, nato a Marigliano (Na), il 27.06.1981,

7. PANICO Giovanni, nato a Stoccarda (Germania),il 30.04.1970,

8. BERRIOLA Vincenzo, 32 anni (ANELLO DI CONGIUNGIMENTO TRA IL PRIMO E SECONDO GRUPPO)

PERSONE SOTTOPOSTE ARRESTI DOMICILIARI
1° GRUPPO

9. RUFFANO Roberta, nata a Napoli il 10.03.1990,

10. CASTALDO Antonio, nato a Napoli, il 24.02.1979,

11. GENOVESE Aniello, nato a San Paolo Belsito (Na), il 25.07.1991,

12. IZZO Silvio, nato a Torino, il 04.10.1963,

PERSONE IN ARRESTO 2° GRUPPO

13. SILVESTRI Gioacchino, nato ad Avellino, il 14.07.1988 (PROMOTORE SECONDOGRUPPO)

14. CAVA Benedetto, nato a Sarno (Sa), il 21.08.1990; (PROMOTORE SECONDO GRUPPO)

15. CAVA Annabella, nata a San Paolo Belsito (Na),il 28.03.1988 (PROMOTORE SECONDOGRUPPO)

16. BUONAGURO Giuseppe, nato a Nola (Na), il 10.08.1979,

17. PELUSO Mario, nato a San Giuseppe Vesuviano (Na), il 14.04.1995;

18. TAFURO Giovanni, nato a San Gennaro Vesuviano (Na), il 11.08.1985;

19. SCALA Raffaele, nato a Nola (Na), il 17.06.1989

20. SERPICO Felice Nicola, nato a Napoli il 02.01.1991,

21. D’ELIA Raffaele, nato a Nola (Na) l’11.08.1986

22. VISONE Raffaele, nato a San Gennaro Vesuviano (Na) i14.04.1994,

PERSONE SOTTOPOSTE ARRESTI DOMICILIARI
2° GRUPPO

23. COLARUSSO Massimo Ciriaco, nato a Paderno Dugnano (Mi), il 16,07,1968,

24. RUSSO Felice, nato a Sarno (SA), il 05.11.1995,

25. CASALINO Salvatore, nato a Nola (NA), il 24.02.1994,

26. AMBROSINO Luigi, nato a Nola (Na), l’11.12.1993,

27. MAROTTA Pasquale, nato a Sarno (Sa), il 14.12.1995

28. AMMATURO Fiore, nato a San Giuseppe Vesuviano (Na) il 23.11.1990

29. SORRENTINO Luciano, nato a nato a San Giorgio a Cremano (Na) il 03.08.1993

30. SOMMA Antonio, nato a San Giuseppe Vesuviano (Na) il 30.09.1974

31. TRIONFO Teresa, nata a San Gennaro Vesuviano (Na), il 17.06.1994,

32.TRIONFO Aniello, nato a San Gennaro Vesuviano (Na), il 19.05.1990

Cronache della Campania@2018


False assunzioni a Caserta, protagonisti del raggiro i consulenti del lavoro Angelo Caterino e il figlio

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Caserta. False assunzioni per le indennità di disoccupazione, a capo della gang per le truffe all’Inps c’erano due consulenti del lavoro, padre e figlio, di San Cipriano d’Aversa. L’indagine ha portato stamani all’arresto di sette persone, da parte della guardia di finanza di Aversa. E’ stato inoltre eseguito a carico dei venti indagati e delle quattro società coinvolte un sequestro di 13 milioni di euro, che corrisponde al valore dei raggiri ai danni dell’Inps e dell’evasione dell’Iva, altro illecito emerso durante l’inchiesta. Un fiume di danaro che potrebbe aver ingrossato le casse dei clan camorristici attivi in zona, sebbene non siano ancora emersi collegamenti con le cosche. Il Gip parla di “panorama desolante di sotterfugi, menzogne, approntamento di documenti contraffatti, che ha prodotto un danno patrimoniale enorme alla già esigue risorse statali in danno dei cittadini onesti da parte di cinici e disinvolti approfittatori”. Epicentro del business illecito lo studio di San Cipriano d’Aversa del consulente esperto in materia di lavoro Angelo Caterino, 63 anni, e del figlio 34enne Emilio, entrambi finiti in carcere. Erano loro, hanno accertato gli inquirenti della Procura di Napoli Nord guidati da Francesco Greco e i finanzieri del Gruppo di Aversa condotti da Michele Doronzo, a preparare tutta la documentazione necessaria per creare le società fittizie e assumere, sempre falsamente, lavoratori da licenziare dopo un certo tempo per incassare le indennita’ di disoccupazione dall’Inps. Lo studio avrebbe consentito ad un imprenditore anche di ottenere dall’Inail la somma di 211mila euro per un infortunio sul lavoro occorso ad un suo operaio che però lavorava in nero; i consulenti hanno retrodatato l’assunzione consumando la truffa. Gli investigatori hanno scoperto prima tre società edili “cartiere”, ovvero esistenti solo sulla carta, con sede a Casal di Principe, che tra il 2011 e il 2014 avrebbero assunto falsamente seicento dipendenti, che hanno poi beneficiato, consapevolmente, delle indennità non dovute per 4,2 milioni di euro. In tale fase delle indagini sono stati indagati solo i titolari delle società, ovvero gli imprenditori edili Salvatore Massaro di 66 anni e il figlio 29enne Vincenzo, ma è probabile che nel prosieguo anche i dipendenti possano ricevere avvisi di garanzia. I finanzieri hanno poi individuato una quarta società cartiera, con sede a Carinaro, che avrebbe assunto fittiziamente 108 lavoratori, ignari pero’ dell’assunzione e del successivo licenziamento propedeutico all’ottenimento dell’indennità, pari in questo caso a 800mila euro. Tra le condotte contestate anche l’emissione di centinaia di fatture per prestazioni inesistenti; tutte le società coinvolte, infatti, non hanno mai effettuato alcun lavoro, se si eccettua una piccola ristrutturazione. Le fatture false venivano emesse, hanno accertato gli inquirenti, non solo per dimostrare l’operatività aziendale, ma anche quando ai lavoratori fittizi arrivava l’indennità non dovuta; questi ultimi, infatti, giravano parte dei soldi agli imprenditori che poi emettevano fattura come se avessero effettuati prestazioni per i dipendenti.

Cronache della Campania@2018

Usura e estorsione a Nocera, l’ex Nco Macario Mariniello estradato dalla Spagna

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Nocera Inferiore. Macario Mariniello, ex esponente della Nuova camorra organizzata di Raffaele Cutolo, rientra oggi in Italia, scortato da personale dello Scip, il Servizio per la cooperazione internazionale di Polizia del Dipartimento della pubblica sicurezza. Il 60enne, latitante dal 2017, è stato rintracciato ed arrestato a Las Palmas nelle isole Canarie il 27 marzo scorso, a seguito dell’internazionalizzazione dell’ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa dal Gip del Tribunale di Salerno per estorsione aggravata ed usura aggravata in concorso. Le indagini che hanno portato alla cattura di Mariniello in Spagna sono la naturale prosecuzione dell’operazione “Un’altra storia” che ha smantellato i gruppi criminali armati operanti nell’Agro di Nocerino-Sarnese. Le indagini del Ros di Salerno sono state il volano dal quale lo Scip – attraverso la Divisione S.I.Re.N.E. (Supplementary Information Request at the National Entry) e lUfficio dell’esperto per la sicurezza in Spagna – ha fornito i dettagli utili ed il supporto strategico alla polizia iberica per fermare il latitante ed assicurarlo alla giustizia. All’arrivo di Mariniello a Fiumicino saranno espletate le formalità dell’arresto sul territorio nazionale presso l’ufficio di Polizia di frontiera aerea.

Cronache della Campania@2018

San Marzano sul Sarno, condannato a Palermo scatta l’arresto per un 59enne

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San Marzano sul Sarno. Sorvegliato speciale arrestato per un definitivo pena. Il personale della Squadra Anticrimine del Commissariato di Sarno, ha arrestato V.T., 59enne di San Marzano sul Sarno, pregiudicato e sottoposto alla misura di prevenzione della sorveglianza speciale, in esecuzione di un ordine di carcerazione emesso dalla Procura Generale presso la Corte d’Appello di Palermo. L’uomo deve scontare la pena di anni tre e mesi tre di reclusione perché responsabile, in concorso, del reato di intestazione fittizia di beni per agevolare l’attività della criminalità organizzata. L’uomo, dopo le formalità di rito è stato trasferito la casa circondariale di Salerno-Fuorni, a disposizione dell’Autorità Giudiziaria procedente.

Cronache della Campania@2018

Napoli, il giovane rapinatore in fin di vita su facebook aveva postato: ‘Più forti di chi ci vuole morti’

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Napoli. “Più forti di chi ci vuole morti”, non è la solito frase che si vede sugli striscioni nelle curve degli stadi di calcio, ma bensì è stata postata su facebook da Luca Perrella uno dei due giovani rapinatori che sabato sera aveva tentato una rapina a un supermercato alla Loggetta e che è rimasto ferito insieme con il suo complice per la reazione di un agente di polizia fuori dal servizio che si trovava nel supermercato. Eppure l’autore del post, 18enne ma già con precedenti penali e appartenente a una famiglia malavitosa di Fuorigrotta e del rione Traiano, è in ospedale intubato e in attesa di essere operato. Ma sul suo profilo facebook ci sono numerose frasi contro le forze dell’ordine. Come: “La polizia ci arresta, il pm ci accusa, il giudice conferma e a noi nessuno ci ferma”. Tra l’altro è piantonato e destinatario insieme con il complice minorenne di un’ordinanza agli arresti domiciliari. I due malviventi sono rimasti en­trambi feriti, Perrella in modo gra­ve e per questo non ha potuto ri­spondere alle domande del giudi­ce Dario Gallo all’udienza sulla con­valida dell’arresto chiesta dal pm Stefano Capuano. Il gip ha emesso nei confronti dell’indagato, difeso dall’avvocato Antonella Regine, la misura degli arresti domiciliari presso l’ospedale Cardarelli. Ieri mattina, invece nel centro di prima accoglienza dei Colli Aminei, il 17enne D.O., si è avvalso della facoltà di non rispondere. Nella macchina, sono stati rinvenuti gli abiti ancora sporchi di sangue. Nessun dubbio, secondo il giudice, sulla “trasgressiva personalità dell’indagato”. Su un’altra foto del suo profilo c’è scritto: “Se ci arrestano ce la facciamo a testa alta”. Adesso Luca è nel reparto di Rianimazione, che lotta per la vita.

 

Cronache della Campania@2018

Furbetti del cartellino a Pozzuoli, il gip aveva fatto arrestare tre persone in più

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Il pm chiede la misura ai domiciliari per sette indagati ma il gip ordina gli arresti per 10, tre in piu’: ovvero anche nei confronti di coloro per il quali la procura non aveva avanzato alcuna richiesta di provvedimento restrittivo. E’ accaduto a Napoli nell’ambito di un processo contro i cosiddetti ”furbetti del cartellino” nel comune di Pozzuoli. All’errore del giudice e’ stato posto riparo in tempi abbastanza stretti: appena e’ stata riscontrata l’anomalia, il magistrato di turno ha provveduto a revocare la misura cautelare e i tre indagati che non dovevano essere arrestati, sono stati rimessi in liberta’ una dozzina di ore dopo l’esecuzione del provvedimento. La vicenda si e’ appresa da diverse fonti a Palazzo di Giustizia.

Cronache della Campania@2018

Camorra: scarcerati tutti i complici di ‘zia’ Rosaria Pagano

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La Dda prepara il ricorso in Cassazione contro la clamorosa decisione del Riesame di liberare la donna boss Rosaria Pagano e tutti gli altri arrestatati nel blitz del gennaio dello scorso anno per scadenza dei termine della custodia cautelare. E così mentre la “zia” di Melito  resta ancora in carcere (ha un fine pena nel 2019 per riciclaggio ma potrebbe anche essere liberata molto prima) e nel frattempo ha lasciato il carcere duro sono invece tornati in libertà quasi tutti gli altri anche se con obblighi di residenza fuori dalla regione Campania. Gente del calibro di Mario Avolio o’ ciuraro, socio in affari della Pagano nel traffico di droga, Ferdinando Lizza detto o’ ragiuniere, Salvatore Tufo, il narcotrafficante internazionale Giuseppe Iavarone detto Peppe o’ gitano (che era stato arrestato in Spagna) e poi tutti quelli che erano ai domiciliari come Vincenzo Bolognini, Massimo Cesarini, detto massimino Giuseppe Leonardi, Luigi Leonardi, Salvatore Manzo e Giovanni Onorato. Ora i due pm della Dda di Napoli Maurizio De Marco e Vincenza Marra, preparano il  ricorso per Cassazione sulla decisione del Riesame. I  magistrati sostengono che i difensori della Pagano che hanno eccepito il regime di “termini a difesa”, erano a conoscenza dei documenti depositati davanti al giudice per l’udienza preliminare  che avrebbe dovuto emettere la sentenza con il rito abbreviato. Sentenza che non è arrivata per un accordo tra le parti ma gli avvocati della Pagano hanno presentato il ricorso al Riesame che ha dato loro ragione mandando liberi la maggior parte degli arrestati dell’inhciesta che vede complessivamente ben 58 indagati.

 

 (nella foto da sinistra in alto Rosaria Pagano, Mario Avolio, Giuseppe Iavarone, Ferdinando Lizza, Massimo Cesarni, Giovanni Onorato, Giuseppe Leonardi, Luigi Leonardi, Salvatore Manzo, Vincenzo Bolognini,  Salvatore Tufo)

Cronache della Campania@2018

Castellammare: ecco come la cricca dei Caf truffava l’Inps sui rimborsi. TUTTI I NOMI

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Castellammare di Stabia. Una truffa ai danni dello Stato per oltre 25milioni di euro, architettata in uno studio contabile del centro città. Sono 28 le persone indagate nell’ambito della maxi inchiesta che ha visto coinvolto numerose città da Nord e Sud Italia. Secondo gli investigatori la truffa sarebbe stata messa in piedi da Vincenzo e Carlo Alberto Esposito, rispettivamente padre e figlio, e altre 26 persone che sono Ferdinando Muollo e Gianluca Salvatore Manzo stabiesi, Catello Norato di Gragnano, Angelo Boccioli, Liberato Caracciolo, Andrea Di Palma, Massimo Aponte, Gennaro Di Palma, Antonio Rubicondo, Beniamino Donnarumma di Santa Maria la Carità, Giovanni Comentale, Domenico Monaco, Roberto Di Biase, Mariano Cardinale, Carmine Di Vicino, Raimondo Cirillo, Rosalia Calemma, Antonio Porzio, Luigi Silvestri, Rodolfo Plesinger, Giuseppe Cantone, Antonio Bastone, Francesco Iaccarino, Giuseppe Menditto e Aniello Varriale. Il Tribunale Ufficio G.I.P. di Torre Annunziata a conclusione dell’inchiesta ha emesso un decreto di sequestro preventivo “per equivalente” di denaro e beni a carico di tutti indagati, sino alla concorrenza della somma sottratta alle casse dell’erario, pari a €. 25.113.098,00. Nei confronti dei singoli contribuenti, invece, l’Agenzia delle Entrate ha incorso le procedure di recupero delle somme indebitamente percepite, con l’applicazione delle previste sanzioni di natura amministrativa.

Cronache della Campania@2018


Uccise a botte la moglie: chiesti 15 anni di carcere per il marito violento di Castellabate

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Era il mese di maggio del 2015 quando Liberato Miccoli massacrò di botte la moglie Angela Della Torre, deceduta dopo un lungo ricovero, il 29 dicembre dello stesso anno in una clinica di Telese Terme: 7 mesi dopo la violenta lite con il marito. Miccoli, secondo la ricostruzione giudiziaria, a seguito di un litigio per futili motivi, avrebbe sbattuto più volte la donna con la testa su una superficie liscia. Da quel giorno, il 20 maggio per l’esattezza, la donna non si è più ripresa. Nel corso delle indagini, inoltre, sarebbero emerse anche una serie di ripetute violenze subite dalla donna nel corso degli anni.
Paolo Itri, pubblico ministero della procura di Vallo della Lucania chiede quindi ai giudici della Corte d’Assise di Salerno “una pena pesante e adeguata alla brutalità del reato commesso” per Miccoli, l’uomo che a Castellabate uccise di botte la di quarantanove anni dopo un lungo ricovero.
Alla richiesta del pm, quindici anni di reclusione, Miccoli si è con le mani in volto ha cominciato a piangere, dando sfogo a tensione e dispiacere. Una requisitoria lunga e precisa durante la quale il sostituto procuratore Itri ha ripercorso tutto quanto accaduto da quel litigio in poi, compreso il calvario di Angela tra un ospedale e l’altro. “Non ho contestato l’omicidio volontario perché Miccoli ha chiesto l’intervento del 118: non è stato lì a guardare la moglie in fin di vita. Ma il suo comportamento è stato comunque grave, molto grave. Qui non si tratta di uno schiaffetto che fa scivolare la donna e le fa sbattere il capo contro lo spigolo di un mobile… Le modalità e la violenza utilizzata avvicinano questo omicidio colposo alla tipologia dell’omicidio preterintenzionale per l’intensità del dolo”, ha detto in aula il pm.

Cronache della Campania@2018

Producevano droga nel loro terreno: condannati mamma e figli di Sant’Antonio Abate

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Arrivano le condanne per i quattro produttori e trafficanti di marijuana. Il gruppo che, da imprenditori agroalimentari passò a produrre canapa indiana, aveva come sede Sant’Antonio Abate. Tutti all’interno dell’azienda avevano un ruolo, c’era anche una donna 70enne che si occupava dello spostamento dei sacchi di erba già essiccata. Le condanne sono arrivate per Lucia Cannavacciuolo e il figlio Antonio Buononato che dovranno scontare 4 anni e 4 mesi di reclusione. L’altro figlio, Francesco, e il complice Francesco Bozzaotre hanno patteggiato una pena di 3 anni e 6 mesi. L’operazione fu condotta dalla Polizia di Castellammare di Stabia in collaborazione con i colleghi di Pagani. Le 21 serre agricole erano nel salernitano mentre il laboratorio per produzione e stoccaggio a Sant’Antonio Abate. A Gragnano, invece, c’era uno dei depositi più piccoli. I due impuntati arrestati in flagranza di reato hanno affrontato il processo con rito abbreviato ed hanno patteggiato la pena. Il pm Antonella Lauri aveva chiesto condanne differenti. Per Antonio Buononato aveva chiesto 3 anni e 8 mesi perché aveva confessato fin dal primo momento. Per la donna, invece, la 70enne addetta alla sistemazione dei sacchi, fu richiesta una condanna più pesante: 5 anni e tre mesi perché si era data alla fuga. In carcere resta al momento solo il reo confesso Antonio Buononato.

Cronache della Campania@2018

‘Verrà l’ira del Signore’, minacciava l’ex moglie recitando versi della Bibbia: 8 mesi di carcere

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Otto mesi d reclusione per Ubaldo Perrotta. Minacce di morte, tormenti, pedinamenti, maltrattamenti fisici ai danni della sua ex moglie. La tormentava attraverso passi della Bibbia e con appostamenti sotto casa della giovane donna.
L’imputato, assistito dall’avvocato Matteo Cardamone, ha patteggiato la pena definendo così la propria posizione. Ennesima vicenda di violenza questa che si riferisce al 2016 quando l’uomo, un operaio salernitano in cerca di occupazione, dopo essere stato lasciato dalla moglie, ha perso la testa e ha cominciato a perseguitarla.
Singolari le modalità utilizzate dallo stalker che, assiduo frequentatore di un gruppo ecclesiastico, e appassionato conoscitore della Bibbia, ha iniziato a perseguitare la donna attraverso citazioni tratte dal Libro del Siracide: “Verrà l’ira del Signore, il suo sdegno si riverserà sui peccatori”, “il male si riverserà su chi lo fa”.
L’uomo, come riporta l’edizione di Salerno de Il Mattino, era di fatto ossessionato dall’idea che la donna potesse intraprendere una relazione con un altro uomo, quindi la pedinava facendo sprofondare la donna, ogni giorno di più, in una tremenda angoscia e paura per la propria incolumità.
In più occasioni l’uomo l’avrebbe anche aggredita in strada, minacciandola costantemente di morte e spingendola a cambiare le proprie abitudini. Una situazione ingestibile, inaccettabile che ha spinto la vittima, dopo un breve calvario, a denunciare l’ex, raggiunto alcuni mesi fa dalla misura cautelare del divieto di avvicinamento alla donna, firmata dal gip che ha accolto così la richiesta della Procura.
Nell’avviso di conclusione delle indagini, il pm ricostruisce il calvario della donna, le ripetute aggressioni e le minacce di morte condite dall’ossessione dell’imputato per le sacre scritture. Quella definita davanti al gup Perrotta attraverso il patteggiamento a otto mesi di reclusione con pena sospesa, è solo una delle tante storie che vedono vittime donne prese di mira dagli ex compagni incapaci di accettare la fine di una relazione. I numeri che attestano atti persecutori ai danni delle donne, sono infatti in continua crescita. Delle tante denunce formalizzate ogni mese a carabinieri, polizia e ai centri antiviolenza, solo alcune approdano in un’aula di tribunale. 

Cronache della Campania@2018

Spacciava tra Boscoreale e Scafati il pusher coinvolto nella faida di Scampia: condanna con sconto

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 Condanna con sconto per il pusher pony express. Giunto a conclusione il procedimento nei confronti di Gennaro Riccio, 30 anni, pluripregiudicato napoletano ma residente a via Passanti Scafati a Boscoreale, arrestato dai carabinieri della locale Stazione nel mese di dicembre perchè colto in flagranza mentre consegnava dosi di crack per il rifornimento natalizio. Gli operanti di polizia giudiziaria erano stati informati da una fonte confidenziale, ritenuta affidabile, che il Riccio era solito operare delle consegne a domicilio di cocaina-crack tra Scafati e Boscoreale.
Gli agenti in servizio di osservazione seguendo quelle informazioni si erano appostati ed avevano visto la Renault modus con targa straniera uscire dal rione popolare del “Piano Napoli” per effettuare il giro delle consegne e si erano accodati all’auto. Ed anche quel sabato, l’acquirente aspettava la consegna per lo sballo del sabato sera comodamente fuori al cancello di casa sua.
I carabinieri, conoscendo il territorio del Piano Napoli oltre a setacciarlo minuziosamente cercano di intercettare la nuova frontiera dello spaccio porta a porta. Operazione più complessa che richiede la conoscenza dei pregiudicati che lavorano sistematicamente nel mondo della droga. Ed infatti, i militari conoscevano bene Gennaro Riccio, già schedato nei database investigativi, quale pericoloso spacciatore dell’hinterland napoletano, coinvolto nella faida di Scampia, acquisito al territorio di Boscoreale dai nuovi sistemi di rifornimento ed avevano seguito passo passo i suoi spostamenti perchè sapevano che il giovane era solito spacciare con consegne a domicilio. Alle spalle un cumulo di pene di oltre dieci anni. In quella circostanza l’assuntore all’atto dell’intervento dei militari aveva tentato inutilmente di scappare nella sua abitazione e di disfarsi della droga ma i carabinieri lo avevano bloccato e segnalato alla Prefettura. Pena leggera per il pusher delle consegne a domicilio quella comminata dal GIP del Tribunale di Nocera Inferiore. Il giovane pluripregiudicato difeso dall’avvocato Gennaro De Gennaro ha riportato una pena minima rapportata alla gravità dei fatti. Il difensore del Riccio è riuscito nell’impresa di far riqualificare i fatti nel V comma dell’art.73 T. U stup. Inizialmente, infatti, veniva contestata dalla pubblica accusa l’ipotesi più grave dello spaccio. Secondo il PM era grave che un pregiudicato napoletano inquinasse illecitamente il territorio scafatese riversando ingenti quantità di stupefacente. Il Riccio è stato condannato ad un 1 anno e sei mesi, tenuto conto della recidiva e della sua biografia criminale di spacciatore incallito.

Cronache della Campania@2018

Camorra, depistarono le indagini sul delitto del boss di Forcella: chiesti 6 anni di carcere

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Il pm della Dda di Napoli ha chiesto sei anni di carcere per Mariarca Riera e Luisa Mazzarella nel processo per l’omicidio di Andrea Ottaviano che si sta celebrando davanti ai  giudici della  Terza sezione del Tribunale di Napoli. Entrambe sono accusate di di favoreggiamento personale aggravato perché, secondo la ricostruzione della Procura antimafia, avrebbero occultato le tracce del delitto e reso in seguito false dichiarazioni agli investigatori. La prima è la moglie del boss del clan Mazzarella, Salvatore Barile, la seconda è la suocera. Andrea Ottaviano, fu ucciso l’11 giugno 2011 a Forcella, dal cugino appena scarcerato Luciano Mazzarella e dal giovane complice Luciano Barattolo. Ad inchiodare il gruppo sono state le dichiarazioni dei pentiti. In particolare l’ex boss Maurizio Ferraiuolo che ha raccontato nei dettagli tutte le fasi dell’omicidio e poi Alfredo Sartore che ha chiamato in causa la Riera e la suocera. ha raccontato Sartore: “… il giorno dopo l’omicidio incontrai Patrizio Allard, che mi disse che la notte precedente aveva dovuto prelevare da casa Mariarca Riera per timore che potesse subire ritorsioni… secondo Allard le ragioni  dell’omicidio di Andrea Ottaviano risiedevano nel comportamento avuto quando era il reggente del clan nei confronti della moglie di Barile (la signora Mariarca, appunto), la quale era molto risentita per il trattamento ricevuto da quest’ultimo e confidava nel ritorno in libertà di Luciano Mazzarella…”. E infatti quando  uscì dal carcere il figlio di Ciro “’o scellone”, ci fu l’omicidio di Andrea Ottaviano. Il collaboratore Sartore spiega  “…Riera, sua sorella Celeste e Allard avevano concordato di dichiarare alle forze di polizia che al momento dell’omicidio lei non si trovava in casa (cioè sul luogo del delitto, ndr) e che aveva lasciato le chiavi dell’abitazione alla suocera…Allard era andato a prelevare le sorelle Riera e i rispettivi figli poiché temevano di subire ritorsioni da parte dei congiunti di Andrea Ottaviano. Un timore dovuto sia al luogo in cui era stato commesso l’omicidio, sia perché uno dei possibili moventi era l’astio nutrito da Mariarca Riera nei confronti della vittima. La Riera era scontenta dello stipendio che le veniva corrisposto da Ottaviano e che quest’ultimo, diventato reggente del clan per volere della moglie di Vincenzo Mazzarella (lo zio,ndr), l’aveva minacciata di non darle più nulla a causa dello stile di vita dispendiosa tenuta dal marito Salvatore Barile”. Il pentito ha anche spiegato che  Mariarca Riera aveva preso dal marsupio del boss il silenziatore e i guanti in lattice usati per il delitto e che fu lei stessa a gettare in un cassonetto dell’immondizia. Inoltre era pronta anche a depistare le indagini. Le informazioni di Sartore sono indirette in quanto le avrebbe sapute dalla sorella di Mariarca. Lui incontrava nei giorni successivi al delitto la donna che aveva cognizione diretta di quanto era accaduto in via Miccoli, ovvero nella zona del Connolo. Infatti la 31enne, incalzata dagli investigatori in merito alle modalità con cui i killer erano entrati nella sua abitazione di via Claudio Miccoli, affermò che “…Ottaviano avrebbe dovuto portarle la spesa a casa e perciò aveva ritirato le chiavi dell’appartamento da lei lasciate alla suocera prima di andare al colloquio con suo marito”.

 

 

 

 

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Cronache della Campania@2018

Bus in scarpata: teste smentisce titolare agenzia

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“Nessuna manutenzione ordinaria ne’ straordinaria, ho soltanto sostituito il filtro del gasolio”. Lo ha sostenuto il titolare dell’officina meccanica di Volla (Napoli) nell’udienza in corso ad Avellino del processo per la tragedia del bus precipitato il 28 luglio del 2013 dal viadotto “Acqualonga” dell’A16 Napoli-Canosa, nella quale persero la vita 40 persone. Il meccanico, che nella udienza precedente era stato chiamato in causa da Gennaro Lametta, titolare dell’agenzia “Mondo Travel” e proprietario del bus, ha anche precisato che il cambio del filtro avvenne un mese e mezzo prima della tragedia e di non aver svolto altri controlli, a cominciare dall’impianto di trasmissione. Nel corso dell’udienza e’ stato anche sentito Nicola Spadavecchia, ex dirigente del tronco a cui spetta la manutenzione di quel tratto autostradale, che ha confermato gli interventi puntualmente eseguiti di manutenzione ed escluso la corrosione dei “tirafondi”, i bulloni che ancorano al suolo le barriere di protezione del viadotto. Rinviate le testimonianze di due agenti della Polstrada che, precedentemente alla tragedia del 28 luglio, aveva fermato e sanzionato un altro bus della “Mondo Travel” risultato privo della revisione. A margine dell’udienza, sul piazzale antistante il Tribunale di Avellino, il presidente dell’Associazione Vittime A16, Giuseppe Bruno, e Maria Loffredo, che nell’incidente perse la madre, hanno letto una lettera aperta al giudice che presiede il processo, Luigi Buono: “Chiediamo tempi certi del processo e giustizia per i nostri morti”. Bruno ha anche annunciato che in assenza di segnali concreti, dara’ vita ad uno sciopero della fame ad oltranza nella zona sottostante il viadotto dal quale precipito’ il bus. La prossima udienza e’ fissata per il 4 maggio.

Cronache della Campania@2018

Camorra, la Corte di Appello riduce di quasi 20 anni la condanna al boss Salvatore Calabria

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Accolta dalla Procura Generale la richiesta di rideterminazione della pena nei confronti del boss acerrano Salvatore Calabria :
ottiene una riduzione della pena di ben diciannove anni e sette mesi.
Salvatore Calabria iniziò la sua carriera criminale alla fine degli anni ottanta, quando  fu sorpreso in più di una occasione con armi da fuoco.Da allora un escalation di reati: condannato per associazione camorristica due volte, oltre ad aver subito altre condanne per estorsioni di stampo mafioso e numerosi altri crimini, condotte verificatesi nella provincia di Napoli ove imperversava la guerra tra la cosiddetta nuova camorra organizzata di Raffaele Cutolo e la nuova famiglia di Carmine Alfieri e soci.
Ricevette nel 2015 anche in primo grado una condanna all’ergastolo per l’omicidio commesso ai danni di Sodano Giovanni, rendendosi pure per un periodo latitante, pena questa ridotta in appello ad anni trenta di reclusione, grazie ad una sottile questione giuridica sollevata dal suo difensore, l’avvocato Dario Vannetiello del Foro di Napoli, nell’ambito di un processo che si caratterizzava per la presenza di ben nove pentiti che individuavano in Calabria il partecipe alla esecuzione omicidiaria avvenuta in una delle piazze principali della città di Acerra. A quarantotto anni suonati per il boss Calabria era divenuto molto concreto il pericolo di trascorrere tutta la sua vita dietro le sbarre.
Solo grazie all’accoglimento di una meticolosa e sapiente istanza rivolta direttamente dall’ avvocato Vannetiello al Procuratore Generale della Repubblica presso la Corte di appello la posizione giuridica di Calabria è completamente mutata.
Infatti, per calcoli e questioni di natura squisitamente giuridica che vanno oltre i semplici calcoli matematici, l’ufficio di Procura ha condiviso completamente la stanza difensiva ed ha detratto al Calabria una pena impressionante: diciannove anni e sette mesi di carcere.
Con l’effetto che il fine pena di Calabria è passato di colpo, in un solo istante, dal 21.01.2046 al 11.08.2027; indubbiamente quello che è accaduto non capita di sovente e farà a lungo discutere su quanto verificatosi.
Nonostante il sorprendente risultato ottenuto la difesa sta già studiando le prossime mosse per accorciare ancor di più il fine pena, oramai non più tanto lontano.La vita del boss Calabria è già cambiata.

Cronache della Campania@2018


Imprenditore accusa: ‘Pagai 200mila euro per vincere appalti in Fincantieri’, ma l’accusato era in coma

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Castellammare di Stabia. Appalti e posti di lavoro in cambio di mazzette, una truffa di poco più di 200mila euro a danni di un piccolo imprenditore edile della città delle acque. E’ quanto sarebbe emerso nel processo che vede coinvolti Salvatore Favoloro e la moglie Rosa Esposito nell’udienza celebratasi questa settimana. I due coniugi sono accusa di truffa e tentata estorsione. Secondo gli investigatori Favoloro avrebbe millantato contatti influenti con i vertici dell’azienda tanto da riuscire a pilotare nuovi posti di lavoro ed appalti. Nell’ udienza di questa settimana sono stati ascoltati due testimoni, uno dei quali ha dichiarato di non conoscere Salvatore Favoloro e che la proposta di lavoro gli era arrivata indirettamente e non per mezzo di Favoloro. L’altro invece, Luigi D’Auria, imprenditore nel settore edile ha raccontato che nel corso della sua amicizia con Salvatore Favoloro lo stesso gli aveva proposto l’affare dei posti di lavoro, proponendogli anche la partecipazione a gare esterne a Fincantieri. L’imprenditore D’Auria nel lontano 2009 denunciò Favoloro e la moglie aprendo le danze dell’indagine messa in piedi dalla Procura di Torre Annunziata. D’Auria ha riferito che i “200mila euro dovevano servire ad oliare i meccanismi” per la vincita delle gare e per dare corpo alla truffa l’imprenditore avrebbe anche falsificato documenti che attestavano l’assegnazione di gare alla sua ditta. Anche Favoloro è stato ascoltato dalla Procura. Ha precisato che la moglie, difesa dall’avvocato Carmine Iovino, non c’entra nella questione, ha confermato i rapporti con l’imprenditore D’Auria e si è scusato per non avergli restituito quasi tutti i soldi. Non ha potuto perché è andato in malattia e non ha più lavorato, precisando che quei soldi erano stati versati dall’imprenditore a titolo di amicizia. Non si trattava assolutamente di tangenti. Era danaro a “titolo di prestito personale per la partecipazione ad altri affari legati all’ edilizia e non a Fincantieri”. L’imputato ha anche disconosciuto la truffa dei posti di lavoro. Una tesi supportata anche da altre persone offese che hanno dichiarato di non aver mai avuto contatti con Favoloro e che la proposta di lavoro sopraggiungeva da altre persone e non dall’attuale imputato. Sulla tentata estorsione Favoloro ha precisato, nel corso della deposizione, che all’epoca cui si riferiscono i fatti era in coma. L’avvocato, Olga Coda, ha anche provveduto a depositare relativa documentazione medica. La prossima udienza è convocata per il 2 maggio e in quell’occasione saranno ascoltati i testimoni della difesa.

Cronache della Campania@2018

Trattativa Stato-mafia, il pm Teresi: “Sentenza dedicata a Falcone, Borsellino e alle vittime innocenti”

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Palermo. Trattativa Stato-mafia: una sentenza dedicata a Borsellino, Falcone e a tutte le vittime innocenti della mafia. lo ha detto il pm Vittorio Teresi, al termine della lettura del dispositivo del processo che si è concluso dopo cinque anni di udienze e testimonianze e che ha visto la condanna di mafiosi ed elementi delle istituzioni. “Va analizzato attentamente il dispositivo che in linea di massima ha confermato la tesi principale dell’accusa sull’ignobile scambio, chiamato semplicemente ‘trattativa’, ma che nascondeva il ricatto fatto dalla mafia allo Stato e a cui si sono piegati alcuni elementi delle istituzioni – ha aggiunto – E’ un processo che bisognava fare a tutti i costi”. La sentenza letta oggi pomeriggio nell’aula bunker del Tribunale di Palermo dai giudici della Corte d’Assise, ha scatenato numerose reazioni. Il sindaco di Palermo, Leoluca Orlando, costituito con il Comune parte civile nel processo ha detto: “Quella che da sempre diciamo essere stata una verità storica è da oggi è una verità giudiziaria, a conferma del fatto che la legalità e lo Stato di diritto restano capisaldi della nostra comunità. Questa sentenza condanna – ha aggiunto Orlando – la vergognosa identificazione fra Stato e Mafia, che ha permesso allo Stato di presentarsi col volto della Mafia e alla Mafia di presentarsi col volto dello Stato; è la condanna di un passato che siamo impegnati a far sì che non si ripeta mai più”. Costituita nel processo come parte civile anche l’associazione Libera:  “Dopo cinque anni finalmente si scrive una pagina di verità e giustizia su uno dei periodi più oscuri della nostra Repubblica. La sentenza conferma che la trattativa c’è stata, un risultato importante nell’accertamento di primo grado. Il nostro pensiero – aggiunge Libera – va ai tanti familiari delle vittime innocenti delle mafie consapevoli che la sentenza certamente non ripaga le loro ferite e il loro dolore. Questa sentenza invita tutti a continuare ad impegnarci sempre di più con corresponsabilità e maggiore consapevolezza per liberare il nostro paese dalle mafie e dalla corruzione. Libera si è costituita parte civile nel processo e ha seguito tutte le udienza ‘per stare vicino ai magistrati, non li abbiamo lasciati soli perchè non si costruisce giustizia senza la ricerca della verità”, conclude la nota.
Parla di recidere definitivamente i rapporti tra Stato e Mafia, il sostituto procuratore della Dna Nino Di Matteo, dopo la sentenza sulla trattativa Stato Mafia che ha avallato l’ipotesi della Procura di Palermo. “Sono emersi fatti importanti da questa inchiesta che ho condotto fin dall’inizio assieme al collega Antonio Ingroia che voglio ricordare in questo momento per il lavoro che ha svolto anche lui. Emerge con chiarezza che nell’Italia martoriata dal dalle stragi qualcuno reagiva altri saltavano in aria e qualche pezzo dello Stato invece trattava con la mafia. E’ una sentenza che ha un valore assolutamente storico in questi anni si è detto di tutto sulla nostra inchiesta e sul nostro processo ora la Corte d’Assise ha concluso un momento importantissimo della lotta alla mafia che non è solo lotta contro l’ala militare di cosa nostra. E’ recidere una volta per tutte i rapporti della mafia con lo Stato”. E poi a proposito della condanna di Dell’Utri per minaccia a Corpo politico dello Stato ha commentato:  “La sentenza dice che Dell’Utri ha fatto da cinghia di trasmissione tra le richieste di cosa nostra e l’allora governo Berlusconi che si era da poco insediato. La corte ritiene provato questo. Il verdetto – ha aggiunto – dice che il rapporto non si ferma al Berlusconi imprenditore ma arriva al Berlusconi politico”.
E’ felicissimo Salvatore Borsellino, fratello do Paolo, il magistrato ucciso nel luglio del 1992 a Palermo, commentando la decisione della Corte d’Assise di Palermo: “Questo è il traguardo della mia vita. Ma manca ancora la politica. Stavo proprio scrivendo un messaggio a Nino Di Matteo per ringraziarlo per tutto quello che ha fatto e per tutto quello che ha dovuto subire lui e la sua famiglia per portare avanti questo processo – aggiunge -. Quasi non ci credo che finalmente è stata affermato che c’è stata questa trattativa. E’ Stato affermato tutto quello per cui io combatto da anni. L’unico neo è l’assoluzione di Mancino ma di fronte a tutto il resto non riesco a descrivere il mio Stato d’animo. Spero soltanto, a questo punto, di morire prima dell’appello. Così almeno se in secondo grado dovessero cambiare le cose me ne andrò via con questa sentenza che restituisce un pezzo di verità sulla trattativa e su mio fratello. Si tratta di un traguardo molto importante per la mia vita. E’ una vita che combatto per questo e finalmente una sentenza della magistratura mi ha dato ragione e afferma quello che fino a oggi era stato negato, irriso, vilipeso. Sono veramente felice”.
“La Sentenza pronunciata dalla Corte di Assise registra una sostanziale convalida dell’impianto accusatorio prospettato dalla Pubblica accusa di Palermo”. Ha detto l’avvocato Ettore Barcellona, legale del Centro Studi ed Iniziative Culturali Pio La Torre che si è costituito parte civile. “Dopo quasi cinque anni di istruttoria dibattimentale, durante la quale è stata vagliata una enorme mole di elementi di prova – aggiunge – la Corte, pur con alcuni limiti temporali, ha riconosciuto provate quelle articolate condotte poste in essere in tempi diversi e da soggetti diversi che sono state definite convenzionalmente come Trattativa Stato – mafia”. “Non solo, quindi, una mera ricostruzione storica – peraltro importantissima – come era stata definita da alcuni autorevoli detrattori del processo, – osserva Barcellona – ma la riconosciuta sussistenza di condotte di reato e dei loro autori. Riconosciuta, inoltre la piena legittimità della richiesta di risarcimento del Centro Pio La Torre come di Libera e dell’associazione vittime della strage dei Georgofili che fin dall’inizio della vicenda giudiziaria – conclude il legale di parte civile – hanno sostenuto e creduto nell’immane lavoro dei Pubblici ministeri e la cui presenza nel processo dalla parte dell’accusa ha rivestito anche una importanza simbolica di rilievo”.

Cronache della Campania@2018

Trattativa Stato-mafia: ecco il dispositivo della sentenza. Dieci milioni il risarcimento allo Stato

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Palermo. In quattro pagine il lungo dispositivo della sentenza di condanna emessa dalla II sezione della Corte di Assise di Palermo “In nome del popolo italiano”. La Corte presieduta da Alfredo Montalto (giudice a latere Stefania Brambille) e sei giudici popolari ha emesso la sentenza dopo oltre quattro giorni di camera di consiglio iniziata lunedì alle 10.30 nella foresteria del carcere di Pagliarelli. Ecco il testo: “La Corte dichiara Leoluca Bagarella e Antonino Cinà colpevoli del reato loro ascritto al capo A della rubrica; Giuseppe De Donno, Mario Mori e Antonio Subranni colpevoli del reato loro ascritto al capo A della rubrica, esclusa la circostanza aggravante di cui all’art. 61 n 2 c.p., limitatamente alle condotte contestate come commesse sino al 1993; Marcello Dell’Utri colpevole del reato ascrittogli al capo A della rubrica, limitatamente alle condotte contestate come commesse nei confronti del Governo presieduto da Silvio Berlusconi; Ciancimino colpevole del reato ascrittogli al capo E della rubrica. La Corte condanna Leoluca Bagarella alla pena di 28 anni di reclusione; Cinà, Dell’Utri, Mori e Subranni ciascuno alla pena di 12 anni di reclusione; De Donno e Ciancimino ciascuno alla pena di 8 anni di reclusione; nonchè tutti al pagamento delle spese processuali. Dichiara: Bagarella, Cinà, De Donno, Dell’Utri, Mori, Subranni e Ciancimino interdetti in perpetuo dai publici uffici e in Stato di interdizione legale durante la pena.
Condanna Bagarella, Cinà, De Donno, Dell’Utri, Mori e Subranni, in solido tra loro, al risarcimento dei danni in favore della parte civile Presidenza del Consiglio dei ministri liquidati in complessivi 10 milioni, ed in favore delle parti civili Presidenza della Regione siciliana, comune di Palermo, “Centro studi Pio La Torre” e “Libera” nella misura da liquidarsi davanti al competente giudice civile; Bagarella, Cinà, De Donno, Mori e Subranni, in solido tra loro, al risarcimento dei danni, da liquidarsi davanti al competente giudice civile, in favore della parte civile “Associazione tra familiari delle vittime della strage di via dei Georgofili”; Ciancimino al risarcimento dei danni, da liquidarsi davanti al competente giudice civile, in favore della parte civile Gianni De Gennaro; Condanna altresì Bagarella, Cinà, De Donno, Dell’Utri, Mori e Subranni, in solido tra loro al pagamento delle spese processuali sostenute dalle seguenti parti civili: Presidenza del Consiglio dei ministri e presidenza della Regione siciliana in complessivi 17.437, di cui 2274 per spese; Comune di Palermo in complessivi 14.531 di cui 1895 per spese; Centro Studi “Pio La Torre” in complessivi 11.196 euro di cui 2272 per spese; “Libera Associazione, nomi e numeri contro le mafie” in complessivi 19.448 euro di cui 2536 per spese; nonchè Bagarella, Cinà, De Donno, Mori e Subranni, in solido tra loro, al pagamento delle spese processuali sostenute dalla parte civile “associazione tra familiari delle vittime della strage di via dei Georgofili” liquidate in complessivi 11.667 euro, di cui 1521 per spese; Assolve Subranni, Mori e De Donno dal reato ascritto al capo A della rubrica per le condotte contestate come commesse successivamente al 1993 per non avere commesso il fatto; Dell’Utri dal reato ascritto al capo A della rubrica per le condotte contestate come commesse nei confronti dei Governi precedenti a quello presieduto da Silvio Berlusconi per non avere commesso il fatto; Mancino dal reato ascritto al capo C della rubrica perchè il fatto non sussiste; Ciancimino dal reato ascritto al capo D della rubrica perchè il fatto non sussiste. Dichiara non doversi procedere nei confronti di Brusca, concessa la circostanza attenuante speciale prevista, perchè estinto il reato contestato per intervenuta prescrizione e nei confronti di Riina perchè estinto il reato per morte del reo. Indica in 90 giorni il termine per il deposito della motivazione della presente sentenza”.

Cronache della Campania@2018

Scortò abusivamente Gigi D’Alessio: 10 anni di carcere al poliziotto pusher

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Il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere  ha condannato a dieci anni e due mesi di reclusione l’agente della Polizia di Stato, tuttora sospeso, Nunziante Camarca, accusato di associazione a delinquere finalizzata allo spaccio di sostanze stupefacenti. Pena di otto mesi invece per Paride Amoroso, sottufficiale dell’Esercito ed ex collaboratore del sottosegretario alla Difesa Gioacchino Alfano nonche’ ex consigliere comunale a Marcianise, accusato di accesso abusivo al sistema informatico. Camarca era stato arrestato nell’ottobre 2015 insieme con due colleghi in servizio al commissariato di Marcianise, Alessandro Albano e Domenico Petrillo, con la grave accusa di aver favorito il clan camorristico Belforte nell’attivita’ di spaccio. Albano e Petrillo sono gia’ stati condannati dopo giudizio abbreviato, mentre Camarca, difeso da Mariano Omarto, aveva scelto il processo ordinario; per lui il pm della Dda di Napoli Luigi Landolfi aveva chiesto una pena di 20 anni di reclusione; i giudici hanno dimezzato la richiesta escludendo inoltre l’aggravante mafiosa, contestata inizialmente dalla Procura. Molto grave l’accusa contestata a Camarca e ai colleghi: per la Dda i tre agenti, in cambio di danaro o altre utilita’, avrebbero favorito alcuni spacciatori di Marcianise, collegati al clan Belforte, rivelando loro notizie riservate sulle indagini che li riguardavano, in modo da sfuggire alla cattura, o arrestando persone legate ad altri gruppi di spaccio concorrenti. Ad accendere i riflettori dei media sull’indagine fu la scorta non autorizzata fatta dai tre agenti al cantante Gigi D’Alessio; la circostanza, riportata nell’ordinanza di arresto, si verifico’ nel dicembre 2013, quando i tre poliziotti, mentendo al dirigente del loro commissariato e falsificando le relazioni di servizio, scortarono con l’auto della polizia, per le strade di Napoli, il cantante che doveva recarsi ad un evento di presentazione del suo nuovo cd. Sulla vicenda Gigi D’Alessio e’ venuto anche a testimoniare in tribunale nel febbraio del 2017. Oggi i giudici hanno inoltre assolto la terza imputata, Oxana Luyeta (due anni aveva chiesto il pm). 

Cronache della Campania@2018

Camorra, il pentito Esposito: ‘Ecco dove Zia Rosaria Pagano riciclava i soldi della droga’

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Uno dei grandi accusatori della donna boss Rosaria Pagano è  stato il pentito Carmine Esposito detto o’ ruomm  ruomm, che insieme con l’altro pentito storico Luigi Illiano e Gennaro Spina detto Versace faceva parte del gruppo di guardaspalle e fedelissimi del figlio Raffaele Amato junior. Esposito ha iniziato a collaborare nel 2013. E’ rimasto affiliato sino a luglio del 2011, quando è scappato da Napoli con la moglie di Raffaele Amato jr. cl. 90, con la quale aveva iniziato una relazione sentimentale.

I suoi sono racconti di prima mano e sono contenuti nell’ordinanza che lo scorso anno portò in carcere la donna boss e 18 dei suoi fedelissimi, anche se tutti, ad eccezione di Rosaria Pagano da tre giorni sono usciti dal carcere per scadenza dei termini della custodia cautelare. La  Pagano, se non interverranno fatti nuovi, uscirà invece tra non molto. Esposito ha parlato molto di come il clan riciclava e reinvestiva gli ingenti capitali illeciti  ottenuti grazie al traffico di droga. E ha raccontato Esposito: “Per quanto io sappia la PAGANO. detta ZIA ROSARIA, si occupa di gestire i soldi dei figli, soldi provento di attività illecite del clan. So che è proprietaria della TNT che si occupa di trasporti, cioè è un Corriere. Il prestanome è MASSIMINO o’ cardillo, che mi sembra di cognome si chiami MARRA. Lo so perché me lo ha detto lui stesso con il quale avevo un buon rapporto. Voglio dire che con MASSIMINO, che abita a Secondigliano vicino alle Case Celesti, in zona Via Limitone di Arzano è formalmente il gestore della TNT, non conosco la sede. Io e lui eravamo amici, nel senso che andavamo a ballare insieme, uscivamo insieme, gli sono stato vicino quando, credo nel 2010, la sua fidanzata a Corso Garibaldi lo investì con la macchina, procurando gli la rottura mi sembra di entrambe le gambe, una di sicuro. Io sono andato più volte a trovarlo al CTO, dove stava sempre da solo; nell’occasione MASSIMO mi ha raccontato dell’incidente, nel senso che poiché aveva un rapporto difficile con questa ragazza che è di Via Stadera, di nome Francesca, e che il giorno del! ‘incidente, incrociatisi a piazza Garibaldi la donna lo aveva tamponato con la sua auto. Massimo era sceso dal veicolo e si era posto dinanzi all’autovettura della fidanzata, la quale nel ripartire lo aveva travolto; non so se lo aveva soccorso. Comunque per questo nostro rapporto di amicizia lui una volta mi ha anche prestato 5000 euro.So che ha presentato Francesca a Zia Rosaria.
Tornando alla TNT, un giorno io gli chiesi se questa fosse proprio sua o piuttosto di altri. Lui mi rispose che era di Zia Rosaria: cosa che non mi  ha meravigliato, perché lui era spesso a casa di Zia Rosaria, e la accompagnava nelle commissioni. Che io sappia nessun affiliato al clan Amato-Pagano lavora per la Tnt. Io ho creduto alle sue parole perché quando è stato eseguito il blitz di maggio del 2009 lui è stato arrestato, poi scarcerato, e nel corso della perquisizione a casa sua vennero sequestrati orologi di valore, tipo Daytona in oro bianco, Frank Muller con quadrante in brillanti, del valore di 50 mila euro, e diverse croci di brillanti.
Ebbene questi oggetti erano di proprietà di AMATO Raffaele jr., di ciò ne sono certo perché prima che venisse arrestato li custodiva sua madre, Zia Rosaria, e spesso su disposizione di Lello andavo dalla madre a prendere gli orologi. Quando è stato arrestato, evidentemente, quegli oggetti sono stati dati a Massimo per custodirli. Ricordo che Elio Amato, zio di Lello gli aveva regalato il Frank Muller con quadrante in brillanti, del valore di 50 mila euro.
Per le vicende del blitz Massimo, che saprei riconoscere, mi disse di essere stato condannato in primo grado a 5 anni, altro non so.
Massimo aveva un ‘autovettura, che usava personalmente, AUDI S3 SPORT AIK che costa 50/60 mila euro…”.
Effettivamente al momento dell’arresto del 19 maggio 2009 vennero sequestrati presso l’abitazione di  Massimiliano Marra, convivente con la moglie Assunta Saraiello e il fratello di quest’ultima Raffaele vennero rinvenuti, nascosti in vari punti dell’appartamento, numerosi gioielli ed orologi di pregio, tra i quali Rolex, Versace, Fendi, Piquet. Nella disponibilità del Marra vennero rinvenute anche due autovetture, la prima  di proprietà della GEMA s.a., la seconda di proprietà del cognato Raffaele Saraiello.

 Renato Pagano

@riproduzione riservata

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