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Channel: Cronaca Giudiziaria
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Circa 70 anni di carcere per i quattro fedelissimi del boss latitante Umberto Accurso

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combo accurso con fotini

Sono stati tutti condannati i quattro fedelissimi affiliati del boss latitante dalla Vanella-Grassi, Umberto Accurso. Davati al gip Gabriella Pepe della 33esima sezione penale del Tribunale di Napoli hanno incassato pene pesanti i quattro uomini di fiducia del boss. Giuseppe Corcione, che viene considerato dagli investigatori il contabile del clan, ha incassato 12 anni di carcere, stessa pena anche per Gaetano Angrisano genero del boss detenuto Salvatore Petriccione, e per Antonio Coppola. A dieci anni e otto mesi  invece è stato condannato il giovannissimo Roberto Ciuoffi di soli 20 anni. Si tratta di pene pesanti se si considera che il processo si è svolto con rito abbreviato e quindi ci sarebbe stata la riduzione di un terzo della pena. Sono tutti accusati di traffico di droga e associazione mafiosa. I quattro furono arrestati nel dicembre del 2014 e in quella circostanza i carabinieri sequestrarono un block notes con la contabilità della cosca, tre orologi Rolex e alcune migliaia di euro. Contro di loro le dichiarazioni del pentito Rosario Guarino, conosciuto come “Joe banana”.

Il boss latitante Umberto Accurso Il "Contabile" del clan Giuseppe Corcione Gaetano Angrisano Antonio Coppola Roberto Ciuoffi

Faida di Ercolano: chiesto il processo per 18 tra boss e gregari dei clan Birra, Iacomino e Lo Russo di Miano

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antonio birra

La Dda di Napoli ha chiesto il processo per 18 tra boss e gregari dei clan Birra-Iacomino di Ercolano e Torre del Greco ma anche di tre spietati killer  del clan Lo Russo di Miano. Al centro dell’inchiesta arrivata a processo ci sono gli omicidi di Lucio Di Giovanni e del cognato Raffaele Di Grazia avvenuto il 6 febbraio del 2000 ad Ercolano a pochi passi della caserma dei carabinieri, poi quello di Giuliano Cioffi cognato del defunto boss Raffaele Ascione ‘o lungo ucciso a Quarto in una bisca clandestina l’8 settembre del 2001 e ancora l’omicidio di Giusepe Borrelli avveuto sempre ad Ercolano il 30 agosto del 1997. Ad inchiodare i 18 imputati tra cui i boss Antonio e Giovanni Birra e Stefano Zeno ci sono le dichiarazioni di cinque pentiti: Giovanni, Giuseppe e Ciro Savino, Gerardo savino e l’ex boss Costantino Iacomino. I tre spietati killer dei “capitoni” di Miano a processo sono Raffaele Perfetto, nipote del boss pentito Salvatore Lo Russo,, Carlo Serrano e Vincenzo Bonavolta detto il “censore”. Il 5 maggio prossimo il gup Paola Russo della 25esima sezione penale del Tribunale di Napoli sarà chiamata a decidere sulla richiesta di rinvio a giudiziodel pm Sergio Ferrigno. Ecco l’elenco completo dei 18 imputati: Antonio Birra, Giovanni Birra, Vincenzo Bonavolta, Lorenzo Fioto, Pasquale Genovese, Costantino Iacomino, Raffaele Perfetto, Felice Saccone, Andrea Savino, Ciro Savino, Giovanni Savino, Giuseppe Savino,  Andrea Sannino, Francesco Sannino, Gerardo Sannino, Carlo Serrano, Salvatore Viola, Giacomo Zeno e Stefano Zeno.

(nella foto il boss di Ercolano, Antonio Birra)

Insospettabile carrozziere di Nocera scoperto con 300 carnet di assegni: denunciato dalla Finanza

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finanzieri

Un ritrovamento sconcertante per gli uomini della Guardia di finanza della Compagnia di Nocera Inferiore: un insospettabile artigiano in possesso di oltre trecento carnet di assegni. Un vorticoso giro di assegni quello scoperto dalle fiamme gialle nocerine che nei giorni scorsi hanno fatto irruzione nell’abitazione di un carrozziere, sequestrando un volumonoso carteggio e carnet di assegni. I finanzieri hanno perquisito l’abitazione dell’uomo, ma anche il luogo di lavoro facendo una scoperta che apre le porte a un’indagine sugli affari dell’insospettabile. Il caso è affidato alla Procura della Repubblica di Nocera Inferiore. I sospetti si sono appuntati sull’artigiano a seguito di altri ritrovamenti e sequestri effettuati nei giorni precedenti dalla stessa Compagnia di Nocera Inferiore. Alcuni indizi hanno condotto i finanzieri a casa dell’ artigiano che non ha saputo spiegare il possesso della corposa documentazione bancaria. Si sospetta che l’uomo sia al centro di un giro di prestiti, fatti con assegni di diversi istituti bancari. Le fiamme gialle stanno controllando i conti correnti sui quali è transitato il denaro e stanno verificando anche l’attività lavorativa del carrozziere. Pare che il giro d’affari dichiarato al fisco dall’uomo non corrisponda ai reali introiti dell’attività commerciale. L’attività d’indagine è appena iniziata e si estende nei paesi limitrofi. Nei mesi scorsi, altri artigiani erano stati perquisiti e trovati in possesso di assegni e carnet sospetti. I libretti sequestrati alla fine della scorsa settimana saranno esaminati, come saranno esaminati gli estratti conto dell’artigiano. Incrociando le entrate e le uscite e verificando a chi sono stati girati i titoli, i finanzieri cercheranno di ricostruire il giro d’affari del carrozziere nocerino. Nei giorni scorsi, le fiamme gialle della Compagnia di Nocera avevano sequestrato una cisterna che trasportava 3600 litri di gasolio di contrabbando. Non è escluso che i due episodi possano essere collegati e che dopo il ritrovamento del carburante di dubbia provenienza per il quale furono denunciati il camionista e il proprietario dell’autocisterna, si sia arrivati al carrozziere nocerino. Ma anche questa al momento è solo un’ipotesi investigativa. L’uomo potrebbe essere al centro di una serie di affari illeciti, affari che i finanzieri dovranno scoprire attraverso le indagini delegate dalla Procura di Nocera Inferiore. Se ne saprà di più.(r.f.)

Favori ai Casalesi: manette all’ex sindaco di Santa Maria Capua Vetere. In carcere anche il ristoratore Alessandro Zagaria e altri sette

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di-muro-biagio-nuova

Biagio Di Muro, fino a dicembre 2015 sindaco di Santa Maria Capua Vetere, nel Casertano, e’ stato arrestato dai carabinieri, insieme ad altre otto persone, nell’ambito di un’inchiesta in collaborazione con la guardia di finanza di Napoli che ha svelato un giro di mazzette per appalti pubblici assegnati a ditte vicine al gruppo Zagaria del clan dei Casalesi. Di Muro e’ in carcere insieme all’imprenditore del settore della ristorazione, Alessandro Zagaria, 30 anni, nessuna parentela con il boss Michele, l’unico pero’ che deve rispondere di associazione a delinquere di stampo mafioso. Altri sette indagati tra funzionari comunali e ‘faccendieri’ devono rispondere a vario titolo di corruzione e falsita’ in atto pubblico, reati aggravati dall’aver agevolato una cosca.

Uccisero il boss Mario Ascione e Ciro Montella: nove arresti dei clan Birra-Iacomino e Lo Russo

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carabinieri-notte-indagini-della-volante

A decretare il duplice omicidio, secondo gli investigatori, furono i vertici dei clan Birra-Iacomino di Ercolano (e l’ordine partì dal carcere) mentre il gruppo di fuoco fu fornito dal clan Lo Russo di Napoli. Sotto il fuoco dei killer finirono, l’11 marzo del 2003, all’esterno di una sala giochi di corso Resina a Ercolano Mario Ascione e Ciro Montella. Fu l’ennesimo fatto di sangue nella faida tra i clan Ascione-Papale da un lato e il clan Birra-Iacomino dall’altro. A 13 anni dai fatti, grazie anche al racconto di ben 14 collaboratori di giustizia, ora sono stati individuati presunti killer e mandanti. E il gip del tribunale di Napoli su richiesta della Dda ha emesso nove misure cautelari che hanno raggiunto nove persone già tutte detenute. Da quanto ricostruito, il duplice omicidio di Mario Ascione considerato dagli inquirenti reggente del clan (e fratello del capoclan Raffaele) e Ciro Montella, suo guardaspalle, fu compiuto in risposta all’assassinio di Giuseppe Infante, cognato del capoclan Giovanni Birra. Nel corso della sparatoria fu ferito gravemente anche un passante. Prima di compiere l’agguato i killer, è stato ricostruito, utilizzarono come base un lido balneare di Torre del Greco. 

L’episodio, ricostruito in dettaglio grazie al convergente contributo dichiarativo di ben 14 collaboratori di giustizia ercolanesi e napoletani ed ai relativi plurimi riscontri, si iscrive nel contesto della feroce guerra di camorra (una delle più lunghe e sanguinose nel panorama criminale partenopeo) che ha visto per anni militarmente contrapposte le cosche degli “Ascione – Papale” e dei “Birra – Iacomino”. Le vittime, trucidate con numerosi colpi di pistola all’esterno di una sala giochi sul Corso Resina, erano infatti il reggente del clan “Ascione” (nonché fratello del capoclan ASCIONE Raffaele) ed il suo guardaspalle. L’omicidio costituiva una risposta eclatante all’assassinio di INFANTE Giuseppe, cognato del capoclan BIRRA Giovanni, del 28.06.2001 e sanciva, proprio in ragione del livello apicale delle vittime, la temporanea affermazione dei “Birra — Iacomino” nell’ambito della c.d. “terza faida di Ercolano”. L’azione di fuoco provocava anche il grave ferimento di un ignaro passante.

Secondo quanto ricostruito attraverso il racconto dei collaboratori di giustizia, l’omicidio fu:

  • decretato dai vertici del clan “Birra — Iacomino”, dai penitenziari ove si trovavano ristretti, attraverso

messaggi veicolati all’esterno;

  • eseguito, con il supporto logistico di affiliati al clan “Birra — Iacomino”, da un gruppo di fuoco fornito

dal clan “Lo Russo” di Napoli — Miano, storico alleato della consorteria ercolanese, per volere di LO RUSSO Carlo, attuale reggente del sodalizio, anch’egli raggiunto dall’odierno provvedimento. I killers utilizzarono come base d’appoggio un lido balneare di Torre del Greco, ove rimasero per varie ore in attesa della “battuta”.

L’arresto rappresenta l’ulteriore sviluppo delle indagini che hanno consentito di fare luce su 32 eventi omicidiari, tutti ascrivibili alla sanguinosa faida in atto sul territorio di Ercolano già dai primi anni ’90 ed in relazione ai quali, tra il 2014, il 2015 e l’anno in corso, sono state eseguite numerose misure cautelari emesse dal GIP di Napoli nei confronti di 108 tra mandanti ed esecutori.

GLI ARRESTATI SONO:

Clan Birra-Iacomino

  • Giovanni Birra, classe ’63
  • Stefano Zeno, classe ’66
  • Lorenzo Fioto, classe ’52
  • Ciro Uliano, classe ’67
  • Enrico Viola, classe ’71

Clan Lo Russo

  • Carlo Lo Russo, classe ’67
  • Raffaele Perfetto, classe ’71
  • Oscar Pecorelli, classe ’79
  • Massimo Tipaldi, classe ’81

La Procura di Napoli pronta a chiedere il carcere duro per il boss Carlo Lo Russo

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carlo lo russo ok

La Procura di Napoli sta accelerando le procedure per richiedere al ministero della Giustizia il carcere duro nei confronti del boss Carlo Lo Russo, arrestato per l’omicidio di Pasquale Izzi. Il boss era tornato in libertà la scorsa estate ma la settimana scorsa è tornato in carcere. Secondo la Dda “zio Carlo” è  in grado di poter gestire  anche dal carcere le fila della cosca e quindi l’unica misura adatta per la sua detenzione è quella del 41 bis. La richiesta comunque dovrà essere firmata dal ministro di Grazia e Giustizia che in questo caso potrebbe adottare una procedura di urgenza vista la situazione esplosiva della zona di Napoli dove ha influenza Carlo Lo Russo dei “capitoni”. Gli omicidi, i ferimenti  e le “stese” diqueste ultime settimane sono la testimonianza della pericolosità sociale del boss.

Scampia: si è pentito il killer Paolo Caiazza

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paolo caiazza

Si è pentito Paolo Caiazza, pericoloso killer del clan Amato-Pagano. La decisione è maturata da circa un mese dopo lo anche il fratello Antonio già a novembre scorso era è passato dalla parte dello Stato. Caiazza fu arrestato dai carabinieri dopo una lunga latitanza nell’ottobre del 2014 a Castel Volturno. E’ stato condannato in primo grado all’ergastolo insieme al boss emergente Mario Riccio per l’omicidio di Fortunato Scognamiglio. La decisione di Paolo Caiazza di passare dalla parte dello Stato fa tremare non solo il gruppo degli Amato-Pagano ma anche quelli della Vanella Grassi. Caiazza infatti è stato l’uomo più vicino al baby boss Mario Riccio genero di Cesare Pagano e soprattutto ha partecipato come mandante ed esecutore a parecchi omicidi della faida di camorra tra Scampia e Secondigliano degli anni scorsi. Conosce i segreti della cosca, nomi degli affiliati, affari, killer degli omicidi compiuti, i nomi degli insospettabili, Insomma le sue dichiarazioni potrebbe dare la spallata definitiva alla cosca.

I Lo Russo uccisero 12 volte per i Birra-Iacomino a Ercolano. Raffaele Perfetto entrò in carcere con documenti falsi per prendere ordini dal boss

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salvatore perfetto arrestato

Il rapporto di sudditanza che avevano gli uomini del clan Lo Russo nei confronti di “zio Carlo” era tale che erano disposti a tutto per lui. Lo hanno scoperto gli uomini della Dda e della squadra mobile di Napoli che due settimane fa hanno arrestato il boss , la moglie e tre fedelissimi coinvolti nell’omicidio del rapinatore seriale Pasquale Izzi in via Janfolla. E ora si scopre dall’ordinanza di custodia cautelare che ieri ha colpito di nuovo il boss e altri tre suoi affiliati insieme ai boss di Ercolano, che Raffaele Perfetto era addirittura riuscito a entrare nel carcere di Poggioreale per parlare con il boss utilizzando documenti falsi. Lo ha raccontato il pentito Costantino Iacomino secondo il quale Perfetto avrebbe fatto la fila insieme con mogli e figli dei carcerati per avere un incontro in carcere col boss Carlo Lo Russo. Anzi gli investigatori hanno scoperto che il boss sanguinario di Ercolano, Stefano Zeno e Carlo Lo Russo ebbero un colloquio in carcere con i proprio familiari nello stesso giorno ed ora e nella stessa stanza. e tra questi c’era anche Raffaele Perfetto che in quella circostanza ricette l’ordine di uccidere Mario Ascione e Ciro Montella. Inoltre il pentito del clan Lo Russo, Mario Centanni ha spiegato agli investigatori che i “capitoni” avevano commesso ben 12 omicidi in trasferta per i Birra-Iacomino  e che lo zio, Domenico Lo Russo,  gli aveva raccontato che gli uomini del clan Birra-Iacomino avevano a loro volta commesso diversi omicidi per conto dei Lo Russo. Oltre al duplice omicidio di Mario Ascione e Ciro Montella, i Lo Russo avrebbero ucciso anche Antonio Papale, fratello del boss Antonio e poi ancora il duplice omicidio di Raffaele Di Grazia e Lucio Di Giovanni; quello di Vincenzo e Gennaro Montella, trucidati a Torre del Greco, e quello di Giuliano Cioffi, cognato di Raffaele Ascione, che fu ammazzato a Quarto il 9 settembre del 2001.


Ecco come la banda dei falsi camionisti ha imbrogliato anche i Marcegaglia. Tutti i nomi dei 75 indagati

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vezzi e guadagno oks

Vittime illustri quelle della gang di Vezzi & C. che hanno fatto razzie di prodotti di ogni genere, spesso trafugati su commissione. Tra gli eccellenti truffati dall’organizzazione anche la Marcegaglia spa, l’impresa leader nel settore della siderurgia della famiglia di Emma Marcegaglia, ex presidente di Confindustria. Nell’elenco delle merci trafugate non manca davvero nulla: dalla Coca-cola alle motoslitte, dalla birra al Parmigiano Reggiano, dai vini ai prodotti per l’edilizia e ancora detergenti, profumi, riso, accessori Apple, battipista per la neve, giochi per bambini, banane, uva, carta, macchine per la tostatura del caffè, fertilizzanti, pellame, camicie. A dare il nome all’operazione di ieri, proprio un’intercettazione telefonica, nella quale Vezzi – parlando con un suo sodale – a proposito di un sequestro effettuato dai poliziotti dice: «A noi non ci affondano, noi siamo una nave grande». Agli affari del gruppo, infatti, partecipavano attivamente anche le donne. La compagna di Vezzi, Marianeve Arcamone, e la moglie di Guadagno, Anna Di Donato, si occupavano di remunerare autisti e sodali, pagandoli in contanti. Intorno ai capi dell’organizzazione un gruppo di autisti infedeli che oltre a fare viaggi leciti, quando il gruppo criminale aveva bisogno, si adoperavano per appropriarsi di carichi di merci in tutta Italia, trasportandola in depositi di Poggiomarino, San Valentino, Sarno e Mercato san Severino. A Elvira Iuliano, già in passato arrestata per analoghi episodi, il compito di creare imprese fasulle o sostituirsi a imprese esistenti e attraverso internet accaparrarsi le commesse. Nei guai anche i titolari di un distributore di benzina Ip di Poggiomarino, dove venivano riforniti di carburante i messi utilizzati per il trasporto. Tra gli episodi contestati anche un tentativo di truffa ai danni di una compagnia assicurativa, alla quale volevano frodare il risarcimento per la sparizione di merci per un importo di oltre 300mila euro. Numerose le intercettazioni captate dagli inquirenti, come quella tra Gaetano Vezzi e un sedicente turco napoletano. Sparito un carico di dentifrici, l’uomo contatta il capo della banda e gli dice che è disposto a pagare «perché il mio cliente mi ha stressato molto» e quello risponde: «Noi abbiamo fatto una denuncia che l’autista si è venduto il carico». E il turco: «Se vuoi parlo turco con un altro turco, se vuoi parlo napoletano. Loro lo sanno che il capannone è di Napoli. Sono disposti a pagare». Il componente della banda non recede: per sbaglio qualcuno ha fornito al cliente truffato il suo numero di cellulare privato e non quello utilizzato per il raggiro. E l’intercettazione tra Umberto Guadagno e Vezzi, parlano di un carico sequestrato e Vezzi rassicura: «Nun te preoccupà o frat, questa è una nave che non affonda, porta tanti passeggeri. Nun te preoccupà ‘o frat tuoi. Sto arrivando».

ECCO TUTTI GLI INDAGATI

Custodia cautelare in carcere: Gaetano Vezzi, di Torre Annunziata, 45 anni; Umberto Guadagno, 41 anni, di Poggiomarino; Elvira Iuliano, 53 anni, di Pagani; Giovanni Sasso, 61 anni di Saviano.

Arresti domiciliari: Rosa Palumbo, 52 anni, di Torre Annunziata; Pietro Napolano, 48 anni di Pagani; Luigi Buonaiuto, 42 anni di Sarno; Gennaro Caldieri, 42 anni di San Valentino; Giuseppe D’Aleo, 44 anni di Montevarchi; Gerarda Giordano, 33 anni, di Pagani; Raffaele Guadagno, 33 anni, di Poggiomarino; Luigi Guadagno, 33 anni, di Poggiomarino; Pietro Monteleone, 53 anni, di Palma Campania; Domenico Oriundo, 38 anni di San Giuseppe; Vincenzo Quartuccio, 40 anni, di Poggiomarino; Enzo Sorvillo, 26 anni, di San Valentino; Giuseppe Spiga, 58 anni di Poggiomarino; Salvatore Terracciano, 49 anni, di Angri; Domenico Viola, 41 anni, di Poggiomarino; Vittorio Vitiello, 64 anni di Trecase; Aldo Vanese di San Giuseppe Vesuviano; Gerardo Abbruzzese di Trecase; Giuseppe Nappo di San Giuseppe; Domenico Magliozzi, di Gragnano; Felice Romano di Ottaviano; Bernardino Verdezza di Torre Annunziata.

Obbligo di dimora: Antonio Attanasio, 49 anni, di Torre Annunziata; Luigi Nappo, 44 anni di Poggiomarino; Angelo Raffaele Aliberti, 52 anni di Poggiomarino; Raffaele Rummo, 47 anni di Bologna; Fabrizio Vassallo, 44 anni, di Giffoni; Francesco Vastola, 40 anni, di San Valentino; Pasquale Barone di Napoli; Severino Fiore di Poggiomarino; Antonio Sorvillo di Mondragone.

Obbligo di presentazione all Polizia giudiziaria: Rosalba Auletta, 31 anni, di Torre Annunziata; Anna Di Donato, 39 anni di Poggiomarino e Carlo Cafiero, 51 anni di Torre Annunziata.

Indagati nell’ambito del procedimento: Umberto Adiletta di Sarno; Francesco Paolo Antonio Renato Belluno di Pagani; Marino Carbone di Palma Campania; Angelo Casalino di Palma Campania; Giovanni Chiavazzo di Calvanico; Giuseppe Chiavazzo di Angri; Aldo Cicalese di Angri; Saverio Del Giudice di San Giuseppe Vesuviano; Daniela Falcone di Roccapiemonte; Giuseppe Federico di Scafati; Alberto Fontana di Scafati; Massimo Fortino di Pagani; Giuseppe Mandile di Scafati; Maria Giovanna Meligeni di Scafati; Carlo Nappo di Pagani; Adriano Pannullo di Mercato San Severino; Maria Rosaria Sorrentino di Scafati.

(nella foto i due capi dell’organizzazione: da sinistra Gaetano Vezzi e Umberto Guadagno)

Processo ‘Due Torri’: Giovanni Citarella spiega il sistema: “Mio cugino organizzava tutto”

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Salerno. Citarella spiega il sistema delle offerte e dei colori per pilotare le gare d’appalto alla Provincia di Salerno. Di nuovo in aula, l’ex patron della Nocerina nel processo ‘Due Torri’ a carico di quattro tra imprenditori e funzionari pubblici, per rispondere alle domande della difesa. Giovanni Citarella ha spiegato – su richiesta dei difensori degli imputati – come venivano pilotate le gare d’appalto. Le offerte venivano preordinate da Rino Citarella, il cugino, abile nei calcoli matematici delle offerte e dei ribassi. Inoltre, le ditte erano raggruppate in gruppi e sottogruppi e divise per colori. Attraverso questo sistema Rino Citarella riusciva a decidere a chi far assegnare la gara. Naturalmente con la complicità di funzionari pubblici. Giovanni Citarella ha riferito, infatti, che a mantenere i rapporti con i dipendenti della Provincia era sempre suo cugino Rino che aveva uno schema anche per questo. In base a questo schema venivano distribuite le mazzette ai funzionari pubblici. Gennaro Citarella, ha riferito lex patron della Nocerina, custodiva tutti i dati su una pen drive, annotava tutto con precisione. Si è tirato fuori da questa organizzazione del ‘lavoro’ anche perchè – ha detto – ‘io di pc non ne capisco niente’. Rino Citarella, secondo il testimone, era la mente dell’organizzazione che ci occupava di pilotare gli appalti alla Provincia di Salerno.

Ercolano: il boss Stefano Zeno utilizzava un cellulare dal carcere per mandare ordini agli affiliati

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stefano zeno

L’inchiesta sul duplice omicidio del boss Mario Ascione e Ciro Montella deciso dai boss dei Birra-Iacomino che volevano far capire chi comandava davvero ad Ercolano ha svelato inquietanti retroscena sulla potenza criminale del gruppo. E tra questi il fatto che il boss Stefano Zeno, nonostante fosse in carcere riusciva sempre a mandare messaggi all’esterno e a sapere cosa accadeva nella sua città .Utilizzava infatti il cellulare di una guardia carceraria corrotta originaria di Portici e attraverso di esso ascoltava“Radio Ercolano”, dalla quale venivano veicolati messaggi in codice per gli affiliati sotto forma di dediche alle canzoni. E’ quanto emerge dalle pagine dell’ordinanza di custodia cautelare che ieri ha portato in carcere 9 tra boss, killer e fiancheggiatori dei clan Birra-Iacomino di Ercolano e i Lo Russo di Miano tra cui anche lo stesso capo clan Carlo. Il telefono utilizzato da Stefano Zeno veniva occultato dalla guardia corrotta nella cella numero 88 del padiglione Livorno del carcere di Poggioreale. Secondo quanto ha raccontato agli investigatori uno dei pentiti del clan, Vincenzo Esposito, il cellulare sarebbe stato acquistato da insospettabili uomini del clan e poi sarebbe stato fatto arrivare  in carcere attraverso la complicità dell’agente di polizia penitenziaria corrotto, originario di Portici. Dal carcere  Zeno utilizzando il telefonino partecipava alle decisioni del clan.

Duplice omicidio stradale della Tangenziale il 9 maggio il Tribunale decide sul processo al dj di Pozzuoli

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Il Tribunale di Napoli deciderà il 9 maggio prossimo se Aniello Mormile dovrà essere processato con il rito abbreviato che prevede lo sconto di una terzo della pena prevista o con rito ordinario. L’imputato è l’ormai noto  dj di Pozzuoli che il 2 luglio scorso in preda a un improvviso raptus di follia a bordo della sua Clio all’altezza del casello della Tangenziale di Pozzuoli ha spento i fari, fatto una inversione a U ed è tornato indietro.. All’altezza di Agnano, dopo aver sfiorato un tir, la Clio di Mormile si è schiantata frontalmente con l’utilitaria del 48enne. Un impatto devastante. Le due auto sono rimasta piantate uno di fronte all’altro. Nell’impatto trovarono la morte la fidanzata che era con lui in auto, Livia Barbato e Aniello Miranda, 48 anni, un operaio di Torre del Greco che stava andando al lavoro. Ieri mattina il pm ha depositato una perizia tecnica sull’auto del dj napoletano. Il ragazzo ieri mattina era presente in aula davanti al gip Rosa De Ruggiero. C’erano anche i familiariidella sua fidanzata “Lilly” e di Aniello Miranda. E’ rimasto con lo sguardo basso, in silenzio per tutto il tempo senza mai riuscire a guardare in faccia a quelle persone a cui ha provocato un dolore immenso. E intanto ieri mattina il pm ha depositato una perizia tecnica sull’auto del dj di Pozzuoli. Il maggio si saprà come continuerà la fase processuale.

(nella foto Aniello Mormile e la fidanzata Livia Barbato)

 

Concordia: domani il via a Firenze il processo d’appello per Schettino

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Il capitano Francesco Schettino esce da residence Tirreno dove ha trascorso la notte, Marina di Cecina (Grosseto), 17 ottobre 2012.  Schettino si avvia verso il Teatro Moderno di Grosseto dove e' previsto il terzo giorno di udienza per l'incidente probatorio sulla scatola nera della Costa Concordia.
ANSA/STRINGER

Al via il processo davanti alla Corte d’Appello di Firenze per la vicenda giudiziaria di Francesco Schettino, l’ex comandante della Costa Concordia naufragata il 13 gennaio 2012 davanti all’isola del Giglio provocando 32 morti. La prima udienza si terrà domani, giovedì 28 aprile, e come primo atto ci saranno le costituzioni delle parti civili. Il collegio giudicante sarà presieduto da Grazia D’Onofrio. Nel corso del processo, la difesa dell’ex comandante chiederà l’annullamento della sentenza di condanna di 16 anni di reclusione per Schettino emessa dal Tribunale di Grosseto l’11 febbraio 2015. La Procura di Grosseto, che sosterrà la pubblica accusa anche in appello, controreplicherà chiedendo una pena più alta per l’imputato: non 16 ma 26 anni di reclusione. La richiesta di proclamare innocente Schettino sarà illustrata dall’avvocato Saverio Senese del foro di Napoli (subentrato nel pool difensivo al posto di Domenico Pepe, che ha rassegnato le dimissioni subito dopo il verdetto) e dall’avvocato Donato Laino sempre del foro di Napoli. Con tutta probabilità l’imputato non sarà presente a Firenze per la prima udienza di appello e resterà nella sua abitazione di Meta di Sorrento.  La difesa di Schettino ha depositato tre atti di ricorso alla Corte d’Appello chiedendo l’assoluzione dell’ex comandante Schettino in considerazione dei “gravi errori e delle valutazioni molto discutibili” compiute dai giudici di primo grado. Ai tre atti depositati dal collegio difensivo, Schettino ha aggiunto un proprio documento di suo pugno in cui annuncia che sarà raramente a Firenze “per evitare sovrapposizioni mediatiche”. “La mia presenza a Grosseto – afferma l’ex comandante della Costa Concordia – è stata pregiudizialmente mal interpretata, ricalcando un copione che non è in linea con la mia persona e soprattutto con la mia indole”. Dopo l’udienza di domani, la Corte d’Appello di Firenze tornerà a riunirsi nel mese di maggio con un calendario fitto che prevede almeno undici giornate già fissate.

Assolto affiliato ai De Micco: Il pentito Esposito è risultato non attendibile

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esposito e de luca ok

Assolto dall’accusa di rapina  Enea De Luca affiliato al clan De Micco della zona Orientale. Lo hanno deciso i giudici dell’11esima sezione penale del Tribunale di Napoli che non hanno dato credito alle dichiarazioni dell’unico pentito della cosca, Domenico Esposito. Il pm aveva chiesto una condanna a 5 anni di carcere. L’imputato era accusato di aver rapinato, insieme con un complice mai identificato, lo scooter a una ragazza che transitava per Ponticelli. Ma l’impianto accusatorio è stato smontato dall’avvocato Stefano Sorrentino e i giudici hanno assolto De Luca.

(nella foto da sinistra Enea De Luca e Domenico Esposito)

Mariglianella: uccise l’amico davanti alla figlia 11enne. Palermo condannato a 20 anni di carcere

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omicidio panico

E’ stato condannato a 20 anni di carcere Antonio Palermo l’uomo che il 6 agosto  del 2015 uccise a Mariganella il suo amico Giovanni Panico. L’omicidio avvenne sotto gli occhi della figlia 11enne della vittima che raccontò tutti ai carabinieri. La bimba il giorno seguente dopo aver parlato con i militari e raccontato quel che aveva visto scrisse sul proprio profilo facebook: “Meglio la zampa di un animale che la mano di un infame”. L’assassino, 47 anni di Brusciano con precedenti per spaccio di droga fu scovato quattro giorni dopo l’omicidio a casa di un parente a Marigliano. Il processo si è svolto con il rito abbreviato davanti al gip Sepe del Tribunale di Nola per cui l’assassino ha potuto usufruire dello sconto di pena pari a un terzo. Il pm aveva chiesto l’ergastolo. Il gip ha accolto la richiesta di attenuanti della difesa dell’imputato che si è dichiarato reo confesso.


La Procura chiede pene pesanti per il clan De Micco

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salvatore e marco de micco

Clan Di Micco: l’accusa chiede la conferma delle pene per gli esponenti della cosca e la condanna per sei presunti esponenti del clan che erano stati assolti nel processo dell’11 giugno scorso. I ‘Bodo’ di Ponticelli, secondo il procuratore generale devono essere condannati per associazione per delinquere di stampo camorristico e intestazione fittizia di beni. L’accusa ha chiesto la condanna a 8 anni di reclusione anche del ras Luigi Di Micco, uno dei fratelli del capo della cosca che era stato assolto in primo grado. Lo scorso anno il gotha del gruppo criminale di Ponticellli fu condannato, con rito abbreviato, dinanzi al Gup Nicola Quatrano. Dodici anni di reclusione vennero inflitti a Salvatore De Micco, alias ‘o parente, il più giovane dei fratelli, considerato l’ideatore del gruppo di fuoco dei ‘tatuati’ di Ponticelli. Salvatore Di Micco è legato a doppio filo con i Cuccaro di Barra per conto dei quali i ‘Bodo’ comandano a Ponticelli. Otto anni di reclusione anche per il fratello Marco, la mente finanziaria della cosca, che si occupava della gestione del traffico di stupefacenti. Marco Di Micco fu arrestato dopo una breve latitanza durante una cerimonia nuziale, in quell’occasione aveva sfoggiato il suo rolex d’oro da 30mila euro. Fu invece assolto e immediatamente scarcerato Luigi Di Micco, per il quale ieri il Pg ha chiesto otto anni. Il Gup assolse anche Fabio Riccardi, Luigi Sodano, Maurizio Morrutzu e Ciro Cirelli. Il giudice, invece, comminò 6 anni e 8 mesi a Omar Marino, Giuseppe Quagliariello, Vincenzo Scarpato e Gennaro Volpicelli, 6 anni di reclusione furono inflitti a Roberto Boccardi, Enea De Luca, Antonio Nocerino e Ferdinando Viscovo. Infine, quattro an- ni di carcere furono comminati al pentito Domenico Esposito “’o cine- se”, che con le sue rivelazioni ha spiegato i motivi della guerra tra i Di Micco e i D’Amico.

(nella foto da sinistra Salvatore e Marco De Micco)

Torre Annunziata: i Tamarisco volevano uccidere Maresca, il giovane ‘salvato’ dai carabinieri prima dell’agguato

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domenico tamarisco e gateano maresca

Torre Annunziata. “Domani deve stare nella bara” così aveva ordinato l’11 aprile scorso Domenico Tamarsico, uscito solo pochi giorni prima dal carcere, ai suoi sodali. L’uomo che doveva morire era Gaetano Maresca, figlio di Giuseppe ‘o Saccaro, quest’ultimo – elemento di spicco dei Gallo-Cavalieri –  ucciso tre anni fa a Torre Annunziata. I ‘Nardiello’ progettavano l’omicidio del 27enne- sorvegliato speciale -, pronte le pistole una 9×21 e una calibro 38. Pronti la moto e i killer che avrebbero dovuto agire nei pressi di un bar dove Maresca era solito prendere il caffè. Ma la vittima predestinata quel caffè lo prese con i carabinieri che l’11 aprile scorso lo fermarono e lo salvarono dall’agguato programmato. E’ quanto emerso nel corso delle indagini del Gico di Napoli che ieri hanno arrestato 34 persone, l’organizzazione che importava ingenti quantitativi di cocaina dall’Ecuador. A fermare i killer di Maresca le forze dell’ordine che ascoltavano le conversazioni del boss, appena uscito dal carcere, e di Bernardo Tamarisco – relegato su una sedia a rotelle – ma ancora attivo nell’ambito del narcotraffico. Quelle intercettazioni ambientali hanno salvato la vita all’uomo dei Gallo-Cavalieri che si contendeva con i Nardiello le piazze di spaccio a Torre Annunziata. Maresca gestiva, secondo gli inquirenti, ma anche secondo i clan rivali un traffico di stupefacenti che si estendeva nel basso Lazio e nel casertano. Tanto che le forze dell’ordine avevano arrestato tre persone che a marzo scorso stavano trasportando un chilo di marijuana Salvatore Esposito, 33 anni, Gennaro Troncato, 29 anni e Crescenzo Gallo, 45 anni. Gaetano Maresca fu fermato dai carabinieri l’11 aprile scorso, mentre prendeva un caffè al bar nei pressi della Circumvesuviana di Torre Annunziata. Lì gli avevano dato appuntamento i killer, una trappola nella quale non cadde per l’arrivo dei carabinieri. Gaetano Maresca, nonostante da tempo si fosse trasferito a Boscotrecase, era andato all’appuntamento, nonostante la diffidenza.

nella foto da sinistra Domenico Tamarisco e Gaetano Maresca)

Ercolano: i Birra-Iacomino pagarono 50mila euro ai Lo Russo per l’agguato al boss Mario Ascione e a Ciro Montella

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omicidio-7-17

Ercolano. I Birra-Iacomino pagarono 50mila euro per uccidere Mario Ascione e Ciro Montella. E’ quanto raccontano i collaboratori di giustizia a proposito del duplice omicidio per il quale è stato arrestato Raffaele Perfetto, killer dei Lo Russo di Miano. A riferirlo agli inquirenti, Ciro Savino, ex componente del commando di fuoco dei ‘vuoti a perdere’, il clan alleato dei Birra-Iacomino. A giugno del 2010, il collaboratore di giustizia raccontò della faida e del duplice omicidio di Ascione e del suo guardiaspalle, Montella. Savino raccontò che a rivelargli i particolari di quell’agguato fu Salvatore Viola, killer della Cuparella. Fu Viola ad indicare Perfetto come uno degli autori del duplice omicidio. Il killer dei Lo Russo fu ricompensato da Stefano Zeno con un regalo di 50mila euro. I due uomini rivali dei Birra-Iacomino furono uccisi l’11 marzo del 2003, i sicari – secondo quanto ricostruito dai collaboratori di giustizia – attesero sei ore prima di entrare in azione. Si appostarono sulla spiaggia antistante al luogo dove sarebbero transitati Ascione e Montella. Quel pezzo di spiaggia fu anche ripulito dalle tracce e dalle sigarette dopo l’agguato, per evitare che gli inquirenti potessero risalire all’identità degli assassini. A raccontare questo particolare, inedito, il pentito Vincenzo Esposito. Il pentito Giovanni Savino ha spiegato alla Dda che l’omicidio fu deciso da Giovanni Birra perché il boss della “Cuparella” non aveva per nulla gradito la reazione pubblica del capo degli Ascione-Papale all’omicidio di Raffaele Filosa fidanzato della figlia di Ascione. Nell’interrogatorio del dicembre del 2010, Savino spiega ai pm della Dda “…dopo l’omicidio di “Zuccariello”, fidanzato della figlia di Mario Ascione, quest’ultimo si recava sotto l’abitazione di Giovanni Birra a bordo di un’autovettura blindata e lo invitava platealmente a scendere in strada per regolare i conti. A seguito di questo gesto, Giovanni Birra e Stefano Zeno, in mia presenza, decidevano che si sarebbero rivolti a “Lello ’o mussuto”, ovvero Raffaele Perfetto dei “Lo Russo” per uccidere Mario Ascione”.

Pomigliano: il 24 giugno il processo per il boss Foria e i suoi affiliati

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foria e rega e falco

E’ stato fissato per il 24 giugno il processo nei confronti del boss di Pomigliano d’Arco Nicola Foria e i due suoi affiliati Tommaso Rega e Giuseppe Falco. Saranno giudicato con rito abbreviato e quindi usufruiranno dello sconto di un terzo della pena davanti al gup Maria Luisa Miranda. Sono imputati per turbativa d’asta e tentata estorsione con l’aggravante del metodo camorristico. Secondo l’accusa i tre avrebbero agito con minacce e pressioni per riprendersi un palazzo situato a Pomigliano, in via Masseria Papaccio. L’immobile era finito all’asta dopo il fallimento di una società intestata a Rega anche se, sulla base di alcune testimonianze raccolte dagli investigatori, solo fittiziamente perché realmente sarebbe appartenuto a Salvatore Foria, fratello di Nicola, storico capoclan deceduto in carcere nel 2004. nella vicenda è coinvolto anche l’avvocato di Marigliano Luigi Esposito, che è stato raggiunto da un’ordinanza di custodia cautelare agli arresti domiciliari tre giorni fa. Il legale avrebbe cercato di offrire soldi a un imprenditore della zona interessato a rilevare lo stabile per farlo ritirare dall’asta.

(nella foto Nicola Foria, Tommaso Rega e Giuseppe Falco)

Donne e champagne al “Bunga Bunga” di San Valentino per la banda dei camionisti di Vezzi e Guadagno

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vezzi e caldieri big boat

Incontri al Bunga-Bunga, locale di San Valentino Torio, di Gennaro Caldieri alias Rino, viaggi in Grecia, serate a base di champagne francese e un giro vorticoso di soldi e merce ricettata. L’organizzazione Vezzi-Guadagno sgominata dalla polizia dopo tre anni di indagini era ramificata in tutta Italia e nel giro di pochissimi mesi è riuscita a mettere a segno decine di colpi ai danni di importanti imprese nazionali e estere. A gestire i traffici delle merci rubate, il duo Gaetano Vezzi – torrese doc – ma residente a Milano, e Umberto Guadagno, suo amico e sodale di Poggiomarino. Ruolo fondamentale nella vita dell’organizzazione ma anche nei passi falsi che hanno consentito alle forze dell’ordine di scoprire l’organigramma della gang, quello delle donne, molte delle quali indagate o arrestate nel blitz di martedì notte. La base operativa dell’organizzazione era la Lions Agency di San Valentino Torio di Gennaro Caldieri, alias Rino, anche se il gruppo usava la ditta Napolano Pietro di Molinella Bologna come società fittizia per accaparrarsi i trasporti. Pietro Napolano, originario di Pagani, è uno dei complici di primo piano del duo Vezzi-Guadagno, non un inconsapevole prestanome. Napolano guadagna il 25% dei proventi illeciti quando i trasporti fantasma vengono effettuati attraverso la sua impresa e il suo nome viene utilizzato da Guadagno e dai complici per contattare i committenti e organizzare i trasferimenti e il furto delle merci. Ruolo centrale nell’organizzazione anche quello di Rino Caldieri, ritenuto dagli inquirenti un usuraio, conduttore dell’immobile della Lion’s di San Valentino Torio, il deposito che viene utilizzato dall’organizzazione. Insieme con la sua compagna Gerarda Giordano, alias Franca, segretaria e organizzatrice di gran parte dei viaggi truffaldini, si occupa di reperire autisti e mezzi per attuare le truffe. Ma altre donne sono al centro dell’inchiesta “Big boat”. Particolare attenzione degli inquirenti per Marianeve Arcamone, con la quale Vezzi intrattiene una relazione sentimentale, insieme ad Anna Di Donato, moglie di Umberto Guadagno sono le cassiere del gruppo. Marianeve Arcamone mantiene soldi per conto di Vezzi. Mentre la Di Donato si occupa di pagare autisti e ricettatori. A lei vengono consegnate le somme ricavate dalla vendita di merci da Raffaele Guadagno, fratello di Umberto. Altre donne importanti nell’ambito dell’organizzazione sono Gerarda Giordano, alias Franca la ragioniera, che tiene contatti con le agenzia e comunica a Umberto Guadagno quali sono i viaggi da effettuare. Altra ragioniera assoldata prima all’ufficio della Lions di San Valentino e poi nel deposito di via Longole a Poggiomarino dove viene stipata la merce rubata è Maria Giovanna Meligeni, che sostituisce per un periodo Dina Giordano. Umberto Guadagno e Gaetano Vezzi amano la bella vita e le belle donne e spesso organizzano trasferte di svago, con delle donne con le quali fanno viaggi all’estero, in Grecia o in Italia. Due donne in particolare, Denni e Rosaria sono spesso redarguite a telefono dai capi del gruppo criminale che si sentono intercettati, di non parlare di affari illeciti. Ruolo importante anche quello di Antonella, Antonietta Aliberti, moglie di Luigi Nappo, uno dei camionisti finiti nell’inchiesta. La donna presenta una denuncia ai carabinieri per lo smarrimento di un cellulare. È quello che incautamente qualcuno ha dato a una delle vittime della gang, dopo un trasporto truffaldino. Altra donna fondamentale per la vita dell’organizzazione è Elvira Iuliano, esperta del settore delle merci rubate. Elvira Iuliano, paganese doc, si occupa di intercettare i clienti di fornire documentazioni false di camion e autisti e organizzare i viaggi. La sua esperienza nel settore, esperienza che l’ha portata già altre volte in carcere, è utilizzata dalla gang Vezzi-Guadagno che opera a partire dal 2010, secondo gli inquirenti. Ruolo importante anche quello di Rosa Palumbo, la donna che gestisce la società di trasporti Palumbo di Angri, fermata ieri a Milano dopo che era sfuggita al blitz. La donna è inserita nell’organizzazione che si occupa di trafugare le merci prelevate in diversi paesi del Nord Italia e all’estero. Secondo la Procura, il giro d’affari truffaldino oltre ad aver procurato milioni di euro di danni alle imprese truffate ha anche ingenerato una diffidenza diffusa per le ditte di trasporti del Sud e in particolare della Campania che operano nel settore del commercio su gomme. La diffidenza nei confronti dei cosiddetti “napoletani” però viene raggirata con abili escamotage, come quello di organizzare i viaggi con imprese che formalmente hanno la sede al nord, ma in realtà sono gestite dalla gang Vezzi-Guadagno. Appostamenti, intercettazioni hanno consentito ai poliziotti della pg del Tribunale di Nocera Inferiore, coordinati dal pm Cacciapuoti, di ricostruire un’organigramma in cui ognuno ha un suo ruolo. (r.f.)

(nella foto i controlli delle forze dell’ordine ai camion con la merce rubata e nel riquadri da sinistra il capo dell’organizzazione Gennaro Vezzi di Torer Annunziata e il socio Gennaro Caldieri)

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