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Inchiesta Sma, nel video di Fanpage una tangente da 50mila euro per il consigliere di Ercolano Rory Oliviero. Si dimette Iacolare

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Napoli. E’ online il terzo video dell’inchiesta sui rifiuti di Fanpage.it e il Presidente di Sma Campania Biagio Iacolare annuncia le proprie dimissioni dall’incarico. Iacolare è uno dei protagonisti della terza puntata dell’inchiesta giornalistica che ha coinvolto nei giorni scorsi anche Roberto De Luca, assessore al Comune di Salerno. Attraverso il suo avvocato Nello Palumbo, l’annuncio delle dimissioni: “Per evitare qualsiasi strumentalizzazione in ordine ad una vicenda dai contorni oscuri ed inquietanti, sia per la genesi che per le finalità, tutte da accertare, Iacolare rassegnerà le sue dimissioni dall’incarico di presidente della Sma”, dice in una nota il legale.
Nella terza puntata di Fanpage.it messa online stamattina e anticipata ieri da alcune testate giornalistiche, Nunzio Perrella, l’ex boss della camorra infiltrato per Fanpage.it, ha incontrato Biagio Iacolare, presidente del Cda di Sma Campania, e il suo mediatore, Mario Oliviero, detto Rory consigliere comunale a Ercolano, ed ex presidente del Consiglio comunale, già coinvolto nel 2016 nello scandalo per la vendita di un posto di lavoro all’Ospedale del Mare di Napoli, per 10mila euro. In quel caso, Oliviero fu tirato in ballo da un video di ‘Striscia la notizia’ e si dimise dalla Presidenza della commissione trasparenza del Comune campano.
Stando al video, in un primo appuntamento Biagio Iacolare, Rory Oliviero e Nunzio Perrella, hanno parlato di affari per lo smaltimento dei fanghi tossici. “Le gare sono finite – ha dichiarato nel video Iacolare -, le terremo ancora noi in gestione per parecchio perchè c’e’ un casino enorme sotto. Sulla depurazione, a noi c’è stata affidata nel frattempo che espletavano le gare. A gara espletata poi il vincitore decide. Vincono i privati. Finchè li abbiamo noi possiamo fare questo ragionamento”. A seguito dell’incontro, nel video si è visto Oliviero intrattenersi con Perrella per definire le ultime indicazioni per aggiudicare l’affare, entrando nel dettaglio in un pranzo a Napoli il giorno dopo: “Noi dobbiamo fare un invito – ha spiegato Oliviero – chiedendovi un’offerta direttamente. Per fare questo tipo di intervento contiamo di fare 6-8 proroghe, cioè 18-24 mesi. Nel frattempo ci prepariamo anche la gara”. “E’ meglio che voi fate a 195 l’offerta – ha suggerito Oliviero -, poi è normale che ci possono stare eventuali variazioni in corso. Nel momento in cui ci fate l’offerta noi siamo vincolati a darvi il servizio”. “Una volta firmato il contratto pattuiamo come dobbiamo fare il resto, le percentuali, il margine nostro: 25 a me, prima che facciamo l’invito e 25 al momento della firma”. “50 mila euro è per acquistare fiducia non tra me e te, ma tra i due gruppi”, ha sottolineato, aggiungendo: “Voi ce lo indicate dove smaltite ma non ci interessa. 18 mesi, due anni, guadagniamo una bella cosa di soldi”. I due, poi, si sono accordati sull’appuntamento per la consegna dei soldi: nel video si è visto Perrella consegnare al mediatore la valigetta che avrebbe dovuto contenere l’intero importo pattuito, 50mila euro, ma che, in realtà, al suo interno aveva solo spazzatura.
Mario Oliviero, detto Rory, avvocato, esponente dell’Udc come Iacolare, entrambi vicini aCiriaco De Mita, era già assurto agli onori della cronaca con il video di ‘Striscia la notizia’ due anni fa. Anche in quel caso si pattuiva una tangente, 10mila euro per un posto di lavoro all’Ospedale del mare che avrebbe aperto di lì a poco. Oliviero e Iacolare, sono indagati per corruzione nell’ambito della complicata inchiesta giudiziaria che si incrocia con quella giornalistica.

Cronache della Campania@2018


Inchiesta Sma, Colletta si difende: “Sono stato vittima di un raggiro, offrivo le mie competenze professionali”

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Angri. “Ho scelto la strada del silenzio per vedere fino a che punto il regista di questo film fosse capace di confondere i giornalisti seri e l’opinione pubblica; in questa vicenda, sono stato vittima di un raggiro da parte di pericolosi delinquenti finalizzato a porre in essere un tentativo di affossamento politico e mediatico di uno degli amministratori più cristallini e di indubbia integrità morale del nostro panorama nazionale; altrettanto vergognoso è il parallelismo mediatico che tenta di accostare l’inchiesta Sma alla vicenda che mi coinvolge”. Lo scrive Francesco Igor Colletta, il consulente del lavoro di Angri che partecipò con l’ex assessore salernitano e suo amico Roberto De Luca, all’incontro con il falso imprenditore Nunzio Perrella, ‘infiltrato’ di Fanpage.it. Colletta e De Luca sono stati iscritti nel registro degli indagati dai magistrati della procura di Napoli con l’accusa di corruzione. Il commercialista ha diffuso una dichiarazione attraverso il suo difensore, avvocato Michele Avino, nella quale di difende: “Emergerà, in modo incontrovertibile – dice Colletta- , che il mio intervento era finalizzato esclusivamente ad offrire le mie competenze professionali ad una società che si presentava all’interlocutore come una realtà d’eccellenza nella gestione dei rifiuti. Lo stesso De Luca veniva interpellato nella sua sola e precipua qualità di libero professionista. L’incontro con Roberto De Luca mi veniva sollecitato dall’Ingegnere Giancarlo Adami, con il quale ho rapporti professionali; quest’ultimo mi presentava il sedicente Signor Paolo Varotto (in realtà Perrella col quale non ho mai avuto alcun tipo di rapporto), responsabile Commerciale della PUNTO RICICLO srl, il quale sommariamente mi esponeva un progetto innovativo nel campo dello smaltimento dei rifiuti”. “Nel corso dell’incontro – afferma Colletta – si è parlato anche del mio incarico professionale e delle mie competenze professionali. All’incontro presso lo Studio Professionale del Dottor Roberto De Luca il sedicente Paolo Varotto illustrava la documentazione dell’azienda Punto Riciclo srl ed esponeva le procedure innovative per il trattamento dei rifiuti grazie al cosiddetto sistema di separazione e di stoccaggio. In nessuno dei due incontri con il Varotto si è parlato di partecipazione a gare, ma solo ed esclusivamente di progetti innovativi da valutare e verificare in via sperimentale”. “E’ mio primario interesse – conclude il commercialista – che i magistrati titolari dell’inchiesta, cui va il mio massimo tributo, superato il polverone mediatico provocato da una sottile ed orientata regia politico-criminale, consegnino al cittadino Francesco Igor Colletta ed a tutti i cittadini una verità giudiziaria che sia lo specchio della verità dei fatti, fatti che mi vedono totalmente estraneo a condotte illecite. Forte della consapevolezza della liceità e della trasparenza della mia condotta professionale che passa anche attraverso la mia storia personale di carabiniere, ho già manifestato alla Magistratura la mia operosa disponibilità affinchè ogni aspetto della vicenda venga chiarito”.

Cronache della Campania@2018

Da Fuorni a Roccaraso, l’ex sindaco di Scafati lascia il carcere: squallida ironia del fratello su Fb

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Scafati. Ventisei notti in carcere, poi verso una casa in montagna agli arresti domiciliari. E’ la fine del carcere per l’ex sindaco Angelo Pasqualino Aliberti, arrestato per scambio elettorale politico-mafioso con esponenti del clan Loreto-Ridosso. E’ stata eseguita, in mattinata, l’ordinanza che ha permesso ad Aliberti, di ottenere gli arresti domiciliari. C’erano ad attenderlo i genitori nell’abitazione di Roccaraso. Un’abitazione che, seppur lontana da Scafati, non è lontana dal suo mondo politico. La casa, infatti, è stata messa a disposizione da un’amica di famiglia, una professoressa – figlia di un esponente di spicco della Democrazia Cristiana negli anni ’90 e sindaco di Scafati che ha poi preferito lasciare la politica attiva -. Un esponente politico di cui, in qualche modo, Aliberti è stato un giovane allievo negli anni in cui si dilettava a fare da anchorman per una tv privata locale e dava i primi passi in politica.
Da quelle origini – nonostante il tempo trascorso – deve essere rimasto un legame profondo e familiare, tanto che la settimana scorsa la figlia di quell’ex sindaco ha messo a disposizione la sua casa in montagna per Aliberti, ex sindaco, e i suoi genitori.
A Roccaraso Aliberti dovrebbe trascorrere i giorni di detenzione in assoluto isolamento, senza contatti con il mondo esterno se non i suoi genitori che provvederanno ai bisogni quotidiani. Nessun contatto social, nessuna comunicazione con il fratello Nello Maurizio e con la moglie Monica Paolino, entrambi indagati nel procedimento che lo ha portato poi all’arresto. La settimana scorsa, ci aveva pensato il Gip del Tribunale di Salerno, Giovanna Pacifico, ad accogliere l’istanza di scarcerazione degli avvocati Silverio Sica e Agostino De Caro, nella quale la difesa chiedeva la trasformazione della detenzione in carcere con quella domiciliare. A dare il via libera a questa decisione il parere positivo della Procura antimafia che tanto aveva insistito, nell’ultimo anno, per il suo arresto: prima due volte davanti al Riesame e poi altrettante volte dinanzi ai giudici della Cassazione. Venti giorni sono bastati alla Procura per vedere cessate quelle esigenze cautelari che aveva tante volte riproposto. Il Gip Pacifico ha deciso per i domiciliari con l’utilizzo del braccialetto elettronico e la detenzione a Roccaraso, con assoluto divieto di comunicare attraverso ogni mezzo con il mondo esterno. In particolare, il giudice aveva specificato il divieto assoluto per l’utilizzo dei social, uno dei presupposti che avevano spinto la Cassazione a disporre l’arresto in carcere. Questa decisione è stata alleggerita dal Riesame, ieri mattina, che ha evitato ad Aliberti il braccialetto elettronico, indisponibile per il momento, che tratteneva ancora nel carcere di Fuorni l’ex sindaco di Scafati. E senza braccialetto, il provvedimento è stato eseguito subito. In mattinata è stata la sarcastica quanto sgradevole ironia del fratello, Nello Maurizio, ad annunciare al mondo social la lieta novella. ‘In partenza il padre e la mamma di Totò Riina’ con la foto dei genitori questo il suo post su Facebook. Un cattivo gusto spinto che ha raccolto, invece, messaggi indirizzati a Pasquale Aliberti, con richieste di abbracci e saluti e un commento della madre Rosaria Matrone: “Io e tuo padre siamo orgogliosi e fieri dei nostri figli…”. Evidentemente, l’accostamento a Totò Riina, non ha sconvolto nessuno.
In realtà, Nello Maurizio Aliberti – salvato dall’arresto – ma non dall’inchiesta nella quale è pesantemente coinvolto, continua ad essere – come lo è stato in passato – il tramite tra l’allora fratello sindaco, ora non più, e il microcosmo che lo ha circondato, fatto di semplici supporter politici o simpatizzanti, ma anche di quelli che si sono rivelati camorristi in cerca di appalti, ma anche imprenditori in cerca di appalti appetitosi e disposti a qualunque cosa. Il nome dei fratelli Aliberti, nel bene e nel male, continua ad essere legato indissolubilmente, anche oggi. A lui vengono affidati gli abbracci e i saluti, anche se quei saluti in realtà ad Angelo Pasqualino Aliberti, non potrebbero mai arrivare.

Rosaria Federico

Cronache della Campania@2018

Processo ‘Big Sick’, D’Alterio assolto in Appello: non è un camorrista

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La terza sezione penale della Corte d’appello di Napoli, ha condannato a un anno e quattro mesi, pena sospesa, per truffa finanziaria Giuseppe D’Alterio e lo hanno invece assolto dall’accusa di associazione mafiosa di stampo camorristico, per non avere commesso il fatto, e dal reato di intestazione fittizia di beni, perche’ il fatto non costituisce reato. L’uomo, difeso dagli avvocati Giuseppe Lipera del Foro di Catania ed Armida Decina del Foro di Roma, in primo grado, col rito abbreviato, arrestato nel 2016 nell’ambito dell’operazione ‘Big Sick’, con esponenti del clan Mallardo era stato condannato dal Gip di Napoli, Claudio Marcopido, a dieci anni di reclusione La Corte d’appello di Napoli ha inoltre assolto da tutti i reati di truffa contestati Isabella Damiano, moglie di D’Alterio. In primo grado era stata condannata a due anni e sei mesi di reclusione. I giudici, disattendendo la richiesta avanzata dalla Procura generale, ha anche revocato a D’Alterio la doppia misura coercitiva del divieto di dimora nella Regione Campania e dell’obbligo quotidiano di presentazione alla polizia giudiziario. “La decisione della Corte d’Appello di Napoli – afferma l’avvocato Lipera nel rendere nota la sentenza – e’ un atto di giustizia nei confronti di due soggetti che rischiavano di subire un clamoroso errore giudiziario. Un plauso alla Corte partenopea che, lette le carte del processo, ha avuto il coraggio di ribaltare una condanna a dieci anni di reclusione e di affermare che Giuseppe D’Alterio non e’ un camorrista”.

Cronache della Campania@2018

Consip, i colleghi del maggiore Scafarto: “E’ lui la fonte del giornalista de Il Fatto quotidiano”

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Napoli. Il maggiore ex Noe, Gianpaolo Scafarto, sarebbe la fonte del giornalista del Il fatto Quotidiano che pubblicò la notizia sull’indagine Consip. A riportarlo il quotidiano La Stampa che dà conto di messaggi e delle testimonianze che hanno spinto la Procura di Roma ad indagare l’ufficiale, ora sospeso. I contatti contestati sono quelli con il giornalista Marco Lillo e le prove sarebbero in almeno due messaggi whatsapp che Scafarto si è scambiato con l’ex comandante del Noe di Roma, Marco Cavallo.
Il 21 dicembre 2016 dopo l’uscita del primo articolo sul quotidiano diretto da Marco Travaglio (che raccontava di alcune perquisizioni in Consip), Cavallo scrive a Scafarto: “Sul Fatto Quotidiano online non c’è nulla. Certo se il nostro Comandante Generale (all’epoca era Tullio Del Sette) è indagato ci sarà un terremoto”. E Cavallo chiede a Scafarto: “Ma la domanda è lui come sapeva? Ti prego preferisco non sapere”. Secondo quanto riporta La Stampa, Cavallo avrebbe dichiarato che quel giorno, pur non essendoci nessuna notizia di stampa relativa all’indagine su Del Sette, Scafarto aveva già informato Marco Lillo. “Scafarto la sera del 20, o più presumibilmente il 21 mattina, mi disse che il comandante generale era ’responsabile’ per aver informato gli indagati – che non sapevo chi fossero – delle intercettazioni e che la notizia sarebbe uscita sul Fatto Quotidiano”, spiega Cavallo nel suo verbale al Procuratore di Roma, Giuseppe Pignatone e ai sostituti che lo hanno interrogato nei mesi scorsi. Anche il colonnello De Rosa, altro ufficiale del Noe, confermerà poi la versione di Cavallo. De Rosa sostiene che parlando con il colonnello Alessandro Sessa seppe che Scafarto aveva ammesso di aver informato lui il giornalista del Fatto Quotidiano sugli interrogatori e sulle iscrizioni nel registro degli indagati. Gli articoli per i quali la procura di Roma ravvisa la rivelazione del segreto d’ufficio sono quelli nei quali il giornale dava notizia di perquisizioni nella centrale acquisti della pubblica amministrazione e delle iscrizioni nel registro degli indagati dell’ex comandante generale dell’Arma, Tullio Del Sette e del Ministro dello Sport, Luca Lotti ed uscirono il 21, 22 e 23 dicembre. La Procura di Roma aveva inizialmente indagato per questi episodi il pm di Napoli, Henry John Woodcock e la giornalista di Rai Tre, Federica Sciarelli. I due però, dopo le indagini dei carabinieri del Nucleo Investigativo del Comando Provinciale di Roma, sono stati archiviati ed oggi alla procura rimane come indagato il maggiore Scafarto, difeso dagli avvocati Giovanni Annunziata e Attilio Soriano. A Scafarto la procura contesta, oltre questa rivelazione, anche il reato di depistaggio, 5 falsi e altre due rivelazione del segreto d’ufficio: una verso l’Aise (il Servizio Segreto estero), e l’altra verso il giornalista del quotidiano La Verità, Giacomo Amadori.

Cronache della Campania@2018

Appalti, l’imprenditore Romeo e il suo collaboratore a processo per corruzione

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Napoli. Alfredo Romeo e il suo collaboratore Ivan Russo a giudizio per corruzione: è stata accolta la richiesta di giudizio immediato per l’imprenditore accusato di aver pagato tangenti per ottenere appalti per la sua società. Il processo comincerà il prossimo 10 aprile davanti alla prima sezione del Tribunale di Napoli, insieme a Romeo vi sarà il suo collaboratore Ivan Russo. Arriva a dibattimento, dunque, il procedimento rimasto alla Procura di Napoli sul quale hanno indagato i pm Henry John Woodcock, Celeste Carrano e Francesco Raffaele. E’ un filone dell’inchiesta Consip quello che vedrà alla sbarra per corruzione l’imprenditore Romeo e i suo collaboratore.
E’ l’inchiesta ‘napoletana’ quella per la quale la Procura di Napoli ha chiesto e ottenuto il rinvio a giudizio di Alfredo Romeo. Le ipotesi di corruzione e frode in pubbliche forniture, ben otto, sono tutte riguardanti il filone che ha coinvolto anche il manager del Cardarelli, Ciro Verdoliva, poi scagionato dal Riesame. I presunti episodi corruttivi riguardano, in particolare, favori e regali a un ex dirigente e a dipendenti del Comune di Napoli e ad altri pubblici funzionari, tra cui una della Soprintendenza di Roma. All’imprenditore e’ contestata anche una frode in pubblico servizio relativa al servizio di pulizie all’ospedale Cardarelli. Regali che servivano, secondo la Procura di Napoli, a ottenere appalti del valore di svariati milioni di euro. L’inchiesta sull’appalto per il servizio di pulizie del Cardarelli era emersa gia’ un anno prima con una perquisizione negli uffici dell’ospedale ed era a sua volta scaturita da una indagine anti camorra condotta dalla Dda di Napoli. Nel decreto di perquisizione si faceva un accenno alla indagine che aveva fatto venire alla luce “acclarati collegamenti e rapporti tra le maestranze della Romeo Gestioni ed esponenti della criminalita’ organizzata”, in particolare dei clan attivi della zona collinare. L’inchiesta, che ha portato alle misure oggi, riguarda tre diversi filoni di ipotesi corruttive, relativi ad appalti riconducibili all’ospedale, al Comune e alla Soprintendenza per i beni culturali di Roma. L’indagine e’ svolta congiuntamente dalla Dda e dalla sezione reati contro il patrimonio della procura partenopea.

Cronache della Campania@2018

Furbetti del cartellino al comune di Acerra: 40 condannati, 20 assolti

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Furbetti del cartellino al comune di Acerra: 40 condannati e venti assolti. Si è conclusa così l’inchiesta nata nel 2013 denominata “Fuori dal comune” che coinvolse 62 dipendenti comunali. la sentenza è stata emessa dal giudice monocratico Anna Imparato del tribunale di Nola. Per tutti le condanne variano dagli otto ai dieci mesi di carcere pensa sospesa, con una multa che va da 400 agli 800 euro. Per 4 imputati il Tribunale ha concesso la sospensione a patto che questi lavorino per 10 giorni gratis per sei ore settimanali salva diversa volontà dell’imputato fino ad un massimo di otto ore. I condannati hanno tutti annunciato il ricorso in Appello in vista di una possibile prescrizione.Tutti i condannati saranno tenuti a pagare oltre alle spese processuali ed al risarcimento del danno patito dalla parte civile, anche una provvisionale di 5mila euro per le spese sostenute dal Comune di Acerra. Assolti per particolare tenuità del fatto: Giovanni Bicucci, Cuono Cucco, Salvatore De Maria, Francesco Durante, Vincenzo Esposito (di 63 anni), Vincenzo Lucio Messina, Domenico Pannella, Antonio Paolella, Biagio Piscopo, Ciro Rea, Giovanni Salierno, Vincenzo Sgambato, Salvatore Siciliano, Lino Terracciano, Dante Travaglino e Gennaro Tufano. Sono stati invece assolti perché il fatto non sussiste: Vincenzo Esposito (di 62 anni), Giuseppe Ianniello, Lina Lupoli, Francesco Pirolo. Ora si attendono le motivazioni della sentenza per presentare i ricorsi in appello.

 

Cronache della Campania@2018

Approvato il trattato tra Italia ed Emirati Arabi: presto rientrano in Italia i boss e i faccendieri latitanti

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Potrebbero tornare presto dalla loro latitanza dorata negli Emirati Arabi, faccendieri, boss e narcotrafficanti, ricercati e condannati in Italia. Il Consiglio dei ministri infatti, su proposta del ministro degli Affari esteri e della Cooperazione internazionale Angelino Alfano, ha approvato oggi un disegno di legge di ratifica ed esecuzione del trattato di estradizione tra l’Italia e gli Emirati Arabi Uniti, fatto ad Abu Dhabi il 16 settembre 2015 – con scambio di note nella capitale degli Emirati il 27 novembre 2017 e il 17 gennaio 2018 – e del trattato di mutua assistenza giudiziaria in materia penale tra l’Italia e il paese del Golfo, fatto ad Abu Dhabi il 16 settembre 2015. Lo rende noto la presidenza del Consiglio dei ministri in un comunicato. Il trattato sull’estradizione impegna le parti, reciprocamente, a consegnarsi persone ricercate che si trovano sul proprio territorio, per dare corso a un procedimento penale o per consentire l’esecuzione di una condanna definitiva. L’estradizione sara’ concessa quando il fatto per cui si procede o si e’ proceduto nello Stato richiedente e’ previsto come reato anche dalla legislazione dello Stato richiesto (principio della doppia incriminazione). Tale principio trova un temperamento in materia fiscale, laddove e’ stabilito che l’estradizione potra’ essere accordata anche quando la disciplina dello Stato richiesto sia differente da quella dello Stato richiedente. L’estradizione processuale richiede, poi, che il reato per cui si procede sia punito da entrambi i paesi con la pena della reclusione per un periodo di almeno un anno. L’estradizione esecutiva richiede, invece, che la pena residua ancora da espiare corrisponda a un periodo minimo di sei mesi. Infine, sono previsti specifici casi in cui l’estradizione sara’ obbligatoriamente negata e altri in cui si avra’ la facolta’ di negarla.

Il trattato dovrà però essere ratificato dal nuovo Parlamento per diventare operativo e permettere il rientro in Italia di una dozzina di latitanti. Si tratta, tra gli altri, dell’ex parlamentare di Forza Italia Amedeo Matacena, condannato in via definitiva per concorso esterno in associazione mafiosa, di Giancarlo Tulliani, cognato di Gianfranco Fini e riparato a Dubai, del narcotrafficante  di Castellammare di Stabia, Raffaele Imperiale, detto Lelluccio o’ parente colui che ha indonadato di droga l’Italia negli ultimi anni e che ha finanziato la prima guerra di camorra tra gli Scissionisti degli Amato pagano a cui era legato, e i Di lauro, e diventato famoso lo scorso anno perché teneva nascosti nella casa dei suoi genitori alla periferia di Castellammare due Van Gogh rubati rubati in Olanda nel 2002. E poi ancora di Samuele Landi, ex ceo di Eutelia, condannato in primo grado a nove mesi nel 2015 per il crac della società e il costruttore Andrea Nucera, autore di presunti abusi in una lottizzazione. “Un altro passo che va nella direzione giusta – commenta il deputato Pd Davide Mattiello, che da tempo si batte per questo provvedimento -. Ringrazio il presidente del Consiglio Gentiioni e il ministro Orlando: ora sarà anche possibile porre fine alle latitanze spudorate che si consumano negli Emirati alla luce del sole. L’assenza di una cooperazione ha fino a qui reso molto difficile per le autorità italiane intervenire “

Cronache della Campania@2018


Aversa, arrestati il prete esorcista, un dirigente della polizia e i genitori di una vittima

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Aversa. Riti esorcisti e violenze sessuali, finisce in carcere il parroco Michele Barone, agli arresti domiciliari un dirigente della polizia di stato e una coppia. Stamani, gli agenti della Squadra Mobile della Questura di Caserta, su disposizione della Procura della Repubblica di Santa Maria Capua Vetere, ha dato esecuzione a un’ordinanza di custodia cautelare, emessa dal Gip nei confronti di Michele Barone, 42 anni, sacerdote appartenente alla diocesi di Aversa, finito in carcere; Luigi Schettino, 40 anni di Caserta, dirigente della Polizia di Stato ai domiciliari; Cesare Tramontano, 51 anni, ai domiciliari e Lorenza Carangelo, 48 anni, ai domiciliari. Questi ultimi sono i genitori di una delle vittime.
Le indagini, dirette dalla Procura e affidate alla Squadra Mobile della Questura di Caserta, hanno consentito di stigmatizzare un contesto criminale inquietante, che vede quale protagonista il sacerdote Michele Barone, appartenente alla diocesi di Aversa. Questi, agendo senza l’autorizzazione del Vescovo diocesano e, dunque, in totale spregio delle regole e delle prescrizioni dell’organizzazione clericale, ha perpetrato su numerose donne – tra le quali la minore T.A. e la giovane C.R. – medievali e brutali riti esorcisti, le cui modalità esecutive hanno concretizzato permesso alla procura di ipotizzare le accuse di violenza sessuale aggravata e maltrattamenti in famiglia.
In particolare, Barone, ingenerando nelle giovani donne la convinzione di essere possedute dal demonio, ha carpito la loro buona fede e le ha sottoposte a trattamenti disumani e profondamente lesivi della loro integrità psicofisica, nonché della loro dignità. Infatti, nel corso di “quotidiani” riti di liberazione e purificazione dell’anima, sia T.A., sia C.R., nonché, numerose altre vittime, sono state violentemente percosse, brutalmente ingiuriate costantemente minacciate e costrette a subire, contro la loro volontà, atti sessuali, consistiti in palpeggiamenti in zone erogene, nella sottoposizione forzata a denudazione e nella aberrante prassi di dormire, nude, insieme al prete e alla sua amante. Inoltre, sempre su indicazione del sacerdote, le giovani donne sono state costrette a sospendere i trattamenti farmacologici cui erano in precedenza sottoposte per gravi patologie da cui erano affette e, addirittura, sempre a seguito di dictat del prelato, hanno sospeso la normale alimentazione e si sono nutrite, per mesi, con flebo di glucosio e/o latte e biscotti. Le attività investigative hanno consentito, altresì, di accertare la perpetrazione di ulteriori ipotesi di violenza sessuale aggravata, perpetrate dal BARONE ai danni di S.F., la quale, sempre in virtù di una profonda manipolazione psicologica subita a seguito dell’interlocuzione col sacerdote e in evidente condizione di inferiorità fisica e psicologica rispetto allo stesso, è stata costretta, in più circostanze, a compiere e a subire atti sessuali, con la minaccia che, nell’ipotesi di rifiuto, sarebbe stata certamente “punita” dalla Madonna, da San Michele e da altri Angeli e Santi.
Le ordinanze cautelari hanno, altresì, riguardato, Tramontano e Carangelo, genitori della minore T.A., i quali hanno partecipato a numerosi episodi di maltrattamento, contribuendo consapevolmente e volontariamente alla realizzazione dei feroci soprusi ai danni della figlia.
Cesare Tramontano, infine, in concorso con il dirigente della Polizia di Stato Luigi Schettino – anch’egli sottoposto alla misura cautelare degli arresti domiciliari – ha cercato, insieme a Barone, di costringere la sorella di T.A. a ritirare l’esposto presentato presso il commissariato di Chiaiano e volto a denunciare le gravissime condotte perpetrate ai danni della minore.
Schettino, adepto della setta riconducibile a don Michele Barone, è stato ritenuto responsabile, in concorso, anche dei maltrattamenti subiti da T.A., non avendo impedito il protrarsi della condotta criminosa, pur avendone piena contezza e avendo l’obbligo giuridico di impedire l’ulteriore protrazione dell’evento criminale.
Le indagini, sono state condotte attraverso l’escussione di numerose persone informate sui fatti, l’acquisizione di documentazione sanitaria, la realizzazione e l’acquisizione di videofilmati – anche oggetto di servizi di trasmissioni televisive – e intercettazioni telefoniche e ambientali.

Cronache della Campania@2018

Castellammare, incassano la polizza vita di una donna con documenti falsi: condannate due stabiesi

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Due donne di Castellammare di Stabia, C.C. e A.S., zia e nipote, sono state giudicate dal giudice monocratico del tribunale di Torre Annunziata perché in concorso tra loro avrebbero perpetrato una truffa ai danni della compagnia assicurativa Allianz. Le due avrebbero incassato il premio di 30 mila euro derivante dal riscatto di una polizza vita intestata ad un’ignara contraente: usando un documento falso e sostituendosi alla titolare hanno tratto in inganno anche i dipendenti della Allianz che mai avrebbero pensato trattarsi di due truffatrici. Di bella presenza e ben vestite, con accessori griffati si sono presentate allo sportello  incassare il premio, rigorosamente in contanti.
Le indagini condotte dalla Procura di Torre Annunziata hanno portato alla scoperta, però, solo delle esecutrici materiali della mega-truffa, poiché la mente dell’operazione, colui il quale avrebbe operato spulciando gli archivi praticamente inviolabili della compagnia assicurativa, è rimasto allo stato ignoto. Le due donne, difese dai penalisti stabiesi Olga Coda e Carmine Iovino, sono state condannate a 7 mesi di reclusione, pena sicuramente irrisoria rispetto al reato commesso. La donna che aveva una polizza vita è stata risarcita interamente dalla compagnia assicurativa visto che l’errore è stato dei propri dipendenti. Le indagini comunque continua per risalire a colui o a colei che ha violato gli archivi informatici dell’Allianz e ha fornito il nominativo alle due complici.

Cronache della Campania@2018

Violenza sessuale di gruppo in via Manzoni: assolti due giovani della ‘Napoli bene’

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Assolti due venticinquenni, frequentatori della “Napoli bene” dalle accuse di violenza sessuale. Riescono a dimostrare la propria innocenza mostrando un video effettuato con il cellulare durante un rapporto sessuale di gruppo, immagini di pochi secondi da cui emergeva un atteggiamento consenziente da parte della ragazza. Ma in questa storia, al di là dell’assoluzione in primo grado pesa il giudizio espresso dai giudici su quella parte di mondo giovanile tra Posillipo e il Vomero. Si legge nella sentenza: “La storia vede protagonisti giovani studenti che sono soliti frequentare le aree della Napoli bene e che nonostante godano di un discreto livello socioculturale ed economico, dimostrano tuttavia di non coltivare rispetto e interesse per valori sociali e sentimentali di più alto profilo, quanto piuttosto la propensione a praticare superficiali e occasionali rapporti con coetanei, in una complessiva pochezza e miseria di aspirazioni, intenti e aspettative”.
I fatti risalgono al dicembre 2013, come ricorda Il Mattino, quando una studentessa si rivolge alla polizia denunciando di essere stata violentata da due amici in un appartamento disabitato di via Manzoni. Il pm aveva chiesto una condanna a nove anni di reclusione per i due imputati che invece hanno dimostrato che il rapporto consumato fu consenziente.
Ma, insistono i giudici: “Pur nella estrema brevità del filmato, è tuttavia chiaro che la ragazza ride e scherza nel corso della ripresa e che pronuncia frasi del tutto inconciliabili con una forzata e violenta azione sessuale in suo danno, od anche più semplicemente con una sua volontà di opposizione all’atto che stava compiendo”.
Un processo per molti versi drammatico, di fronte alla versione raccontata alle parti e ai giudici della studentessa, che ha sostenuto di aver rinunciato ad opporre resistenza solo dopo essere rimasta completamente priva di forze. La presunta parte offesa aveva parlato di una sorta di “trappola” in cui era finita, accettando l’invito di uno dei due imputati, con il quale aveva da poco intrecciato una relazione sentimentale, fino a ricordare la brutale aggressione subita. Decisive invece sono state le testimonianze rese da un’altra coppia di fidanzati – anch’essi presenti nell’appartamento di via Manzoni – che hanno smentito intimidazioni e violenze a carico della ragazza.

Cronache della Campania@2018

Prete esorcista, ai riti si assisteva solo per appuntamento e dopo la confessione

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Casapesenna. Esorcismi su appuntamento nella cappella dedicata alla Madonna dove Don Michele Barone praticava i suoi riti. E’ quel luogo di culto situato in Corso Europa a Casapesenna, il luogo dove venivano praticati i riti di esorcismo che sono costati al prete l’accusa di violenza sessuale e maltrattamenti. In molti hanno assistito a quelle pratiche di ‘liberazione’ ai quali si poteva accedere solo dopo la confessione. Gli esorcismi venivano cadenzati perchè la persona sottoposta all’esorcismo “veniva sottoposta a forti pressioni fisiche e quindi poteva stare male” come racconta una testimone, intervistata da Il Mattino. “Chi doveva partecipare alle preghiere prima si doveva confessare, altrimenti – aggiunge – era impossibile potervi assistere” dice la donna. Per assistere ai riti bisognava prendere un appuntamento con don Michele Barone, un contatto che di solito avveniva nel piazzale o comunque nelle vicinanze del Santuario Mia Madonna Mia Salvezza, meglio conosciuto come Tempio. Il luogo dove don Barone celebrava regolarmente la messa prima che venisse sospeso dalla Diocesi. Nessun rito si svolgeva nel santuario, lì si concordava solo l’incontro, poi tutto il resto si svolgeva nella cappella.  “La persona che io ho accompagnato veniva bloccata, a volte anche ammanettata, perché aveva delle reazioni anche violente alle pratiche – dice la donna -. Posso dire che dopo quello che ha fatto don Barone lei si è sentita liberata”.
Una suggestione che per molti è stata come una guarigione e una liberazione dal male. Una suggestione che ha spinto tanti fedeli a credere ciecamente nelle pratiche del parroco finito in carcere alcuni giorni fa. Una fiducia cieca, fino a quando non sono arrivate le manette vere e che oggi, alla luce di quanto sta emergendo, comincia a vacillare. Dopo lo scandalo che ha coinvolto il prelato di Casapesenna, la cappella è stata chiusa ed un avviso fa sapere che la celebrazione di alcune funzioni sono state spostate all’interno della chiesa Santa Croce, in piazza Petrillo.

Cronache della Campania@2018

Salerno, il gup chiede nuove indagini su Diele e slitta la sentenza

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Non una sentenza, ma un’ordinanza. E’ quella pronunciata dal giudice per l’udienza preliminare del tribunale di Salerno, Piero Indinnimeo, al termine dell’udienza in cui e’ imputato, per omicidio stradale, l’attore Domenico Diele. Il giudice, infatti, con il provvedimento, letto alle parti processuali intorno alle 15.30, ha nominato l’ingegnere Alessandro Lima e il medico legale Antonello Crisci. I motivi di tale decisione li ha spiegati, all’esterno del palazzo di giustizia, l’avvocato della famiglia di Ilaria Dilillo, la 48enne che mori’ nella notte tra il 23 e il 24 giugno dello scorso anno, dopo essere stata tamponata e travolta in autostrada A2 del Mediterraneo, all’altezza dello svincolo di Montecorvino Pugliano. Il legale, Michele Tedesco, ha chiarito il perche’ il giudice si sia pronunciato con un’ordinanza. “Per valutare le condizioni di Diele al momento dell’incidente dal punto di vista psicofisico – spiega – il giudice ha ritenuto di dover nominare un collegio di periti, un medico legale psichiatra per quanto riguarda l’aspetto tossicologico e quindi la capacita’ al momento dell’incidente per quanto riguarda l’aggravante del comma 2 dell’articolo 589 bis, cioe’ il fatto dell’alterazione psicofisica da sostanze stupefacenti e poi un ingegnere per quel che riguarda i tempi di reazione di Diele al momento dell’incidente”.  “Qui c’e’ un dato – prosegue – che secondo il consulente della Procura, Mirabelli, e’ di 2,17, cioe’ (Diele, ndr) avrebbe frenato due secondi e 17 dopo l’impatto, quindi non si sarebbe accorto neanche dopo l’impatto. E questo potrebbe avere un’incidenza se fosse dimostrato dal punto di vista della capacita’ psicofisica al momento dell’incidente. E invece ci sono i consulenti della difesa che sostengono il contrario. Lui (il giudice, ndr) ha deciso di nominare un perito”. Poi un commento sulla norma, che secondo l’avvocato “e’ fatta male” in quanto “non fa un’equazione matematica tra assunzione di droga uguale alterazione psicofisica. Mentre per l’aspetto da intossicazione da alcol c’e’ l’etilometro che puo’ dare il famoso 1,50 come spartiacque, per quel che riguarda lo stato di alterazione psicofisica da sostanze stupefacenti la richiesta di valutazione e’ caso per caso. Questo e’ il problema. Dover valutare caso per caso l’alterazione”. Ed e’ proprio per questo motivo che il gup Indinnimeo “ha ritenuto di dover fare la perizia”. Intanto, il prossimo 12 marzo ci sara’ il conferimento dell’incarico. Dopo quella data “bisognera’ vedere – continua Tedesco – che termini chiederanno i due periti e poi all’esito della perizia si dovra’ discutere proprio la perizia stessa. I tempi si allungano ma spero che questi siano tempi recuperati rispetto all’appello o al ricorso per Cassazione”. Insieme con l’avvocato, era presente il padre di Ilaria, Nicola Dilillo che, ai cronisti che chiedevano un commento, ha risposto: “Non commentiamo perche’ non c’e’ una sentenza. Aspettiamo pazientemente l’esito di queste analisi”. Nell’udienza di martedi’ scorso, 20 febbraio, il pm della procura di Salerno, Elena Cosentino, aveva richiesto che Diele fosse condannato a 8 anni di reclusione. Il noto interprete di fiction di successo, quest’oggi, era presente in aula, ad eccezione del momento in cui e’ stata data lettura dell’ordinanza. Presenti, inoltre, il padre e il fratello della vittima. Ad attendere l’esito del processo, all’esterno, il gruppo di amiche di Dilillo che continuano a chiedere giustizia.  Una di loro ai giornalisti ha detto: “Dobbiamo confidare fino all’ultimo momento che ci sia giustizia e che si mandi un messaggio chiaro. Le persone che si mettono alla guida sotto effetto di psicofarmaci o droghe e ammazzano una persona in quel modo devono essere penalizzate in maniera giusta”. Secondo Anna Rufolo, altra amica della donna, “chiunque puo’ mettersi in macchina e ammazzare qualcuno, tanto ci sono le attenuanti. E’ bastata l’attenuante del rito abbreviato che dai 16 anni previsti si e’ arrivati a 8. Io non credo piu’ in questo Stato e in questa legge”.

Cronache della Campania@2018

Corruzione: ai domiciliari l’ex pm napoletano, Giancarlo Longo

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Giancarlo Longo, l’ex Pm di Siracusa arrestato il 7 febbraio con l’accusa di associazione a delinquere, falso e corruzione, va ai domiciliari. Lo ha deciso il tribunale del Riesame di Messina. Secondo la Procura della citta’ dello Stretto, che ne ha chiesto e ottenuto l’arresto, Longo, che mesi fa e’ stato trasferito al tribunale civile di Napoli, avrebbe pilotato fascicoli di indagine per favorire i clienti di due avvocati siracusani, Piero Amara e Giuseppe Calafiore, anche loro arrestati. A differenza dell’ex pm, Amara e Calafiore restano in carcere. I giudici hanno respinto le loro istanze di liberazione.  le indagini sulla vicenda continuano.

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Processo Cpl Concordia, i giudici: ‘Non sono state provate le pressioni della camorra’

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Gli elementi acquisiti sono insufficienti per poter affermare che vi siano state pressioni della camorra per determinare la rinuncia del consorzio Eurogas alle concessioni e favorire cosi’ la Cpl Concordia per la costruzione della rete del gas in diversi comuni del Casertano. E’, in sintesi, quanto sostengono i giudici del Tribunale Napoli Nord (presidente Francesco Chiaromonte, giudici Luca Rossetti e Marina Napolitano) nelle motivazioni della sentenza emessa il 13 ottobre scorso che ha assolto con la formula ”perche’ il fatto non sussiste” i manager della cooperativa modenese Roberto Casari, difeso dagli avvocati Luigi Chiappero e Luigi Sena, Giulio Lancia, assistito dall’avvocato Bruno Larosa, e Giuseppe Cinquanta, difeso dagli avvocati Arturo ed Errico Frojo. I giudici scrivono nella sentenza che ”gli elementi acquisiti sono insufficienti per poter affermare che tale operazione sia stata propiziata dalla camorra in ossequio ad un previo accordo con la societa’ modenese, emergendo con certezza un coinvolgimento del clan dei Casalesi soltanto in una fase successiva, quando il Bacino Campania 30 era stato gia’ costituito e doveva quindi darsi avvio alla fase operativa”. Nelle motivazioni il Tribunale di sofferma anche sul ruolo dell’ex senatore Ds ed ex segretario della commissione Antimafia Lorenzo Diana, che non era imputato nel processo ma risulta indagato nell’ambito di una inchiesta-stralcio della Dda per l’ipotesi di concorso esterno in associazione mafiosa. Per i giudici di NAPOLI Nord, l’esponente politico si sarebbe adoperato per il rilascio delle concessioni allo scopo di ”acquisire visibilita’ politica”, agevolando il percorso burocratico della Cpl Concordia, attraverso contatti con sindaci e prefetti (questi ultimi in riferimento ad alcuni comuni commissariati).

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Napoli, la nevicata fa slittare il processo del crollo alla Galleria Umberto tra le proteste della famiglia Giordano

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Sembra, tra rinvii e riparto delle competenze, non voler iniziare mai il processo sulla morte di Salvatore Giordano, il giovane 14enne di Marano che il 5 luglio del 2014 venne ucciso dal crollo di massi che si staccarono dalla facciata della Galleria Umberto. Una tragedia in un pomeriggio di fine anno scolastico per un ragazzo buono e amante della vita. Dopo quattro anni dal triste episodio il processo fatica ad entrare nel vivo. Ieri mattina, i genitori di Salvatore hanno inutilmente atteso che venissero ascoltati i testimoni, tra cui il ragazzino rimasto lievemente ferito dal crollo di parte di una della volta esteriore della galleria. Invece niente, tribunale vuoto ed udienza rinviata. Se ne parlerà, infatti, a metà luglio. Più di un anno impiegato per capire dinnanzi a quale giudice dovesse finire il fascicolo, tra giudici monocratici e collegiali, sezioni neutre e semi-specializzate. Poi le udienze rinviate di volta in volta a distanza di tre mesi quasi a dispetto della gravità della materia trattata e della complessità dei documenti depositati. Il prossimo appuntamento è per il 17 luglio, prima della parentesi estiva. “Premesso che la morte del povero Salvatore Giordano è certamente a cuore di tutti coloro che inseguono l’idea di giustizia, in primis del giudice chiamato a giudicare gli imputati attualmente a giudizio, auspico si possa giungere a una calendarizzazione settimanale delle udienze – dice l’avvocato Pisani – Diversamente da quanto accaduto finora, dopo aver assistito a lunghi rinvii, attendiamo una risposta in tempi rapidi per i familiari del 14enne. Faremo precisa istanza alla presidenza del Tribunale per ottenere una scadenza settimanale delle udienze”.

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Arriva l’interdittiva antimafia per la società sportiva dei fratelli Cesaro

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Interdittiva antimafia per il Centro Sportivo Sant’Antimo, quello che viene definito il fiore all’occhiello del Gruppo Cesaro Sport. Un altro problema da risolvere per la famiglia Cesaro che negli ultimi mesi ha visto l’arresto di Aniello e Raffaele Cesaro e il sequesto di beni per 70 milioni, entrambi fratelli del deputato di Forza Italia Luigi Cesaro. Sono accusati di aver stretto un patto con il clan Polverino per la realizzazione del “piano di insediamento produttivo” del comune di Marano, in provincia di Napoli. Qualche giorno fa la Prefettura di Napoli, come ricorda Il Mattino, ha disposto l’interdittiva antimafia per la “sussistenza di tentativi di infiltrazione mafiosa da parte della criminalità organizzata e tendenti a condizionarne le scelte”. Un duro colpo per la Polisportiva Sant’Antimo Srl, utilizzata dalla privamera del Napoli Calcio, la Ad Partenope Basket , con sede a Napoli, che disputa il campionato di basket di serie C Silver, l’Associazione Dilettantistica Nuotatori Campani, del gruppo Cesaro Sport, che annovera tra le sue fila diversi atleti, normo dotati e paralimpici, che si sono affermati anche a livello internazionale. Il provvedimento emesso dalla Prefettura non comporta la chiusura della megastruttura, quindi le società che utilizzano gli impianti possono tranquillamente procedere con le attività. Intanto il rappresentante legale della Polisportiva Sant’Antimo Srl, tramite i suoi legali, gli avvocati Benedetta e Giovanni Leone ha impugnato davanti al Tar di Napoli il provvedimento, chiedendo l’annullamento dell’interdittiva antimafia. La prossima udienza è stata fissata per il 7 marzo.

Cronache della Campania@2018

Camorra, omicidio del vigile urbano Diana: chiesto l’ergastolo per il boss Sandokan

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Un nuovo ergastolo potrebbe colpire presto il boss dei Casalesi, Francesco Schiavone detto Sandokan. E’ stato chiesto dalla pubblica accusa nel processo in Corte di Assise per l’omicidio del vigile urbano di Casal di Principe, Antonio Diana avvenuto nel lontano 1989. Mentre per Giovanni Diana, detto giannino o’ pazzo la pubblica accusa ha chiesto 27 anni di carcere. Il suo difensore, l’avvocato Paolo Gallina, ha fatto emergere nel corso del dibattimento le numerose contraddizioni tra il racconto dei vari pentiti. Non ultime le discordanze emerse tra il racconto fatto dal boss pentito Antonio Iovine o’ ninno che si è accusato dell’omicidio e quella degli altri collaboratori di giustizia tra cui Cipriano D’Alessandro, Luigi Diana, Giuseppe Quadrano e  Carmine Schiavone (morto nel 2015). “L’ultimo omicidio a cui ho partecipato personalmente come esecutore e’ quello del vigile urbano di San Cipriano d’Aversa”. Cosi’ l’ex boss del clan dei Casalesi, Antonio Iovine, detto o’Ninno, collaboratore di giustizia, si autoaccusa il 9 maggio 2014 davanti ai pm, contribuendo a far luce sull’omicidio del vigile urbano Antonio Diana di San Cipriano d’Aversa avvenuto nel 1989 e maturato nell’ambito di una guerra interna tra i Bardellino e gli Schiavone. Il caso era rimasto irrisolto. Iovine ha raccontato di aver commesso personalmente l’omicidio con Raffaele Diana e Giuseppe Caterino, e le sue dichiarazioni fanno parte integrante del processo. Il pentito ha spiegato di aver chiesto al fratello Giuseppe, anch’egli vigile urbano, i turni di servizio e di aver così saputo che Diana il giorno scelto per l’agguato era a lavoro. “Siamo usciti con una Fiat Uno di colore scuro, Giuseppe Caterino (altro elemento di spicco del clan, ndr) guidava la macchina, io stavo a fianco e Raffaele Diana stava dietro”, ricorda Iovine, indicando gli esecutori materiali del delitto. “Io ricordo sono sceso per primo  quindi ho sparato un solo colpo calibro 12, lui è caduto a terra; poi è sceso dietro di me Raffaele Diana e ha sparato anche lui; se non vado errando l’ha sparato nelle parti basse.Poi andammo al cimitero di San Cipriano dove consegnammo la macchina per farla incendiare, ma non ricordo chi se ne occupo’. Le armi le consegnammo a Giovanni Diana”.

Antonio Iovine nelle sue dichiarazioni ha ricordato che dell’omicidio del vigile nel gruppo se ne parlava gia’ da tempo per vendicare l’omicidio di Maurizio Russo nel quale l’agente della municipale aveva fatto da specchiettista secondo Sandokan. Sul caso dei documenti del vigile urbano ritrovati in un incidente aereo qualche giorno prima dell’omicidio, il boss pentito dice di non sapere nulla. Il volo parti’ da Orio al Serio e doveva arrivare a Santo Domingo, ma precipito’ alle Azzorre. “Non ne ho mai sentito parlare ma ricordo che a Santo Domingo c’era la compagna di Antonio Bardellino, Rita De Vita, con la quale aveva avuto tre figli”. A questo proposito, il collaboratore in un interrogatorio questo anno ha raccontato di essersi ricordato di quell’episodio e che Antonio Diana si decise di ucciderlo proprio quando cadde l’aereo per Santo Domingo e furono ritrovati i suoi documenti. Dell’agguato avvenuto in via Roma alle 18.45 dell’11 febbraio 1989, Iovine ricorda anche le armi utilizzate: un fucile Safari a pompa calibro 12, un fucile da caccia e una Beretta 9X21 che non esplose colpi. “Avevo il volto coperto da passamontagna in quanto avvenne in pieno giorno la Fiat Uno che utilizzammo era stata rubata in precedenza”. Su un particolare, ‘o Ninno non ha saputo dare delle spiegazioni. Secondo Iovine, infatti, all’omicidio non partecipo’ Cipriano D’Alessandro, e non ha saputo spiegare per quale motivo questi si sia autoaccusato che “non aveva funzioni di killer bensi’ attivita’ imprenditoriali”.  Ma come ha fatto notare alla corte l’avvocato Paolo Gallina, (difensore di Giovanni Diana arrestato nel 2016) il pentito Cipriano D’Alessandro non solo rispetto a Iovine dice di aver partecipato in prima persona a quell’agguato ma ha fornito indicazioni diverse anche rispetto all’auto utilizzata dal commando di morte e al luogo in cui fu bruciata l’autovettura.

Cronache della Campania@2018

A processo i 56 furbetti della Rc Auto. TUTTI I NOMI

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Cinquantasei persone, quasi tutte del provincia di Napoli e in particolare della zona stabiese e dei Monti Lattari, sono stati rinviati a giudizio dalla Procura di Lagonegro con l’accusa di truffa ai danni di una nota compagnia assicurativa. In pratica intestavano le loro auto, attraverso una serie di documenti falsi, a persone inesistenti e in qualche caso addirittura decedute, pur di risparmiare sulla polizza assicurativa. Con la complicità di undipendente-talpa all’interno della compagnia assicurati­va gli automobilisti-furbetti sarebbero riusciti a far risultare di essere resi­denti in provincia di Potenza, abbattendo di oltre il 50% la quota assicurativa per l’auto da versare. Ma, in realtà, vivevano e cir­colavano tra Napoli e la provincia.
Secondo gli inqui­renti il gruppo avrebbe “falsi­ficato e alterato il contratto e il contrassegno assicurativo dell’auto in modo da riprodurre dei clo­ni”.
Oltre alla dipendente “infe­dele” al centro dell’inchiesta c’è anche un uomo della zona dei Lattari che avrebbe svolto il ruolo di procacciatore di clienti. In pratica il “mediatore” che avrebbe inoltrato i documenti contraf­fatti alla compagnia assocurativa.

 

  • Enza Santarsiere 38 anni di Polla
    Catello Lauro 44 anni di Casola di Napoli
    Maria Grazia D’Avenia 75 anni di Tursi (Matera)
    Daniela De Simone 37 anni di San Giorgio a Cremano
    Francesco Cesarano 59 anni di Gragnano
    Fiorella Avino 48 anni di Palma Campania
    Carmela D’Apice 44 anni di Castellammare
    Marco Converso 33 anni di Sorrento
    Carmine Marra 68 anni di Napoli
    Emanuela Mihaj 33 anni di Sant’Antonio Abate
    Savio Marra 38 anni di Napoli
    Anna Russo 71anni di Afragola
    Carmela Mancuso 33 anni di Castellammare
    Marino Carbone 33 anni di Avellino
    Luigi Persico 46 anni di Casola di Napoli
    Sabato Schettino 65 anni di Castellammare
    Salvatore Miccio 48 anni di Napoli
    Assunta Perino 61 anni di Gragnano
    Pina Guadagno 46 anni di Napoli
    Uddin Alla 38 anni di Palma Campania
    Salvatore Smimmo 58 anni di Pollena Trocchia
    Teresa Manzo 84 anni di Ercolano
    Rosa Cobucci 36 anni di Portici
    Sukhwinder Singh 39 anni di Nola
    Carmela Bottino 29 anni di Napoli
    Massimiliano Sorgente 42 anni di Napoli
    Carmela Di Rienzo 53 anni di Castellammare
    Margherita De Martino 34 anni di Gragnano
    Yifan Zhang 32 anni di Caserta
    Catello De Martino 66 anni di Gragnano
    Assunta Altamura 61 anni di Napoli
    Giuseppe Cerchia 40 anni di Casola di Napoli
    Antonietta Vigna 57 anni di Napoli
    Lucia Somma 31 anni di Gragnano
    Violeta Abalasei 38 anni di Palma Campania
    Volodymyr Zhabunya 59 anni di Somma Vesuviana
    Marco Chierchia 56 anni di Torre Annunziat
    Antonio Carrino 64 anni di Palma Campania
    Emiliana Granato 29 anni di Avellino
    Gaetano Amodio 53 anni di Gragnano
    Gennaro Cesareo 37 anni di Napoli
    Liliana Amato 29 anni di Ercolano
    Franco Savarese 49 anni di Napoli
    Giorgio Faggio 41 anni di Cercola
    Wenkai Chi 31anni diNapoli
    Ciro Piccirillo 51 anni di Casola di Napoli
    Gennaro Calvanese 46 anni di Melito
    Sabato Sorrentino 70 anni di Casola di Napoli
    Giuseppe Cella 54 anni di Portici
    Giuseppe Corelli 37 anni di Gragnano
    Salvatore D’Amora 56 anni di Battipaglia
    Giuseppe Veneruso 66 anni di Napoli
    Wei Yang 47 anni di Aversa
    Carmela Castellacelo 82 anni di Napoli
    Pasquale Piccolo 38 anni di Ercolano
    Beniamino Amitrano 61 anni di Torre Annunziata

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Clan Di Lauro- Vinella Grassi, arrestate 14 persone tra Secondigliano e Scampia

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Napoli. Scacco ai clan Di Lauro e Vinella Grassi: la Polizia esegue un’ordinanza di custodia cautelare nei confronti di 14 persone. All’alba di oggi, personale della Squadra Mobile della Questura di Napoli, del Servizio Centrale Operativo e militari del Gico del Nucleo di Polizia Economico-Finanziaria della Guardia di Finanza di Napoli hanno eseguito un’ordinanza applicativa di misure cautelari personali (di cui 13 in carcere e 1 agli arresti domiciliari) emessa, su richiesta della Direzione Distrettuale Antimafia, dal Tribunale di Napoli – Sezione GIP – Ufficio 26°, nei confronti di altrettanti soggetti responsabili a, diverso titolo, di vari reati tra cui associazione di tipo mafioso, associazione finalizzata al traffico di stupefacenti, tentato omicidio, detenzione e porto abusivo di armi, favoreggiamento ed estorsioni, con condotte accertate nel periodo dal 2012 al 2014.
L’ordinanza in questione è stata emessa dal GIP all’esito della rivalutazione dell’intero materiale probatorio raccolto in fase di indagine e riproposto con nuova richiesta dalla Procura della Repubblica, dopo l’annullamento della precedente misura – Sezione Gip  Ufficio 18°, eseguita il 6 giugno 2017 – nei confronti di 27 soggetti, per i medesimi reati. L’attuale provvedimento scaturisce dalla confluenza in un unico procedimento penale di più filoni di indagine, condotti distintamente dai citati organismi di polizia giudiziaria sotto il coordinamento della Direzione Distrettuale Antimafia, grazie ai quali è stato possibile accertare le responsabilità di capi, promotori e sodali delle associazioni camorristiche Di Lauro e Vinella Grassi, attive nei quartieri di Secondigliano e Scampia, delle quali sono stati ricostruiti gli interessi criminali, con particolare riferimento ad un vasto traffico di sostanze stupefacenti, per lo più hashish e cocaina, che vedeva coinvolte figure di vertice dei citati clan, in affari tra loro e con altre consorterie tra cui, in particolare, i Marfella-Pesce di Pianura. Tra gli elementi apicali delle richiamate consorterie attinti dalla misura cautelare eseguita, si segnala Salvatore Di Lauro, 30 anni, detto “terremoto”, uno dei figli del famoso boss Paolo (alias “Ciruzzo o milionario”). Oltre all’ingente business del traffico di stupefacenti descritto, è stato accertato anche un ampio giro di furti di auto e conseguenti estorsioni attraverso la tecnica cd del cavallo di ritorno. Le indagini hanno censito l’operatività dei clan a partire dal 2012, epoca in cui, dopo la definitiva scissione dai Di Lauro, avvenuta nel 2007, il gruppo della Vinella Grassi si era nel tempo affermato sempre più sugli scenari di Secondigliano e Scampia, stringendo alleanze con i Marino e Leonardi e dando vita allo scontro armato con gli Abete-Abbinante-Notturno, meglio noto come “terza faida di Scampia”.
Grazie a meticolose attività investigative, finalizzate altresì a riscontrare convergenti dichiarazioni collaborative rilasciate sull’accaduto, si è potuto accertare, nell’ambito della citata faida, il coinvolgimento in un tentativo di omicidio ai danni di Giovanni Esposito detto ‘o muort, anche di Claudio Auricchio, finanziere “infedele” con il grado di appuntato scelto, allora in forza al Gruppo Pronto Impiego di Napoli e attualmente sospeso dal servizio.
In tale contesto, oltre a figurare tra i soggetti più vicini ad Antonio Mennetta durante il suo periodo di latitanza, Mennetta è il boss reggente della Vinella Grassi, arrestato dalla Squadra Mobile il 4 gennaio 2013, è emerso il suo diretto coinvolgimento proprio nel traffico di sostanze stupefacenti gestito dall’organizzazione della Vinella Grassi, intessendo, tra l’altro, diretti rapporti anche con figure apicali della consorteria Di Lauro.

 

Cronache della Campania@2018

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