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Channel: Cronaca Giudiziaria
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Napoli: ecco le prime dichiarazioni del boss pentito Mario Lo Russo

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Il pentimento di Mario Lo Russo dei “capitoni” di Miano ora è ufficiale. Ha deciso di seguire le orme del fratello Salvatore e dal 15 aprile scorso ha cominciato a collaborare con la giustizia. Le sue prime di chiarazioni sono state rese davanti al pubblico ministero Enrica Parascandolo della Dda e ai due investigatori carabinieri presenti nella sala colloqui del carcere milanese di Opera,. “Sono pronto a rispondere alle vostre domande”, ha detto al pm e poi è cominciato il racconto parlando di traffici di droga, le estorsioni, le mani sugli appalti negli ospedali cittadini, le bische clandestine, il commercio di oro e brillanti, clandestino anche quello. E gli omicidi, le alleanze e i conflitti, il ruolo di Antonio Lo Russo, il figlio dell’ex boss Salvatore, arrestato a Nizza da latitante due anni fa . Parte di queste sue prime dichiarazioni sono pubblicate sul Il Mattino in edicola stamattina. Ecco alcuni stralci:”…Entravano in cassa circa 50mila euro al mese. Io prendevo 5mila euro a settimana, la moglie di mio fratello Carlo, da detenuto, 3mila. Per gli altri le mesate variavano da mille a 2mila euro a seconda del ruolo all’interno del clan e del numero di familiari a carico. I capi potevano permettersi un regalo da 100mila euro per festeggiare la scarcerazione e le mogli la dolce vita tra griffe, puntate al Bingo e serate da jet set…Di recente la moglie di Salvatore e mia moglie sono andate insieme al Festival di Sanremo…Quando il 13 aprile 2013 fui scarcerato mio nipote Tonino mi regalò 100mila euro in contanti. Apprezzai il gesto e accettai, ma non mi fidavo di lui, sapevo che sarebbe stato capace di uccidermi come aveva fatto con il cognato di mio fratello…”. Tonino arrestato a Nizza lo scorso anno era diventato famoso per essere apparso  a bordo campo allo Stadio San Paolo di Napoli ad assistere ad una gara degli azzurri e da latitante: ” …A Miano arrivava all’improvviso e incontrava solo Lelè e Gigiotto di cui si fidava. Non me. Ognuno di noi era diffidente dell’altro. Dopo il pentimento di mio fratello Salvatore avrei voluto estrometterlo perché, in quanto figlio di un pentito, per me non avrebbe dovuto più comandare…Quando Tonino mi dava appuntamento temevo che fosse una trappola, ma non potevo disertare… una volta ci andai  con mia moglie e mia figlia. Gli incontri avvenivano in case di campagna nel Nolano, abitate da gente del posto…Tonino comandava anche da latitante. Tutto si muoveva in base a quello che lui decideva: droga, sale scommesse, i soldi degli ospedali. Anche gli omicidi… Dopo la scarcerazione mi accontentai di 5mila euro a settimana perché il controllo di tutto lo teneva Tonino con i suoi fedelissimi e io ero considerato un pensionato. Aspettavo che li arrestassero per riprendere la gestione. Ho fatto buon viso a cattivo gioco…”.


Gragnano, il pentito Tonino ‘o biondo racconta in aula: “Rino Chierchia aveva fatto confidenze alle forze dell’ordine”

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L’ex referente del clan D’Alessandro e narcotrafficante di Santa Maria la Carità e Sant’Antonio Abate, Antonio Esposito detto “tonino ‘o biondo” ha parlato ieri al processo stralcio “Golden Gol” dell’omicidio di Gennaro Chierchia “rino ‘o pecorone”, il boss di Gragnano ucciso in un negozio in via Castellammare il pomeriggio del 13 marzo del 2010. Il pentito ricostruendo l’organigramma della cosca dei D’Alessandro tra le altre cose ha detto: “Gennaro Chierchia era il referente dei D’Alessandro a Gragnano, lo conoscevo bene. Poi fu arrestato e, durante la sua detenzione si venne a sapere che lui, per ottenere benefici, aveva fatto delle confidenze alle forze dell’ordine, così nacque un contrasto con Scanzano, perse peso e venne messo da parte quando tornò in libertà. Quando fu ucciso non aveva più un ruolo di spicco nell’organizzazione”. Poi ha spiegato:  “A Gragnano comandavano e comandano i Di Martino. Io avevo rapporti con Antonio, il figlio di Leonardo “’o lione”, e so che il loro gruppo principalmente gestiva le coltivazioni di marijuana…I Di Martino facevano parte del gruppo degli Imparato nella faida con i D’Alessandro di Castellammare di Stabia poi fecero pace. Si accordarono Leonardo Di Martino e Pasquale D’Alessandro che decisero di chiarirsi e di cancellare il passato. Ora sono alleati, me lo disse Pasquale”.

Nuovo corteo fino al Tribunale per la sentenza a carico del carabiniere che uccise il 17enne al rione Traiano

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Foto LaPresse - Marco Cantile06/09/2014 Napoli, ItaliaCronacaManifestazione di protesta della gente del Rione Traiano per la morte di Davide Bifolco, il ragazzo ucciso da un Carabiniere dopo non essersi fermato all'alt. Nella foto: il fratello di Davide mostra la foto del fratello uccisoPhoto LaPresse - Marco Cantile September 06, 2014 Naples, Italy NewsProtest for death of Bifolco Davide, the boy killed by a policeman

Un corteo di circa 150 manifestanti, è giunto poco fa in piazza Cenni, davanti all’edificio del Tribunale di Napoli dove è attesa la sentenza per l’uccisione del 17enne Davide Bifolco, ucciso da un colpo di pistola esploso da un carabiniere il 5 settembre 2014 al Rione Traiano di Napoli. In testa al corteo la madre del ragazzo ucciso, Flora, e suoi amici. “Giustizia per Davide”, è lo slogan scandito dai manifestanti.

Estorsioni in Fincantieri, il pm chiede la condanna a 5 anni per Tramparulo

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Castellammare di Stabia. Estorsioni alla Fincantieri: chiesta la condanna a 5 anni e 4 mesi per Nicola Tramparulo, l’operaio che lo scorso anno finì insieme a 5 complici in un’inchiesta del pm Maria Benincasa. Tramparulo ha chiesto di essere giudicato con rito abbreviato, rito che i difensori Antonio De Martino e Alfonso Piscino hanno condizionato all’acquisizione di circa 2000 conversazioni che non erano state ritenute interessanti dall’accusa e quindi non riversate nel processo. Nel processo stralcio, pendente davanti al Gup di Torre Annunziata, la vittima – un imprenditore napoletano – ha riconosciuto Tramparulo come uno degli operai che nel 2014 partecipò, insieme agli altri, alle estorsioni ai suoi danni. Scioperi pretestuosi, danneggiamenti, furti ai danni delle ditte dell’indotto per costringerle ad assumere amici o parenti dei sei operai e sindacalisti poi finiti a processo.  La Polizia lo scorso anno eseguì un’ordinanza di custodia cautelare a carico di sei persone Antonio Vollono, Francesco Amoroso, Catello Schettino, Nicola Tramparulo e i fratelli Catello e Ferdinando Scarpato. Solo Tramparulo ha scelto il rito abbreviato condizionato alla trascrizione delle intercettazioni che – secondo la difesa – dovrebbero fornire al giudice una visione diversa di quanto accaduto all’interno del cantiere stabiese. Nel frattempo, il pm Maria Benincasa ha chiesto la condanna a cinque anni e 4 mesi nei confronti dell’imputato.

Marano, si difende l’assassino di Enrico Pezzella

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Marano. Si giustifica l’assassino di Enrico Pezzella, il 25enne ucciso l’8 aprile scorso con un colpo di pistola. Alessandro Uccello, arrestato nei giorni scorsi, ha sostenuto che il proiettile è partito accidentalmente dalla pistola che deteneva legalmente. Le indagini condotte dopo l’omicidio di Enrico ‘Capigliotta’ avevano portato i carabinieri del Nucleo operativo e Radiomobile della Compagnia di Giugliano, ad arrestare Alessandro Uccello, 47 anni, residente a Marano. Secondo la ricostruzione degli inquirenti, l’arrestato impugnava la pistola – regolarmente registrata – quando nel corso della lite sarebbe partito il colpo mortale alla testa di Enrico Pezzella. Uccello è il cognato di Raffaele Bacioterracino, ex suocero della vittima, la diatriba con il 25enne era nata proprio a proposito della relazione amorosa. Uccello aveva più volte allontanato Enrico, alias Capigliotta, dal palazzo dove abita la ragazza. Dopo l’ennesima lite, il colpo di pistola che si conficcò nella testa del 25enne. Il ragazzo era morto qualche giorno dopo all’ospedale di Pozzuoli. Nei guai sono finiti sia Raffaele Bacioterracino, il primo a finire in carcere, che il cognato, accusati di omicidio aggravato in concorso. Determinante per la ricostruzione prospettata da accusa e difesa, gli esami balistici sulla pistola sequestrata ad Uccello.

Giugliano, furto milionario condannati i componenti della gang

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Giugliano. Furto e ricettazione: prime condanne per gli uomini della gang. Furono arrestati per un furto in un deposito di una ditta di allestimenti per spettacoli musicali e nei giorni scorsi, il Gup del Tribunale di Napoli ha rinviato a giudizio Massimo Liberato di Sant’Anastasia e condannato con rito abbreviato Raffaele Sarnataro e Salvatore Castiello alla pena di tre anni e due mesi di reclusione; Francesco Lisetti a due anni di reclusione; Raffaele Raimondo ad un anno e sei mesi di reclusione (pena sospesa). Assolto, invce, Rosario Castiello, per il quale il pm aveva chiesto una condanna a tre anni e quattro mesi di reclusione. Sarnataro è agli arresti domiciliari, mentre gli altri sono liberi. L’episodio contestato agli imputati risale al marzo del 2013 quando una banda di rapinatore fece irruzione nel deposito della titta portando via beni per un valore di 800mila euro, beni che in parte furono ritrovati. Gli imputati furono scoperti e arrestati dagli agenti della Squadra Mobile.

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Clan Vollaro a Vasto: 25 condanne e 37 assoluzioni per gli uomini di Lorenzo Cozzolino

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Ercolano. Maxi processo ‘Adriatico’ contro il clan Vollaro a Vasto e l’Aquila: 25 condanne e 37 assoluzioni per i 62 imputati accusati a vario titolo di associazione per delinquere e spaccio di stupefacenti. Un mese fa la sentenza dei giudici del Tribunale di Vasto nei confronti della cosca di Ercolano-Portici, insediatasi in Abruzzo. Il collegio presieduto da Bruno Giangiacomo (a latere Fabrizio Pasquale e Stefania Izzi) ha affrontato per la prima volta nella storia del tribunale di Vasto un processo per associazione a delinquere di stampo camorristico. A far partire l’inchiesta che portò al coinvolgimento di 81 persone, le rivelazioni del collaboratore di giustizia, Lorenzo Cozzolino, che rivelò i nomi del sodalizio che aveva trasferito nel Vastese i traffici legati agli stupefacenti. Lorenzo Cozzolino e la moglie Italia Belsole esponenti del clan Vollaro due anni fa hanno snocciolato nomi, fatti e circostanze determinando il rinvio a giudizio di 81 persone. Diciannove (e fra loro i due collaboratori) saranno giudicate al Tribunale de l’Aquila a giugno. Sessantadue sono state giudicate dal tribunale di Vasto. I giudici hanno condannato 25 imputati a pene che vanno da 22 a 7 anni e sei mesi per un totale di 299 anni. La pubblica accusa aveva chiesto un totale di 549 anni di carcere. Sedici imputati sono stati condannati per associazione a fini di spaccio, sei per associazione di stampo camorristico e due per concorso esterno all’associazione. Secondo gli inquirenti, dietro gli incendi dolosi e le sparatorie che si verificarono a Vasto, San Salvo e Gissi, dal 2003 al 2008, ci sarebbe stata la camorra che mirava a governare lo spaccio di droga nell’Abruzzo meridionale.


Scafati, Fondo 2010 per i dipendenti: stangata della Corte dei Conti per 22 amministratori

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Scafati, Municipio

Scafati. Fondo Salario accessorio per il 2010: contestato un danno erariale per 642.160,24 alle casse del Comune. Il sostituto procuratore della Corte dei Conti Luciano Donato ha inviato a 22 tra politici, dirigenti e revisori dei conti l’invito a controdedurre in merito all’elargizione del fondo per l’anno 2010 per il quale la Guardia di Finanza della Compagnia di Scafati ha riscontrato numerose illegittimità. Ruolo primario nelle contestazioni della Corte dei Conti quello della segretaria generale Immacolata Di Saia nella veste, all’epoca, di direttore generale, presidente del nucleo di valutazione, presidente del collegio per il controllo di gestione e presidente della delegazione trattante di parte pubblica. Comprimaria ma non meno importante la figura del sindaco Angelo Pasqualino Aliberti, che a settembre di quell’anno e prima che fosse ripartito il fondo avocò a se – con una nota ai dirigenti – tutte le decisioni sui progetti finalizzati. Quell’anno solo a ottobre dopo un lungo braccio di ferro l’amministrazione stabilì che sarebbero stati pagati con un fondo di 540mila per i dipendenti e 90mila euro per i dipendenti ex Eti, i progetti obiettivo. Ma in quei progetti, identici a quelli dell’anno precedente – è questa una delle anomalie riscontrate – vennero inclusi anche i compensi per gli straordinari. La Corte dei conti, tra le illegittimità riscontrate, ha sollevato proprio la questione straordinari sostenendo che il compenso per produttività e progettualità non può essere usato per compensare prestazioni di lavoro straordinario. Nel corso delle indagini dei finanzieri, i dirigenti sentiti, e in particolare la segretaria generale ha provato a scaricare tutta la responsabilità sulla parte politica che – secondo quanto riportato nella relazione del procuratore Donato – ‘erano informati dell’anomala gestione del fondo e che tutte le decisioni erano condivise con l’organo di Governo, sindaco e Giunta, che anzi pulsava tale gestione al fine di poter remunerare e gratificare il personale dipendente’. Le contestazioni hanno raggiunto 22 persone in primis il sindaco Aliberti e la segretaria Di Saia – nelle sue molteplici vesti -, insieme a loro i componenti della Giunta, il vicesindaco Giacinto Grandito, gli assessori Stefano Cirillo, Pasquale Coppola, Sabato Cozzolino, Guglielmo D’Aniello, Giancarlo Fele. Ruolo primario anche quello della dirigente Laura Aiello, per aver espresso parere favorevole per la regolarità tecnica della delibera. A questi vengono contestati per intero la somma di oltre 600mila euro. Contestazioni contabili per la metà della somma per i due responsabili del settore finanziario che si succedettero quell’anno Giacomo Cacchione e Emilio Gallo. Contestata la cifra di circa 230mila all’ex dirigente della polizia municipale Carmine Arpaia e al suo successore Alfredo D’Ambruoso. Contestazioni per le somme elargite ad ogni singolo settore per gli altri dirigenti: Anna Sorrentino (26mila euro); Maddalena Di Somma (40mila euro); Antonio Ariano (70mila euro); Andrea Matrone (70mila), Nicola Fienga (51mila); Maria Gabriella Camera (5mila e duecento euro). Contestazioni anche al presidente del collegio di revisione contabile dell’epoca, Luigi Silvestri, e ai componenti Vincenzo Sicignano e Alberto Virtù per la somma di 214mila euro, per non aver svolto il controllo sulla contrattazione collettiva e non aver riscontrato l’illegittima composizione del fondo.

Torre Annunziata, processo Alta Marea: chiesto lo sconto di pena per Gemma Donnarumma

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Torre Annunziata. Processo Alta Marea chiesta la conferma delle condanne per i boss delle famiglie legate ai Gionta, sconti di pena per gli spacciatori. E’ questa la richiesta del procuratore generale che ieri mattina – dinanzi ai giudici della quinta sezione della Corte d’Appello di Napoli – ha chiesto le condanne per 25 esponenti dei clan confederati di Torre Annunziata. Dopo la relazione del giudice a latere il pg ha riformulato – il processo era stato in parte annullato dalla Corte di Cassazione – le richieste di pena. Conferme delle condanne inflitte in primo grado per gli esponenti dei clan De Simone ‘quaglia-quaglia’ e Chierchia ‘fransuà’, sconto di pena per Gemma Donnarumma, moglie del capostipite della cosca, che accanto al reato di associazione camorristica risponde di traffico di stupefacenti per lo smercio di hashish: il procuratore generale ha chiesto per lei 12 anni di reclusione. L’accusa ha, invece, chiesto la conferma della pena per Pasquale Gionta (20 anni e sei mesi) e una riduzione per la sorella Teresa che in primo grado incassò 10 anni. Godrà dei benefici della legge sui pentiti, Michele Palumbo, alias munnezza, oggi collaboratore di giustizia. Nessuno sconto, invece, per Salvatore Ferraro, alias ‘o capitano, condannato in primo grado a 11 anni e 2 mesi di reclusione, e per i fratelli Francesco e Michele De Simone, i ‘quaglia-quaglia’, già condannati a 9 anni e 4 mesi. La Cassazione aveva annullato parte della sentenza di Appello per difetto di motivazione, una carenza alla quale porranno rimedio i giudici della quinta sezione della corte d’Appello di Napoli. Era passata indenne al vaglio degli ermellini la sentenza che riguardava il super boss Valentino Gionta, il figlio Aldo (14 anni la pena definitiva) e Aldo Agretti (9 anni e 4 mesi). Se la richiesta del Procuratore generale dovesse essere accolta dai giudici della Corte d’Appello lo sconto di pena potrebbero decretare la scarcerazione delle donne della cosca dei Valentini, in particolare, Gemma Donnarumma e la figlia Teresa.

Marigliano, avvocato ai domicliari: pilotava le aste pubbliche per conto del clan Foria

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SIMBOLICA GIUSTIZIA AGENZIA BETTOLINI (Agenzia: DA RACHIVIO)  (NomeArchivio: PAV-G1ig.JPG)

Concorso in turbativa d’asta, con l’aggravante del metodo mafioso. E’ questo il reato per un 44enne, mariglianese, avvocato presso il Foro di Nola, da oggi ai domiciliari, dopo l’esecuzione dell’ ordinanza di custodia cautelare dei militari del Nucleo Operativo della Compagnia di Castello di Cisterna, provvedimento emesso dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Napoli. L’attivita’ investigativa, sviluppata tra giugno 2015 e febbraio 2016, ha consentito di dimostrare che tutti gli indagati si sarebbero adoperati, con compiti distinti, per rientrare in possesso di un immobile oggetto di un’asta pubblica a seguito del fallimento della societa’ proprietaria. In particolare, il 44enne di oggi, ricoprendo un ruolo di “intermediario” tra i complici e la vittima, avrebbe reiteratamente tentato di corrompere quest’ultima, la quale, essendo interessata all’immobile in questione, sarebbe stata destinataria di numerose proposte in denaro, finalizzate a convincerla a non presentare alcuna proposta di acquisto. A seguito del fermo rifiuto del denunciante, i complici dell’odierno arrestato, con lo scopo di realizzare ad ogni costo il loro piano, sarebbero passati da un approccio “diplomatico” ad uno violento, minacciando ripetutamente e con metodo “mafioso” la stessa vittima. L’odierno arresto e’ l’ultimo capitolo di una complessa indagine, che aveva consentito, lo scorso mese di novembre 2015, di eseguire ulteriori 3 misure cautelari in carcere, a carico di Foria Nicola, capo dell’omonimo clan, e dei suoi “delfini” Rega Tommaso e Falco Giuseppe; sottoporre l’odierno arrestato alla misura del divieto di esercitare la professione di avvocato per sei mesi; procedere al sequestro preventivo di numerosi beni (societa’ edili, fabbricati, rapporti bancari, terreni) riconducibili direttamente agli indagati o a loro “prestanome”, per un valore complessivo di circa cinque milioni di euro.

Estorsione: assoto in Appello il boss dei Casalesi, Michele Zagaria

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 La terza sezione della Corte d’Appello di Napoli ha assolto, per “non aver commesso il fatto”, il boss dei Casalesi Michele Zagaria dall’accusa di estorsione aggravata dal metodo mafioso ai danni dell’imprenditore Raffaele Parente. Secondo gli inquirenti partenopei, Zagaria avrebbe riscosso un ‘pizzo’ per anni dal titolare di una ditta di trasporti, nei tre classici periodi di Natale, Pasqua e Ferragosto. In primo grado, l’ex ‘primula rossa’ della camorra era stato condannato a 12 anni di carcere dal Tribunale di Santa Maria Capua Vetere. Nello stesso grado di giudizio, Zagaria era imputato anche per una seconda estorsione, quella commessa ai danni dell’imprenditore edile Bartolomeo Piccolo, dalla quale fu assolto con gli altri due esponenti del clan, Massimiliano Caterino, oggi collaboratore di giustizia, e Giovanni Garofalo.

Rogo a Città della Scienza: l’imputato chiede rito abbreviato

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Sarà giudicato con rito abbreviato Paolo Cammarota, il custode di Città della Scienza per il quale la procura aveva chiesto il rinvio a giudizio ritenendolo responsabile dell’incendio che la sera del 4 marzo 2013 distrusse un ampio settore della struttura. La richiesta della difesa di Cammarota, accusato di incendio doloso in concorso con ignoti, è stata formulata oggi nel corso dell’udienza davanti al gup del Tribunale di Napoli Maria Aschettino. Il processo comincerà il 24 giugno prossimo. Nei confronti dell’imputato lo scorso anno la richiesta di arresto era stata respinta dal gip e successivamente anche dal Tribunale del Riesame in quanto i giudici non avevano ravvisato a suo carico i gravi indizi di colpevolezza. Al processo si costituirà parte civile la Città della Scienza, assistita dall’avvocato Giuseppe De Angelis.

Boscoreale: Condannato a tre anni il baby pentito del piano Napoli

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Gerardo Colantuomo, il 21enne “baby-pentito” del Piano Napoli di Boscoreale è stato condannato a tre anni di reclusione (pena sospesa) per detenzione di armi. Al giovane che ha deciso di svelare  i segreti del mercato della droga di via Settetermini, per “paura di morire come Mauro Buonvolere”, i giudici hanno riconosciuto i benefici concessi ai collaboratori di giustizia. Il pentito fece trovare agli agenti del commissariato di polizia di Torre annunziata che lo avevano arerstato un vero e proprio arsenale.
In camera da letto aveva nascosto una Beretta 9 X 19, una Luger 9mm ed una Tanfoglio 9X2, nonché numerosi proiettili di vari calibri ed un cappuccio nero tipo Mephisto. Poi in un terreno nei pressi della sua abitazione furono trovate una carabina Benteler Vore calibro 22, un vecchio fucile mitragliatore calibro 9 della Beretta, una pistola Beretta 34 calibro 9 corto, una pistola Colt 19R U.S. Army, una Bernardelli One VB calibro 9 corto. Agli investigatori il collaboratore di giustizia ha raccontato: “Dopo gli agguati, mi consegnavano le pistole  ma io, anziché distruggerle, le nascondevo in giardino. Ho preso parte ad almeno 10 agguati, nessuno mortale. Ricordo che una volta sparai nel portone di una persona a Sant’Antonio Abate solo perché lui ci aveva offeso su Facebook”. Ed ancora: “a settembre 2013 andammo a sparare nella proprietà dei Vangone a Boscotrecase, perché mio nipote aveva litigato con uno di loro. Decisi di sparare per far capire che non avevo paura. Dopo qualche giorno i Vangone risposero al fuoco, sparando nella mia autovettura”.

Riciclaggio di auto nell’Agronocerino: nove a processo

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Furto, riciclaggio e ricettazione di auto rubate: processo per gli uomini della gang capeggiata da Mario Tedesco. Il giudice per le udienze preliminari, Paolo Valiante, ha rinviato a giudizio nove persone, quattro delle quali erano state arrestate a ottobre dello scorso anno dai carabinieri del reparto territoriale nell’ambito di un’indagine sul furto e il riciclaggio di autovetture. I nove compariranno dinanzi ai giudici del terzo collegio del Tribunale di Nocera Inferiore il 6 ottobre prossimo. Alla sbarra Mario Tedesco, l’imprenditore di Nocera Superiore già coinvolto in un’inchiesta della Dda sul clan Fabbrocino, Antonio Carbone, di San Valentino Torio, e i figli Sabato e Salvatore, Battista Costabile di Sarno, Antonio De Vivo, 61 anni, meccanico di Nocera Superiore, Domenico Federico di Pagani e Mario Amatruda. Tutti sono accusati di associazione per delinquere finalizzata al furto, alla ricettazione e al riciclaggio di auto e parti di esse. Il gup ha accolto la richiesta di rinvio a giudizio della Procura per i nove finiti nei guai a ottobre scorso, quando i carabinieri del reparto territoriale di Nocera Inferiore e della stazione di San Valentino Torio, eseguirono quattro arresti, tre in carcere e uno ai domiciliari. Mario Tedesco fu arrestato ad Albano Laziale, dove era agli arresti domiciliari per essere finito nel mirino della Dda per estorsione e danneggiamento nell’ambito di un’inchiesta sul clan Fabbrocino e sul monopolio del calcestruzzo. Le indagini, avviate nel dicembre 2014 dalla stazione dei carabinieri di San Valentino Torio erano partite dal ritrovamento di alcune auto rubate ed erano state svolte con metodi tradizionali supportati da attività e tecniche e servizi di appostamento. Secondo l’accusa, l’organizzazione criminale, capeggiata da Tedesco, era dedita ai furti di vetture, ed era attiva a Salerno e nell’Agro nocerino-sarnese. Le vetture rubate in diversi comuni della provincia venivano rimesse sul mercato dopo operazioni di smontaggio, ribattitura dei telai e riverniciatura delle carrozzerie, effettuate in un’officina di Nocera Superiore, quella di Antonio De Vivo. Le indagini avviate dai militari di San Valentino Torio avevano portato in pochissimi mesi alla richiesta di custodia cautelare da parte della Procura di Nocera Inferiore. Nel corso delle indagini erano state sequestrate diverse automobili “pezzottate” dalla gang e messe nuovamente in circolazione attraverso il cambio dei numeri di telaio. La gang, sgominata in pochi mesi, dovrà ora affrontare il processo dinanzi ai giudici del Tribunale di Nocera Inferiore a partire da ottobre prossimo. (ro.fe.)


Castellammare: torna in carcere Giovanni Lucarelli “braciola”

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E’ tornato in carcere per scontare una pena definitiva di sette anni di carcere per traffico internazionale di droga: Giovanni Lucarelli, 41 anni, noto come “braciola” esponente storico della camorra del centro storico. Prima al servizio dei D’Alessandro e e poi sul finire degli anni Novanta con il famoso gruppo dei “falsi pentiti” di Raffaele Di Somma ‘o ninnillo. Giovanni Lucareli era esperto nel traffico di droga con i suoi viaggi all’estero in modo particolare in Olanda. Ora è arrivata la condanna defintiva e per lui si sono aprte di nuovo le porte del carcere di Poggioreale.

Truffa all’Inps, al via il processo a Giuseppe Gallo. Esclusa la testimonianza della giornalista del Tg1

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Boscotrecase/Torre Annunziata. Al via il processo per truffa all’Inps a carico di Giuseppe Gallo, alias ‘o pazz. I giudici escludono dalla lista testi la giornalista del Tg1 che fece un reportage sugli ospedali giudiziari psichiatric. Il boss del clan Limelli-Vangone finse di essere pazzo, incassando una pensione di invalidità di 747 euro al mese, risponde – dunque – davanti ai giudici di truffa ai danni dello stato aggravata dalle finalità mafiose. Giuseppe Gallo avrebbe simulato un disturbo psicotico con base schizofrenica, incassando la pensione per cinque anni dal 2004 al 2009.  Ieri il consulente di parte della difesa, Alessandro Meluzzi, che aveva visitato il boss in carcere per ben sei volte ha sostenuto per ‘incapacità processuale’ dell’impuntato. Di avviso contrario il consulente dell’accusa, Luca Bartoli, che – pur riconoscendo qualche disturbo – aveva concluso per la capacità a stare in giudizio. Tesi accolta dai giudici del Tribunale di Torre Annunziata che hanno sottolineato come Gallo “simulava di non riconoscere il dottor Bartoli, facendosi visitare solo dal consulente Meluzzi”.Il legale dell’imputato ha depositato la lista testi della difesa, tra i testimonia anche Adriana Pannitteri la giornalista del Tg1 che aveva effettuato un reportage sugli opg italiani, ma la testimone è stata esclusa dal processo per ‘economia processuale’ esclusi anche altri 15 testi, medici e psichiatri, che avrebbero dovuto testimoniare per Giuseppe Gallo.

Eboli: condannato a 9 anni l’allenatore che abusava delle baby calciatrici

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Eboli. Molestie sessuali e violenze alle baby calciatrici: nove anni di reclusione per l’allenatore Gennaro Russo, accusato di violenza su minori. L’uomo, accusato da tre ragazze di una squadra ebolitana, per episodi avvenuti tra il 2012 e il 2013, è stato condannato dai giudici del Tribunale di Salerno – presidente Cristina De Luca – che ha inflitto all’imputato nove anni di reclusione, oltre al divieto di frequentare luoghi in cui ci sono minori, risarcimento del danno e provvisionali sia alle vittime degli abusi che ai loro genitori. Contro Russo le accuse di tre ragazze di una squadra ebolitana, due lo accusano di aver subito palpeggiamenti e tentativi di violenza, la terza sostiene è stata violentata. Approcci, carezze spinte, fino a quel rapporto consumato con un’allieva che si era offerto di accompagnare a casa, e che ruppe il silenzio facendo aprire l’inchiesta. Subito dopo sono arrivate le conferme di altre ragazze, che al 56enne originario di Napoli e residente ad Agropoli hanno attribuito più di un tentativo di violenza e abusi sessuali continuati nel tempo. A incastrarlo è stata tra l’altro la registrazione di due conversazioni, in cui l’uomo ammetteva di aver avuto con una delle calciatrici un rapporto sessuale completo. La stessa vittima lo aveva consegnato agli inquirenti. Nel maggio del 2013, il coach le aveva offerto a un passaggio a casa approfittandone per condurla in un luogo isolato della zona industriale di Eboli, strapparle i vestiti e consumare la violenza. Le vittime si sono costituite parte civile nel processo insieme ai genitori e le loro testimonianze sono state ritenute attendibili dai giudici. Oltre alla pena di 9 anni Russo è stato condannato a pagare una provvisionale di 50mila per ognuna delle vittime, e 10mila euro per ciascun genitore.

Acerra: duplice omicidio confermato l’ergastolo per i boss cutoliani

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Acerra. La Cassazione conferma la pena all’ergastolo per i boss Mario De Sena, Francesco Montesarchio e Mario Di Fiore, o cafone. Ratificata la sentenza emessa nei confronti dei tre e del pentito Giovanni Messina. Per il padrino Mario De Sena, cutoliano doc, è la seconda condanna al carcere a vita. Mario Di Fiore e gli altri due sono stati incastrati dalle dichiariazioni di suo figlio Pasquale, divenuto collaboratore di giustizia. De Sena e Montesarchio, sono stati alleati tra loro, mentre Mario Di Fiore, certamente un elemento di minore spessore criminale, è stato per anni un gregario del gruppo facente capo ai Mariniello ossia dei “Cammurristielli”, che sono stati sempre nemici dei cutoliani. A incastrare i tre le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia che hanno addebitato ai tre diversi omicidi quello di Rosa Nettuno – una don- na di Caivano che per amore abbandonò il tetto coniugale – e Antonello Di Sarno, uccisi in un feroce agguato di camorra. Antonello Di Sarno – secondo i pentiti – era un soggetto poco affidabile e per questo prima di essere ucciso fu vittima di un agguato al quale scampò. In quell’occasione rimase ferita la donna, Rosa Nettuno, uccisa qualche mese dopo a Carinaro, all’epoca regno dei fratelli Di Grazia, grandi alleati di Giovanni Messina e del gruppo di Casalnuovo di Napoli, gravitante nell’orbita dei cutoliani.

Soccavo-Pianura: seviziarono e uccisero un affiliato per un’estorsione “sbagliata”, la Cassazione conferma l’arresto dei ras Basso e Scognamiglio

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aula tribunale

Una nuova ordinanza di custodia cautelare ha colpito in carcere i di Pianura e Soccavo, Diego Basso e Antonio Scognamiglio, ritenuti responsabili dell’omicidio di Francesco Esposito avvenuto  il 17 settembre del 2001. Lo ha deciso ieri la Corte di Cassazione che ha anche accolto la richiesta di non colpevolezza di Gaetano Lazzaro. Fu il killer pentito Luigi Pesce, reo confesso a raccontare l’omicidio alla Dda. Francesco Esposito, fu ucciso dai clan del Rione Traiano, venduto dai Marfella di Pianura per un’estorsione in territorio nemico. Un omicidio deciso nel pieno della faida tra i “Marfella-Pesce-Bernardo”  e i D’Ausilio che, all’epoca avrebbero provato ad estendersi in zona Soccavo-rione Traiano. Secondo la ricostruzione investigativa: la vittima fu convocata, pestata a sangue e imbavagliata tra le palazzine del rione Traiano; poi, ancora in vita, Esposito fu impacchettato in un bagagliaio di una Scenic e ucciso in un secondo momento. Il suo cadavere fu ritrovato a Fuorigrotta.

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