Quantcast
Channel: Cronaca Giudiziaria
Viewing all 6090 articles
Browse latest View live

Marigliano: fissato il processo per l’avvocato Esposito coinvolto in una turbativa d’asta con il clan Foria

$
0
0

tribunale toga

 E’ stato già fissato per il 10 maggio il processo con il rito abbreviato davanti al gup del Tribunale di Nola a carico dell’avocato di Marigliano, Luigi Esposito accusato di concorso in turbativa d’asta e tentata estorsione. Il professionista è stato arrestato nei giorni scorsi e si trova agli arresti domiciliari perché coinvolto nella vicenda giudiziaria che vede come protagonista il boss di Pomigliano, Nicola Foria e altri due suoi affiliati. L’avvocato secondo l’accusa avrebbe cercato di corrompere un imprenditore del posto che aveva presentato un offerta per acquistare dal fallimento uno stabile che era appartenuto a Salvatore Foria “pellicchiella” storico capoclan della zona e fratello maggiore di Nicola deceduto in carcere nel 2004.

 


Casalesi: tangenti e appalti nei comuni del Casertano, gli indagati negano le accuse

$
0
0

di-muro-biagio-nuova

Negano su tutta la linea gli indagati dell’inchiesta su presunte tangenti e infiltrazioni della camorra negli appalti nei comuni del Casertano. Una indagine che per ora si è concentrata su Santa Maria Capua Vetere e in particolare sul giro di mazzette per la ristrutturazione di un antico palazzo, ma che potrebbe presto estendersi a numerosi altri comuni, come si evince da quello che scrivono i magistrati nel primo dei capi di imputazione, laddove si ipotizzano “rapporti di tipo corruttivo con esponenti politici locali, in prevalenza sindaci del Casertano”. Ieri era stato l’ex sindaco di Santa Maria Capua Vetere Biagio Di Muro a negare con decisione di aver ricevuto somme di denaro per favorire l’aggiudicazione dell’appalto a due imprese grazie a una gara ritenuta truccata. Oggi è stato il turno degli interrogatori di garanzia per altri destinatari delle ordinanze di custodia eseguite martedì scorso da carabinieri e Guardia di Finanza. L’imprenditore Marco Cascella, agli arresti domiciliari, ascoltato dal gip Anna Laura Alfano ha negato tutti gli addebiti contestati nel provvedimento restrittivo, che sono di concorso in corruzione e turbativa d’asta. Assistito dall’avvocato Sebastiano Fusco, l’imprenditore – amministratore di una società che ha si è occupata della ristrutturazione dello storico palazzo Teti Maffuccini a Santa Maria Capua Vetere – ha in particolare sostenuto di non essere a conoscenza di tangenti versate all’ex sindaco Di Muro, al dirigente del settore Lavori pubblici Roberto Di Tommaso, e ad Alessandro Zagaria, che i magistrati ritengono “trait d’union” tra politici, amministratori e il clan dei Casalesi. Tangenti per complessivi 100mila euro, secondo la quantificazione fatta dagli investigatori. Cascella ha anche negato di aver concorso nel realizzare la “provvista” attraverso l’emissione di false fatture. Il suo difensore ha sottolineato, tra l’altro, che l’imprenditore viene chiamato in causa nella vicenda da intercettazioni telefoniche in cui lui non compare mai ma vi si fa riferimento solo indirettamente. Roberto Di Tommaso, finito martedì scorso anch’egli ai domiciliari, assistito dall’avvocato Giuseppe Stellato, ha ammesso di conoscere Alessandro Zagaria, il 30enne imprenditore che opera nel settore della ristorazione, – nei cui confronti è stata eseguita una ordinanza in carcere – indicato come personaggio chiave dell’inchiesta: secondo i magistrati della Direzione distrettuale antimafia avrebbe avuto legami con il clan del boss Michele Zagaria (solo omonimo) interfacciandosi con politici e amministratori locali. I suoi contatti, che sarebbero stati documentati dai carabinieri, con il presidente del Pd Campania e consigliere regionale Stefano Graziano, hanno portato all’emissione di un avviso di garanzia nei confronti del politico per concorso esterno in associazione mafiosa. Oltre agli incontri, gli inquirenti avrebbero intercettato alcuni contatti telefonici – conversazioni o sms – tra i quali anche espressioni di ringraziamento dell’esponente del Pd per il sostegno elettorale garantitogli da Zagaria. Circostanze che hanno indotto gli inquirenti ad ipotizzare che Graziano abbia rappresentato ”uno stabile punto di riferimento politico” per il clan che in cambio avrebbe offerto l’appoggio alle elezioni regionali del marzo 2015. “Ho conosciuto Zagaria in Comune – ha spiegato Di Tommaso – ma con lui non ho mai avuto alcun tipo di rapporto, neanche di lavoro”. Il funzionario, responsabile fino a due giorni fa dell’ Ufficio Tecnico comunale, ha poi contestato la ricostruzione della Dda di Napoli circa la gara per i lavori di Palazzo Teti Maffuccini; un appalto che secondo gli inquirenti sarebbe stato aggiudicato a due imprese vicine al clan, grazie alle mediazione di Zagaria, dietro il pagamento di tangenti per complessivi 100mila euro, 70 dei quali sarebbero andati proprio a Di Tommaso e all’ex sindaco Di Muro. “Non ho mai preso alcuna tangente – ha detto il dirigente – la procedura è stata regolare, sia nella scelta dei componenti della commissione, che nell’ aggiudicazione”. Intanto prosegue l’attività investigativa. In procura si è svolto oggi un incontro per fare il punto sulle indagini tra il procuratore aggiunto Giuseppe Borrelli e i sostituti della Dda Maurizio Giordano, Gloria Sanseverino, Luigi Landolfi e Alessandro D’Alessio. E la Guardia di Finanza ha acquisito presso il ministero dell’Interno la documentazione relativa al finanziamento per il restauro di palazzo Teti Maffuccini, per il quale si attivò Graziano.

Scafati, estorsione al bar Dodo: Adini e Alfano condannati a 5 anni e mezzo di carcere

$
0
0

scafati bar dodo con alfano e adini

Carmine Alfano e Marcello Adini sono stati condannati entrambi a cinque anni e mezzo di reclusione accusati dell’attentato esplosivo che nel luglio dello scorso anno mandò in frantumi una vetrata del bar Dodo facendo saltare la saracinesca. La sentenza di condanna è stata emessa ieri pomeriggio dal giudice dell’udienza preliminare Ubaldo Perrotta, al termine di un rito abbreviato in cui il difensore Francesco Matrone ha fatto leva tra l’altro sull’offerta di risarcimento del danno depositata dagli imputati. La pena decisa dal gup è inferiore di poco alle richieste del pubblico ministero Giancarlo Russo, che voleva sette anni per Alfano (figlio di Gennaro soprannominato bim-bum-bam) e sei per Adini, entrambi accusati di tentata estorsione aggravata dal metodo mafioso. Quando a settembre furono arrestati dai carabinieri del reparto territoriale di Nocera Inferiore, nei loro confronti emerse subito un quadro accusatorio pesante. Gli inquirenti avevano ricostruito una serie di minacce subìte tra il giugno e l’agosto del 2015 da titolare e dipendenti del noto bar del centro commerciale Plaza, intimidazioni di chiaro stampo camorristico con cui Alfano e Adini avrebbero cercato di convincere l’imprenditore al versamento di una tangente mensile di 3mila euro. L’esplosione della bomba carta, avvenuta nella notte tra il 25 e il 26 luglio dinanzi a uno degli ingressi del locale, fu il culmine di quei tentativi estorsivi. Erano le tre di notte quando i residenti furono svegliati dal boato, e ai carabinieri bastò pochissimo per capire che l’episodio andava inserito nell’orbita del racket. Un’ipotesi subito confermata dalla visione dei filmati delle telecamere di videosorveglianza, che avevano ripreso il momento in cui l’ordigno veniva posizionato davanti alla saracinesca. Le indagini consentirono poi di risalire ad altri episodi estorsivi, tra cui la consegna al gestore di un bar di un “pizzino” con la richiesta della tangente. Anche in quel caso sarebbero stati Alfano e Adini ad avvicinarlo, raggiungendolo mentre era a bordo della sua auto. Un’escalation di intimidazioni che pare avesse indotto la vittima a prolungare le ferie estive, lasciando chiuso il locale più a lungo di quanto non fosse stato programmato all’inizio. Un incubo conclusosi quando agli inizi di settembre i due scafatesi furono arrestati, prima perché sorpresi in possesso di una pistola con matricola abrasa e, una settimana dopo, in esecuzione dell’ordinanza cautelare che li individuava come i responsabili dell’attentato al bar Dodo.

(nella foto il bar Dodo e nei riquadri Carmine Alfano e Marcello Adini)

Morte al Ruggi, sparisce il reperto ‘chiave’ per la morte di Palma Casanova. Sostituiti i primari dei reparti

$
0
0

ospedale ruggi

Strani. Sparisce dall’ospedale il reperto biologico prelevato nel corso dell’intervento d’urgenza per salvare Palma Casanova, trasferiti i dirigenti delle unità operative nelle quali la donna di Atrani è stata ricoverata. Indagini serrate sul caso della 56enne ora venerdì a tre giorni dall’intervento, in laparoscopia, di cisti ovarica. I carabinieri del Nas, guidati da Gianfranco Di Sarno, stanno cercando il tratto di intestino – presumibilmente perforato – asportato in sala operatoria nel corso dell’intervento d’urgenza di venerdì scorso. Il ‘sigma’ cioè il tratto intestinale prelevato alla donna e consegnato dall’anestesista della sala operatoria ad un ausiliario della Rianimazione, per essere conservato e messo a disposizione dei periti e degli inquirenti è introvabile. Questo reperto doveva finire in un contenitore sanitario e messo in frigorifero in attesa di essere portato in laboratorio il lunedì mattina. Ma quando Perito e inquirenti lo hanno cercato lunedì mattina non è stato trovato. Il pm Elena Guarino è alla ricerca dei responsabili della sparizione che si configura come un vero e proprio occultamento di prove. Sul fronte interno al Ruggi, intanto, c’è stato un giro di vite a proposito del caso di Palmina Casanova. Negli uffici amministrativi dell’ospedale è vi è stata una riunione straordinaria della commissione d’inchiesta costituita da periti e personale ospedaliero (Antonello Crisci, Angelo Gerbasio e Giovanni Genovese) i quali hanno sentito l’anestesista presente in sala operatoria nel secondo intervento, quello di venerdì sera, e che ha consegnato il reperto all’ausiliario. Primo atto del commissario straordinario è stata la rimozione del primario della Anestesia, Romualdo Cirillo, al suo posto, in via provvvisoria, nominato Renato Gammaldi. Rimosso anche il direttore del reparti Donne età evolutiva, quale presidente della commissione di disciplina area dirigenza medica sostituito da Giancarlo Accarino, direttore dipartimento Chirurgie generali. Intanto i carabinieri del Nas, hanno sentito alcune persone informate sui fatti per circoscrivere le responsabilità di medici e paramedici. Cinque i medici identificati al Ruggi di Salerno, tre ginecologi, un anestesista e un medico della chirurgia d’urgenza, altri sette all’ospedale di Castiglione di Ravello dove Palmina Casanova è stata portata per i forti dolori all’addome, venerdì mattina, prima di ritornare al Ruggi. 

Clan Mariano: i fratelli Ciro e Marco si difendono in aula e chiedono lo sconto di pena

$
0
0

clan_mariano

Come aveva promesso ha parlato, per oltre un’ora il boss Marco Mariano. Lo ha fatto ieri in video conferenza nell’aula bunker del carcere di Poggioreale. Il “Picuozzo” dei quartieri Spganoli è imputati con altri 94 nel maxi processo al clan. Ci sono i suoi familiari, il fratello Ciro, la moglie, i  nipoti,amici e lui ha voluti difendere tutti. Marco Mariano ha preso la parola e ha voluto spiegare al gip Rosa Miranda:  “A casa mia si parlava di somme di danaro ma si tratta di un debito di 500mila euro che avevo contratto con una persona di famiglia. La provenienza di quei soldi non è regolare, è vero ma non sono soldi di natura illecita. Mi sono stati dati da una persona cara ed io ho reinvestito. Ma non è denaro che arriva dall’associazione ca morristica che mi contestate, né finiva all’associazione che mi contestate… Mia moglie? Lei non c’entra niente. In alcune conversazioni si parla di  conteggio di soldi ma lei non fa nessun conteggio, i conteggi li faccio io e non gestiva proprio nulla. Si fa riferimento spesso ai “carusielli” ma non hanno niente a che vedere con me. Giorno per giorno si conservano soldi come in un salvadanaio e a fine anno ti trovavi dei soldi e potevi comprare un motorino, una macchina”. Poi il boss ha difeso anche i nipoti: “Non ho mai avuto a che fare con loro. Hanno sempre lavorato per conto loro. Con Fabio, per esempio, non ho mai avuto rapporti commerciali come si sostiene. Lavorava da quando aveva 12 anni. Per incontrarlo dovevi andare a casa perché la notte “faticava” e di giorno dormiva. Lavorava solo. La famiglia della madre, i Tecchio, hanno sempre lavorato. Per tradizione di famiglia. Noi non teniamo soldi nascosti, non sfrecciamo in auto lussuose”. Dopo di lui ha preso la parola il capo del clan il fratello Ciro che ha reso però dichiarazioni spontanee in relazione al rito abbreviato che intende fare. E rivolgendosi alla pubblica accusa ha detto: “Chiedete al pentito La Torre se io avevo a che fare con le mozzarelle”.Riferendosi alle accuse di estorsioni del clan: latticini im- posti ai negozianti e a prezzi di mercato molto più alti e riciclaggio.Poi ha chiesto di essere processato con abbreviato ma condizionato all’escussione del pentito Maurizio Overa.La prossima udienza ci sarà il 4 maggio e in quell’occasione il gup sceglierà se accettare o meno i riti abbreviati condizionati mentre definirà le richieste di rinvio a giudizio. Hanno scelto il rito abbreviato tutti i Mariano e quasi tutti gli imputati che attualmente sono in carcere. In totale sono 45 mentre altri 40 vogliono il rito ordinario.

Nola, inchiesta Sma: assolto Barone, condannato Mercogliano a processo gli altri 16

$
0
0

saverio barone

E’ stato “Assolto per non aver com- messo il fatto”,  il presidente del consiglio comunale di Nola, Saverio Barone accusato di abuso di ufficio in concorso, per presunti illeciti commessi tra il 2012 e il 2013. Lo ha deciso ieri il gup del Tribunale di Nola, Giuseppe Sepe, che ha condannato invece ad un anno e quattro mesi, oltre che al pagamento delle spese processuali,  ’imprenditore Antonio Mercogliano, coinvolto nell’inchiesta riguardante i lavori di manutenzione dei Regi Lagni. I due avevano scelto il rito abbreviato mentre sono stati rinviati a giudizio gli altri  16 indagati che hanno scelto il rito ordinario e che saranno ascoltati in prima udienza il prossimo 26 settembre. L’inchiesta della Procura di Nola arrivata a Processo riguardava una serie di illeciti avvenuti tra il 2012 e il 2013 nei quali si sarebbero resi responsabili amministratori e dirigenti del Comune di Nola e funzionari della Sma, la partecipata della Regione Campania che si occupa di bonifiche e tutela ambientale sull’intero territorio regionale.

Giugliano: la Dda chiede circa 200 anni di carcere per il clan Mallardo

$
0
0

o-malato-clan-mallardo-660x330

Si è tenuta stamattina, davanti al gip Claudio Marcopido del Tribunale di Napoli, la requisitoria per coloro che sono imputati nell’operazione eseguita lo scorso gennaio contro il clan Mallardo. Il pm della Dda Maria Cristina Ribera ha formulato le richieste di condanna che vanno dai 3 anni ai 20 chiesti per il boss Vincenzo ‘o Malato. Tra i reati contestati a vario titolo ci sono: associazione di stampo mafioso, estorsione, truffa, ricettazione, violenza privata, minaccia, falsità materiale commessa dal pubblico ufficiale in atti pubblici e false dichiarazioni o attestazioni in atti destinati all’autorità giudiziaria, turbativa d’asta. Nel mirino degli uomini del Gico, Gruppo investigazione criminalità organizzata, l’ala “militare” del clan, che per gli inquirenti era capeggiata da Vincenzo D’Alterio, Giuseppe Ciccarelli e Giuliano Pianese (quest’ultimo formalmente dipendente della Asl Napoli 2 Nord), che, “mediante l’intimidazione mafiosa, avrebbero controllato il territorio sulla fascia costiera dell’area settentrionale di Napoli (Varcaturo, Lago Patria e Licola)”. Alcuni degli arrestati sono tutt’ora in carcere, mentre altri, tra cui il medico dell’Asl Perrino, fu scarcerato dal Riesame.

ECCO TUTTI I NOMI DEGLI IMPUTATI

1. Vincenzo D’Alterio residente a Giugliano – detenuto – (difeso dall’avvocato Alfonso Palumbo) chiesti 20 anni

2. Davide Barbato residente a Giugliano – ai domiciliari – (difeso dall’avvocato Antonio Russo)

3. Giuseppina Basile residente a Giugliano (difesa dall’avvocato Giovanni Guariniello)  chiesti 5 anni

4. Marco Carrella residente a Giugliano – detenuto – (difeso dagli avvocati Libero Mancuso e Francesco Casillo) chiesti 12anni 

5. Ernesto Cecere residente a Giugliano (difeso dall’avvocato Domenico Pennacchio)

6. Gaetano Cecere residente a Giugliano (difeso dall’avvocato Luigi Canta)  chiesti 6 anni

7. Assunta Ciccarelli residente a Giugliano (difesa dagli avvocati Gennaro Lepre e Marco Guaglianone) chiesti 6 anni

8. Francesco Ciccarelli residente a Giugliano (difeso dagli avvocati Gennaro Lepre e Marco Guaglianone) chiesti 8 anni

9. Giuseppe Ciccarelli residente a Giugliano – detenuto – (difeso dagli avvocati Paolo Trofino e Marco Sepe) chiesti 18 anni

10. Silvestro Ciccarelli residente a Giugliano (difeso dagli avvocati Gennaro Lepre e Marco Guaglianone) chiesti 8 anni

11. Biagio D’Alterio residente a Giugliano (difeso dall’avvocato Matteo Casertano)

12. Giovanna D’Alterio residente a Giugliano (difesa dall’avvocato Alfonso Palumbo)  chiesti 8 anni

13. Giuseppe D’Alterio del 1960 residente a Giugliano (difeso dall’avvocato Matteo Casertano)  chiesti 16 anni

14. Giuseppe D’Alterio del 1974 residente a Giugliano – detenuto – (difeso dagli avvocati Alfonso Palumbo e Claudio Botti)

15. Umberto D’Alterio residente a Giugliano (difeso dall’avvocato Matteo Casertano)

16. Isabella Damiano residente a Pozzuoli (difesa dall’avvocato Alfonso Palumbo)  chiesti 6anni

17. Monica De Carlo residente a Napoli (difesa dall’avvocato Lello Della Pietra)

18. Salvatore De Carlo residente a Pozzuoli (difeso dagli avvocati Anna Catapano e Lello Della Pietra)

19. Domenico di Lorenzo residente a Giugliano (difeso dall’avvocato Giovanni Guariniello)

20. Giuliano Di Lorenzo residente a Napoli – detenuto – (difeso dagli avvocati Anna Catapano e Lello Della Pietra) chiesti 18 anni

21. Giuseppina Di Lorenzo domiciliata a Giugliano (difesa dall’avvocato Anna Savanelli)  chiesti 3 anni

22. Teresa di Lorenzo residente a Giugliano (difeso dall’avvocato Anna Savanelli)  chiesti 5 anni

23. Francesco Di Nardo residente a Giugliano (difeso dall’avvocato Antonio Dell’Aquila)  chiesti 3 anni

24. Luigi Felace residente a Mugnano (difeso dall’avvocato Giovanni Guariniello)

25. Michele Felace residente a Giugliano (difeso dall’avvocato Giovanni Guariniello)

26. Teresa Felace residente a Giugliano (difesa dall’avvocato Alfonso Palumbo)  chiesti 8 anni

27. Anna Galluccio residente a Villaricca (difesa dall’avvocato Bibiana Marsilia)  chiesti 5 anni

28. Antonietta Granata residente a Giugliano (difesa dall’avvocato Salvatore Cacciapuoti)

29. Felice Granata residente a Giugliano – ai domiciliari – (difeso dall’avvocato Antonio G. Russo)

30. Stefania Granata residente a Giugliano (difesa dall’avvocato Salvatore Cacciapuoti)

31. Anna Incarnato residente a Brusciano (difeso dall’avvocato Giovanni Guariniello)

32. Raffaele Incarnato residente a Napoli (difeso dall’avvocato Giovanni Guariniello)

33. Aureliano Iovine residente a Napoli (difeso dall’avvocato Carla Maruzzelli)

34. Sabrina Iovine residente a Mogliano Veneto (difeso dall’avvocato Marco Muscariello)

35. Marco La Volla residente a Villaricca (difeso dall’avvocato Antonio Dell’Aquila)  chiesti 12 anni

36. Luigi Mauriello residente a Giugliano (difeso dall’avvocato Nunzio Mallardo)  chiesti 8 anni

37. Antonio Morrone residente a Castelvolturno (difeso dall’avvocato Giuseppe Pirozzi)

38. Pasquale Parisi residente a Giugliano (difeso dall’avvocato Pasquale Pianese)

39. Gennaro Perrino residente a Vico Equense (difeso dagli avvocati Arturo Frojo e Errico Frojo)

40. Antonio Pianese residente a Giugliano (difeso dagli avvocati Guastavo Pansini e Antonio Dell’Aquila)  chiesti 12 anni

41. Giuliano Pianese residente a Villaricca (difeso degli avvocati Gustavo Pansini e Antonio Dell’Aquila)

42. Marilena Pianese residente a Villaricca (difeso degli avvocati Gustavo Pansini e Antonio Dell’Aquila)  chiesti 10 anni

43. Luigi Puca residente a Sant’Antimo (difeso dall’avvocato Giovanni Guariniello)

44. Claudio Radente residente a Giugliano (difeso dall’avvocato Giuseppe Pellegrino)  chiesti 8 anni

45. Raffaele Sebillo residente a Quarto (difeso dall’avvocato Davide Valenziano)

46. Gaetano Stanzione residente a Pozzuoli (difeso dall’avvocato Angelo Vignola)

47. Anna Taglialatela Scafati residente a Giugliano (difeso dall’avvocato Umberto Perga)

48. Ciro Topo residente a Giugliano (difeso dall’avvocato Antonio Piantadosi)

49. Giovanni Topo residente a Giugliano (difeso dall’avvocato Angelo Vignola e Antonio Piantadoti)

50. Maria Teresa Topo residente a Giugliano (difeso dall’avvocato Salvatore Impradice)

(fonte teleclubitalia.it)

Morte al Ruggi, il reperto ‘chiave’è stato incenerito: nuove accuse per medici e infermieri coinvolti

$
0
0

palmina casanova

SALERNO. E’ finito nei rifiuti speciali e incenerito il ‘sigma’ prelevato a Palmina Casanova, la 56enne di Atrani, morta per un sospetto caso di malasanità. La prova ‘madre’ per accertare se vi è stata negligenza dei medici nel corso dell’intervento chirurgico per cisti ovarica, fatto con la tecnica della laparoscopia, non esiste più. Lo hanno scoperto gli uomini del Nas del Capitano Gianfranco Di Sario, nel corso delle indagini delegate dal sostituto procuratore Elena Guarino. E quindi per coloro che ‘volontariamente’ o con ‘dolo’ hanno inviato il reperto presso la ditta che si occupa di smaltimento dei rifiuti speciali dell’ospedale si profila l’accusa di favoreggiamento. Un fascicolo parallelo a quella per la morte di Palmina Casanova è stata aperto dal magistrato che – grazie alle indagini del Nas – ha ricostruito i passaggi che hanno portato alla distruzione del reperto, uscito dalla sala operatoria nel corso dell’intervento chirurgico in extremis per salvare la donna, ed è stato consegnato ad un infermiere per essere archiviato in attesa di essere consegnato ai periti. Il pm ha anche fatto acquisire l’atto con il quale il commissario dell’azienda ospedaliera, Nicola Cantone, ha motivato la decisione di revocare dall’incarico il primario del Reparto di Rianimazione. Accertato che il reperto è stato già incenerito, i carabinieri del Nas cercano di ricostruire quanto accaduto tra il primo intervento in laparoscopia e la morte di Palmina Casanova, attraverso l’analisi delle cartelle cliniche sia del Ruggi che dell’ospedale Castiglione di Ravello dove la donna è transitata, venerdì scorso, prima di essere trasportata a Salerno dove è morta. La notifica degli avvisi di garanzia è iniziata ieri pomeriggio, per consentire agli inizi della prossima settimana l’esecuzione dell’autopsia. 


Morte della piccola Fortuna: due inquiline indagate per false dichiarazioni. L’orco si difende: “Non l’ho uccisa io”

$
0
0

Domenica Guardato, 27 anni, madre di Fortuna. 6 anni,  mostra una foto della figlia di 6 anni ritrovata morta davanti al suo palazzo a Caivano e che - secondo l'autopsia - ha subito abusi sessuali, 15 ottobre 2014. ANSA / CIRO FUSCO

Due inquiline del “palazzo degli orrori” di Parco Verde di Caivano , dove viveva la piccola Fortuna Loffredo, uccisa a sei anni lo scorso 24 giugno 2014, sono indagate dalla Procura di Napoli Nord per l’ipotesi di reato di false dichiarazioni rese all’autorità giudiziaria. Fra le persone indagate – si apprende da fonti vicine all’inchiesta – vi è la donna che gli investigatori ritengono abbia raccolto la scarpa persa da Fortuna al momento della morte. La donna raccontò agli investigatori che, il giorno della morte di Fortuna, era rimasta seduta tutta la mattina fuori alla porta di casa perché faceva caldo e di non aver visto passare la bimba, né tantomeno Caputo. Qualche giorno dopo però la donna venne intercettata nella sua abitazione mentre parlava con il figlio. “L’ho buttata io la scarpa, non lo voglio dire a nessun ‘u fatt ra scarpetella’, perché qua sono venute le guardie”, diceva, riferendosi al sandalo di Fortuna, perso durante la caduta dall’ottavo piano del palazzo e che – secondo la ricostruzione degli investigatori – lei aveva ritrovato e fatto sparire per non essere coinvolta nelle indagini. Tra gli elementi raccolti dagli investigatori nell’inchiesta che ha portato ieri all’arresto di Raimondo Caputo, 43 anni, accusato di aver violentato e ucciso la piccola Fortuna Loffredo, di 6 anni, il 24 giugno 2014, nel Parco Verde di Caivano, non ci sono tracce di Dna. Lo si apprende da fonti investigative. In un’intercettazione allegata all’ordinanza di custodia cautelare a carico di Caputo, quest’ultimo, mostrandosi preoccupato e riferendosi a Fortuna, dice: “Vuoi vede che là sopra c’è il sudore mio”. “Non ho ucciso Fortuna, non ero lì quando lei è caduta, né ho mai commesso abusi sessuali”: si è difeso così, stamani, nell’interrogatorio di garanzia davanti al gip, Raimondo Caputo, L’interrogatorio – si apprende a palazzo di giustizia – è stato condotto dal Gip Alessandro Buccino Grimaldi; presente il pm di Napoli Nord Claudia Maone. Caputo, che ieri aveva dato segni di cedimento al momento della notifica dell’ordinanza, in carcere, dove era già detenuto per violenza sui figli della sua convivente, oggi – si apprende sempre da fonti giudiziarie – ha ribadito la linea tenuta in questi due anni di indagini, ed è tornato a essere la persona che il gip descrive nell’ordinanza come “caparbio” nell’ostacolare l’attività investigativa. Nell’interrogatorio, che si è svolto nel carcere di Poggioreale e non si è protratto a lungo, Caputo ha respinto tutte le accuse e ha ribadito le posizioni tenute nel corso delle indagini, coordinate dal Procuratore Aggiunto Domenico Airoma. In particolare ha detto di non trovarsi nel luogo dove è morta Fortuna, di essere “un buon padre” e di “non aver commesso mai niente”.

Scampia, processo ai clan Abete-Abbinante-Vanella Grassi e ai Leonardi-Marino. Tutti i 50 imputati

$
0
0

Il boss latitante Umberto Accurso

Sono in cinquanta tra boss e gregari dei clan Abete-Abbinante-Nottuno e della Vanella Grassi che il 5 maggio prossimo compariranno in aula davanti al giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Napoli. Sono stati i pm Maurizio De Marco e Vincenzo Marra della Dda di Napoli a chiedere il rinvio a giudizio degli indagati contestando loro le accuse di associazione di tipo mafioso, traffico di droga e armi e il tentato omicidio del ras Giovanni Esposito ‘0 muort avvenuto nel luglio del 2012. In 32  dovranno difendersi dall’accusa di aver fatto parte del clan Leonardi visto che l’accusa si basa sulle dichiarazioni del boss, ora pentito, Giovanni Leonardi e dei suoi figli Alfredo, Felice e Giovanni. Il gruppo che diede vita alla terza faida di Scampia nel 2012 con i Leonardi-Marino e quella della Vanella Grassi da una parte e gli Abete-Abbinante-Notturno dall’altra.

Ecco l’elenco degli indagati

 

ANTONIO LEONARDI (PENTITO)

FELICE LEONARDI (PENTITO)

ALFREDO LEONARDI (PENTITO)

ANTONIO MENNETTA

ANGELO MARINO

ANTONIO DI GENNARO

GENNARO IORIO

EMANUELE DI GENNARO

CIRO MILONE

ROSARIO GUARINO (PENTITO)

GIANLUCA GIUGLIANO (PENTITO)

FRANCESCO BARONE

ROBERTO MANGANIELLO

ALFONSO VANACORE

SALVATORE BARBATO

MARCO ESPOSITO

FRANCESCO STRAZZULLI

SALVATORE CAPALDO

GAETANO RICCIO

CARMINE BATTAGLIA

SALVATORE CAPUTO

ANTONIO LUCARELLI

MICHELE SILVESTRO

SALVATORE PIEDIMONTE

VINCENZO DATI

SALVATORE AURILIO

VINCENZO AURILIO

GENNARO MAGELLI

VINCENZO ESPOSITO

GAETANO PARZIALE

ANTONIO ALTERA

ANTONIO MAROTTA

VITTORIO MAROTTA

PIETRO MAOLONI

ACCURSO UMBERTO

ARCANGELO ABBINANTE

LUCA DELL’ANNUNZIATA

GIOVANNI VITALE

ANTONIO MINCIONE

VALERIO CAIAZZO

SALVATORE DELL’AVERSANA

RAFFAELE MINCIONE(1972)

RAFFAELE MINCIONE (1985)

NICOLA MINCIONE

PASQUALINA MINCIONE

GIUSTINA MARCHESA

CARMINE ANNUNZIATA (PENTITO)

GAETANO ANNUNZIATA (PENTITO)

ADRIANO SELVA

GIUSEPPE MINICHINI

 

(nella foto il boss latitante Umbeto Accurso)

Camorra:indagini anche sul finanziamento di una rassegna a S.Maria C.V.

$
0
0

comune-santa-maria-cv

Non solo il restauro dell’antico Palazzo Teti Maffuccini, ma anche il finanziamento di una rassegna di eventi promozionali (“La Città Sotto la Città”), per il quale la Regione Campania stanziò un finanziamento con fondi europei di 247mila euro, è entrato nelle indagini della Dda di Napoli sugli appalti e le presunte collusioni con clan dei Casalesi a Santa Maria Capua Vetere. Un’inchiesta che ha portato nei giorni scorsi, tra l’altro, all’arresto dell’ex sindaco della città sammaritana, Biagio Di Muro nonché al coinvolgimento (per la sola vicenda del restauro del palazzo) del presidente del Pd Campania (autosospeso) e consigliere regionale Stefano Graziano, indagato per concorso esterno in associazione mafiosa. E’ quanto emerge dal rapporto dei carabinieri di Caserta depositato agli atti dell’indagine dei magistrati dell’Antimafia partenopea. Per gli investigatori, gli interventi per favorire l’erogazione dei fondi da parte della Regione servono principalmente per documentare i rapporti, anche indiretti, del sindaco dell’epoca con Alessandro Zagaria, imprenditore ritenuto legato al clan dei Casalesi, finito in carcere nell’ambito della stessa inchiesta con l’accusa di 416 bis. Gli inquirenti evidenziano infatti in particolare i rapporti di Di Muro con una parente di Zagaria, Maria Rosaria Madonna (non indagata nell’inchiesta), destinata a ricoprire la carica di direttrice artistica della manifestazione. La donna è risultata “ben collegata con esponenti politici regionali, tra i quali l’ex assessore regionale al Turismo Pasquale Sommese (anch’egli non indagato, ndr), del Nuovo Centrodestra”. Dalle intercettazioni emerge che la donna “era stata già designata dal sindaco prima ancora della pubblicazione del bando di gara da parte del Comune (pubblicato nel settembre 2015)”. Madonna, sottolineano i carabinieri, “si era impegnata affinché la Regione concedesse il finanziamento interessando direttamente Sommese e fissando con questi un incontro al quale parteciperà, oltre che la stessa Madonna, Biagio Di Muro. Appare ovvio che dietro tale interessamento Madonna sarà ricompensata con la nomina a direttrice artistica della manifestazione”. Le intercettazioni documentano la contrarietà alla nomina da parte di un assessore e un geometra del Comune “ritenendola non scaturita da un accordo politico”. “Tuttavia entrambi – si legge nel rapporto dei carabinieri – convengono che la nomina sia avvenuta soltanto perché la donna è vicina al sindaco e quindi non possono far altro che condividerne la scelta anche se contrari”. Madonna, che per un breve periodo era stata sindaco di Casal di Principe e lo scorso anno si era candidata nella lista a sostegno di Caldoro presidente-Nuovo Psi, secondo quanto accertato dagli investigatori aveva perorato presso Sommese l’interessamento del Comune al finanziamento già nel settembre 2014. Prima quindi “della graduatoria di merito proposte dai comuni, il politico “de quo” le avrebbe assicurato l’esito favorevole di quanto richiesto, specificando di aver ottenuto il massimo del finanziamento”. Ciò verrebbe alla luce da una telefonata tra Madonna e Di Muro (del 10 settembre 2014) durante la quale la donna avverte il sindaco che “è tutto ok, è 1.12” spiegando che si devono prima vedere loro due e poi andare insieme da Pasquale dopo il 20 ottobre.

Napoli: 12 condanne per la cricca dei falsi ciechi e falsi invalidi che hanno truffato l’Inps per anni

$
0
0

aula tribunale

Dodici condanne e un’assoluzione nel processo a carico dei presunti falsi ciechi e finti pazzi di Chiaia e Santa Lucia a Napoli che hanno percepito per anni rimborsi e pensioni di invalidità dall’Inps. Il giudice Concetta Cristiano della quarta sezione penale ha condannato a quattro anni di reclusione, più interdizione per cinque anni dai pubblici uffici Fernando Medici, funzionario dell’ufficio Invalidi civili della Municipalità, considerato uno dei personaggi chiave della cricca, e a tre anni e sei mesi di reclusione per Aniello Danaro, per il quale è stato escluso il ruolo di promotore. Gli latri ovvero i presunti beneficiari delle pensioni erogate per false invalidità sono stati condannati a due anni di carcere. Si tratta di Carlo Avolio, Giovanna Cascella, Anna Crispino, Maria Rosaria Romeo, Carmela Pipolo, Michele Spaventa, Anna De Gais e Stefania Rizzo. Mentre Maria Bernardo e Ciro Rispoli sono stati assolti per prescrizione da alcuni capi di imputazione e condannati per altri a un anno e sei mesi più 600 euro di multa.Assolto infine l’ex dipendente delle Poste, Nicola Cautero: per lui il pubblico ministero aveva invocato la condanna a otto anni e quattro mesi di reclusione, i giudici lo hanno assolto ribaltando l’impostazione accusatoria che poggiava per la gran parte sulle accuse di Salvatore Alajo, ex consigliere della Municipalità Chiaia, personaggio chiave dell’inchiesta napoletana sui falsi invalidi indicato a capo della cricca che truffava l’Inps e che, assieme ad Angelo Sacco all’epoca dei fatti dirigente della I Municipalità, sarebbe stato il deus ex machina di quella burocrazia che fabbricava pensioni in cambio di voti e consenso elettorale.

Sequestrati 3, 5 milioni di euro ad Antonio “Billy” cassiere del clan Cesarano ed esperto di piante e fiori di un serial Tv

$
0
0

antonio esposito makeover

Da questa mattina i carabinieri del nucleo investigativo di Castello di Cisterna stanno eseguendo un provvedimento di sequestro, emesso dal tribunale di Napoli – sezione per l’applicazione delle misure di prevenzione, nei confronti di Antonio Esposito, detto “Billy”, 51 anni, ritenuto cassiere del clan Cesarano. I sequestri stanno avvenendo nei comuni di Castellammare di Stabia, Pompei e Boscoreale, nel Vesuviano, e in quello di di Nocera Inferiore. L’esecuzione della misura di prevenzione (personale e patrimoniale), si legge in una nota, si fonda sui fatti emersi nel corso delle numerose indagini – molte delle quali giunte sino a sentenze di condanna – che hanno segnato la storia della criminalità organizzata in Campania e nelle quali è stato evidenziato l’inserimento di Antonio Esposito nella compagine camorristica del clan “Cesarano”. Per gli inquirenti Esposito aveva lo specifico compito di sovraintendere agli interessi del clan nel settore del commercio dei fiori. Tesi avvalorata da alcuni collaboratori di giustizia. Il suo stabile inserimento nell’organizzazione criminale è stato riferito anche da diversi collaboratori di giustizia che lo hanno indicato come il ‘cassiere del clan’. A lui venivano consegnati i proventi delle attività delittuose, a lui spettava poi la consegna degli stipendi agli affiliati, pagare gli avvocati, i detenuti e curare la contabilità del clan. Il tribunale dunque concordando con l’attività d’indagine dei militari dell’Arma e accogliendone la richiesta ha disposto il sequestro di un’impresa individuale con sede a Castellammare di Stabia (con un volume d’affari di circa 200mila euro annui); 4 unità abitative (del valore totale di circa 1.850.000 euro); un solarium allestito nella sua abitazione (valente circa 50mila auro); 19 appezzamenti di terreno di circa 26metri quadrati (del valore complessivo di circa 1.050.000 euro ); 3 esercizi commerciali di 65, 60 e 15 mq (valore complessivo di circa 250mila euro);svariati rapporti bancari. I beni hanno un valore complessivo di circa 3,4 milioni di euro di euro. Uscito dal carcere tre anni fa dopo circa 10 anni “Billy” aveva ripreso la sua attività nel settore dei fiori e di  recente era anche stato tra i protagonisti della serie Tv “Extreme Makeover” condotto da Alessia Marcuzzi su Canale 5. Esposito infatti si preoccupava di rifare i giardini delle ville che comparivano in ogni puntata.

Napoli, la famiglia di Fortuna in tv: “Vogliamo l’ergastolo per Caputo”

$
0
0

fortuna-giallo-di-caivano

‘Pomeriggio 5’ apre oggi sul caso della piccola Fortuna, la bambina di 6 anni violentata e uccisa il 24 giugno 2014. Per quei reati è stato arrestato il compagno della vicina di casa, Raimondo Caputo. “Sono felice che sia stato trovato un colpevole, anche se nessuno potrà restituirmi mia figlia. Io lo sapevo che era stata ammazzata”, afferma in collegamento la mamma di Fortuna, Domenica. “Io ho sempre detto ‘vedete su al settimo piano’, io lo sospettavo che veniva da lì la mano che ha ucciso mia figlia”. “L’ultimo ricordo che ho – racconta – è quando mi ha detto che andava a giocare su con l’amichetta. Poi dopo un po’ mi chiama il papà di mio figlio dicendomi che Chicca era caduta. E lì non ho capito più nulla. Poi quando mi hanno detto che era morta, io sono morta con lei. Non era possibile che si fosse buttata nel vuoto da sola”. “Io sospettavo della compagna” di Raimondo “perché ogni volta cambiava versione. Se è complice lei è peggio di lui”, conclude Domenica. “Noi sospettavamo ma non si può condannare una persona senza avere le prove”, aggiunge Vincenzo, il nonno della piccola. “Lei non ci ha mai detto niente, non ci ha mai parlato delle sevizie, altrimenti l’avremmo ancora qui con noi. Se la giustizia va avanti gli dovrebbero dare l’ergastolo. Ma al momento l’ergastolo ce l’abbiamo noi”, ha detto Vincenzo.

Terzigno, condoni e certificati “facili”: altri sei avvisi di garanzia

$
0
0

tribunale torre annunziata

Altri sei avvisi di garanzia sono stati notificati ad altrettante persone coinvolte nell’inchiesta sui condoni e i certificati di agibilità facili concessi dall’ufficio tecnico del Comune di Terzigno. Si tratta dei beneficiari dei certificati prodotti illecitamente all’interno dell’ufficio tecnico del Comune. Nell’inchiesta il 21 aprile scorso i carabinieri della compagnia di Torre Annunziata, su delega della Procura di Torre Annunziata avevano eseguito un provvedimento di sospensione dai pubblici uffici nei confronti di due funzionari dell’ufficio tecnico del Comune di Terzigno e di un ispettore dell’Asl Napoli 3 Sud di Poggiomarino ritenuti responsabili a vario titolo di corruzione per atto contrario ai doveri d’ufficio, soppressione, distruzione e occultamento di atti veri, falsità materiale commessa dal pubblico ufficiale in atti pubblici, rivelazione ed utilizzazione di segreti d’ufficio ed assenza dal servizio dei pubblici dipendenti. Ieri con la notifica degli altri sei avvisi di garanzia gli indagati sono passati a nove.


Nocera: bancarotta Ipervigile, processo per 18. Tutti i nomi

$
0
0

Ipervigile-1

Nocera Inferiore. Operazione Ipervigile: processo per Fernando De Santis e i suoi presunti complici della bancarotta della società di vigilanza. Ieri mattina, il Gup Luigi Levita ha analizzato la richiesta di rinvio a giudizio e le posizioni di 18 imputati coinvolti nel crac della società che si occupava di vigilanza e raccolta di danaro. Nel pomeriggio ha disposto il rinvio a giudizio per tutti gli imputati che compariranno dinanzi ai giudici del primo collegio giudicante il prossimo 20 luglio.Il pm Roberto Lenza aveva chiesto il processo per 18 persone accusate a vario titolo di bancarotta fraudolenta, appropriazione indebita aggravata per oltre 9 milioni di euro, emissione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, omesso versamento di ritenute certificate, omesso versamento di Iva, omesso versamento all’Inps di ritenute previdenziali ed assistenziali, truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche. Sul banco degli imputati il patron di Ipervigile Fernando De Santis, la moglie Filomena Vicidomini, la madre Filomena Paolino, Maria Assunta Scarpati e Pierdonato Gallitelli già arrestati a novembre scorso. Insieme a loro prestanome e imprenditori: Satiro Andrea di Nocera Superiore, Giuseppe Del Vecchio di Portici, Vincenzo Genualdo di Portici, Olga Cece di Scafati, Maria Ferrara di Nocera Superiore, Ezio Stimolo di Napoli, Angela Somma di Salerno, Antonio Caiazza di Battipaglia, Pierdonato Gallitelli di Napoli, Eugenia Foresta di Isernia, Roberto Fidelio di Nocera Inferiore, Aniello Amato di Sant’Egidio del Monte Albino, Ada Bruno di Nocera Inferiore, Rosa Cirillo di Roccapiemonte. Il collegio difensivo rappresentato tra gli altri dagli avvocati Giuseppe Buongiorno, Giovanni Annunziata, Pietro Pasquali, Paride Annunziata ha sollevato dinanzi al giudice alcune eccezioni, tra queste l’esclusione delle parti civili dal procedimento. Fernando De Santis ha rinunciato alla richiesta di patteggiamento, paventata nei mesi scorsi, e il processo che si è celebrato ieri sarà riunito agli altri già pendenti dinanzi ai giudici del Tribunale di Nocera Inferiore per il fallimento delle società della holding di De Santis. Nel corso delle indagini, effettuate dalla guardia di Finanza del Nucleo di Polizia Tributaria di Salerno, sono stati effettuati sequestri patrimonia per oltre 8 milioni di euro. Un patrimonio di beni immobili e mobili per le numerose violazioni tributarie fatte da De Santis attraverso le sue società, tutte legate e riconducibili alla impresa madre Ipervigile.L’indagine era stata avviata a seguito della segnalazione della Banca d’Italia nell’ottobre 2013, per un ammanco di oltre 9,8 milioni di euro nel caveau della società Ipervigile S.r.l. di Nocera. (r.f.)

I vertici del clan Lo Russo chiedono lo sconto di pena

$
0
0

antonio lo russo

I vertici del clan Lo Russo chiedono lo sconto di pena. Dopo la richiesta di giudizio immediato è arrivata la contromossa dei difensori, 16 imputati su 17 compariranno dinanzi al Gup il prossimo 17 maggio. Stralciata solo la posizione di Ferdinando Buccilli, ancora indeciso tra il rito ordinario e l’abbreviato, il capoclan Antonio Lo Russo, figlio di Salvatore ‘o capitone, ora pentito, e i suoi accoliti affronteranno l’udienza preliminare. Alla sbarra ci saranno, Antonio Lo Russo, Antonio Briante, Giovanni Campaiola, Luigi Capone, Antonio Cennamo “’o limone”, Emanuele D’Andrea, Carlo Davide, Claudio Esposito “’o chiatto”, Luigi Forino, Massimo Gisini, Alfredo Mercolino, Crescenzo Palma, Gerardo Potenza “tigre”, Umberto Russo “pesciolino”, Pasquale Torre “patanella” e Bruno Vitale. I vertici della potente cosca di Miano dovranno fare i conti con le accuse della Dda che dopo il pentimento del capoclan, nel 2011, era riuscita a stanare e catturare ad aprile del 2014, il nuovo boss Antonio. Il ras arrestato a Nizza, e diventato famoso per la sua foto a bordo campo allo stadio San Paolo mentre assisteva a una partita del Napoli, protetto dal cugino Carlo, detto Lellè, gestiva i traffici della potente cosca in lotta con i clan napoletani per il predominio del territorio. Una lotta fatta a colpi di pistola, con l’eliminazione degli avversari e dei ribelli. Tra pochi giorni le prove raccolte, con intercettazioni telefoniche e indagini, confluite nell’ordinanza del Gip Francesca Ferri saranno al vaglio del giudice. Tra gli imputati, oltre ai fedelissimi, anche degli insospettabili come Giovanni Campaiola e Luigi Forino.  Il clan fu sgominato dal Gico della Guardia di Finanza che sequestrò anche beni e immobili per diversi milioni di euro.

Omicidio Guidone: condanne per 120 anni di carcere ai Prinno

$
0
0

aula tribunalejpg

Omicidio Guidone: condannati i Prinno. Trent’anni di reclusione, con rito abbreviato per Vincenzo e Giuseppe Prinno e i figli Ezio e Antonio. A sedici anni dall’omicidio efferato di Rua Catalana arriva la prima sentenza per l’omicidio di Bruno Guidone, alias ‘Brunello’ braccio destro del defunto padrino dei Quartieri Spagnoli, Antonio Ranieri, detto Polifemo. Il Gup Egle Pilla ha condannato i quattro, accogliendo le richieste dal pm della Dda, a 30 anni di reclusione ciascuno per omicidio, prescritti il reato di possesso di armi. Brunello pagò con la vita la sua scelta di ‘campo’ fatta per aver scelto di stare con Ranieri che dopo la sua scarcerazione si era avvicinato all’Alleanza di Secondigliano, in particolare ai Licciardi, distaccandosi dai Prinno. Al centro della contesa tra clan anche la richiesta di tangente inoltrata ad un’impresa che lavorava nel porto di Napoli, allora sotto l’egida della cosca dei Prinno di Rua Catalana, legati a doppo filo con i Misso e i Mazzarella. Brunello fu trucidato in un garage, nessun colpo di pistola che si inceppò, ma ammazzato a colpi di pala. I killer gli sfondarono il cranio, una scena del delitto raccapricciante. Ad indicare i Prinno come mandanti e esecutori dell’efferato delitto alcuni collaboratori di giustizia, allora inseriti nei clan dei Quartieri e del Rione Sanità. Insieme a quei tasselli messi insieme dalla Dda, anche le dichiarazioni di un meccanico – poi ritrattate – che nel 2012 portarono all’incriminazione degli esponenti del clan. L’uomo raccontò che il giorno dell’omicidio Ezio Prinno gli aveva tolto le chiavi del deposito dal mazzo e gli aveva intimato di non entrarci. A rafforzare quella versione le rivelazioni di Pasquale Rosario De Crescenzo, ultimo pentito dei Quartieri Spagnoli, il quale dichiarò nel 2010: “S. D. L., prima dell’estate del 2007, mi avvicinò per dirmi che aveva dei problemi con i fratelli gemelli Prinno, figli di Giuseppe, il capoclan, i quali lo avevano minacciato di morte ritenendolo responsabile di aver messo in giro la voce che gli autori dell’omicidio di Bruno Guidone detto “Brunello”, avvenuto anni addietro, erano Giuseppe Prinno e il figlio Antonio. S. mi disse che lui aveva effettivamente assistito all’omicidio di Brunello”.

Clan Polverino: ecco le telefonate che inchiodano i carabinieri infedeli. Uno voleva chiamare il segretario del ministro Alfano

$
0
0

carabinieri_25

maran ”Io devo andare a Cisterna”. Così si esprimeva in una intercettazione Angelo Cantone, il carabiniere in servizio a Marano arrestato oggi con l’accusa di aver passato, in cambio di soldi e regali, notizie riservate a Angelo Di Maro, ritenuto coinvolto in un traffico di stupefacenti gestito dal clan Polverino. Per gli inquirenti – le indagini dei carabinieri sono state coordinate dal pm della Dda Maria di Mauro e dal procuratore aggiunto Giuseppe Borrelli – il militare intendeva farsi trasferire al comando di Castello di Cisterna dove sono scolte indagini sulla criminalità organizzata e dove riteneva di poter acquisire informazioni importanti da fornire al clan. Un progetto che non va in porto – sottolineano gli inquirenti – anche se Cantone si era rivolto a uno che nelle telefonate chiama ”avvocato” il quale era ”inserito in un meccanismo di relazioni e conoscenze che mette a disposizione dei militari che necessitano del suo aiuto”, come sottolinea nella sua ordinanza il gip Egle Pilla. Si tratta di Domenico De Martino, nei cui confronti oggi i carabinieri hanno eseguito una misura cautelare di arresti domiciliari. De Martino, che avrebbe ricevuto informazioni da Cantone, avrebbe promesso il proprio interessamento presso ufficiali dell’Arma per favorire il suo trasferimento a Castello di Cisterna (”una sezione dalla quale meglio può controllare e servire la criminalità organizzata maranese a servizio della quale ha posto la propria funzione”, evidenzia il gip). ”De Martino – scrivono i magistrati – agisce in maniera sistematica anche grazie alle amicizie con i vertici dell’Arma con i quali ha contatti frequenti come risulta dai tabulati”. I tentativi, sottolineano gli inquirenti, non vanno in porto. Falliti i tentativi con l’Arma, per raggiungere l’obiettivo, avrebbe provato anche contatti con i politici: ”Francesco che dici, io devo chiamare il segretario del ministro Alfano, io tengo il numero quello disse chiamami…”, dice in una telefonata con un collega anch’egli indagato. Oltre ai due carabinieri – uno semplice, l’altro con il grado di appuntato – nell’inchiesta sono coinvolti tre pregiudicati ritenuti dagli investigatori contigui a due storici clan della zona, i Polverino e i Nuvoletta, e a un gruppo camorristico emergente, quello degli Orlando. L’Arma dei carabinieri ha disposto la sospensione “ad horas” dei militari coinvolti nell’inchiesta – oltre a Cantone, 35 anni, anche Francesco Papa, 36 – per i quali il gip del Tribunale di Napoli ha ordinato, rispettivamente, l’arresto in carcere e il divieto di dimora a Napoli, Caserta e nelle rispettive province. In carcere sono finiti anche i tre pregiudicati: Angelo Di Maro, 37 anni; Francesco Sepe, 49 anni, (che si trovava ai domiciliari) e Massimo D’Onofrio, 42 anni. Arresti domiciliari, infine, per un avvocato, Domenico De Martino, 68 anni, che si stava prodigando per agevolare il trasferimento di uno dei due carabinieri. Dall’inchiesta è emerso che Angelo Cantone, carabiniere arrestato con l’accusa di aver passato, in cambio di soldi e regali, notizie riservate a Angelo Di Maro, ritenuto coinvolto in un traffico di stupefacenti gestito dal clan Polverino, intendeva trasferirsi al comando di Castello di Cisterna. Gli inquirenti – le indagini dei carabinieri sono state coordinate dal pm della Dda Maria di Mauro e dal procuratore aggiunto Giuseppe Borrelli – evidenziano che a Castello di Cisterna sono svolte indagini sulla criminalità organizzata e pertanto il militare riteneva di poter acquisire informazioni importanti da fornire al clan. I pregiudicati finiti in cella si occupavano prevalentemente di traffico di sostanze stupefacenti e le informazioni venivano reperite dalla due “mele marce” anche consultando, illecitamente, le banche dati delle forze dell’ordine. Tutti i reati contestati ai sei indagati sono aggravati dalle finalità mafiose. Infine, nel corso dell’attività investigativa, iniziata nel 2015, dai carabinieri del Nucleo Investigativo di Napoli sono stati sequestrati 80 chilogrammi di droga, tra hashish e marijuana, una pistola a salve calibro 9 e 4890 euro in contanti.

Estorsione al rapper Clementino, arrestato il neomelodico Enzo Di Palma di Palma Campania

$
0
0

clementino

Palma Campania. Tentano un’estorsione al rapper Clementino: in tre finiscono nei guai, arrestato neomelodico di Palma Campania.  Si chiama Vincenzo Carbone, in arte Enzo Di Palma, il neomelodico di Palma Campania arrestato perché voleva costringere il rapper a pubblicare un suo brano e per far questo non ha esitato a ricorrere a metodi poco ortodossi per ‘convincere’ Clementino. Per Carbone, e le altre due persone coinvolte nel tentativo di estorsione, sono stati disposti gli arresti domiciliari. Secondo quanto emerso dalle indagini, il cantante sarebbe stato costretto, anche attraverso minacce nei confronti suoi e di suoi familiari e componenti del suo staff, ad avviare una collaborazione artistica con il cantante neomelodico di Palma Campania, che figura tra i tre arrestati. Qualche mese, poco prima di Sanremo dove era tra i cantanti in gara, gli avevano anche bruciato l’auto parcheggiata sotto casa e lui aveva postato le foto su Facebook, commentando anche che forse era responsabile del gesto qualcuno scontento di una sua risposta. Ora la polizia sta eseguendo tre misure cautelari con il beneficio dei domiciliari emesse dal gip del tribunale di Nola per tentata estorsione ai danni del rapper Clementino. Le reiterate minacce, estese anche a suoi familiari e componenti dello staff, cercavano di costringerlo ad avviare una collaborazione artistica con il cantante neomelodico di Palma Campania.

Viewing all 6090 articles
Browse latest View live


<script src="https://jsc.adskeeper.com/r/s/rssing.com.1596347.js" async> </script>