Quantcast
Channel: Cronaca Giudiziaria
Viewing all 6090 articles
Browse latest View live

Scippò un’anziana a Caivano, arrestato 32enne per furto aggravato

$
0
0

Caivano. Scippò la collanina ad un’anziana: è stato arrestato per furto aggravato Tommaso Marzano, 32 anni di Frattamaggiore. Gli agenti del commissariato hanno eseguito un’ordinanza di custodia cautelare agli arresti domiciliari a suo carico emessa dal tribunale di Napoli Nord. Il giovane, pregiudicato per reati specifici, è accusato di aver scippato – nel mese di ottobre – un’anziana strappandole una collana d’oro del valore di circa 800 euro.
I poliziotti, sono riusciti a risalire al Marzano, dopo una lunga attività d’indagine.

Cronache della Campania@2018


Investì lo stalker della sua amica: scarcerato Domenico Senatore

$
0
0

E’ tornato a piede libero Domenico Senatore, la guardia giurata 37enne che nella notte tra sabato e domenica, a Nocera Inferiore  ha investito e ucciso un camionista di 47 anni, Fabrizio Senatore (omonimo e non parente), in via Fluminate, nella zona periferica della citta’. Il corpo della vittima e’ stato ritrovato incastrato tra la vettura e il muro di una villetta dove vive Filomena, conoscente di Domenico ed ex compagna di Fabrizio. Quest’ultimo, a seguito della fine della relazione con la donna, era stato denunciato dalla stessa per stalking e si trovava ai domiciliari a Salerno. “Il gip Scermino – spiega Armando Lanzione, avvocato di Domenico Senatore – ha rigettato l’ipotesi della Procura ritenendo attendibile la versione del mio assistito che ha invocato la legittima difesa. Dunque il gip non solo ha rigettato la custodia cautelare avanzata dalla Procura, ma non ha neanche convalidato il fermo”. 

Cronache della Campania@2018

Diffamazione, il sindaco De Magistris assolto a Salerno per la vicenda legata a Why Not

$
0
0

Napoli. Il sindaco Luigi De Magistris è stato assolto dall’accusa di diffamazione dal giudice del Tribunale di Salerno. L’ex magistrato e europarlamentare era stato querelato dall’ex gup distrettuale di Catanzaro Abigail Mellace e da suo marito l’avvocato Maurizio Mottola D’Amato per aver alluso al tentativo di Mellace di sgonfiare la sua inchiesta Why Not anche in relazione alla richiesta di arresto nei confronti di Mottola D’amato. “Ancora una volta sono stati riconosciuti i miei diritti e la giustezza del mio operato”. Ha detto Luigi de Magistris commentando la sentenza. Per l’attuale sindaco di Napoli il Pm Francesco Rotondo aveva richiesto una condanna a 9 mesi di reclusione. I fatti di cui era imputato de Magistris erano legati all’indagine Why Not e risalgono al periodo in cui era europarlamentare. Ad accusarlo di diffamazione l’ex gup distrettuale di Catanzaro Abigail Mellace e suo marito, l’avvocato Maurizio Mottola D’Amato. De Magistris era stato querelato anche per alcune dichiarazioni pubblicate sul suo blog per accuse di violenze sessuali contestate al padre di Mellace, omettendo la sua successiva assoluzione. Secondo De Magistris quello che si è celebrato a Salerno era “un processo surreale in cui sembravano le parti invertite ed è stato riconosciuto che le mie dichiarazioni correttamente rientravano nel diritto di manifestazione del pensiero come deputato al Parlamento europeo, avendo espresso le mie opinioni fondate su fatti con argomentazioni dure nei confronti di fatti gravi accaduti anche ai miei danni quando ero pubblico ministero a Catanzaro”.

Cronache della Campania@2018

Mafia in Toscana e estorsioni a imprenditori, verso il processo 7 persone: c’è anche un salernitano

$
0
0

Grosseto. Estorsioni, botte, minacce, incendi, intimidazioni e un diffuso clima di terrore imposto a Follonica (Grosseto), in taluni casi anche coi metodi della criminalità mafiosa, a imprenditori locali. Ora la Dda di Firenze, pm Giuseppina Mione, ha notificato la chiusura delle indagini, con contestuale avviso di garanzia, al commercialista Evans Capuano, 58 anni, che si trova agli arresti domiciliari da un cugino a Porto Azzurro (Livorno), e a sei co-indagati, legati a Capuano sotto vari profili e accusati di reati diversi. Nel dettaglio Capuano è indagato, anche in concorso, per estorsione, minacce, danneggiamento, incendio, lesioni, furto, corruzione, porto abusivo di pistola, ricettazione di steroidi. Gli altri indagati sono il catanese Angelo Murè, 48 anni, che per questa inchiesta si trova in carcere a Sollicciano (Firenze) con le accuse di furto, lesioni, estorsione, e che gli inquirenti segnalano come soggetto già condannato per associazione a delinquere di stampo mafioso; il calabrese Cataldo Ausilio, 51, di Cirò Marina, indagato per estorsione cui è contestata l’aggravante del metodo mafioso e che agli inquirenti risulta in rapporti con soggetti della ‘ndrangheta; Giuseppe Imparato, 25 anni di Battipaglia (Salerno) per lesioni personali; Manuel Bernardini, 37 anni di Grosseto, per furto; Dante Martignetti, 46 anni di San Severo (Foggia), irreperibile, indagato per porto di pistola con matricola abrasa in concorso con Capuano; il cancelliere del tribunale di Grosseto, Cesare Ferreri, 67 anni di Vittoria (Ragusa), accusato di corruzione con Capuano poichè avrebbe passato al commercialista informazioni riservate su cause di interesse, ottenendo l’assunzione della figlia e del genero. L’inchiesta, articolata su più episodi criminali tra il 2012 e il 2015 accertati dai carabinieri e dalla guardia di finanza, è emersa nel 2017 con gli arresti di Capuano e Murè. Capuano dal suo studio di commercialista – così risulta alle indagini della Dda -, sarebbe il promotore di episodi vessatori contro imprenditori allo scopo di ottenere denaro. Vicende che in taluni casi culminarono in minacce (anche di morte), incendi, furti, estorsioni anche per importi ingenti finchè dalle prime denunce non partirono le indagini.

Cronache della Campania@2018

Scambio di voto a Scafati, sei testimoni chiave contro Aliberti & C.

$
0
0

Scafati. E’ il processo alla casta familiare e politica che per otto anni ha governato la città di Scafati, facendo ‘affari’ con esponenti della criminalità organizzata per ottenere in cambio voti e potere. E’ iniziata stamane l’udienza preliminare a carico dell’ex sindaco Angelo Pasqualino Aliberti, ora agli arresti domiciliari, e di altri 14 imputati. La commissione straordinaria insediata nel comune sciolto per infiltrazioni mafiose si è costituita parte civile contro gli ex politici, per conto del Comune di Scafati. Parte civile nel processo anche gli imprenditori Aniello e Fabio Longobardi, vittime di estorsione, (assistiti dall’avvocato Giovanni Annunziata), e la giornalista Valeria Cozzolino (assistita dall’avvocato Daniele Rossetti), destinataria di minacce il cui mandante sarebbe l’ex sindaco Angelo Pasqualino Aliberti, messe a segno dal fratello Nello Maurizio e da Gennaro Ridosso, in prossimità delle elezioni comunali del 2013.
Dinanzi al Giudice per le udienze preliminari, Emiliana Ascoli, si è aperto il processo nei confronti degli imputati accusati a vario titolo di voto di scambio, estorsione, minaccia, violenza privata, abuso d’ufficio aggravati dal metodo mafioso.
E’ il processo che valuterà le responsabilità di politici e camorristi e scaturito dall’indagine della Dia, sezione di Salerno, denominata Sarastra che ha portato allo scioglimento del consiglio comunale per infiltrazioni della criminalità organizzata negli assetti istituzionali del Comune. Dinanzi al Gup Emiliana Ascoli sono imputati oltre all’ex sindaco Aliberti, arrestato per scambio di voto, anche il fratello Nello Maurizio, la moglie la consigliere regionale di Forza Italia, Monica Paolino, l’ex consigliere Roberto Barchiesi, l’ex staffista Giovanni Cozzolino, l’ex vicepresidente dell’Acse (la società in house del Comune di Scafati), Ciro Petrucci, Gennaro Ridosso ritenuto insieme ad Alfonso Loreto – oggi pentito – il capi del clan dominante a Scafati, i fratelli Andrea e Luigi Ridosso. Nello stesso processo anche il filone relativo alle agevolazioni alle ditte di pompe funebri, l’Eternità e Cesarano, per il quale sono a processo il dirigente dell’area economica del Comune Giacomo Cacchione, l’ingegnere Nicola Fienga, Giuseppina Ametrano, legale rappresentante de l’Eternità, Alfonso e Catello Cesarano, amministratori della ditta Cesarano Nicola Pompe funebri, all’epoca dei fatti.
Stamane, nell’aula bunker del carcere di Fuorni, alla presenza degli imputati – assente solo il pentito Alfonso Loreto – il pubblico ministero della Dda, Vincenzo Montemurro ha chiesto il rinvio a giudizio per tutti gli imputati ed ha formulata una richiesta di incidente probatorio per sei testi chiave nel processo che dovrebbero essere sentiti in questa fase preliminare. Diego Chirico (ex assessore), Pasquale Coppola (ex presidente del consiglio comunale, Filippo Sansone (ex amministratore delegato della Copmes), gli imprenditori Fabio e Aniello Longobardi, e la giornalista Valeria Cozzolino dovrebbero – secondo la procura – cristallizzare le loro accuse nella fase preliminare. Sulla richiesta si dovrà esprimere il giudice per le udienze preliminari nel corso della prossima udienza fissata per il 26 aprile.
La difesa di Aliberti, rappresentata dagli avvocati Silverio Sica e Agostino De Caro, da parte sua ha chiesto di sentire in questa fase preliminare tutti gli altri testimoni dell’accusa, inclusi i collaboratori di giustizia, ed ha sollevato alcune eccezioni preliminari, tra le quali la nullità delle ordinanze cautelari a carico di Aliberti per il mancato deposito di alcuni elementi a favore della difesa come l’intercettazione tra i fratelli Andrea e Luigi Ridosso, captata all’indomani delle elezioni comunali del 2013 e l’interrogatorio reso da Luigi Ridosso. Inoltre, la difesa ha chiesto di che vengano dichiarati inutilizzabili tutti gli atti di indagine successivi a marzo 2016 per mancanza di proroghe delle indagini preliminari. Su tutte le eccezioni, il Gup si è riservato la decisione. Si profilano, inoltre, nel processo almeno due richieste di riti alternativi quella per il pentito Alfonso Loreto, già formalizzata dal difensore, Luigi Ferrone, e quella per Luigi Ridosso, difeso dall’avvocato Michele Sarno, per la quale non vi è ancora nessuna ufficializzazione.
L’accusa più grave che pende sugli imputati è quella di scambio di voto politico mafioso: un patto scellerato tra i fratelli Aliberti e Monica Paolino, con esponenti del clan Loreto Ridosso, finalizzato ad ottenere voti alle amministrative del 2013 e alle Regionali del 2015. Con uomini di fiducia messi in posti chiave dell’amministrazione comunale, per consentire al clan di beneficiare di appalti. Roberto Barchiesi, zio dell’ex moglie di Alfonso Loreto, consigliere comunale eletto nella lista ‘Grande Scafati’, sostenuta proprio dai Rifosso-Loreto, e Ciro Petrucci, grande amico di Luigi Ridosso jr, vice presidente dell’Acse, avrebbero vigilato sugli interessi economici che avrebbero dovuto ottenere gli esponenti della cosca durante il periodo in cui Angelo Pasqualino Aliberti era sindaco.
Quello che è iniziato stamane è il primo processo scaturito dall’indagine ‘Sarastra’, sul sistema politico e familistico degli Aliberti e sui loro presunti legami con la criminalità organizzata.

 Rosaria Federico

@riproduzione riservata

Cronache della Campania@2018

‘Appartiene ai Sequino’, intercettato in carcere il boss Raffaele Vastarella parla dell’omicidio del figlio Vittorio

$
0
0

“Appartiene a uno dei Sequino”,  è la frase intercettata durante un colloquio in carcere tra Raffaele Vastarella, detto “Auciello” e il figlio Rosario. La frase è contenuta nelle oltre 400 pagine dell’ordinanza di custodia cautelare che il mese scorso ha portato in carcere 18 persone tra boss, familiari e affiliati del clan Vastarella del rione Sanità tra cui il reggente Patrizio, Vastarella, la moglie, il figlio, un nipote e altri affiliati. Anche lo stesso Raffaele è stato raggiunto da una nuova ordinanza in carcere. La conversazione è data 3 settembre 2016 ed è registrata nel carcere di Voghera dove l’uomo è detenuto. Il 31 agosto in via Sanità era stato ucciso il figlio Vittorio. Quella frase intercettata e l’intero colloquio hanno dato via a nuovi spunti investigativi ma anche la conferma della rottura tra i Vastarella e i Sequino che erano stati alleati fino a qualche anno prima e che si erano divisi la gestione dei traffici illeciti nel rione. Quell’omicidio farebbe riferimento alla strage di Martedei del 3 agosto quando in un agguato furono trucidati il boss emergente Salvatore Esposito, e Ciro Marfé, il primo  ritenuto legato al clan Sequino del rione Sanità e il secondo legato al clan Contini e il ferimento del ras Pasquale Amodio anch’egli legato ai Sequino. Erano di ritorno da un summit di camorra a cui avevano partecipato al Cavone in cui avevano deciso di creare un super cartello di camorristi (escludendo i Vastarella) che avrebbe dovuto gestire il traffico di droga da Poggioreale fino al Vomero. E Vittorio Vastarello secondo gli investigatori era un obiettivo facile da colpire perché non era uno di quelli che partecipava fino in fondo agli affari illeciti delle famiglia. Aveva terminato appena tre mesi prima gli arresti domiciliari per l’unico reato commesso in 43 anni, droga.

dall’intercettazione ambientale in carcere, pubblicata dal quotidiano Il Roma, traspare chiaramente tutta la convinzione dell’anziano ras che ad uccidere il figlio Vittorio, come riferitogli dall’altro congiunto, Rosario, sia stato qualcuno legato al clan Sequino,
Era il 3 settembre 2016 quando la microspia registrò la conversazione, durata circa due ore, dalla quale traspariva an-che la richiesta di “spiegazioni” su un argomento preciso a Patrizio Vastarella, fratello di Raffaele e zio di Rosario. Il giovane, libero, avrebbe fatto da tramite tra i due fratelli.
Raffaele: «Loro che ti hanno detto…».
Rosario: «Ah?».
Raffaele: «Loro che dicono?». Rosario: «incomprensibile». Raffaele: «I Tolomelli che di-cono?».
Rosario: «Non lo so, non ci stanno loro».
Raffaele: «No, perché appar-tiene a uno dei Sequino». Rosario: «Ah?».
Raffaele: «Appartiene a uno dei Sequino».
Rosario: «Incomprens…..adessso comunque…incomprens….”
Raffaele: «Come, ma quello che dico io, ma quello……incomprens….non poteva andare dietro…..incomprens…..dentro a un portone? E lo “menavano” a terra?».
I due sono interrotti da un detenuto che va a chiedere qua-te ore di colloquio devono fare. Rosario risponde: “due”. Raffaele: «Ha capito quello che dico io…è vero che stava a terra dentro a un portone?» Rosario: «Eh».
Raffaele: «Quello è un uomo di merda quel ragazzo».
Rosario: «Lo so….non ti preoccupare…hai capito? L’ho avuta la lettera».
Raffaele: «È stato quello, non hai capito?».
Rosario: «No…ma io a….».
Successivamente padre e figlio discutono sulla possibilità che il loro congiunto Vittorio forse si sarebbe salvato se i soccorsi fossero stati più rapidi. E gli investigatori sulla base di questo colloquio intercettato stanno cercando i riscontri anche alla luce del racconto fatto all’epoca da un supertestimone ascoltato poco dopo l’agguato e che si sarebbe trovato sulla scena del crimine.

 (nella foto il luogo dell’agguato e nei riquadri da sinistra il boss Raffaele Vastarella e il figlio ucciso Vittorio Vastarello

Cronache della Campania@2018

Compravendita di loculi a San Giorgio a Cremano, arrestate tre persone: c’è anche un vigile

$
0
0

San Giorgio a Cremano. Vendevano loculi al cimitero di San Giorgio a Cremano: arrestate tra persone tra le quali un agente della polizia municipale. Un’ordinanza di custodia cautelare ai domiciliari è stata eseguita dai carabinieri, su richiesta della Procura della Repubblica di Napoli, a carico di tre persone per compravendita di loculi al cimitero di San Giorgio a Cremano. Si tratta di Roberto Riccio, custode del cimitero, Alessia Ammendola detta Alex, dipendente del consorzio Zeus e Enrico Maglione, funzionario della polizia amministrativa. Le accuse contestate sono concussione, corruzione, induzione indebita a dare o promettere utilità, truffa ai danni dello stato, oltre a falso in atto pubblico per il colonnello della polizia municipale.
A coordinare le indagini, in questi mesi, i carabinieri della stazione di San Giorgio a Cremano, coordinati dal Comandante Gerardo Avolio.  Tra le accuse ci sarebbe l’esecuzione di lavori edili senza permesso e il trasferimento di ossa non rispettando il regolamento.

Cronache della Campania@2018

Investì un giovane a Trento, cuoco beneventano non risponde al Gip: chiesta la scarcerazione

$
0
0

Trento. Non ha risposto alle domande del Gip di Trento, il 33enne cuoco beneventano, Loris Cocca, arrestato lunedì scorso con l’accusa di omicidio stradale pluriaggravato perchè ritenuto responsabile dell’investimento mortale di Mattia Sommariva, 20 anni, avvenuto poche ore prima nei pressi di Moena, in provincia di Trento, lungo la ex statale 48 delle Dolomiti. Sottoposto al test alcolemico, il giovane – che ha già un precedente specifico per guida in stato di ebbrezza – era risultato positivo all’alcoltest. La magistratura ha inoltre disposto l’esame autoptico sulla salma della vittima, Mattia Sommariva. “Loris Cocca – ha spiegato l’avvocato Marco Vernillo, difensore dell’indagato – è ancora molto provato. Quindi, ha preferito non rispondere alle domande. Anche perchè Cocca aveva già reso dichiarazioni spontanee alla polizia giudiziaria in merito all’incidente mortale”. Il pm, Carmine Russo, aveva chiesto la custodia cautelare in carcere, contestata però dai legali del cuoco 33enne perchè non c’è pericolo di reiterazione del reato, dal momento che l’auto è stata sequestrata, la patente sospesa e Cocca si trova in regime di custodia cautelare. Il gip, Francesco Forlenza, si è riservato la decisione. 

Cronache della Campania@2018


Truffa sportello antiracket Salento: sequestro beni tra Puglia e Campania

$
0
0

Lecce. Truffa sportello antiracket, sequestrati beni per 1 milione e trecento mila euro nella disponibilità dell’associazione rappresentata da Antonietta Gualtieri. Dopo l’inchiesta penale sulla presunta truffa dell’associazione antiracket Salento, arriva il conto da saldare per le dieci persone coinvolte nell’inchiesta della Procura di Lecce. Sequestrati beni per oltre 1,3 milioni di euro ai funzionari e dipendenti pubblici dei comuni di Lecce e Brindisi e alla rappresentante legale dello Sportello antiracket, Antonietta Gualtieri. Lo ha disposto la sezione giurisdizionale della Corte dei Conti per la Puglia, su richiesta della Procura Regionale della Corte dei Conti: sono stati sequestrati beni immobili e conti correnti bancari. L’azione cautelare fa seguito all’indagine condotta dai finanzieri del nucleo di Polizia Economico Finanziaria di Lecce nel maggio 2017, sfociata in una serie di arresti eccellenti, tra cui la Gualtieri e i suoi più stretti collaboratori, accusati, associandosi fra loro, di aver posto in essere falsa documentazione finalizzata alla percezione di contributi erogati dal Mef-Ingrue (Ragioneria generale dello stato) per un importo di oltre 2milioni di euro. In ordine a quanto disposto dalla magistratura contabile, pertanto i finanzieri del Nucleo di Polizia Economico-Finanziaria di Lecce hanno dato esecuzione al provvedimento ponendo sotto sequestro, a Lecce, Brindisi, Veglie, Carmiano, Parabita, e nelle province di Roma, Siena, Milano, Napoli, immobili e disponibilità finanziarie fino alla concorrenza del danno erariale accertato. 
Il maxi processo per la truffa dell’associazione antiracket Salento di Lecce è iniziato il mese scorso al tribunale di Lecce ed ha visto la costituzione di parte civile oltre che del Comune anche del Ministero dell’Interno e l’Associazione Nazionale Antiracket, la Regione Puglia; l’associazione Antiracket Lecce e quella di Taranto e due ex dipendenti che risultavano “parti offese” nel procedimento. Maria Antonietta Gualtieri risponde delle accuse di truffa per il conseguimento di erogazioni pubbliche, corruzione, concussione, falso ideologico e materiale, millantato credito. Non solo, anche di associazione a delinquere nel ruolo di capo, ma anche di promotore assieme a Giuseppe Naccarelli e Pasquale Gorgoni. I tre principali imputati sono stati arrestati lo scorso anno.

Cronache della Campania@2018

Camorra, i pentiti: ‘Zagaria fece picchiare Inquieto e lo mandò in Romania dopo una lite con un affiliato’

$
0
0

Come faceva il boss dei boss del clan dei Casalesi Michele Zagaria a scegliere un fedelissimo? Uno che gli avrebbe permesso di restare in un bunker sotterraneo per anni e anni nel suo quartiere generale, ovvero Casapesenna nel Casertano? Le risposte la magistratura di Napoli le ha avute dal racconto dei collaboratori di giustizia che via via hanno ricostruito tutti i passaggi che hanno portato alla cattura del super latitante nel 2011 nella villa di Vincenzo Inquieto, i cui fratelli questa mattina sono stati arrestati perche’ considerati gli imprenditori del clan. Dovevano essere innanzitutto incensurati, non girare con le armi, poveri e soprattutto finte vittime della Camorra. Massimiliano Caterino, ex boss ora pentito, nel verbale dell’11 giugno del 2014 racconta che Nicola Inquieto, uno dei due, era stato finanziato da Zagaria “per l’apertura di un negozio di telefonia e gli fece sparare due colpi di pistola nella saracinesca per far credere alle forze dell’ordine che lui era vittima della criminalita’ e di richieste di pizzo”. La messinscena si concluse con una denuncia, imposta dal boss, “contro ignoti”. A casa di Nicola Inquieto, per esempio, il 13 gennaio 2004 i carabinieri trovano un covo sotterraneo al quale si accedeva con un ascensore e dove era nascosto Carmine Zagaria, fratello di Michele. Antonio Iovine, ex capoclan, nel verbale del 2 settembre del 2014 racconta che dopo che fu arrestato “Michele chiamo’ Nicola e lo fece andare in Romania perche’ non voleva piu’ inchieste sulla sua famiglia in quanto aveva deciso di nascondersi dal fratello Vincenzo”. A rendere inevitabile il trasferimento, un litigio che Nicola Inquieto aveva avuto con un ragazzo per strada, che era stato poi ferito a colpi di pistola. Generoso Restina, altro collaboratore di giustizia, nel verbale del 15 maggio 2017 lo spiega ai magistrati: “Zagaria mi racconto’ che Nicola si era sparato con una persona per un litigio per futili motivi. Questa circostanza fece arrabbiare molto Michele perche’ lo aveva esposto a rischi in quanto per suo volere tutti i suoi fiancheggiatori dovevano stare lontani dai fatti di natura delittuosa e, soprattutto, non dovevano possedere assolutamente armi da fuoco – dice il pentito ai pm – Per questo motivo, cosi’ come racconto’ Michele Zagaria, Nicola Inquieto fu picchiato e esiliato in Romania, il paese natale della moglie”.

In Romania si era insediato da anni una sorta di “dipartimento estero” del clan dei Casalesi fazione Zagaria, che, attraverso grossi investimenti nel settore dell’edilizia e la creazione di un vero e proprio network di imprese, poteva contare su capitali pronti a tornare in qualsiasi momento nel Casertano per far fronte ai momenti di difficoltà del clan e ai pagamenti ad affiliati e famiglie di carcerati. E’ quanto ricostruito dagli investigatori della Direzione distrettuale antimafia di Napoli che per anni hanno indagato sulle attività del clan camorristico fuori dal territorio italiano, arrivando oggi all’esecuzione di un’ordinanza emessa dal gip di Napoli ed eseguita da personale della Dia nei confronti dei fratelli Giuseppe e Nicola Inquieto, rispettivamente di 48 e 43 anni. Nicola in particolare era l’uomo del clan in Romania, dove i Casalesi della fazione facente capo a Michele Zagaria avevano messo a punto operazioni imprenditoriali su larga scala, prova ne sia il sequestro di oltre 400 appartamenti ancora in corso di esecuzione.L’interesse del clan sulla Romania, spiegano gli investigatori, è determinato dal fatto che si tratta di un Paese povero ma con una forte crescita del Pil, quest’anno stimata in oltre il 5%, e quindi con grande capacità di espansione in questo caso nel settore delle costruzioni. Un fenomeno analogo a quanto avvenuto in Slovacchia, con l’attenzione della ‘ndrangheta concentrata sul settore dell’allevamento dei bovini. “Le organizzazioni criminali individuano Stati che hanno un Pil in forte crescita – spiegano – e impreparati dal punto di vista della legislazione, a differenza nostra. E’ il caso di molti Paesi dell’Est Europa”. L’indagine conferma inoltre l’esistenza e l’attuale predominanza di un volto “imprenditoriale” del clan dei Casalesi rispetto a quello violento che lo hanno reso noto: “Da 5 anni a Casal di Principe non si verificano omicidi di camorra – ricordano gli investigatori – ma questo non equivale all’esistenza di una situazione di disfatta della camorra sul territorio, affermazione che lascia il tempo che trova”. 

 (nella foto da sinistra Nicola Inquieto, Vincenzo Inquieto, Michele Zagaria, Carmine Zagaria, Antonio Iovine, Massimiliano Caterino)

 

Cronache della Campania@2018

Clan Terracciano: a giudizio 52 imputati capeggiati dai boss Giacomo e Carlo

$
0
0

Firenze. Da Pollena Trocchia alla Toscana i boss del clan Terracciano avevano esportato usura, estorsioni e avevano riciclato i proventi di attività illeciti in locali notturni. Per 52 persone coinvolte nell’inchiesta della Dda di Firenze è stato disposto il rinvio a giudizio. Affronteranno il processo gli esponenti del gruppo, fiancheggiatori e prestanome che agivano in Toscana tra Firenze, Prato e Viareggio. Il gup Angelo Antonio Pezzuti ha rinviato a giudizio 52 soggetti: sono esponenti di vertice del gruppo criminale, fiancheggiatori e prestanome nel controllo di aziende commerciali. La prima udienza si terrà l’11 gennaio 2019 all’aula bunker di Firenze. Per 16 imputati l’accusa principale è di associazione a delinquere di stampo mafioso, armata, finalizzata a compiere numerosi delitti di usura, estorsione, scommesse clandestine, sfruttamento della prostituzione, commercio di merce contraffatta, riciclaggio, controllo e gestione di locali notturni e imprese di ristorazione, immobiliari, abbigliamento e automobili. Nell’esprimere la loro forza intimidatrice in Toscana, sostiene la Dda, i Terracciano hanno fatto valere le loro relazioni familiari e trascorsi nel gruppo Nuova Famiglia del clan di Raffaele Cutolo. Personaggi di spicco del clan, con base a Prato, sono Giacomo Terracciano, 66 anni, e Carlo Terracciano, 69 anni, originari di Pollena Trocchia, accusati di dirigere e organizzare l’associazione; il ‘cassiere’ Francesco Lo Ioco, 66 anni di Nicosia (Enna), considerato dagli inquirenti la ‘mente finanziaria’ del gruppo e specialista in usura; la guardia del corpo di Giacomo Terracciano, Pasquale Ascione, 48 anni, loro compaesano. A processo anche una serie di figure di riferimento per i vertici del clan tra cui gli stessi figli di Giacomo Terracciano, Francesco e Antonio Terracciano, e ancora Bruno Gori, Luca Pacini, Jonah Ghiselli, Luca Barollo, Luca Basile, Michele Di Tommaso, Paolo Posillico, Mirko Traficante, Dritan Vuji e Giuseppe Catapano. Intimidazione e omertà sono tratti dell’organizzazione, come ha rilevato il pm Giulio Monferini nella richiesta di rinvio a giudizio del settembre 2013. Per gli altri imputati sono contestati, a vario titolo, il concorso nei reati fine dell’associazione. Per le indagini, svolte dalla guardia di finanza, i proventi delle attività illecite in Toscana venivano riciclati in imprese commerciali. Aziende che nel corso delle varie inchieste sono state sottoposte a sequestro, anche per valori ingenti.

(Nella foto Giacomo e Carlo Terracciano)

Cronache della Campania@2018

Camorra, torna libero il boss Ciro Rinaldi: non è lui il mandante del duplice omicidio Cepparulo-Colonna

$
0
0

Torna libero dopo due settimane il boss Ciro Rinaldi detto my way: il Tribunale del Riesame, dodicesima sezione in serata ha scarcerato il boss del rione Villa di San Giovanni a Teduccio. I suoi avvocati difensori, Raffaele Chiummariello e Salvatore Impradice hanno convinto i giudici sulla mancanza dei gravi indizi di colpevolezza a carico di Rinaldi quale mandante del duplice omicidio di Raffaele Ultimo Cepparulo e dell’innocente Ciro Colonna uccisi il 7 giugno del 2016 in un circolo ricreativo al lotto 0 di Ponticelli. Rinaldi era stato arrestato due settimane fa insieme con i due presunti killer Michele Minichini  (per Cepparulo) e Antonio Riviecco detto cocò (per Ciro Colonna). Con loro erano finite in carcere anche Anna De Luca Bossa, matrigna di Minichini, Luisa De Stefano, moglie del boss Schisa, la sua nipote Vincenza Maione, Giulio Ceglie e Cira Cepollaro, madre di Minichini ed ex compagna del boss detenuto Ciro Minichini. La donna ieri era stata scarcerata dal Riesame. Ma con la scarcerazione di Rinaldi cade gran parte del castello accusatorio contenuto nelle 100 pagine dell’ordinanza di custodia cautelare firmate dal gip Alessandra Ferrigno.

 

Cronache della Campania@2018

Camorra, il pentito: ‘Il superboss Zagaria si incontrava con Luigi Cesaro’

$
0
0

E’ stato la persona che ha coperto la latitanza del boss dei Casalesi, Michele Zagaria, tra il maggio del 2005 e il luglio del 2008 all’interno di una villa bunker in via Colombo a Casapesenna. Generoso Restina ha poi iniziato a collaborare con la giustizia il 6 novembre del 2014, pur non essendo organico ai gruppi criminali. Un insospettabile e proprio per questo scelto per gestire la latitanza di pericolosi criminali. Ed e’ stato lui a raccontare ai pm della Dda di Napoli degli incontri che aveva il boss, arrestato poi nel 2011, con i politici del Casertano tra i quali e’ citato Luigi Cesaro, deputato di Forza Italia e all’epoca dei fatti presidente della provincia di Napoli, oltre che Fortunato Zagaria, ex primo cittadino di Casapesenna e Domenico Ciaramella, ex sindaco di Aversa. A questi verbali fa riferimento una sintesi del gip Federica Colucci che ha firmato l’ordinanza eseguita dalla Dia di Napoli contro i fratelli Nicola e Giuseppe Inquiento, contenuta proprio in quel documento. Il gip parla del ruolo di Restina all’interno del clan perche’ e’ uno degli accusatori degli Inquieto ed e’ ritenuto credibile. Restina, nel corso dei suoi interrogatori, ha accennato al rapporti dei tre politici con i boss del clan dei Casalesi nella gestione delle tangenti per gli appalti milionari nell’area della provincia di Caserta e di Napoli dei quali fino ad ora non si aveva notizia. “Si tratta di indicazioni connotate dall’elemento dell’assoluta novita’, quelle rese da Restina, in quanto e’ stata la persona piu’ vicina a Michele Zagaria negli anni di maggiore espansione economico-imprenditoriale del clan, agevolate dai rapporti con i politici locali e imprenditori”, scrive il gip. Se saranno tutte riscontrate le dichiarazioni di Restina, sostiene il magistrato, saranno in grado di “lumeggiare in ordine ai recentissimi rapporti politico-criminale-affaristici in seno al clan insistente sui comune dell’agro-aversano”. 

Cronache della Campania@2018

Scafati, Aliberti resta ai domiciliari ma senza braccialetto

$
0
0

Resta agli arresti domiciliari a Roccaraso insieme con i genitori, l’ex sindaco di Scafati, Pasquale Aliberti. La Cassazione infatti ha respinto il ricorso della Dda di Salerno della richiesta del provvedimento cautelare ma con il braccialetto elettronico per controllare i suoi spostamenti. Il ricorso è stato dichiarato inammissibile. Aliberti in caso di accoglimento rischiava di tornare di nuovo in carcere in attesa dell’arrivo del dispositivo elettronico. L’ex primo cittadino era stato arrestato il 24 gennaio scorso per voto di scambio politico mafioso per i suoi legami con gli esponenti del clan Loreto -Ridosso di Scafati. Era stato scarcerato il 17 febbraio. Due giorni fa è comparso davanti al gup Emiliana Ascoli del Tribunale di Salerno per l’udienza preliminare insieme con la moglie Monica Paolino, il fratello Nello Aliberti, e poi il collaboratore di giustizia, Alfonso Loreto; l’ex vicepresidente dell’Acse, Ciro Petrucci; i cugini Gennaro, Andrea e Luigi Ridosso; l’ex consigliere comunale Roberto Barchiesi; l’ex staffista Giovanni Cozzolino; il ragioniere capo del Comune Giacomo Cacchione; l’ingegnere dell’ente, Nicola Fienga; Giuseppina Ametrano, legale rappresentante de l’Eternità, Alfonso e Catello Cesarano, amministratori della ditta Cesarano Nicola Pompe funebri, all’epoca dei fatti.. Il pm Vincenzo Montemurro della Dda di Salerno che rappresenta l’accusa ha chiesto di effettuare l’incidente probatorio per sei testimoni ritenuti chiave nell’ambito del processo. Si tratta diDiego Chirico (ex assessore), Pasquale Coppola (ex presidente del consiglio comunale, Filippo Sansone (ex amministratore delegato della Copmes), gli imprenditori Fabio e Aniello Longobardi, e la giornalista Valeria Cozzolino dovrebbero – secondo la procura – cristallizzare le loro accuse nella fase preliminare. Il gup si è riservato la decisione rinvio l’udienza al prossimo 26 aprile.

 

Cronache della Campania@2018

Omicidio stradale della salernitana Ilaria Dilillo, dai test emerge che: ‘la mente di Diele è quella di un tossicodipendente cronico’

$
0
0

La struttura della mente di Domenico Diele è quella tipica di un tossicodipendente. E’ quanto sarebbe emerso dai test effettuati un mese fa sull’attore romano accusato dell’ omicidio stradale della salernitana Ilaria Dilillo. Non a caso per avere la certezza della sua dipendenza dalla droga si è deciso un breve slittamento dell’udienza, nell’ambito del processo a carico di Domenico Diele. Fissata in un primo momento per il 23 aprile, davanti al gup del Tribunale di Salerno Piero Indinnimeo, con rito abbreviato, l’udienza ha subito  una proroga di quindici giorni che nasce dalla esigenza di visionare non solo i risultati degli esami tossicologici ma prendere in esame anche i protocolli. E, cioè, rendersi conto di come si sia arrivati a tali risultati.
Presso lo studio del professore Antonello Crisci, mercoledì sera si è tenuto un incontro tra i vari consulenti e i periti nominati dal gup Indinnimeo proprio per discutere il caso e da parte della difesa di Diele è arrivata la richiesta di conoscere anche i protocolli rispetto ai quali sono stati effettuati gli esami tossicologici.
Circostanza ritenuta essenziale da tutti i presenti alla riunione proprio per la delicatezza della vicenda: da qui la necessità di richiedere una proroga di quindici giorni in modo da consentire il deposito dei tabulati dei calcoli ed inserirli in perizia. Intanto i test mentali già effettuati avrebbero accertato come l’imputato abbia la mente di un tossicodipendente cronico. Era stato proprio il giudice Piero Indinnimeo (in seguito alla requisitoria del pm) ad incaricare il professore di medicina legale presso l’Università di Salerno, Antonello Crisci (esperto in psicopatologia forense e psicologia clinica) ed il perito tossicologico Ciro Di Nunzio dell’Università di Catanzaro a stabilire in che misura l’assunzione di stupefacenti avesse condizionato la guida di Diele e fino a che punto l’imputato fosse lucido al momento dell’impatto. Insomma gli effetti provocati dalla droga sull’organismo di Diele tenendo conto che la Cassazione ha stabilito che gli effetti degli stupefacenti variano da soggetto a soggetto.
All’ingegnere Lima, sempre su richiesta del gup, spetta il compito di chiarire la velocità dell’auto di Diele e lo spazio di arresto e frenata rilevato in autostrada e, cioè, il livello di lucidità al momento dell’incidente. A febbraio scorso, il pm Elena Cosentino aveva chiesto per l’attore romano otto anni di reclusione, riconoscendogli solo lo sconto previsto dalla scelta del rito abbreviato: secondo la procura salernitana Domenico Diele, infatti, si è messo alla guida della sua Audi A3 in stato di alterazione psicofisica a causa dell’uso di stupefacenti. Quindi “negligenza, imprudenza, imperizia nonché inosservanza della normativa prevista dal codice della strada”. L’auto di Diele travolse e uccise la quarantottenne salernitana Ilaria Dilillo, in sella al suo scooter lungo la corsia nord dell’autostrada del Mediterraneo nei pressi dell’uscita autostradale di Montecorvino Pugliano.

Cronache della Campania@2018


Omicidio Vassallo, la Procura riapre l’inchiesta: si punta sullo spaccio

$
0
0

Salerno. Bastava un solo indizio per aprire un nuovo fascicolo e continuare ad indagare. Ed ora quell’indizio c’è e c’è anche il nuovo fascicolo. L’omicidio del sindaco di Pollica, Angelo Vassallo, è un caso ancora aperto. Questa eventualità era nell’aria già all’indomani del decreto di archiviazione del primo fascicolo processuale firmato dal Gip Emiliana Ascoli, due mesi fa, con l’archiviazione della posizione dell’unico indagato noto per l’omicidio, Bruno Humberto Damiani. La necessità di ‘archiviare’ formalmente l’indagine era nata per l’impossibilità di ottenere ulteriori proroghe per il delitto avvenuto 8 anni fa. Qualsiasi atto successivo fatto dagli inquirenti sarebbe stato inutilizzabile ai fini di un’eventuale prova. E, dunque, il momentaneo segno di resa. Ma sul delitto Vassallo la Procura di Salerno si gioca una partita importante, in termini di giustizia e credibilità. 
La pista sulla quale si basa il nuovo fascicolo è quella legata allo spaccio di stupefacenti. Un movente più volte emerso nel corso della prima indagine e al centro delle accuse anche nei confronti del ‘brasiliano’ Damiani. La Procura e in particolare il pm Rosa Volpe che anche dopo il suo trasferimento a Napoli non ha mai abbandonato l’indagine hanno selezionato alcuni elementi che ritengono importanti, non ultime le dichiarazioni di alcuni collaboratori di giustizia sia della camorra che della ‘ndrangheta calabrese, oltre ad elementi emersi nel corso della mastodontica indagine seguita dal Ros di Salerno e che sembrano di minore importanza. Sono proprio questi elementi che costituiscono la struttura del nuovo fascicolo. E ancora una volta la pista è quella legata allo spaccio di stupefacenti a Pollica e nella frazione di Acciaroli. Una pista che non è essenzialmente basata sulla responsabilità del delitto legata alla criminalità organizzata e a clan che pure hanno interessi nell’area del Cilento. Nel primo fascicolo d’inchiesta sono sempre stati tenuti ‘segreti’ altri nomi di possibili sospettati, tre in particolare, sui quali si concentrano ora le attenzioni della Procura antimafia di Salerno. L’apertura del nuovo fascicolo è tecnicamente indispensabile per non chiudere negli armadi il caso di Angelo Vassallo. Lo avevano chiesto a gran voce i familiari, organizzando una petizione da inviare al Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, ma anche istituzioni e politici. E l’apertura del nuovo fascicolo d’inchiesta era l’unica soluzione possibile per evitare che sulla morte del sindaco di Pollica cadesse il silenzio della giustizia. Gli elementi ripescati, ripercorrono – sostanzialmente – quelli già noti agli inquirenti, anche se l’attenzione è focalizzata ora in un’unica direzione. Accantonato il movente passionale, quello legato all’imprenditoria spregiudicata che avrebbe voluto mettere le mani sulla perla del Cilento, ma anche quello di dissidi sorti in ambito locali, si punta sullo spaccio di sostanze stupefacenti nel paese affollato nei periodi estivi da migliaia di turisti. 
Per dare una definitiva risposta sui responsabili dell’omicidio avvenuto nel settembre del 2010 ci vorrà ancora del tempo. Si va per esclusione e si accantonano tutti quegli elementi che hanno escluso responsabilità dei sospettati e che hanno portato l’indagine in un vicolo cieco. Si studiano anche le modalità del delitto, eseguito da qualcuno che non può essere definito un killer esperto. Anche l’impossibilità, ormai a 8 anni di distanza di recuperare l’arma del delitto, pesa molto sull’inchiesta. Si riparte, insomma, da alcuni elementi di base, ma il tempo della verità non è vicino. (r. f.)

Cronache della Campania@2018

Portici, minacce ai dipendenti del comuni per sversare i rifiuti: 12 indagati

$
0
0

Minacce per sversare illegalmente rifiuti nell’isola ecologica a Portici . La Procura della Repubblica di Napoli ha chiuso le indagini ed emesso dodici informazioni di garanzia nei confronti di altrettante persone che provenendo da altri comuni, avrebbero minacciato dipendenti comunali dell’isola ecologica in via Farina a Portici (Napoli) per poter sversare rifiuti illegalmente. La Procura ha delegato le indagini ad agenti del Niss (Nucleo investigativo sicurezza sociale) della Polizia Municipale di Portici. I dettagli dell’operazione ‘l’isola dei rifiuti’ saranno resi noti in una conferenza stampa alle 12.00 al comando di Polizia Municipale in via Campitelli. 

Cronache della Campania@2018

Contagiata da sangue infetto, dopo oltre 40 anni i familiari ottengono il risarcimento

$
0
0

Casavatore. Morì nel 2013 a 65 anni per una cirrosi epatica trasformatosi in cancro al fegato, dopo anni di sofferenze per aver contratto nel 1974 l’epatite C, durante un ricovero per una gravidanza agli ospedali Riuniti di Napoli. I familiari hanno ottenuto il risarcimento dallo Stato ed il Ministero della Salute è stato condannato a pagare i danni. La donna di Casavatore era deceduta alla fine del 2013 a 65 anni, dopo una lunga malattia e i familiari hanno deciso di rivolgersi all’avvocato Maurizio Albachiara per ottenere giustizia per quei lunghi anni di sofferenza. Nel 1974 la signora era stata sottoposta ad una trasfusione di sangue agli Ospedali riuniti di Napoli: in quella circostanza – a causa di quel sangue infetto – contrasse l’epatite C. Si accorse della malattia nel 1999 quando fece un controllo occasionale. Da quel momento le sue condizioni di salute sono andate via via peggiorando, fino a quando la malattia si è trasformata in cirrosi eatica e poi in un cancro al fegato. Dopo la sua morte gli eredi hanno avviato la richiesta di risarcimento dei danni. A ottobre del 2014, infatti, la Commissione Medico Ospedaliera di Roma ha accertato il nesso causale tra la malattia epatica e la trasfusione nonché tra l’aggravamento della patologia ed il decesso. L’avvocato Albachiata ha citato in giudizio il Ministero della Salute: dopo la fase istruttoria e l’ammissione dei consulenti tecnici di ufficio pochi giorni fa la VI Sezione del tribunale civile di Napoli – giudice Paola Martorana – ha emesso sentenza in cui condanna il Ministero a risarcire il danno non patrimoniale a favore degli eredi della vittima con una somma di 697mila euro oltre agli interessi, le spese mediche e le spese funerarie. Il Ministero della Salute è stato condannato per l’omessa vigilanza sulle sacche di sangue in quanto aveva l’obbligo di controllo sul sangue umano utilizzato per uso terapeutico. “Ancora una volta è stata fatta giustizia per gli eredi della vittima – sottolinea l’avvocato Albachiara, esperto in casi di malasanità per danni da sangue infetto – anche in questo caso è stata applicata la prescrizione decennale con decorrenza dalla data della morte. Ciò significa che tutti coloro che vogliono agire per vie legali lo possono far entro dieci anni dalla perdita del proprio caro”. 

Cronache della Campania@2018

Camorra, ‘Zagaria e Cesaro? Il pentito dice nefandezze, lo quereliamo’

$
0
0

 

“Ormai attribuire al senatore Cesaro ogni genere di nefandezze e’ diventato il vezzo preferito di taluni pseudo collaboratori di giustizia mossi dalla turpe finalita’ di lucrare vantaggi di vario genere”. Cosi”, in una nota, l’avvocato Vincenzo Maiello, legale del senatore Luigi Cesaro, commenta la dichiarazioni del collaboratore di giustizia Generoso Restina riguardo presunti incontro tra il boss del clan dei Casalesi Michele Zagaria e alcuni politici tra cui il senatore Luigi Cesaro. L’avvocato Maiello rende noto “di avere ricevuto incarico dal senatore Luigi Cesaro di sporgere denuncia nei confronti di Generoso Restina. Pur non conoscendo nel dettaglio le circostanze da lui riferite possiamo gia’ dire che si tratta di dichiarazioni relative a fatti inesistenti, come confidiamo possa emergere presto all’esito della necessaria attivita’ di riscontro che la magistratura non manchera’ di svolgere”. Secondo il legale del senatore Cesaro, “e’ peraltro singolare che questo signor Restina, pur essendo stato ascoltato molte volte nelle fasi delle indagini ed in diversi e distinti dibattimenti, non abbia mai riferito di conoscere un fatto che, ove fosse realmente avvenuto, avrebbe dovuto determinarlo a riferirlo sin da subito”. 

 

Cronache della Campania@2018

Portici, minacce e deleghe false per sversare rifiuti illegali nell’isola ecologica comunale

$
0
0

 

L’hanno chiamata ‘L’isola dei rifiuti’ – parafrasando il titolo del celebre libro di Robert Stevenson ‘L’isola del tesoro’ – l’operazione del Nucleo investigativo di sicurezza sociale (Nis) della Polizia Municipale di Portici che oggi, su delega della Procura della Repubblica di Napoli, ha portato alla luce uno spaccato inquietante nel campo dei reati ambientali. Dodici gli avvisi di chiusura indagini notificati ad altrettanti pregiudicati di Portici  che, con minacce ai dipendenti, pretendevano di sversare abusivamente nell’isola ecologica tipologie di rifiuti quali materiali per edilizia, pneumatici, legno, sfalci di potature, raccolti e trasportati senza alcuna autorizzazione. A dare il via all’inchiesta, che si e’ avvalsa di pedinamenti e intercettazioni ambientali, sono stati esposti verbali e scritti dei dipendenti. Secondo una prassi consolidata, hanno spiegato in conferenza stampa il comandante della Municipale Gennaro Sallusto e il responsabile del Nucleo investigativo sociale tenente Emiliano Nacar, i pregiudicati si presentavano con le deleghe di cittadini che chiedevano il conferimento di rifiuti, rivelatesi ad un successivo controllo tutte false. In alcuni casi, al rifiuto degli addetti al controllo dell’isola ecologica di accettare i conferimenti illegali, i pregiudicati non esitavano a passare alle minacce. Una prima fase delle indagini ha consentito il sequestro dei mezzi impiegati dagli indagati per trasportare i rifiuti. Gli agenti del Nis ne hanno quantificato tonnellate. Per Maurizio Capozzo, assessore comunale alla Sicurezza e’ stata data “l’ennesima prova della capacita’ professionale della Polizia Municipale”. Dei dodici coinvolti nell’inchiesta, cinque hanno precedenti specifici per reati ambientali. Il danno per le casse del Comune e’ quantificabile in svariate migliaia di euro.

Cronache della Campania@2018

Viewing all 6090 articles
Browse latest View live