Quantcast
Channel: Cronaca Giudiziaria
Viewing all 6090 articles
Browse latest View live

Poliziotti e esperti informatici: ecco il lungo elenco dei testimoni della Procura contro Luca Materazzo

$
0
0

Napoli. Un presunto assassino, un movente e una lunga lista di nomi quelli della Procura di Napoli che sfileranno dinanzi alla corte d’Assise nel processo a Luca Materazzo, accusato di aver ucciso il fratello Vittorio il 28 novembre del 2016. Il 10 aprile prossimo inizierà il processo per l’omicidio di viale Maria Cristina di Savoia. La Procura prova a chiudere il cerchio in un processo nel quale, fino ad ora, ci sono stati tanti colpi di scena. Tra i testimoni che i pm hanno citato ci sono coloro che hanno seguito le indagini ed hanno firmato le informative che indicano Luca Materazzo, il 36enne scappato in Spagna, pochi giorni dopo il delitto. Il vicequestore Mario Grassia e il gruppo dei suoi collaboratori, l’ex responsabile della polizia scientifica, Fabiola Mancone, e ancora i biologi e gli esperti informatici. Sarà un processo lungo e complicato, nel quale la difesa – rappresentata dai penalisti Gaetano e Maria Luigia Insera – proveranno a dimostrare che Luca Materazzo non è l’assassino del fratello Vittorio. I pm Francesca De Renzis e Luisanna Figliolia, come riporta Il Mattino, hanno convocato anche il primo testimone chiave del delitto, Filippo Licenziati, che quella sera scese in strada attirato dalle urla della vittima mentre veniva colpito con circa 40 coltellate. Poi Licenziati seguì quella sagoma con la testa coperta da un casco integrale da motociclista e due giubbotti addosso, mentre spariva in vico Santa Maria della Neve. L’uomo poi indicò agli inquirenti dove l’assassino si era cambiato di abito. Lì fu trovato il casco e l’arma del delitto, un coltello da su utilizzato per assassinare con particolare ferocia Vittorio Materazzo, ucciso all’età di 51 anni. Nella lista dei testimoni della Procura anche alcuni professionisti, amici della vittima che dovrebbero raccontare delle relazioni dell’ingegnere e dei suoi dubbi sulla morte del padre Lucio, scomparso nel 2013, ufficialmente per cause naturali. In aula sarà convocata, poi, Elena Grande, vedova dell’ingegnere che si è costituita parte civile nel corso dell’udienza preliminare e le sorelle di Luca e Vittorio (tre su quattro costituite parte civile, sono difese dall’avvocato Gennaro Pecoraro), mentre c’è attesa anche per il titolare di un bar in zona via Crispi, che ha svelato particolari decisivi, riconoscendo Luca come uno dei clienti del suo locale la sera in cui avvenne il delitto: vide Luca mentre era intento a lavarsi le macchie di sangue nel bar del suo locale, lo riconobbe dopo aver visto le foto del 36enne sul giornale, a partire dal cinque dicembre del 2016. Il resto riguarda le prove del Dna, l’argomento cardine su cui poggia l’accusa a carico dell’unico imputato. Sono diverse le tracce di sangue isolate sugli abiti e sull’arma del delitto che riconducono a Luca, un argomento che spinse il gip Bruno D’Urso a firmare l’ordine di arresto a suo carico.
La difesa a sua volta prepara una lista di testimoni che dovrebbero insinuare dubbi sulle responsabilità di Luca Materazzo che non ha mai confessato di essere l’autore dell’omicidio e che è stato arrestato alcuni mesi fa in Spagna, dove lavorava in un bar.

Cronache della Campania@2018


Rapinatore latitante si nasconde in salumeria, scovato dai carabinieri a Marano. Dovrà scontare 7 anni

$
0
0

Giugliano. Una rapina commessa 14 anni fa a Firenze è costata a Giuseppe Mea, 42 anni, di Giugliano una condanna a sette anni di reclusione. A costargli il carcere un colpo messo a segno il 18 marzo del 2004, ma per sette giorni i carabinieri della Compagnia di Giugliano, diretti dal capitano Antonio De Lise, hanno dovuto cercare nell’area a nord di Napoli il rapinatore condannato. Temendo di essere arrestato si era allontanato da casa, e così i militari hanno esteso i controlli tra Mugnano e Marano, luoghi frequentati da Mea. Infine hanno scoperto che si era nascosto a Marano, a pochi chilometri da casa, per evitare il carcere. Quando, infine, è stato trovato ha provato a scappare a piedi, ma i carabinieri lo hanno scovato mentre si nascondeva in una salumeria. I militari hanno dovuto sfondare porta e vetri dell’esercizio commerciale stringergli le manette ai polsi. Alla fine, esausto, l’uomo si è arresto Ora è nel carcere di Poggioreale dove dovrà scontare la sua pena a sette anni di reclusione per una rapina commessa 14 anni fa a Firenze.
I carabinieri, nell’ambito di una serie di controlli del territorio hanno eseguito anche un’altra ordinanza di arresto. Si tratta di Rosario Clemente, 55 anni. L’uomo, nel gennaio del 2010, si era impossessato di una vettura presa a noleggio sempre a Firenze. La macchina però non è stata mai restituita alla società tanto che, come prevedibile, è partita la denuncia. L’accusa nei suoi confronti è di appropriazione indebita. Dovrà espiare una pena di sei mesi ai domiciliari.

Cronache della Campania@2018

Contrastare ogni forma di criminalità organizzata ed economica: il direttore della Dia Governale in visita alla sezione di Salerno

$
0
0

Salerno. Prevenire e contrastare ogni forma di criminalità organizzata sul territorio e particolare attenzione per i fenomeni di infiltrazioni malavitose nel settore degli appalti pubblici e nelle amministrazioni locali: questo il ‘fil rouge’ dell’incontro del Direttore della Direzione Investigativa Antimafia, il generale Giuseppe Governale che stamane ha fatto visita alla Sezione operativa Dia di Salerno. Il Generale Governale è stato ricevuto dal capo Centro di Napoli, Giuseppe Linares e dal capo Sezione di Salerno Giulio Pini. Nel corso della visita è stato effettuato un approfondito esame delle attività svolte e di quelle in corso, sia sul versante delle investigazioni preventive e giudiziarie, sia sotto il profilo del contrasto alle infiltrazioni malavitose nel settore degli appalti pubblici e delle amministrazioni locali. In particolare, nel corso dell’incontro sono stati valutati i risultati conseguiti nell’ultimo periodo dalla Sezione Operativa di Salerno nell’attività di aggressione patrimoniale nei confronti di soggetti indagati per reati contro la pubblica amministrazione, nell’ambito di un’attività investigativa e preventiva finalizzata a svelare infiltrazioni della criminalità organizzata negli appalti pubblici. Un’attività che recentemente ha portato al sequestro anche per equivalente per circa 31 milioni di euro, nell’operazione denominata ‘Porta Ovest’, seguita dalla sezione Dia di Salerno con il coordinamento della Procura. Durante l’incontro al quale hanno partecipato gli ufficiali e il personale, in forze alla sezione, è stato posto l’accento sullo sviluppo e sulla delicatezza delle informazioni antimafia, che hanno permesso di fornire alla Prefettura di Salerno elementi utili per l’adozione di diversi provvedimenti interdittivi e dinieghi di iscrizione alle cosiddette white list, sempre in tema di appalti pubblici. L’incontro è stato l’occasione anche per fare un punto sugli obiettivi strategici di medio-lungo periodo che caratterizzeranno il personale della Dia. Il dictat del direttore Governale è stato quello di proseguire lungo le direttrici che caratterizzano l’attività istituzionale della Direzione investigativa antimafia e in particolare sullo sviluppo delle indagini di polizia giudiziaria, l’aggressione ai patrimoni illeciti della criminalità organizzata attraverso misure di prevenzione patrimoniali mirate, l’approfondimento di segnalazioni di operazioni finanziarie sospette – spesso indice di attività di riciclaggio – e il monitoraggio degli appalti pubblici, al fine di prevenire tentativi di infiltrazione mafiosa.
Il generale Governale ha proseguito la sua visita a Salerno, partecipando alla presentazione del nuovo Osservatorio Multidisciplinare per il Contrasto alla Criminalità Organizzata e al Terrorismo, organizzato presso l’Università degli studi di Salerno in Fisciano, nel corso del quale ha incontrato, oltre al Magnifico Rettore, Aurelio Tommasetti, il Procuratore Nazionale Antimafia, Federico Cafiero de Raho, il Presidente dell’Osservatorio, Franco Roberti e i vertici provinciali delle Forze di Polizia, con i quali sono stati affrontati gli aspetti di maggiore criticità del territorio salernitano.

Nella foto: il direttore della Dia Giuseppe Governale

Cronache della Campania@2018

Libertà di stampa e inchiesta Consip, per la Cassazione illegittimi i sequestri al giornalista Marco Lillo

$
0
0

La perquisizione e il sequestro al giornalista Marco Lillo sono illegittimi. La Cassazione accoglie il ricorso del giornalista del Fatto Quotidiano’ che il 5 luglio, nell’ambito di un’indagine sulla fuga di notizie per l’inchiesta Consip, ebbe il sequestro – a casa e in redazione – di materiae informatico e documentale. Lo sottolinea la Cassazione con la sentenza 9989 depositata oggi con la quale gli ‘ermellini’ hanno ordinato la restituzione a Lillo di tutto quello che gli è stato sequestrato, vietando inoltre ai magistrati partenopei il “trattenimento di copia dei dati acquisiti”. Ad avviso della Suprema Corte, con riferimento ai principi in tema di tutela della libertà di stampa fissati dalla Corte dei diritti dell’uomo, la perquisizione e il sequestro sono state due misure sproporzionate adottate nei confronti di un professionista dell’informazione senza che vi fosse un legame probatorio, tra i documenti sequestrati e l’oggetto dell’indagine. Di conseguenza, i supremi giudici hanno disposto la restituzione a Lillo “di tutti i computer, hard disk, pen drive, telefoni cellulari, cd-rom e dvd rom, sequestrati o acquisiti in copia”, e la stessa cosa hanno ordinato per quanto riguarda i documenti cartacei, tra i quali il contratto stipulato da Lillo per la pubblicazione del libro ‘Di padre in figlio: le carte inedite del caso Consip e il familismo renziano’. Affinchè il sequestro sia valido, spiega la Cassazione annullando senza rinvio l’ordinanza emessa ai danni di Lillo, di altre persone a lui vicine, oltre che nei confronti di un altro giornalista del ‘Fatto’, alle quali sono stati sequestrati pc e cellulari, “non è sufficiente affermare che si tratti di atti relativi al libro che ha divulgato al pubblico la notizia segreta presumibilmente rivelata da un pubblico ufficiale o da un incaricato di pubblico servizio”. “Occorre verificare – prosegue la sentenza scritta dal consigliere Antonio Corbo della Sesta sezione penale – che detti documenti abbiano uno specifico legame con la condotta di rivelazione di segreto di ufficio, in particolare perchè contenenti elementi utili per individuare la provenienza della notizia ricevuta dal giornalista”. In sostanza, nei confronti dei giornalisti più che di ogni altra categoria professionale, per evitare il rischio di “potenziali limitazioni che alla libertà di stampa potrebbero derivare da iniziative immotivatamente invasive”, non possono essere disposte misure di sequestro ‘a strascico’ della corrispondenza, delle comunicazioni, o di ogni altro materiale e documentazione sulla base di un “semplice nesso di pertinenzialità tra le notizie ed il generico tema dell’indagine”.

Cronache della Campania@2018

Osservatorio a Salerno contro la criminalità, De Raho: “Corruzione e terrorismo i due fenomeni da battere”

$
0
0

Salerno. Presentato il programma del nuovo Osservatorio multidisciplinare per il contrasto alla criminalità organizzata e al terrorismo. Si è tenuto al Campus universitario di Fisciano l’incontro per presentare le iniziative dell’Osservatorio, inaugurato lo scorso dicembre e costituto dall’Ateneo di Salerno e dalla Direzione Nazionale Antimafia. L’intento è quello di realizzare una continuativa attività di ricerca scientifica applicata alle aree tematiche della Computational Intelligence, tesa al contrasto delle attività terroristiche diffuse su Web e Deep Web, a supporto dei progetti di analisi delle informazioni per i reati di competenza della DNA. ”Da due anni – ha detto il rettore Aurelio Tommasetti – lavoriamo a questo progetto. Abbiamo sottoscritto un protocollo di intesa per l’implementazione di un’attività congiunta di formazione e di ricerca. Abbiamo dato vita ad un Osservatorio che lavori operativamente alle attività di indagine e di analisi per il contrasto alla criminalità organizzata e al terrorismo. Dal punto di vista della ricerca ritengo che da questa sinergia possano nascere sviluppi importantissimi”. “L’attività di analisi che andremo a condurre – ha aggiunto il presidente dell’Osservatorio, Franco Roberti – vorrà inizialmente andare alla ricerca, nello sconfinato mondo del web, dei siti che sono a rischio di terrorismo, di proselitismo, di transazioni criminali, con la prospettiva, già programmata, di ampliare le funzioni del software sviluppato per far fronte anche ad altri reati di competenza della DNA. Si tratta di cercare sul web quelle situazioni criminose che spesso sfuggono alle indagini tradizionali. E’ una nuova frontiera di indagine che porteremo avanti in sinergia con l’Università e con grande determinazione”. ”Voglio evidenziare – ha ribadito il procuratore nazionale Antimafia e Antiterrorismo, Federico Cafiero De Raho – come continuare a lavorare da procuratore nazionale in successione a Franco Roberti è davvero motivo di orgoglio e di responsabilità. Nella mia ultima esperienza di procuratore di Reggio Calabria, ho potuto verificare quanto ormai le organizzazioni criminose si muovano, come il terrorismo, utilizzando gli strumenti moderni: internet e le tecnologie informatiche costituiscono, infatti, strumenti significativi di connessione e di sviluppo di operazioni criminali”.Proprio nell’ambito della manifestazione di stamane Cafiero de Raho ha fatto un’analisi sulla mutazione delle nuove mafie. “Le mafie non utilizzano più l’intimidazione o la violenza, ma la corruzione come strumento di infiltrazione”. Sottolinea Federico Cafiero De Raho, ribadendo che, in Italia, “la corruzione costa troppo”.
L’ex capo della procura di Reggio Calabria ha evidenziato la necessità di contrastare il fenomeno “con il massimo impegno anche perchè, come è stato detto ripetutamente, oggi rappresenta lo strumento attraverso il quale le mafie riescono a infiltrarsi negli enti, riescono ad aprire i rapporti con la politica oltre che inquinare fortemente l’economia”. “Le mafie oggi utilizzano la strategia della corruzione che è quella che fa abbassare ogni livello di difesa da parte delle strutture pubbliche e da parte quindi di qualunque soggetto che operi nell’economia. Sono state tantissime le indagini che l’hanno evidenziato”, aggiunge. A quella che era la corruzione “solitamente utilizzata nel pubblico per superare le selezioni in ambito di appalti o altri settori, oggi si aggiunge una corruzione, che ancora più dilagante, da parte delle mafie le quali si presentano attraverso mediatori e interfacce che, da un lato mascherano le mafie, dall’altro intervengono con somme di denaro talmente elevate da poter comprare tanti”. De Raho ha poi sottolineato che “Sotto il profilo della preoccupazione per una minaccia terroristica devo dire che in Italia esiste una collaborazione fortissima fra polizie giudiziarie e Servizi. La specializzazione di queste forze è talmente elevata da contenere il rischio. Non dico escluderlo, perchè il rischio continua a esserci nei Paesi europei, non solo in Italia”, aggiunge. Se l’Italia, fino ad oggi, è rimasta fuori dalla mappa degli attentati, per il magistrato ciò è dovuto al “fortissimo intervento della polizia giudiziaria e della magistratura da un lato, dei Servizi all’altro. Le espulsioni, accompagnate agli arresti, hanno impedito fatti che sarebbero potuti essere anche di stragi. E quindi se stragi o fatti eclatanti non sono avvenuti in Italia è soltanto perchè, fino ad oggi, polizia giudiziaria, Servizi, magistratura hanno operato con la massima consapevolezza dell’importanza del contrasto al terrorismo”.

Cronache della Campania@2018

Camorra: arrestato il cassiere del boss pentito Antonio Lo Russo

$
0
0

A conclusione di indagini coordinate dalla Direzione Distrettuale Antimafia della Procura della Repubblica di Napoli, personale del Centro Operativo D.I.A. sta eseguendo un’ordinanza di applicazione di misura coercitiva emessa dal G.I.P. presso il Tribunale di Napoli su richiesta della locale D.D.A. nei confronti di POTENZA Bruno ( cl.’62), detenuto presso la Casa Circondariale di Santa Maria Capua Vetere, e DI NAPOLI Maurizio (cl.’76), destinatario della misura cautelare degli arresti domiciliari.
Il POTENZA è ritenuto responsabile di favoreggiamento aggravato dall’art.7 l.203/91 nei confronti di LO RUSSO Antonio, già esponente di vertice dell’omonimo clan ed oggi collaboratore di giustizia. In particolare, nell’ambito delle indagini svolte, supportate dalle dichiarazioni di collaboratori di giustizia ma anche da attività tecniche, emergeva che Bruno POTENZA, durante il periodo della latitanza del LO RUSSO, durato dal maggio 2010 all’aprile 2014, riceveva da questi la somma di euro 500.000, consapevole che si trattasse di parte della cassa del clan, al fine di aiutare il LO RUSSO a “diversificare” i rischi di sequestro da parte dell’A.G. tramite il ricorso a diverse modalità di custodia dei profitti economici delle attività delittuose cui la sua organizzazione era dedita da anni.
Inoltre il POTENZA e di NAPOLI sono ritenuti responsabili di interposizione fittizia di beni, avendo il primo attribuito fittiziamente al secondo la titolarità della società cui è riconducibile l’attività di ristorazione – sala per ricevimenti denominata Villa delle Ninfe con sede in Pozzuoli, al fine di eludere le disposizioni di legge in materia di misure di prevenzione.
In particolare, nell’ambito delle indagini, supportate come detto da attività tecniche, oltre che da mirati accertamenti patrimoniali, emergeva che la gestione del ristorante, ad onta della formale conclusione di un contratto di fitto d’azienda con una società apparentemente “terza”, era sempre stata di Bruno POTENZA, anche durante la detenzione di quest’ultimo il quale, colpito da un ordine di esecuzione emesso dalla Procura Generale per un residuo di 5 anni e 3 mesi di reclusione in esecuzione di sentenza di condanna, si era presentato presso il carcere di Santa Maria Capua Vetere ove, allo stato, risulta ristretto.
Non è la prima volta che i beni riferibili ai fratelli POTENZA, famiglia della zona di S. Lucia storicamente dedita al contrabbando di sigarette fino agli anni ’90, poi stabilmente dedita all’usura nel cui ambito investiva gli stessi proventi così accumulati negli anni, sono stati oggetto di sequestro.
Da ultimo, nel luglio 2017, questo centro operativo dava esecuzione alla misura di prevenzione patrimoniale del sequestro di beni mobili, immobili, tra i quali anche il ristorante Villa delle Ninfe, e disponibilità finanziarie emessa, ai sensi della normativa antimafia, dal Tribunale di Napoli – Sezione Misure di Prevenzione, nei confronti dei fratelli POTENZA per un valore di circa 20 milioni di euro.

Cronache della Campania@2018

Violenza sessuale e stalking: a giudizio 22enne del Salernitano

$
0
0

Fisciano. Un 22enne di Fisciano è stato rinviato a giudizio con l’accusa di stalking, lesioni ed estorsione. La vittima delle violenze pressoché quotidiane era l’ex fidanzata. Secondo quanto raccolto dagli inquirenti la donna sarebbe stata vittima di una serie di atteggiamenti messi in atto dal fidanzato con lo scopo di ottenere tutto ciò che desiderava, dal sesso ai soldi. I fatti risalirebbero tra il novembre del 2015 e il febbraio del 2016. Secondo le indagini il giovane avrebbe approfittato della debolezza della ragazza per estorcerle danaro ogni qualvolta ne avesse bisogno provocando uno stato di ansia e paura per la ragazza. Quando si rifiutava di versargli i soldi la picchiava. Nella denuncia vengono citati due episodi. Il primo risalente al 23 gennaio quando la ragazza finì in ospedale con una prognosi di sette giorni. Il secondo, invece, al 3 febbraio quando la giovane riportò contusioni alla gamba sinistra e agli zigomi. L’accusa peggiore per il giovane è quella di violenza sessuale. Il fatto è risalente al 2 febbraio 2016 quando la ragazza fu costretta a subire atti sessuali contro la sua volontà. Tutte le accuse furono valutate anche dal gip, in fase preliminare, che dispose per l’imputato una misura cautelare. Ora gli atti finiscono davanti al collegio del tribunale di Nocera Inferiore. Ora il 22enne dovrà affrontare il processo.

Cronache della Campania@2018

Camorra, il pentito: ‘I mariuoli del rione Sanità fecero la colletta per comprare il motorino rubato alla moglie del boss’

$
0
0

Rubarono il motorino di Dora Staterini, la moglie del boss del rione Sanità, Patrizio Vastarella, e i ladri del quartieri furono costretti a fare una colletta per ricomprarglielo. E’ quanto emerge dalle 400 pagine dell’ordinanza di custodia cautelare firmate dal gip Francesca Ferri e che la scorsa settimana ha portato in carcere tutto il gotha del clan Vastarella, compresa la donna di camorra Dora Staterini, o come è stata definita dal capo della squadra mobile di Napoli, Luigi Rinella, la “cassiera e l’addetta alle pubbliche relazioni” della cosca. Il clan aveva il controllo totale del territorio. Lo hanno spiegato i due pentiti Rosario De Stefano (uomo dei Lo Russo) e Salvatore Marfè: un ex affiliato ai Ferraiuolo di Forcella. E a proposito della colletta per il motorino rubato a Dora Staterini il pentito DeStefano ha raccontato: “Tutti i mariuoli della Sanità fecero la colletta, raggranellarono fino a tremila euro, per comprare il motorino alla moglie di Patrizio Vastarella. Poi ci fu il pestaggio di un uomo dei Sequino, indicato come responsabile”. Intanto Dora Staterini ieri è stata interrogata dal gip e ha preferito avvalersi della facoltà di non rispondere in attesa di studiare l’ordinanza  e preparare il Riesame. Oggi toccherà agli altri della famiglia, compreso il marito, il boss Patrizio Vastarella e agli altri arrestati nel blitz.

Cronache della Campania@2018


Pomigliano, rubava cavi di rame nel parcheggio della Fca: va ai domiciliari

$
0
0

Pomigliano. E’ stato sorpreso mentre rubava un cavo di rame lungo cinque metri dai pali del parcheggio per le auto dei lavoratori della fiat di Pomigliano. A fermare Francesco Cirillo sono stati i carabinieri che l’hanno spedito ai domiciliari in attesa del rito direttissimo. Il cavo rubato è stato restituito alla Fiat. Non è il primo caso di furti di rame nell’hinterland napoletano. Il cosiddetto oro rosso che fa gola a tutti viene venduto al prezzo di due euro se si tratta di materiale usato, circa 70 euro al chilo se invece è nuovo. Oltre ai danni economici che crea alle aziende si registrano anche danni di natura sociale, con quartieri al buio, circolazione ferroviaria paralizzata. Anche se i furti sono in leggero calo, l’allarme resta alto. Una volta rubato il rame viene consegnato a fonderie clandestine che lo fondono senza nessuno standard di sicurezza e poi viene rivenduto.

Cronache della Campania@2018

Prostituzione tra Campania, Basilicata, Calabria e Lazio: individuata la maitresse napoletana e i suoi 18 complici

$
0
0

Potenza. E’ una donna napoletana di 35 anni, la maitresse che gestiva un giro di prostituzione di giovani donne e transessuali, quasi tutti provenienti dal Sud America. I carabinieri del Nucleo Operativo e Radiomobile della Compagnia di Potenza hanno notificato alla donna e ai suoi 18 complici un avviso di conclusione delle indagini emesso dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Potenza. I 19 indagati sono accusati di associazione per delinquere finalizzata allo sfruttamento della prostituzione e al furto aggravata di energia elettrica. L’avviso di conclusione delle indagini è stato notificato oltre che a Napoli nelle province di Brindisi, Potenza e Cosenza. Secondo la Procura, l’organizzazione favoriva e agevolava il meretricio di donne e transgender italiane e straniere anche mediante la concessione in subaffitto di appartamenti locati da ignari proprietari, inserti pubblicitari, accompagnamenti, fornitura di biancheria, preservativi ed altro supporto logistico, necessario per lo svolgimento dell’attività illecita, compresa la donna per le pulizie negli appartamenti, gli asciugamani, le salviette, le lenzuola, i cuscini, il lubrificante e la riscossione del canone di locazione. L’attività di indagine, avviata nel mese di gennaio 2017 e proseguita per circa dieci mesi fino all’ottobre 2017, prende le mosse da un controllo dei militari, in via Messina a Potenza, dove veniva accertato che le occupanti di un appartamento in affitto, ognuno in una stanza, vestite con abiti succinti, fruivano di energia elettrica mediante allaccio abusivo. I carabinieri, incuriositi dall’arredamento scarno e dalla presenza di soli letti, iniziavano ad effettuare i primi accertamenti e grazie ad idonei servizi di osservazione e pedinamento, notavano un vero e proprio via-vai dalla palazzina.
Le indagini, condotte anche con l’ausilio di intercettazione, hanno consentito di accertare che a capo dell’associazione vi era una donna, napoletana, che intesseva una serie di relazioni e di attività finalizzate a gestire, grazie a contratti di locazione a lei intestati o ad altri sodali, talvolta anche con documenti falsi, alcuni appartamenti ubicati tra Napoli, Potenza, Brindisi, Rende, Cosenza e Cassino, all’interno dei quali venivano ospitate giovani donne e transessuali, quasi tutti provenienti dal Sud America.
La giovane maitresse, si faceva consegnare somme che oscillavano tra i 50 euro giornalieri e le  250/350 euro settimanali, che le venivano versate tramite ricariche postepay. In cambio procurava gli appartamenti, situati in zone appartate, in modo da assicurare segretezza e discrezione, reclutava le prostitute e le prelevava dalle stazioni ferroviarie.
Un ruolo particolare assume anche il padre della donna che, per sovvenzionare eventuali esigenze e fornire necessarie garanzie economiche alla figlia, diventava una sorte di “fideiussore”, poiché titolare di busta paga. Difatti, in una conversazione emerge il progetto della donna di riciclare il denaro mediante l’acquisto di una villa che materialmente il padre doveva donarle, poiché in passato aveva già richiesto dei prestiti e quindi l’operazione finanziaria era giustificata e non destava sospetti.
Gli “chauffeur”, ossia coloro che avevano i compiti di prelevare ed accompagnare le donne,  ricevevano quale compenso dai 20/30 euro.
Nel corso delle indagini è stata sequestrata anche una vera e propria agenda con le annotazioni della situazione debitoria delle donne e dei pagamenti.
Per capitalizzare meglio i guadagni e gli introiti, in ogni appartamento locato veniva costituito un allaccio abusivo alla rete di energia elettrica, al fine di non contabilizzarne i consumi. Ulteriore forma di entrata era la differenza tra la somma base di locazione degli appartamenti ed i guadagni ricavati con le richieste ad ogni singola prostituta, le quali, generalmente, restavano negli appartamenti massimo una o due settimane. Gli altri componenti del gruppo, fornivano, a loro volta, analoghi contributi, quali la manutenzione degli appartamenti, piccole riparazioni oppure prelevano le donne all’aeroporto o alla stazione.

Cronache della Campania@2018

Nocera Inferiore, stalker seriale arrestato dalla Polizia: perseguitava una ex

$
0
0

Salerno. Stalker seriale arrestato dagli agenti del Commissariato di Nocera Inferiore. S. F., 43 anni di Salerno, è agli arresti domiciliari per atti persecutori nei confronti di una donna con la quale aveva avuto una breve storia sentimentale. A far scattare l’arresto, le denunce della donna che dopo una brevissima relazione aveva deciso di lasciare il 43enne. Ma a quel punto erano iniziate le minacce e le persecuzioni. In più occasioni la vittima era stata minacciata e malmenata, tanto da essere caduta in uno stato di depressione e di timore. S. F., è stato accertato essere uno stalker recidivo, in quanto – in passato – è stato destinatario di un provvedimento di divieto di avvicinamento ad un’altra donna, R. A, di Salerno, con la quale aveva avuto una lunga relazione sentimentale al termine della quale aveva posto in essere un’analoga serie di atti persecutori. L’arrestato, dopo le formalità di rito è stato accompagnato presso il suo domicilio a Salerno, in attesa dell’interrogatorio di garanzia da parte del giudice che ha emesso l’ordinanza di custodia cautelare. 

Cronache della Campania@2018

Fidanzati uccisi, in 256 pagine le motivazioni dell’ergastolo al napoletano Ruotolo

$
0
0

Sono state depositate oggi le motivazioni della sentenza nei confronti di Giosue’ Ruotolo, il militare campano di 28 anni, giudicato colpevole del duplice omicidio dei fidanzati Teresa Costanza e Trifone Ragone, uccisi a colpi di pistola nel parcheggio del palazzetto dello sport di Pordenone la sera del 17 marzo 2015. Le motivazioni si sviluppano per 256 pagine in cui viene sviscerata la vita di Ruotolo e dei suoi commilitoni. Nelle ultime 90 pagine si entra nel dettaglio delle ragioni che hanno portato la Corte d’Assise del Tribunale di Udine alla condanna all’ergastolo, con isolamento diurno per 2 anni e interdizione perpetua dai pubblici uffici. “Ci vorranno giorni solo per leggere l’intero dispositivo – ha detto l’avvocato difensore Roberto Rigoni Stern – solo al termine della verifica delle motivazioni potremo iniziare a predisporre il ricorso, che proporremo certamente. Ruotolo era in attesa di questa documentazione perche’ ansioso di poter preparare l’appello e continua a professare la sua innocenza”.

Cronache della Campania@2018

Denunciò il killer di Don Diana, lo Stato gli nega il riconoscimento di vittima innocente della criminalità

$
0
0

Caserta. Vide il killer di Don Diana: il Ministero dell’Interno ha rigettato la domanda presentata per il riconoscimento di vittima innocente della criminalità. Ad Augusto Di Meo, testimone oculare dell’omicidio di don Peppe Diana, il sacerdote ucciso a Casal di Principe nel 1994, è stata bocciata l’istanza perchè ritenuta tardiva. La decisione fa insorgere il Comitato don Peppe Diana, associazione che a Casal di Principe e nei comuni limitrofi una volta roccaforte dei Casalesi, gestisce numerosi beni confiscati e attua progetti di riscatto sociale. Di Meo vide in faccia il killer del prete, l’esponente dei Casalesi Giuseppe Quadrano, lo denunciò e lo fece condannare. Allora, era il 19 marzo di 24 anni fa, aveva 34 anni ed un laboratorio fotografico avviato. La sua testimonianza però, ritenuta fondamentale dalla Dda di Napoli per la condanna degli autori dell’omicidio così come confermato anche dalla Cassazione del 2004, gli ha cambiato la vita; Di Meo ha infatti affrontato problemi di natura personale, di salute, economici; è stato costretto a lasciare Casal di Principe per poi farvi ritorno dopo tanti anni. Nel 2010 chiese di essere riconosciuto come “testimone di giustizia”, ma la sua domanda fu bocciata perchè allora quella figura non esisteva nell’ordinamento italiano. A parziale “risarcimento”, il 16 dicembre del 2014 ha ricevuto dall’allora capo dello Stato Giorgio Napolitano l’investitura del titolo di Ufficiale della Repubblica. Nel 2015 Di Meo ha poi presentato domanda per essere riconosciuto come vittima innocente della criminalità, ma il Ministero ha attuato la norma secondo cui l’istanza va presentata entro tre mesi dal passaggio in giudicato della sentenza; cosa avvenuta nel 2004. “Siamo basiti – scrivono in una nota i responsabili del Comitato cui aderiscono anche i genitori e i fratelli di don Peppe – non pensavamo che avremmo dovuto manifestare il nostro smarrimento contro decisioni ministeriali in palese contrasto con la nostra idea di riscatto di un intero territorio, lasciato per anni nelle mani della criminalità organizzata. L’eccezione di improcedibilità opposta alla richiesta di Di Meo dal Ministero dell’Interno, e nello specifico dal Dipartimento per le libertà civili e l’immigrazione, Area ‘Speciali elargizioni alle vittime del terrorismo e della criminalità di tipo mafioso’, non fa onore a nessuno”. “Per perorare la causa di Di Meo – prosegue la nota – il Comitato don Peppe Diana, insieme al coordinamento provinciale casertano dell’associazione Libera e all’amministrazione comunale di Casal di Principe, si e’ fatto promotore di una petizione popolare che ha raccolto più di 40mila firme. Sottoscrizioni che chiedono di veder riconosciuto un diritto e che porteremo personalmente al prossimo Ministro dell’Interno nella speranza che il buon senso cominci a valere molto di più. Non ci fermeremo perchè non possiamo e non vogliamo”. Il caso di Di Meo presenta similitudini con quello relativo all’omicidio di Genovese Pagliuca, il giovane ucciso nel 1995 dai Casalesi per punizione, che non è mai stato riconosciuto dal Ministero come vittima innocente, e ciò in base a delle informative che lo descrivevano come vicino ad ambienti camorristici, circostanza smentita dalla sentenze giudiziarie.

Cronache della Campania@2018

‘Ndrangheta, arrestato in Germania il latitante Emanuele Cosentino: era il reggente della cosca Gallico

$
0
0

Germania. Blitz a Saarbrücken: arrestato il latitante della ‘Ndrangheta, Emanuele Cosentino, elemento di spicco della cosca Gallico di Palmi, in provincia di Reggio Calabria. Ieri pomeriggio, i carabinieri del Comando provinciale di Reggio Calabria, supportati nella fase esecutiva da personale della polizia tedesca, hanno arrestato Cosentino, 32 anni, ritenuto elemento di spicco dell’articolazione territoriale della ‘ndrangheta denominata cosca ‘Gallico’, operante prevalentemente nell’area tirrenica reggina e con ramificazioni in ambito nazionale ed internazionale. L’indagine, coordinata dalla Direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabra, ha consentito di stringere il cerchio intorno al latitante dopo 10 mesi di approfondimenti investigativi – prima focalizzati su alcuni elementi della cosca d’appartenenza, poi concentrati sulla cerchia familiare – per cogliere elementi utili a ricostruire e monitorare il collaudato circuito che nel tempo gli ha assicurato la latitanza. Cosentino è stato sorpreso per strada, nel centro cittadino, alla guida di un’autovettura con targa tedesca. Insieme a lui era presente la moglie Laura Nasso, che lo aveva recentemente raggiunto da Palmi, dove viveva con i loro cinque figli, uno dei quali nato durante la latitanza del padre. Non erano armati e non hanno opposto resistenza all’arresto. Entrambi avevano documenti d’identità con false generalità. L’esito positivo dell’operazione è stato favorito, in maniera determinante, dalla cooperazione avviata con la polizia tedesca del Saarlander, sotto l’egida del Servizio per la cooperazione internazionale di polizia (Scip), cooperazione che ha consentito di capitalizzare le acquisizioni investigative dei carabinieri di Reggio Calabria. Cosentino, destinatario di mandato di arresto europeo emesso dalla Corte d’Appello di Reggio Calabria nel giugno del 2017, era irreperibile dall’ottobre 2013, ovvero da quando si era sottratto a un’ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa dal locale ufficio gip per associazione di tipo mafioso ed estorsione aggravata dal metodo mafioso, medesimi reati per cui era ricercato in campo internazionale. Nel tempo, gli sviluppi processuali hanno condotto a una condanna, confermata in Appello, a oltre 7 anni di reclusione.
L’uomo era stato recentemente inserito nell’elenco dei ‘Latitanti pericolosi’: come hanno documentato le indagini a suo carico, fin dall’anno 2004 ha assicurato un costante contributo alla cosca di appartenenza, da tempo egemone nel territorio di Palmi. Dal 2011, dopo i provvedimenti cautelari che avevano raggiunto il ‘reggente’ del sodalizio, Domenico Nasso, Cosentino si era sostituito a quest’ultimo nella gestione delle attività estorsive, ricevendo da quest’ultimo le disposizioni che gli venivano comunicate tramite i familiari dal carcere. Dopo l’inizio della latitanza, i carabinieri hanno registrato la presenza di Cosentino fuori dal territorio italiano. La cattura odierna ribadisce la dimensione transnazionale del fenomeno ‘ndranghetista, che – come emerso in numerose attività investigative della Dda reggina – si conferma in grado di alimentare e sostenere una rete di stabili relazioni e cointeressenze, funzionale a garantire tanto il reinvestimento dei proventi illeciti, quanto l’appoggio alla latitanza dei suoi affiliati più importanti.

Cronache della Campania@2018

Clan Vastarella, il pentito: ‘Il nero sfondò il muro durante la strage delle Fontanelle e fece scappare Antonio, figlio del boss’

$
0
0

Sono due i pentiti che hanno collaborato all’inchiesta della Dda di napoli e che dall’alba di ieri ha stroncato il potente clan “familiare” dei Vastarella del rione Sanità con 18 arresti di cui 16 in carcere e due ai domiciliari e altri due indagati a piede libero. Si tratta di Rosario De Stefano, già noto per aver aiutato Carlo Lo Russo a organizzare l’omicidio dell’e boss del rione Pietro Esposito detto “Pierino” , dando in pratica campo libero alla nuova ascesa dei Vastarella e Salvatore Marfè ex affiliato del gruppo di Forcella del boss, anch’egli pentito Maurizio Ferraiuolo.. Il primo ha parlato di Patrizio Vastarella e della moglie, ma ha pure riferito un particolare inedito relativo alla strage delle Fontanelle del 22 aprile 2016. Il secondo invece ha parlato in particolare delle alleanze tra i clan del rione Sanità e i clan di Forcella. È stato lui a raccontare che i Sequino e i Savarese si erano alleati con i Sibillo. E’ stato il pentito Rosario De Stefano a svelare un particolare inedito dell’agguato delle Fontanelle nel circolo Madonna Santissima dell’Arco in cui furono uccisi Giuseppe Vastarella, il cognato Salvatore Vigna e rimasero feriti Dario Vastarella, Antonio Vastarella (figlio di Patrizio) e Alessandro Ciotola, questi ultimi due tra i 16 finiti in carcere ieri. Nell’’interrogatorio reso ai pm antimafia il 31 ottobre del 2016 De Stefano ha raccontato: “Per quanto mi ha raccontato ’o zo, è stato Micol il nero a rompere la parete consentendo la fuga di Antonio Vastarella. Io avevo un buon rapporto con Micol: era lui la persona da cui mi rifornivo quando frequentavo le Fontanelle tutti i giorni. Non ho mai parlato con Micol della strage delle Fontanelle. Avevo saputo da Fabio Vastarella e dal cognato di quest’ultimo, tale “Tozzillo”, che lui aveva salvato Antonio Vastarella sfondando il muro. Ma non ne ho mai parlato con Micol. Ho poi incontrato Patrizio Vastarella, sono andato a fargli le condoglianze e abbiamo parlato del figlio che si era salvato grazie all’intervento di Micol”.Oltre alle 18 misure cautelare tra cui 16 in carcere e due donne ai domiciliari Manuela Murolo e Gelsomina Galasso, nell’inchiesta figurano anche i nomi di Antonio Ciotola e Agostino Riccio  per i quali il Gip non ha concesso la misura cautelare chiesta dalla Dda.

(nella foto da sinistra il boss Patrizio Vastarella, la moglie Dora Staterini, il figlio Antonio, Mike Korkoi, Giuseppe Vastarello e Salvatore Vigna)

Cronache della Campania@2018


Stalker di Boscoreale a processo, minacciò la sua ex e la perseguitò per mesi

$
0
0

Boscoreale. La perseguita, le fa perdere il lavoro e nonostante fosse stato arrestato continuava a scriverle lettere, fino a minacciare di morte anche il nuovo fidanzato di lei. Un incubo che una donna di 30 anni ha dovuto vivere per le ossessioni del suo ex un 37enne di Boscoreale che era arrivato anche ad inseguirla e a tamponarla con l’auto. La vicenda è approdata dinanzi al giudice monocratico del Tribunale di Torre Annunciata, Maria Camodeca. La donna, assistita dall’avvocato Salvatore Pinto si è costituita parte civile ed ha testimoniato contro l’ex fidanzato. Alcuni testimoni, tra cui l’ex datore di lavoro e un suo collega hanno confermato che il licenziamento era arrivato proprio dopo una serie di minacce arrivate in ufficio con richieste pressanti di avere il nuovo numero della donna. Sono passati cinque anni dalla fine della storia tra i due fidanzati, poi l’inizio dell’incubo con il 37enne assuntore di sostanze stupefacente arrestato più volte per violenze in famiglia per aver picchiato i genitori. Ma nonostante l’arresto, l’ossessione per quella sua ex non era finita, anzi. Dal carcere aveva continuato a scriverle, lettere apparentemente d’amore chiedendole di tornare indietro. La ragazza si era guardata bene dal rispondere e durante alcuni permessi premio era iniziata la persecuzione vera e proprio, fino ad irrompere sul luogo di lavoro e a minacciare di morte il nuovo fidanzato. Ad aprile scorso, l’uomo aveva inseguito la donna per le strade di Boscoreale e l’aveva tamponata per fermarla e minacciarla. Per fortuna era arrivato un nuovo arresto per la condanna definitiva relativa alle violenze ai genitori. Il processo per stalking iniziato alcuni mesi fa terminerà velocemente, alla prossima udienza verranno ascoltati gli ultimi testimoni, poi si andrà verso la sentenza.

Cronache della Campania@2018

Traffico di droga a Casavatore: 20 anni di carcere per il boss Ferone

$
0
0

Una mazzata per il boss di Casavatore, Ernesto Ferone: 20 anni di carcere per l’alleato della Vinella Grassi accusato di traffico di droga. Ancora più pesante la condanna per il suo braccio destro Gennaro Brillante, condannato a 27 ani di carcere. Le condanne ai due vertici del clan che controlla da anni gli affari illeciti su Casavatore grazie anche all’alleanza dei “Girati” di Scampia e che erano finiti nelle maglie della giustizia per l’operazione “Piazza Grande”, che nel 2015 portò in carcere una decina di affiliati, tra cui anche il cognato e il nipote. Condannato a 13 anni di carcere invece Salvatore Abate, altro personaggio di spicco del clan. Ernestino Ferone attualmente è in libertà vigilata; è uscito dal carcere nel febbraio dello scorso anno dopo che era stato arrestato l’ultima volta nel 2013 per una condanna a 5 anni di carcere per usura.
La cosca di Ferone, come è emerso dalle indagini e come riportato anche dal decreto di scioglimento del consiglio comunale, ha anche condizionato l’attività amministrativa tanto da far eleggere suoi referenti in consiglio comunale. L’operazione “Piazza Grande” aveva portato alla luce il lucroso traffico di marijuana gestito dal clan Ferone nelle palazzine popolari di via Gianbattista Vico con incassi da 150 mila euro a settimana.

 

Cronache della Campania@2018

Esorcismi e violenze, resta in carcere il prete di Casapesenna don Michele Barone

$
0
0

Casapesenna. Esorcismi e violenze: Resta in carcere don Michele Barone, il sacerdote di Casapesenna, arrestato per maltrattamenti e violenza sessuale ai danni di tre donne, tra cui una minore di 14 anni. Sono stati scarcerati, invece, i genitori della ragazzina fini ai domiciliari perchè non avrebbero impedito gli abusi messi in atto dal prete. Il Gip del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, dopo gli interrogatori, ha rigettato le richieste dell’avvocato difensore di Barone, Carlo Taormina, mentre ha accolto l’istanza di scarcerazione per genitori della ragazza.
Per Barone erano stati chiesti gli arresti domiciliari ma, dopo il parere negativo della Procura, il Giudice ha deciso di confermare la misura, per cui la questione si sposta al Tribunale del Riesame dove Taormina ha già presentato istanza. L’altro indagato arrestato, il funzionario di ps Luigi Schettino, resta ai domiciliari in attesa che si pronunci il Tribunale del Riesame, al quale si è rivolto il suo legale Carlo De Stavola.
Durante l’interrogatorio, il funzionario di polizia ha ricostruito il suo ruolo all’interno della vicenda, rifiutando di essere etichettato come l’adepto di don Michele, ipotesi questa avanzata dalla Procura. L’ex dirigente del Commissariato di Maddaloni ha raccontato di aver conosciuto il sacerdote nel 2013, e di aver frequentato con la moglie anche il gruppo di preghiera creato da don Michele; almeno in quattro-cinque occasioni il poliziotto avrebbe assistito alle pratiche del prete, cui la Diocesi di Aversa contesta di aver praticato esorcismi senza autorizzazione. Schettino ha negato che il sacerdote avesse maltrattato ragazze o donne, o avesse abusato di loro, raccontando di aver preso parte con il gruppo ad un viaggio a Medjugorie dello scorso anno e ad una visita a Maddaloni presso un luogo dove si presume che si siano tenuti riti satanici; in quel caso, ha riferito il funzionario, una delle presunte vittime di don Michele, la 14enne i cui genitori sono finiti in arresto, sarebbe caduta in trance. Schettino ha poi negato anche l’altra accusa di aver tentato di convincere la sorella della 14enne a non presentare denuncia contro don Michele. La donna depositò il 19 ottobre del 2017 denuncia formale al Commissariato di Polizia di Chiaiano, poi qualche giorno dopo si recò al Commissariato di Maddaloni, comune dove risiedono i genitori e la sorella; qui si trovò di fronte Schettino, allora dirigente, e il suo vice, un sostituto commissario. Schettino ha spiegato che fu la donna a desistere e che non furono fatte pressioni nei suoi confronti, anche perchè una denuncia già c’era. Qualche mese dopo, il 19 febbraio scorso, pochi giorni prima dell’arresto del prete e dello stesso Schettino, il sostituto commissario ha poi depositato una relazione in cui dava conto delle presunte pressione fatte dal suo dirigente; un documento che è servito alla Procura come fondamentale riscontro alle accuse ipotizzate verso il poliziotto.

Cronache della Campania@2018

Boscoreale, 2 anni e 6 mesi di carcere per il pusher seriale del Piano Napoli

$
0
0

Boscoreale – Girava nel suo regno senza alcuna precauzione con la cocaina in mano tra gli isolati e le vedette del Piano Napoli. Si sentiva al sicuro e super protetto. Ma non era così. Fermato, arrestato, processato, condannato.Secondo la Procura doveva finire in galera immediatamente. Soggetto pericoloso del territorio vesuviano. Per il pm della Procura di Torre Annunziata, il pusher Giovanni Padovani, a 26 anni aveva dedicato “la sua giovane vita allo spaccio ed agli affari illeciti ed infatti è stato processato più volte, riportando varie condanne per lo stesso reato. Era la prova che non riusciva a cambiare vita. Per lui non si erano mai aperte le porte del carcere ed era giusto che questa volta fosse quella la sua destinazione”.Il giovane fu arrestato il 9 febbraio quando fu bloccato dai carabinieri ed ammise subito le sue responsabilità. Secondo la Procura non gli doveva essere riconosciuta l’ipotesi dello spaccio lieve ma quella professionale perché il Padovani vive spacciando e spacciando si arricchisce ed arricchisce la criminalità del vesuviano.Il giovane era stato fermato mentre usciva dal suo palazzo nel rione popolare del Piano Napoli con la droga nel palmo della mano. Oltre 20 dosi di crack.Secondo i carabinieri, durante il fermo, erano giunti diversi acquirenti per acquistare droga ma avendo riconosciuto le forze dell’ordine si erano velocemente dileguati. Ci furono momenti di forte tensione tra le forze dell’ordine che stavano operando il suo arresto ed alcuni familiari del arrestato nonché dei conoscenti accorsi quando videro scattare le manette ai polsi del giovane.
Alla fine, il giudice ha dato ragione all’avvocato Gennaro De Gennaro, difensore del giovane pluripregiudicato, sebbene la Procura oplontina avesse chiesto il carcere immediato ed una condanna esemplare per il Padovani, ritenendolo figura apicale di un collaudato sistema di spaccio. Ieri si è celebrato il giudizio abbreviato dinanzi al Tribunale oplontino. Il processo si è concluso con una condanna a due anni e sei mesi di reclusione a fronte dei quattro anni richiesti dalla pubblica accusa. Sospiro di sollievo per il Padovani Giovanni che non solo ha evitato il carcere ma ha riportato anche una minima condanna sebbene avesse molti precedenti e quel cognome “famoso”.

Cronache della Campania@2018

Clan Mazzarella, il Riesame scarcera Luigi Bonavolta

$
0
0

Il tribunale del Riesame ha annullato l’ordinanza di custodia cautelare emessa per Luigi Bonavolta, considerato vicino al clan Mazzarella. Era stato arrestato il 14 febbraio scorso nel blitz che portò in carcere 10 persone tra cui Francesco Mazzarella (fratello di Roberto e figlio di Salvatore, ucciso nel 1995 durante la feroce faida con i Rinaldi). Quattro invece i latitanti Salvatore Fido, Maurizio Donadeo, Arcangelo Cimminiello e Giuseppe Cozzolino, quest’ultimo però fu scoperto un paio di giorni dopo in ospedale dove si era ricoverato il giorno prima del blitz. Dei tre latitanti il più pericoloso è Salvatore Fido considerato uno dei reggenti del clan. Bonavolta, difeso dall’avvocato Riccardo Ferone, oltre ad essere accusato di associazione camorristica, era anche indizito della partecipazione del ferimento a colpi di pistola di Giovanni Rinaldi. Il suo avvocato è riuscito a smontare i capi di accusa e far rimettere in libertà Bonavolta.

 

Cronache della Campania@2018

Viewing all 6090 articles
Browse latest View live


<script src="https://jsc.adskeeper.com/r/s/rssing.com.1596347.js" async> </script>