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Channel: Cronaca Giudiziaria
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Uccise un 80enne con un sasso dopo una lite, 21enne condannato

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Uccise un 80enne nel Salernitano con un sasso, 21enne condannato. Sette anni di reclusione per omicidio preterintenzionale un 21enne originario di Olevano sul Tusciano, nel Salernitano. Orazio Colangelo dovra’ scontare la pena per aver ucciso con una pietra un anziano di ottant’anni davanti a un bar nella piazza principale del piccolo comune. La moglie dell’uomo, mentre si cercava di soccorrere l’anziano, mori’ per un infarto. I fatti risalgono al pomeriggio del 12 agosto 2014. L’ottantenne,Vito Manzi, che lamentava la presenza molesta di alcuni giovani davanti al bar di piazza Umberto I, colpi’ con un bastone il 21enne; e questi, mentre si allontanava in compagnia di un amico, scaglio’ un sasso trovato per terra contro l’anziano che morira’ due giorni dopo all’ospedale San Giovanni di Dio e Ruggi d’Aragona di Salerno per la grave ferita riportata alla testa.Quel pomeriggio del 12 agosto del 2014, Colangelo, sosteneva l’accusa, pur non avendo intenzione di uccidere, avrebbe messo in conto, assumendosene il rischio, che il suo gesto avrebbe potuto causare la morte dell’anziano. Più di altro ha pesato il particolare che il ventenne, dopo la lite con l’anziano per il posto a sedere, ritornò per colpire Manzi con una pietra e lo uccise. I due si affrontarono in piazza Umberto I. Ci fu un alterco, si colpirono e la lite sembrava finita lì. Invece, Colangelo tornò indietro, stavolta per lanciare quella maledetta pietra che colpì in faccia all’ anziano, centrato in corrispondenza dell’occhio destro. La moglie del pensionato,Carmela Bufano, si precipitò sul posto e vedendo il marito in fin di vita morì di infarto.La donna fu trasferita all’obitorio dell’ospedale di Battipaglia mentre l’anziano al “Ruggi” di Salerno dove spirò pochi giorni dopo. Per la sua morte ora è stato condannato il giovane con il quale litigò per quell’angolo di muretto dove potersi sedere per godersi un po’ di frescura.Colangelo, che uccise l’anziano, fu arrestato dai carabinieri ed e’ stato condannato, in primo grado, dalla Corte di Assise del Tribunale di Salerno e poi in Appello. La pena e’ stata confermata, nell’udienza dello scorso 10 gennaio, anche dalla Corte di Cassazione. Nel tardo pomeriggio di ieri, i militari della Compagnia di Battipaglia hanno eseguito l’arresto, cosi’ come disposto dall’Ufficio Esecuzione penale, rinchiudendo l’uomo nel carcere di Salerno-Fuorni.

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Cronache della Campania@2018


Scafati, scambio di voto politico-mafioso: Aliberti è incandidabile

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Scafati. “… con Aliberti perché dobbiamo contare di più” era lo spot elettorale alle Provinciali del 2009, quelle in cui Angelo Pasqualino Aliberti, un anno dopo essere diventato sindaco sotto la bandiera del Pdl, diventò anche consigliere provinciale con un plebiscito di voti. Solo che, secondo l’antimafia di Salerno e secondo la commissione di accesso che ha indagato sulla permeabilità della criminalità organizzata nell’amministrazione comunale scafatese, a contare di più non era solo il politico Aliberti, ma anche la camorra. In termini giuridici: scambio di voto politico-mafioso, un patto scellerato che a partire dal 2008 hanno con le prime scelte fatte “subito evidenziato elementi di contiguità con esponenti della criminalità”. Una considerazione evidenziata dalla Commissione di accesso e fatta propria dal Ministro dell’Interno Marco Minniti nella proposta di scioglimento del Consiglio Comunale adottata dal Consiglio dei Ministri. Oggi, quella contiguità e permeabilità ha avuto un altro sigillo: quello del Presidente del Tribunale di Nocera Inferiore, Catello Marano, che ha dichiarato Angelo Pasqualino Aliberti, ex sindaco di Scafati, incandidabile per una tornata elettorale.
Aliberti stesso non si era opposto formalmente alla richiesta dell’antimafia e del Procuratore capo della Procura di Nocera Inferiore, Antonio Centore, che l’aveva sostenuta nel corso della camera di consiglio dinanzi al presidente del Tribunale nocerino.
Il provvedimento ufficializzato oggi applica al politico scafatese, sotto processo per associazione per delinquere finalizzata allo scambio di voto politico-mafioso, il divieto di candidarsi alle prossime elezioni.
A proposito del suo operato l’antimafia aveva evidenziato come, nelle tornate elettorali le Amministrative del 2013 e le Regionali del 2015, Angelo Pasqualino Aliberti, avesse instaurato un patto con esponenti della criminalità organizzata della zona e in particolare con il clan Loreto-Ridosso. Ma anche molte scelte fatte, a partire dal primo sindacato nel 2008, avevano dimostrato contiguità con la criminalità organizzata. E pure nelle elezioni provinciali del 2009, si era scoperto dopo, vi era stato un sostegno particolare e per nulla trascurabile. Quando nell’agosto del 2011 i carabinieri del Ros entrarono nel deposito di camion Trans Europa, in via Lo Porto, alla ricerca del super latitante Franchino Matrone, uccel di bosco dal 2007, scoprirono in un capannone della ditta intestata alla moglie del boss Anna D’Isidoro e al figlio adottivo Antonio, detto Michele, un carrello pubblicitario con il manifesto del candidato Aliberti ‘Alla Provincia con Aliberti perché dobbiamo contare di più – candidato Presidente Cirielli’. Era il suo spot di allora. Il guardiano notturno aveva semplicemente riferito ai carabinieri del nucleo speciale che la signora Matrone e il figlio avevano appoggiato il candidato Aliberti. Nulla più, nulla meno. Dunque, quel carrello non era lì per caso.
Dei Matrone, si scoprirà poi, il dottore Angelo Pasqualino Aliberti era anche medico per i controlli sulla sicurezza del lavoro per la ditta di pompe funebri L’Eternità. Infatti, mentre Franchino Matrone, detto ‘a belva, ritenuto uno dei vertici del clan Alfieri negli anni ’90, si nascondeva per evitare il carcere a vita, la moglie e il figlio – anch’egli ora in carcere – erano la prima amministratrice e il secondo dipendente de l’Eternità, una ditta di pompe funebri con l’autorizzazione al trasporto, che operava con la ‘gemella’ L’Infinito sul territorio di Scafati. Matrone è stato arrestato dopo una latitanza durata cinque anni, il 17 agosto del 2012, un anno dopo il ritrovamento di quel carrello elettorale nell’impresa dei suoi familiari.
Ma non è questo particolare che è costato all’ex sindaco di Scafati, l’accusa di scambio di voto politico-mafioso. C’è stato altro. Ci sono state quelle elezioni del 2013, allora era candidato sindaco per la seconda volta, in cui avrebbe avuto l’appoggio del clan Loreto-Ridosso. Agli esponenti della cosca avrebbe promesso – in cambio di voti – appalti nella pubblica amministrazione, rinunciando ad avere nelle sue liste Andrea Ridosso, figlio di Salvatore ‘piscitiello’, ucciso in un agguato di camorra nel 2002 per motivi di ‘opportunità’ e facendo candidare in sua vece Roberto Barchiesi, poi entrato in consiglio comunale, come referente di Alfonso Loreto, figlio del pentito Pasquale, e di Gennaro Ridosso, figlio di Romoletto. Erano i capi dell’organizzazione criminale che, attraverso delle imprese di pulizie, apparentemente pulite, avrebbero dovuto ottenere appalti e favori dal sindaco Aliberti. Con il supporto dello stesso clan che si era adoperato anche per organizzare delle riunioni elettorali, sarebbe stata poi eletta Monica Paolino, moglie di Aliberti e divenuta consigliere Regionale nel 2015.
Questo lo dice la storia di un’inchiesta nata oltre quattro anni fa e nella quale pende la richiesta di arresto in carcere per Angelo Pasqualino Aliberti e per Gennaro e Luigi Ridosso dinanzi alla Corte di Cassazione, il prossimo 23 gennaio.
E pochi giorni prima di quella data è arrivata oggi la decisione del Presidente del Tribunale di Nocera che ha dichiarato l ‘ultimo sindaco di Scafati, Angelo Pasqualino Aliberti incandidabile. Si fermerà per un turno, perché c’è il pericolo che insieme a lui e alle sue velleità politiche potrebbe ‘contare’ anche altro. La camorra.
Rosaria Federico
(continua.3)

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Cronache della Campania@2018

Salerno, l’attore Diele pronto a chiedere lo sconto di pena

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E’ pronto a chiedere lo sconto di pena l’attore romano Domenico Diele, che la scorsa estate ubriaco e droga alla guida investì e ucciso allo svincolo autostradale di Montecorvino Rovella, in provincia di Salerno, la salernitana Iliara Di Lillo. Diele che è libero dalle festività natalizie dopo un mese di carcere e tre mesi di arresti domiciliari con il braccialetto elettronico è pronto a chiedere attraverso ii suoi avvocati Ivan Nigro e Montanara il processo con il rito abbreviato che prevede appunto lo sconto di pena di un terzo. L’udienza preliminare dovrebbe tenersi il prossimo 5 febbraio e, per quella data, dinanzi al gup Piero Indinnimeo del Tribunale di Salerno e Diele probabilmente potrebbe anche rendere dichiarazioni spontanee. I suoi avvocati difensori  vogliono anche discutere l’eccezione di legittimità costituzionale sollevata relativamente alla mancata considerazione del concorso di colpe che, in questo modo, attribuirebbe responsabilità nell’incidente anche alla vittima.Diele é accusato di omicidio stradale aggravato dall’assunzione di sostanze stupefacenti.

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Nella notte tra il 23 e il 24 giugno scorsi, il 32enne interprete di fiction di successo, di ritorno da un matrimonio era a bordo della propria Audi A3 quando tamponò lo scooter della donna, all’altezza dello svincolo di Montecorvino Pugliano, nel Salernitano, in carreggiata Nord dell’autostrada A2 del Mediterraneo. Dopo l’incidente, Diele fu condotto all’ospedale di Salerno dagli agenti della Polizia Stradale di Eboli intervenuti, per farlo sottoporre al test antidroga, dai quali risultò positivo a oppiacei e cannabinoidi.

Come si legge nel capo di imputazione:  “Diele si è posto alla guida della su Audi A3 in stato di alterazione psicofisica per uso di sostanze stupefacenti”. E non solo perché aveva anche la  patente ritirata e l’auto era senza copertura assicurativa. Eppure nonostante ciò l’attore si mise in viaggio da Roma alla Basilicata per andare al matrimonio della cugina. Al ritorno in autostrada allo svincolo di Montecorvino Rovella travolse la moto sulla quale viaggiava Ilaria Dilillo di ritorno da una cena con amiche. La donna morì sul colpo. Diele si fermò per cercare di darle soccorso. Quando arrivarono i carabinieri lo trovarono in grave stato di alterazione. Nel cruscotto c’era della marijuana.

 

Cronache della Campania@2018

Giugliano, falsi invalidi al Comune: condannato il pentito Pirozzi

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Giugliano. E’ stato condannato a 5 anni e 4 mesi di carcere, Giuliano Pirozzi, pentito eccellente del clan Mallardo, nell’ambito del processo falsi invalidi al Comune e che lo vedeva imputato insieme ad altri soggetti. E’ la seconda condanna per il collaboratore di giustizia dopo quella risalente alla scorsa estate (5 anni e 4 mesi di reclusione, più il pagamento della multa da 3750 euro per estorsione e falso in atto pubblico nel- l’inchiesta sul racket sugli appalti del Comune di Giugliano). Anche in questo caso, nonostante le attenuanti generiche per la sua posizione di collaboratore di giustizia, ha ottenuto una pena rilevante, più il pagamento delle spese processuali, interdizione perpetua dai pubblici uffici, interdizione legale per la durata della pena ed inoltre dovrà risarcire anche il Comune di Giugliano che si è costituito parte civile nel processo.
Più di 80 furono le persone iscritte nel registro degli indagati, accusati di aver truffato lo Stato. Nel procedimento, come ricorda Il Roma, furono coinvolti nel settembre dell’anno scorso professionisti insospettabili, parenti degli affiliati al clan Mallardo e finanche il sacrestano di una nota parrocchia locale. Il gruppo dei finanzieri del Gico eseguì diverse ordinanze di custodia cautelare ai domiciliari, alcuni dei quali in seguito al ricorso al Tribunale per il Riesame ottennero la scarcerazione. Giuliano Pirozzi, come raccontato dallo stesso  agli inquirenti nel corso di tre interrogatori, aveva il compito di fare da tramite tra i familiari degli affiliati ed i dipendenti del Comune ai quali forniva documenti per avviare le pratiche che ha consentito a centinaia di soggetti di ottenere indebitamente pensioni di invalidità e/o di accompagnamento, in totale assenza dei necessari requisiti previsti dalla legge e, in taluni casi, senza che fosse stata presentata l’istanza per il riconoscimento dei benefici. Nello specifico, secondo quanto è stato accertato nel corso delle indagini dalla Guardia di Finanza,  venivano falsificati i verbali della commissione medica di verifica.

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Cronache della Campania@2018

Carcere duro, la Cassazione conferma il 41bis per ‘Sandokan’

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Carcere duro confermato per il famigerato Sandokan, per l’anagrafe Francesco Schiavone, per anni capo indiscusso e spietato dei Casalesei. La Corte di Cassazione ha respinto la richiesta di revoca del carcere duro presentata dai suoi legali. Il consigliere Raffaello Magi, relatore del procedimento ha dichiarato l’inammissibilità del ricorso e quindi “la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento di duemila euro”. La sentenza della Cassazione che lascia al carcere duro Francesco Schiavone, come riporta l’edizione di Caserta de Il Mattino, spiega che: “L’organizzazione mafiosa di provenienza è ancora attiva nella provincia di Caserta e in altre parti del territorio nazionale. Il ruolo di vertice ricoperto da Schiavone, condannato in via definitiva per il reato associativo e diversi episodi di omicidio, risulta ricoperto anche in costanza di detenzione (sino al 2005) come emerge da decisione di merito recentemente emessa – scrive la Cassazione – anche la condotta tenuta nel periodo di restrizione risulta non immune da episodi allarmanti».Secondo quanto è emerso in questi anni in più inchieste degli investigatori, nel periodo in cui erano liberi i figli Nicola e Carmine, vennero segnalati dei ‘messaggi’ in codice con i gesti durante i colloqui di Francesco Schiavone Sandokan, nel periodo soprattutto in cui era libero il killer Giuseppe Setola. Ma secondo quanto sostiene la difesa del boss, rappresentata dal legale Mauro Valentino, “il Tribunale di sorveglianza di Roma ha omesso di esaminare una doglianza in tema di detenzione in area riservata’, aspetto ulteriormente afflittivo e non coperto da previsione di legge”. Quindi Schiavone resta in un ‘area riservata in una zona del carcere isolata rispetto alle altre. Il boss condivide solo un’ora d’aria, nel carcere di Parma, con gli altri detenuti. Per il resto, è rinchiuso nella sua cella a non far nulla. Tutto il giorno. Sta mal e farebbe anche uso di psicofarmarci. Il metodo duro del 41bis è stato il motivo per cui ha gettato la spugna, definendosi ‘dissociato’, il cugino del capoclan e suo omonimo, Francesco Schiavone detto Cicciariello. Per i giudici della Corte di Cassazione. “Il ricorso va dichiarato inammissibile per la manifesta infondatezza dei motivi addotti. È evidente che l’applicazione della norma in parola non richiede un pieno accertamento della perdurante condizione di affiliato al gruppo criminoso (dato che ciò presuppone l’individuazione, in sede processuale, di un effettivo contributo arrecato all’attività del gruppo), nè impone una valutazione di pericolosità intesa come capacità di commettere azioni delittuose. Ciò vuole essere contenuto attraverso la particolare azione preventiva e inibitoria insita nell’adozione di limitazioni alle ordinarie regole di trattamento penitenziario. Si tratta, pertanto, di una tipica valutazione in fatto”.

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Condannati per l’omicidio del boss di Caivano: assolti in Appello

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Condannati per l’omicidio del boss di Caivano a Nettuno, assolti in Appello i tre presunti killer. Una base logistica per commettere delle rapine e non per uccidere il boss di Caivano Modestino Pellino: passa la tesi difensiva di tre presunti killer, arrestati per l’omicidio avvenuto il 24 luglio del 2012 a Nettuno, in provincia di Roma. La Corte d’Assise d’Appello della capitale assolve Raffaele dell’Annunziata, 22enne di Caivano, Raffaele Laurenza, 27 anni di Marcianise e Luigi Belardo, 40 anni di Orta di Atella. Non vi è prova che – nonostante fossero in un appartamento a poche centinaia di metri dal luogo del delitto, siano stati loro a sparare al boss che si era trasferito nel Lazio per continuare ad organizzare i suoi traffici. In primo grado i tre erano stati condannati: Lanzara all’ergastolo quale esecutore materiale, Dell’Annunziata a 30 anni e Belardo a 28.
Le indagini avevano acclarato, in base anche a riscontri del Dna che i tre uomini erano a Nettuno, in quei giorni in cui si decideva e si commetteva il delitto. Alcuni pentiti avevano sostenuto la tesi che l’omicidio fosse maturato nell’ambito della scissione del clan Ciccarelli per la gestione delle piazze di spacco di Caivano e del territorio tra Formia e Nettuno. La presenza dei tre spinse la Procura capitolina ad emettere un decreto di fermo e ad ipotizzare che Laurenza, Dell’Annunziata e Belardo fossero i tre killer.
Gli avvocati Saverio Senese, Antonio Abet e Giuseppe Perfetto hanno sostenuto il contrario, nessuna prova – neppure dalle telecamere di sorveglianza presenti nella zona – lasciava supporre che i tre imputati avevano sparato. La mancata identificazione certa dei killer ha indotto i giudici della Corte d’Assise d’Appello ad emettere una sentenza di assoluzione, accogliendo il ricorso della difesa.
Un processo indiziario nel quale avevano contato molto, le intercettazioni ambientali e telefoniche, il Dna e le impronte digitali trovate nell’appartamento di Nettuno, ritenuto base logistica dei killer. Stessa zona di provenienza tra indiziati e vittima, un’esecuzione mafiosa, le velleità di Modestino Pellino e la scissione nel clan Ciccarelli avevano fatto il resto. Ma è mancata la prova ‘madre’ quella dell’assoluta e certa identificazione dei killer immortalati da tre telecamere. Ed è arrivata l’assoluzione in Appello.

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(nella foto Luigi Belardo, Raffaele Dell’Annunziata,Raffaele Laurenza)

Cronache della Campania@2018

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Omicidio del tatuatore: fine pena mai per il boss Abete e Aprea

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Omicidio del tatuatore di Casavatore, Gianluca Ciminiello la Dda chiede il fine pena mai per il boss Arcagnelo Abete e per Gianluca Aprea, uno dei due esecutori materiali dello spietato delitto. La pn Gloria Sanseverino nell’invocare il massimo della pena per i due ha voluto anche ribadire che  “Gianluca Cimminiello era un ragazzo perbene, un lavoratore la cui unica sfortuna è stata quella di incappare nel parente di un capoclan. E’morto da innocente. Questo omicidio merita una particolare attenzione, non soltanto perché ci troviamo di fronte a un’esecuzione spietata, ma anche perché ad andarci di mezzo è stata una persona del tutto estranea agli ambienti e ai circuiti criminali. Cimminiello era un ragazzo perbene, un lavoratore che ha avuto la sola sfortuna di possedere una forza fisica non indifferente e di essersi incappato in un parente di un capoclan”. Per l’omicidio è stato condannato all’ergastolo nei mesi scorsi Vincenzo Russo ‘o lungo, uomo degli Abete. Gianluca Ciminiello fu ucciso il 2 febbraio 2010 sull’uscio del suo negozio di Casavatore dove alcuni giorni prima si era presentato  Vincenzo Noviello cognato del boss Cesare Pagano.  Noviello voleva costringere  Ciminiello a far rimuovere la foto postato sul profilo facebook che lo ritraeva in compagnia del calciatore del Napoli, Lavezzi, al qiuale aveva fatto un tatuaggio. Ma Noviello ebbe la peggio perché il ragazzo di Capodichino era esperto in arti marziali. Ha raccontato in un recente verbale Gennaro Notturno, ‘o sarracino, uno degli ultimi pentiti in ordine di tempo della camorra di Secondigliano e Scampia: “Il tatuatore conosceva una persona che lavorava al forno del lotto Tb, si mise in mezzo per calmare questa situazione, per non farla andare oltre. Aveva chiamato – riferisce il pentito – mio cugino Raffaele Aprea, così da evitare che potessero sorgere altri problemi. Ma fu tutto inutile. Russo fu chiamato a Milano da Arcangelo Abete e partì con Ciro Abrunzo. Arcangelo Abete – conclude il pentito Gennaro Notturno – voleva fare un favore a Cesare Pagano, dando una lezione al tatuatore per la “mancanza” che aveva avuto contro suo nipote”. Carcere a vita quindi per tutti i protagonisti di questa assurda morte. Ribadita  quindi l’estraneità dalla camorra di Cimminiello, al quale lo Stato non ha però ancora riconosciuto lo status di vittima innocente, il pubblico ministero ha messo l’accento su un ultimo aspetto: “In questo processo, oltre ai collaboratori di giustizia, sono stati per una volta fondamentali anche i testimoni”.

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Pianura, il ‘leone’ Fabio Orefice catturato a Giugliano: voleva uccidere il boss Pesce

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Pianura. Si era rifugiato a Giugliano, uno degli ultimi esponenti di rilievo della camorra di Pianura ancora in libertà: Fabio Orefice, 33 anni cognato del ras Antonio Bellofiore detto ‘Tonino 38′ del clan Mele ( avendo sposato la sorella Rosaria). Contro Orefice  era stato firmato un ordine di carcerazione  dalla Procura di Napoli Nord lo scorso 9 gennaio. L’uomo, che si era trasferito in provincia, deve espiare la pena poiché è stato riconosciuto colpevole con sentenza definitiva di porto e detenzione abusiva di pistola con l’aggravante delle finalità mafiose. I reati accertati risalgono allo scorso dicembre 2014. Orefice oltre a gestire una piazza di spaccio a pianura per conto del clan Mele viene indicato dal pentito Antonio Ricciardi come uno dei killer al servizio della cosca. In un verbale del 4 luglio 2013 Ricciardi infatti ha raccontato: ” Tornando all’omicidio di…omissis…Calone Antonio, Enzo Birra e Fabio Orefice, gruppo di killer per conto del clan Mele. Posso riferire il particolare che essi utilizzano guanti di di lattice blu, che poi lasciano sul luogo del delitto, come segno distintivo per dare un segnale al sistema. Il programma criminale dei Mele è quello di eliminare tutti gli affiliati al clan Pesce” E sempre il pentito Ricciardi in un verbale del 17 luglio 2013 a proposito di Fabio Orefice racconta:”Riconosco la persona raffigurata nella fotografia n. 19 si tratta di Fabio Orefice. E’ un affiliato al clan Mele. Ho già raccontato che ha partecipato all’agguato contro ………………… (omissis) …………….. Gestisce la piazza di spaccio di via Santa Maria a Pianura, coincidente con la sua abitazione. Ha subito un agguato pochi mesi fa da parte
del clan Pesce, come mi fu raccontato da Enzo Pane, anche se non so chi materialmente lo ha commesso…”. E a proposito di quell’agguato subito dall’esponente del clan mele arrestato ieri a Giugliano, lo stesso due giorni dopo postò sul suo profilo facebook le foto che lo ritraevano già in piedi nella stanza dell’ospedale con gli evidenti segni delle ferite riportate scrivendo:  “Il leone è ferito ma non è morto, già sto alzato. Aprite bene gli occhi che per chiuderli non ci vuole niente. Avita muriii”. Ma per tutta risposta il 22 ottobre  alcuni sicari arrivarono con una moto di grossa cilindrata sotto la sua abitazione e fecero fuoco più volte contro le finestre. Fabio Orefice impiegò un paio di mesi per metabolizzare la rabbia e la sua sete di vendetta e non sapendo di essere intercettato il 13 dicembre chiama lo zio Franco che conosce bene Pasquale Pesce e che lui chiama come ‘o mast e Jessica in quanto la cugina, figlia dello zio Franco appunto faceva la baby sitter della figlia del boss. Nella telefonata Orefice minaccia il clan Pesce e per esso il reggente Pasquale Pesce ‘e bianchina (oggi pentito) di fare una strage.

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Scafati, nella black list della Prefettura gli ‘incadidabili’ Fele e Coppola

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Scafati. E’ una lunga lista quella degli ex consiglieri comunali di Scafati proposti per l’incandidabilità dopo lo scioglimento del consiglio Comunale per infiltrazioni mafiose. Rapporti con esponenti della camorra, affinità, parentele, scambio di voto politico mafioso, molti dei politici della maggioranza dell’ex sindaco Angelo Pasqualino Aliberti, passeranno al vaglio dei giudici civili del Tribunale di Nocera Inferiore, su proposta del ministero dell’Interno. Dopo l’ex primo cittadino e il consigliere Roberto Barchiesi, toccherà all’ex presidente del consiglio Pasquale Coppola e a Giancarlo Fele, l’ex vicesindaco. Ma sulla scorta delle indicazioni fornite dalla Commissione di Accesso e dagli inquirenti, la proposta di incandidabilità toccherà anche ad altri inseriti in una black list stilata dalla Prefettura. Per quanto riguarda Aliberti e Barchiesi, i giudici – presidente Gustavo Danise – hanno dato un parere tranciante, ripercorrendo ‘senza filtri’ l’inchiesta dell’antimafia salernitana e le accuse che pendono sui due politici che non potranno candidarsi per il prossimo turno elettorale, in Regione Campania, per le elezioni Regionali, provinciali, amministrative e circoscrizionali. Partendo dal procedimento penale che approderà dinanzi ai giudici della Cassazione il 23 gennaio prossimo con una richiesta di arresto in carcere per Angelo Pasqualino ALiberti, Gennaro e Luigi Ridosso, i giudici civili hanno ripercorso i punti dell’indagine nei quali sono emersi i rapporti pericolosi dei politici scafatesi sostenendo la permeabilità della amministrazione pubblica alla camorra locale e non. “L’indagine trae origine dalle dichiarazioni del collaboratore di giustizia Pasquale Loreto, pregiudicato appartenente al sodalizio criminoso denominato “Nuova Famiglia” che ha riferito che Aliberti fu già sostenuto dal clan camorristico Sorrentino nella candidatura a Sindaco di Scafati durante le elezioni del 2008 – scrivono i giudici civili nella motivazione – ha poi narrato degli accordi elettorali stipulati tra lui ed il clan Ridosso/Loreto, operante nel territorio Scafatese per il sostegno alla sua ricandidatura a Sindaco durante le elezioni amministrative del 2013 e per la candidatura della moglie a quelle regionali del 2015”. L’accordo tra politici e camorristi, secondo gli inquirenti, sarebbe consistito nel ‘sostegno da parte del clan alla campagna elettorale di Aliberti, in cambio dell’affidamento, una volta eletto, di appalti di pubblici servizi”. Il clan Loreto-Ridosso era arrivato a chiedere la presenza di un proprio ‘rappresentante’ all’interno dell’amministrazione facendo in prima attuta il nome di Andrea Ridosso, figlio si Salvatore ucciso nel 2002, e ripiegando poi per una questione di ‘apparenza’ su Roberto Barchiesi, zio di Giovanna Barchiesi, moglie del ‘poi’ pentito Alfonso Loreto, figlio di Pasquale. Il collaboratore di giustizia ha precisato che, secondo gli accordi raggiunti per le elezioni del 2013, il clan avrebbe candidato al Consiglio comunale un proprio esponente in una lista collegata a quella del candidato sindaco Aliberti. Oltre alle amministrative i giudici sottolineano ‘il sostegno del clan anche alle elezioni regionali del 2015 ove era candidata Paolino Monica, moglie di Aliberti’. Anche qui il patto sarebbe chiaro: “Quale corrispettivo per tale sostegno elettorale Aliberti consigliò alle controparti di costituire una società, a mezzo di persone incensurate, cui affidare appalto di servizi di pulizia e manutenzione dei capannoni che il Comune avrebbe realizzato nell’ex area Copmes e la assunzione o nomina di soggetti vicini al clan”. La presenza di ‘amici e parenti’ di esponenti del clan all’interno della macchina amministrativa si era concretizzata, poi, con la nomina di Ciro Petrucci quale vice presidente dell’Acse, municipalizzata del Comune di Scafati; Petrucci Ciro era legato al clan di Ridosso Luigi, di cui era amico stretto”. Centinaia i contatti telefonici tra Petrucci e i Ridosso nel periodo antecendente e successivo alla sua nomina, individuati dagli investigatori. Anche questa nomina, secondo i giudicim rientrava negli accordi pre-elettorali. “Il collaboratore di giustizio Pasquale Loreto, ha aggiunto che nel corso del 2015 – scrivono nella motivazione – si tennero diversi pranzi per suggellare tali accordi cui parteciparono l’Aliberti con la moglie, nonché Ridosso Luigi e Petrucci Ciro, con le rispettive mogli, oltre a Cozzolino Giovanni e Nello Aliberti. La nomina del Petrucci doveva favorire la concessione di appalti alla consorteria; in particolare l’appalto per il servizio di pulizia della sede dell’Acse; tale conferimento non si è concretizzato per via dell’arresto degli esponenti del clan del Ridosso, come ha ricordato il citato collaboratore di giustizia Loreto Alfonso. La nomina del Petrucci a vive presidente dell’Acse fu a lui anticipata per telefono da Ridosso Luigi, come si è evinto dalle intercettazioni telefoniche sull’utenza del Ridosso”.

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E oltre ai rapporti e alla permeabilità di clan locali come quello dei Ridosso-Loreto, numerosi elementi hanno evidenziato la permeabilità dell’amministrazione Aliberti anche al clan dei Casalesi, elementi che evidenziano questo assunto sono l’affidamento dela progettazione e della realizzazione del polo scolastico alla Archicons, di Guglielmo La Regina, arrestato dl Gip del Tribunale di Napoli per i suoi rapporti con i Casalesi. E poi la figura della segretaria comunale Immacolata Di Saia i cui rapporti con i Casalesi sono narrati in un’ordinanza cautelare emessa dal Gip di Napoli. “Tra l’altro la Di Saia ha svolto analogo incarico anche presso il Comune di Battipaglia, anch’esso sciolto per infiltrazione mafiosa” scrivono i giudici civili. Da non tracurare secondo i togati del tribunale nocerino anche i rilievi dell’Anac sull’inconferibilità delle nomine dell’amministrazione Aliberti a Andrea Granata (presidente di Scafati Solidale) di Mario Aetrano (amministratore delegato di Scafati Sviluppo), di Ciro Petrucci (vice presidente Acse), di Alfredo Malafronte, figlio di Alfonso alias Marrella, noto pregiudicato affiliato al clan Matrone (component del consiglio di amministrazione Acse), di Gaetano De Lorenzi (Presidente di Scafati Solidale) di cui sarebbero stati accertati ‘stretti rapporti con malavitosi locali del calibro di Ridosso Salvatore – appartenente allo stesso clan che ha sostenuto e favorito la vittoria elettorale di Aliberti e di Barchiesi -, Matrone Francesco, Spinelli Andrea e Buonocore Giuseppe’. Censurate dai giudici anche le condotte omissive degli ex componenti dell’amministrazione Aliberti. Punto focale anche la questione dell’abusivismo edilizio: “L’amministrazione comunale Aliberti non ha ordinato la demolizione di edifici realizzati abusivamente da soggetti legali alla criminalità organizzata, come, si legge nella relazione prefettizia, Carotenuto Alba, ritenuta vicina ai clan Loreto – Matrone, operante in Scafati, e Cesarano, imperante nel territorio di Pompei; D’Aniello Giuseppe, legato al clan Loreto – Matrone; Malafronte Alfonso, appartenente al clan Matrone; ed altri ancora”. E poi ancora a proposito dei Casalesi è stata accertata la presenza, in appalti pubblici, di imprese legate alla cosca del casertano dei boss Francesco Schiavone e Michele Zagaria: “La procedura di appalto finalizzata alla riqualificazione dell’area Ex COPMES condotta dalla società Scafati Sviluppo s.p.a. (altra partecipata del Comune) è risultata fortemente alterata con evidenti difformità ed illegittimità procedurali: l’appalto è stato infatti affidato alla Mavi Costruzioni di Viro Maria, impresa capogruppo mandatario del RTI di cui facevano parte la Viro Costruzione Generali s.r.l. e Impregivi s.r.l. quali mandanti e le imprese ausiliari Di Cesare Gino s.r.l. e G&D Prefabbricati s.p.a.; orbene, quest’ultima, come appurato dalla commissione d’inchiesta, era amministrata all’epoca da Di Francesco Enzo ma di fatto è riconducibile a Di Lauro Ferdinando, un imprenditore inserito nel clan dei casalesi, attinto da un’ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa dal Gip Napoli per il reato di partecipazione ad associazione di tipo mafioso promossa e diretta da Schiavone “Sandokan” Francesco, Bidognetti Francesco, Iovine Antonio e Michele Zagaria”.
Questa la base sulla quale i giudici nocerini si sono mossi per bloccare, per un turno, le velleità politiche di Aliberti e di Roberto Barchiesi. Il marchio dell’incandidabilità potrebbe essere attributo, sulla scorta delle indagini dell’antimafia, anche ad altri ex amministratori chiamati a rispondere, di volta in volta, del loro operato politico per avere con condotte ‘omissive o non’ permesso alla camorra di entrare nei meccanismi della pubblica amministrazione scafatese.

Rosaria Federico
(4.Continua)

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Torre del Greco, 17enne morto: assolto l’autista del camion

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ciro giannini

Torre del Greco, diciassettenne  morto nello schianto contro un camion della Nu,dopo cinque anni e mezzo dalla tragedia di viale Europa, il giudice monocratico del Tribunale d Torre Annunziata, Federica De Maio ha scagionato l’imputato, pure lui torrese, R.S. dall’accusa di omicidio colposo: “assolto perché il fatto non sussiste”. Una sentenza che fa discutere quella con cui si è chiuso il processo di primo grado a carico de conducente dell’autoarticolato contro cui si schiantò lo scooter di Torre del Greco Ciro Giannini, studente diciassettenne morto dopo ventiquattro ore di agonia.
A incidere sul verdetto finale del giudice, i dubbi sollevati dalle perizie prodotte dalla difesa dell’autista, pron­te a dimostrare la completa estraneità dell’autoarticolato contro cui si schiantò lo scooter guidato dal ragazzo, studente dell’Istituto tecnico e per ragionieri Eugenio Pantaleo: conclusioni diametralmente opposte rispetto agli accertamenti della parte civile, secondo cui “anziché discutere della velocità dello scooter su cui viag­giava  il giovane Ciro Giannini, i consulenti tecnici avrebbero dovuto accertare se l’autista diede o meno la precedenza al diciasset­tenne”. Un dato mai emerso in cinque anni e mezzo: non a caso, in base alle contrastanti ricostruzioni dell’incidente, il pubblico ministero Barbara Aprea aveva chiesto per due volte l’archiviazione del procedimen­to giudiziario a carico del dipendente della ditta Fratelli Balsamo.
Nel giorno della sentenza, proprio il pm Barbara Aprea è comparsa in aula per difendere l’accuratezza delle indagini e delle perizie condotte dai consulenti tecnici indicati dalla procura di Torre Annunziata: in ogni caso, al termine della propria requisitoria, il titolare dell’inchiesta aveva chiesto una condan­na a un anno di reclusione per il conducente dell’autoarticolato. Una richiesta non accolta dalla sentenza del giudice monocratico Federica De Maio, le cui motivazioni saranno rese note entro novanta giorni dopodiché i fa­miliari della giovane vittima potranno decidere se presentare o meno ricorso in appello.

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Baby gang, i 9 giovani dell’Agro nocerino arrestati non potranno tornare nel Comune di Salerno per 3 anni

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 Salerno. Baby gang dell’Agro nocerino sarnese: il questore emette un provvedimento di rimpatrio con foglio di via obbligatorio e divieto di ritorno nel comune di Salerno per la durata di tre anni. Il provvedimento della questura è stato emesso nei confronti di 9 giovani di San Marzano sul Sarno e Pagani, già raggiunti da una misura restrittiva agli arresti domiciliari, accusati di gravi danneggiamenti a numerose auto in sosta che risalgono alla notte dell’11 ottobre scorso. Il questore ha valutato anche la pericolosità sociale dei soggetti appena maggiorenni che nel corso del raid avevano utilizzato armi ad aria compressa con piombini.
I giovani potranno ritornare nel Comune di Salerno solo previa autorizzazione in caso di necessità.

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Cpl Concordia, l’ex patron Roberto Casari: “I magistrati che sbagliano provocano danni immensi: distrutta la coop”

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Modena. “I magistrati che sbagliano provocano danni immensi” a dirlo Roberto Casari, ex patron del colosso cooperativo Cpl Concordia, coinvolto insieme al sindaco di Ischia Giosi Ferrandino da un’inchiesta della Procura di Napoli, in un’intervista rilasciata al Quotidiano Nazionale. “Con le sole prove indiziali hanno distrutto una cooperativa che sotto la mia presidenza ragionava come una società con 450 milioni di fatturato l’anno. A seguito di quell’inchiesta è scattata l’esclusione dalla ‘white list’ per la ricostruzione post sisma e Cpl ha perso centinaia di appalti pubblici”. Casari alla guida del colosso delle cooperative emiliane per 40 anni era finito in manette per le presunte tangenti legate alla metanizzazione di Ischia. “Teoricamente – ha detto Casari – dovrei essere assolto come l’ex sindaco d’Ischia Giosi Ferrandino, perchè se lui non è stato corrotto, io non sono un corruttore. Ma considerato che ho trascorso sei mesi nelle patrie galere e sei agli arresti domiciliari da innocente con la magistratura non sai mai”. Nell’intervista a Qn l’ex patron punta il dito proprio contro la magistratura: “Ci sono magistrati che sbagliano di frequente, con danni immensi per la società e la debolezza della politica nei confronti della magistratura è gravissima”. Le accuse della procura di Napoli del 2015 mosse contro Casari e l’ex sindaco Ferrandino riguardano l’associazione per delinquere, la corruzione, anche internazionale, turbata libertà degli incanti, riciclaggio, emissione di fatture per operazioni inesistenti: un sistema corruttivo con fondi neri in Tunisia da parte di Cpl attraverso i quali retribuire pubblici ufficiali, tra cui Ferrandino, per ottenere favori nell’aggiudicazione degli appalti. Lo scorso 16 gennaio Ferrandino è stato assolto. Casari e i nove dirigenti andranno a processo il primo marzo a Modena.

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Voto di scambio: ecco tutti gli episodi contestati ai Cesaro e a Beneduce

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Voto di scambio per le elezioni regionali della Campania del 2016 oltre ai due consiglieri regionali di Forza Italia, Armando Cesaro e Flora Beneduce, tra gli indagati ci sono Luigi Cesaro, deputato ed ex presidente della Provincia di Napoli, e i fratelli Aniello e Raffaele, in carcere dalla scorsa primavera per reati gra­vi tra cui il concorso esterno in associazio­ne camorristica. Indagati anche il sindaco di Marano Angelo Liccardo, funzionari co­munali e medici. L’inchiesta fu avviata dalla Dda di Napoli, che indagava sullo scandalo del Pip  di Marano, proprio la vicenda per cui Aniel­lo e Raffaele Cesaro sono in carcere dallo scorso anno. I pm Maria Di Mauro e Giuseppe Visone della Dda di Napoli inviarono gli atti relativi al voto di scambio al collega Simone de Roxas,  della Procura di Na­poli Nord, che indaga con il coordinamento del procuratore Francesco Greco.
Sono ben dodici episodi di voto di scambio elencati nell’avviso di conclusione delle indagini notificato ieri ai 29 indagati, un­dici dei quali vedono coinvolti Luigi ed Ar­mando Cesaro (padre e figlio). Luigi Cesaro, ritiene il pm, per ottenere nella zona di Marano l’appog­gio all’elezione del figlio, promise all’imprenditore Antonio Di Guida una commes­sa in un’Asi (Area di sviluppo industriale) del Casertano per un importo di dieci milioni con un guadagno netto di almeno due. Con l’intermediazione di Di Guida e di Pasquale Bove, direttore di dipartimento dell’Asl 2 Na Nord, inoltre, il deputato promise al dottor Vincenzo Carandente la no­mina a direttore del distretto sanitario 38 della stessa Asl. Per ottenere voti vennero pagati anche soldi, sostiene l’accusa: Flora Beneduce, infatti, tramite il nipote Tomma­so De Rosa, versò 2.000 euro ad Armando Sarracino in cambio dell’assicurazione di almeno 300 voti, promettendone, ad elezio­ne avvenuta, altri 10.000. E sempre secondo le accuse Luigi Cesaro, con l’intermediazione di Antonio Di Guida e Salvatore De Stefano, promise e fe­ce ottenere a Luigi De Biase la nomina a componente dell’Oiv, Organismo interno di valutazione della Regione Campania. Promise inoltre l’assunzione in Poste Italia­ne spa a Salvatore Paragliola in cambio di trenta voti, la cui controprova sarebbe poi stata attestata da foto delle schede votate scattate con il telefonino. Il parlamentare poi, con l’intermediazione del solito Di Gui­da, sollecitò l’allora sindaco di Marano, An­gelo Liccardo, a concedere il nulla osta a Ti­ziana Di Grezia, dirigente dell’ufficio legale del Comune, perché si trasferisse al Dema­nio marittimo regionale. Ma il nulla osta, sempre secondo il pm, non poteva essere con­cesso poiché il Comune era in dissesto e dunque non poteva assumere un’altra per­sona per sostituirla. Stesso discorso per Gennaro Marchesano, agente della polizia municipale, interessato a un incarico nel­l’ufficio del presidente del gruppo regiona­le del Partito socialista europeo. L’avvocato Tommaso De Rosa, si legge sempre nell’avviso di conclusioni indagini, accettò di assumere una persona nel proprio studio legale per procurare voti alla zia e ad Armando Cesaro con il metodo della doppia preferenza di genere. E ancora: Luigi Cesaro,  con l’aiuto del fratello Raffaele, promise al dot­tor Gennaro Sarnataro, medico precario al­ l’ospedale di Giugliano, un posto di lavoro stabile. La dottoressa Sara Di Bonito, figlia di un sottotenente della polizia municipale di Marano, ebbe invece la promessa dell’as­sunzione nel prestigioso ospedale San Raf­faele di Milano.Nel meccanismo del voto di scambio in favore di Armando Cesaro ci sarebbero anche degli abbonamenti regalati per la piscina del centro sportivo ‘Aquilasport’ che i Cesaro gestiscono a Portici di cui è amministratore unico Aniello Cesaro. Infine la signora Adele Giordano, dipendente della società partecipata ‘Ar­mena sviluppo spa’, sarebbe stata  promossa da addetta al verde pubblico a impiegata.

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Luca Materazzo sarà trasferito in Italia: la Spagna da l’ok

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Luca Materazzo sarà trasferito in Italia. La Corte di Giustizia spagnola ha accolto la richiesta italiana per l’estradizione per Luca Matarazzo, il trentenne napoletano accusato di aver ucciso lo scorso anno il fratello Vittorio con oltre 30 coltellate a Napoli il 29 novembre del 2016. Il delitto avvenne in viale Maria Cristina di Savoia, a Chiaia. Dopo un anno di latitanza, l’uomo e’ stato arrestato il 2 gennaio a Siviglia in un ristorante, dove faceva il cameriere. Il 7 febbraio e’ prevista l’udienza preliminare davanti al Gup di Napoli, ma l’avvocato difensore, Gaetano inserra, chiedera’ al giudice una sospensione in quanto l’imputato non ha ancora svolto l’interrogatorio di garanzia. Materazzo potrebbe arrivare in Italia gia’ martedi’ mattina.

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Probabilmente, Luca Materazzo sarà rinchiuso carcere di Poggioreale. A questo pun­to potrebbe presenziare al­l’udienza preliminare per l’omicidio premeditato del fratello, fissata per il 7 febbra­io davanti al giudice Alfonso Sabella. Lo auspicano i pm Francesca De Renzis e Luisanna Figliolia, titolari del fascicolo con il coordinamento del procuratore aggiunto Nunzio Fragliasso. I suoi legali, tutta­via, stanno ancora mettendo a punto la strategia difensiva: avranno necessità di parlare a lungo con lui e chiederanno probabilmente un rinvio dell’udienza preli­minare.
La difesa contesta gli esiti dell’esame del Dna, che se­condo l’accusa incastra Luca Materazzo, e potrebbe chiedere nuovi esami e approfondimenti. La Procura invece ritiene blinda­ta l’inchiesta. Resta da capire se qualcuno abbia aiutato il giovane laureato in Giuri­sprudenza durante la latitan­za. Gli accertamenti tecnici compiuti dalla squadra mobi­le hanno accertato che nessu­no dei familiari o degli amici ha avuto contatti con lui, ma non si può escludere che la vi­gilanza della polizia sia stata in qualche modo elusa. Per favoreggiamento e false dichiarazioni al pm era già finito sotto inchiesta l’imprenditore Domenico Giustino, padre di Mariange­ la, ex fidanzata di Luca: per lui il processo comincerà il pros­simo 23 maggio. Giustino, se­condo l’accusa, non disse agli inquirenti dei contatti inter­corsi tra lui e le sorelle di Lu­ca, tra lui e i difensori di Luca. Parallelamente alla vicenda penale prosegue, sia pure a ri­lento, la causa civile sull’ere­dità del padre di Luca e Vitto­rio Materazzo, l’ingegnere Lu­cio. Si attende di sapere se il giovane arrestato accetterà o meno la propria quota, con la quale, in caso di condanna per il reato di omicidio, po­trebbe risarcire la vedova e i figli del fratello. Luca Materazzo, dunque, ha perso il primo round: si era opposto al rientro in Italia, mentre il pubblico ministero spagnolo aveva espresso pa­rere favorevole all’estradizio­ne.

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A breve i funerali di Vincenzo Ruggiero, ucciso e fatto a pezzi a Ponticelli

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I funerali di Vincenzo Ruggiero, il 25 enne commesso presso i negozi di un noto brand napoletano, ucciso e il cui corpo fu dilaniato in stile “macelleria messicana” lo scorso mese di luglio tra Aversa e Ponticelli, potrebbero svolgersi a breve. Un mese fa sono stati infatti depositati i risultati del Dna del resti del cadavere trovato murato in un garage di Ponticelli: si tratta di Vincenzo Ruggiero. Sono state depositate presso la Procura di Napoli Nord anchetutte le analisi medico-scientifiche effettuate dai periti nominati dai magistrati entro breve tempo quindi il cadavere, o meglio quello che resta, sarà restituito alla famiglia per i funerali. Con un quadro indiziario tanto grave da portare diritto all’ergastolo, Ciro Guarente, assassino reo confesso del giovane 25enne commesso di Parete, Vincenzo Ruggiero e tuttora detenuto, si prepara a chiedere il rito abbreviato una volta che la Procura avra’ chiuso le indagini. Una strada “quasi obbligata” quella imboccata da Dario Cuomo, legale del 35enne ex marinaio, confermata dalla rinuncia, avvenuta nel mese di agosto, al pronunciamento del Tribunale del Riesame di , a cui aveva fatto ricorso l’avvocato  affinche’ annullasse l’ordinanza di carcerazione emessa a fine luglio dal Gip del Tribunale di Napoli Nord. Dopo aver visionato gli atti di indagine raccolti dalla Procura di Napoli Nord, Cuomo ha ritirato la sua istanza e ora attendera’ che la Procura chiude il cerchio delle indagini per formalizzare al Gip la richiesta di abbreviato, rito speciale che prevede uno sconto di pena ma con processo i cui elementi di prova sono solo quelli raccolti dagli inquirenti in fase di indagine preliminare; l’obiettivo e’ di evitare un ergastolo che sembra quasi scontato vista la confessione resa da Guarente nel primo interrogatorio di fine luglio, poi confermata in quello di meta’ agosto in cui ammise il coinvolgimento nelle fasi preparatorie del delitto del secondo indagato, Francesco De Turris, tuttora in carcere con l’accusa di aver ceduto a Guarente la pistola calibro 7,65 – peraltro mai trovata – usata per uccidere Ruggiero. Di sicuro la difesa non si appellera’ all’infermita’ mentale, vista la dinamica del delitto, in cui e’ emersa con evidenza la lucidita’ dell’ex marinaio nel pianificare l’assassinio di Ruggiero. Emblematiche le immagini delle telecamere esterne dello studio privato ubicato di fronte all’appartamento di Ruggiero, ad Aversa, dove e’ avvenuto il delitto, che riprendono Guarente arrivare prima della vittima; altre immagini inquadrano poi il 35enne caricare un sacco con il corpo di Ruggiero in auto qualche ora dopo. Senza quei frame Guarente probabilmente l’avrebbe fatta franca. Gli investigatori sono sempre alla ricerca di altri eventuali complici essendo certi che il 35enne fu aiutato da qualcuno ad occultare il cadavere di Ruggiero nel garage di Ponticelli, quartiere alla periferia orientale di Napoli, e magari anche a tagliarlo a pezzi. Le indagini della Procura di Napoli Nord – sostituto Vittoria Petronella con il coordinamento del procuratore capo Francesco Greco – e dei carabinieri del Reparto Territoriale di Aversa non si sono mai fermate dal luglio scorso. 

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Rubava i soldi dei clienti, sequestro per l’ex direttrice delle poste di Giffoni Sei Casali e Montecorvino Pugliano

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Salerno. Peculato e furto aggravato: scatta il sequestro preventivo per l’ex direttrice delle poste degli uffici di Giffoni Sei Casali, frazione di Prepezzano e di Montecorvino Pugliano, frazione di Santa Tecla accusati di essersi impossessata, dalle casse degli uffici postali, 45mila euro, oltre a 500mila euro dai conti correnti di numerosi correntisti. Il provvedimento di sequestro emesso dal Gip del Tribunale di Salerno è stato eseguito oggi dai carabinieri della compagnia di Battipaglia, guidati dal maggiore Erich Fasolino. La donna, scoperta anche grazie all’ufficio Fraud Management delle Poste Italiane, è indagata per peculato e furto aggravato. Non avendo trovato nulla in casa dell’ex direttrice, ne’ soldi ne’ beni mobili di valore equivalente, per stima, alla somma da sequestrare s proceduerà al sequestro della quota per equivalente della sua abitazione. L’indagata – che durante le indagini è stata licenziata – risiede a Salerno con il marito e due figli. L’indagine sul suo conto partì diversi anni fa dopo la denuncia di alcuni correntisti. Dall’analisi delle operazioni effettuate nei due uffici postali da lei diretti si scoprì che la donna aveva effettuato numerose operazioni telematiche non autorizzate depauperando i conti correnti dei suoi clienti.

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Inchiesta sui fanghi in Campania: indagato il consigliere Passariello e imprenditori legati alla camorra

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Napoli. Corruzione aggravata dalle finalità mafiose e finanziamento illecito dei partiti, reati legati allo smaltimento dei fanghi provenienti dai cinque siti di stoccaggio della Sma, la società della Regione Campania che si occupa di tutela dell’ambiente, impegnata nella prevenzione e nel contrasto degli incendi boschivi. E’ un terremoto politico-giudiziario, ma non solo l’inchiesta che ha portato, stamane, gli agenti della Squadra Mobile e dello Sco di Napoli ad effettuare una serie di perquisizioni – nella sede della Sma e negli uffici del consigliere regionale Luciano Passariello alla Regione Campania – e che hanno interessato anche la sede del giornale on line Fanpage che aveva annunciato la pubblicazione di una video inchiesta sui rifiuti in Campania. Dunque, tra gli indagati c’è il consigliere regionale Luciano Passariello, candidato di Fratelli d’Italia, alle elezioni del 4 marzo. L’indagine condotta dalla procura di Napoli riguarda una presunta offerta di denaro da parte di imprenditori, tra cui uno ritenuto legato a un clan della camorra, per ottenere un appalto. Nel decreto di perquisizione eseguito in mattinata dagli uomini dello Sco, il servizio centrale operativo della polizia, e dalla Squadra Mobile si ipotizzano i reati di corruzione aggravata dalla finalità mafiosa, corruzione e finanziamento illecito dei partiti. L’inchiesta è coordinata dai magistrati della direzione distrettuale antimafia e della sezione reati contro la pubblica amministrazione: oltre al procuratore Giovanni Melillo e l’aggiunto Giuseppe Borrelli i sostituti Celeste Carrano, Henry John Woodcock, Sergio Amato, Ilaria Sasso del Verme e Ivana Fulco. Al centro dell’inchiesta un appalto per lo smaltimento dei fanghi provenienti da cinque depositi di stoccaggio gestito dalla Sma. Gli inquirenti parlano di accordi corruttivi e la tangente pattuita sarebbe stata in proporzione ai guadagni ottenuti dagli imprenditori. Tra gli indagati figurano anche un presunto intermediario e alcuni dipendenti della Sma. L’inchiesta della procura si intreccia con quella giornalistica realizzata dal quotidiano online Fanpage. Alcuni giornalisti sono stati indagati per essersi finti imprenditori e aver contattato politici proponendo accordi illeciti. Passariello, 57 anni, consigliere comunale a Napoli e poi sempre eletto in Regione dal 2005 (prima con Fi e Pdl, poi alle ultime elezioni con Fdi), è componente della Commissione regionale anticamorra e presidente della Commissione speciale sulle aziende partecipate, una delle quali è proprio la Sma. “Non mi è stata contestata nessuna condotta diretta – dice Passariello -. Risulto coinvolto perchè altre persone avrebbero fatto il mio nome. Essere nominato da altre persone in terze conversazioni è cosa ben differente dal commettere reati”. Il consigliere regionale si dice pronto a collaborare con gli inquirenti e chiede ai media di “non gettare fango prima del voto”. Il partito campano solidarizza con Passariello, e il vicecoordinatore regionale di Fdi, Pietro Diodato, esprime “rammarico per la tempistica” dell’inchiesta. Le elezioni sono imminenti ma – spiega in una nota il procuratore Giovanni Melillo – perquisizioni e sequestri di oggi erano “urgenti e indifferibili”. L’imminente pubblicazione della videoinchiesta di Fanpage rischiava infatti di “pregiudicare gravemente” le indagini. Perquisizioni e sequestri eseguiti oggi dalla procura di Napoli – secondo il procuratore Melillo -erano “necessarie e indifferibili” per il “rischio di dispersione probatoria collegato alla annunciata diffusione di notizie e immagini in grado di pregiudicare gravemente le investigazioni sulle gravi ipotesi delittuose fin qui individuate”.
La testata, in una sua nota, afferma di aver “documentato una serie di attività che coinvolgono alcuni esponenti politici, quasi tutti candidati alle elezioni politiche del prossimo 4 marzo, in vari schieramenti”. Le indagini della procura, ricorda Melillo, sono finalizzate “alla doverosa verifica” di notizie “rivelatrici dell’esistenza di accordi corruttivi diretti al controllo illecito degli appalti pubblici nel delicato settore del trasporto e dello smaltimento dei rifiuti in Campania”.
“La delicatezza e la complessità delle attività d’indagine in svolgimento – conclude la nota del procuratore Melillo – impongono di mantenere il più stretto riserbo”.

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Giornalisti Fanpage indagati per induzione alla corruzione e perquisiti: solidarietà di Fnsi e Sugc

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Napoli. Sono accusati di induzione alla corruzione per essersi finti imprenditori e aver testato la ‘corruttibilità’ di alcuni politici campani, il direttore della testata giornalistica online Francesco Piccinini e il giornalista Sacha Biazzo. L’inchiesta della Procura di Napoli mina, ancora una volta la libertà di stampa ed il diritto dovere ad informare e ad essere informati. La Federazione Nazionale della Stampa e il sindacato unitario dei giornalisti campani si sono schierati accanto ai colleghi di Fanpage che stamane hanno subito una perquisizione, disposta dalla Procura di Napoli. “Tutto questo è assurdo, abbiamo messo a repentaglio la nostra incolumità per questa inchiesta e ora ci ritroviamo indagati” ha detto il direttore della testata online Fanpage.it Francesco Piccinini, coinvolto nell’indagine giudiziaria che ha fatto scattare le perquisizioni negli uffici di Luciano Passariello, consigliere regionale, membro della commissione anticamorra e capolista di Fratelli d’Italia, su ordine della Procura di Napoli. Fanpage ha utilizzato giornalisti ‘provocatori’, che avrebbero avvicinato e fatto parlare diversi politici e imprenditori, proponendo affari sullo smaltimento dei rifiuti. “Io – spiega il direttore – ho recitato la parte di un industriale del Nord che doveva sversare dei rifiuti. Abbiamo incontrato dei camorristi che ci hanno spiegato dove sotterrare quei rifiuti, chiedendoci 30mila euro a camion. Abbiamo messo una telecamera addosso a un ex boss dei rifiuti mandandolo in giro per l’Italia a incontrare industriali e politici per prendere accordi in cambio di tangenti”. Piccinini, insieme al giornalista che ha realizzato l’inchiesta, Sacha Biazzo, e all’ex boss dei rifiuti impiegato nell’operazione, risultano indagati per induzione alla corruzione. “Noi – sottolinea il direttore di Fanpage – abbiamo fatto questo nell’ambito di un’inchiesta giornalistica. E’ chiaro che non abbiamo smaltito rifiuti né preso soldi”. Ovviamente, prosegue Piccinini, “ci è stato spiegato che si tratta di un atto dovuto, ma resta una cosa spiacevole”. Piccinini precisa di aver avuto sin dall’inizio “un rapporto di dialogo” con le forze dell’ordine. “Abbiamo anche consegnato tutto il girato, per non lasciare dubbi sulla nostra buona fede”. Stamattina la polizia ha perquisito la stessa redazione di Fanpage per acquisire nuovo materiale audiovisivo.
In serata una nota di Fnsi e Sugc di vicinanza e solidarietà ai colleghi: “La redazione di Fanpage è stata perquisita e due giornalisti risultano indagati per corruzione e traffico di rifiuti. Questo perchè i colleghi sono stati protagonisti di una inchiesta nella quale sono riusciti a documentare il traffico di rifiuti illeciti e i collegamenti tra camorra e politica grazie ai quali lo smaltimento delle sostanze tossiche avveniva senza alcun controllo provocando disastri ambientali”. “La procura era stata informata già dal direttore Francesco Piccinini di quanto era stato documentato. Mettere i giornalisti sotto inchiesta e perquisire una redazione non possono essere considerati ‘un atto dovuto’ – affermano gli organismi sindacali di categoria – soprattutto perchè sono in gioco la libertà di informare e la tutela delle fonti dei cronisti, la cui segretezza non può essere messa in alcun modo a repentaglio”. Sindacato unitario dei giornalisti della Campania e Federazione nazionale della Stampa italiana esprimono “solidarietà ai colleghi di cui difenderanno in ogni sede il diritto di fare il loro lavoro nell’interesse dei cittadini ad essere informati”.

Cronache della Campania@2018

Corruzione, il Csm sospende dalle funzioni il giudice napoletano Giancarlo Longo

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E’ stato sospeso dalle funzioni e dallo stipendio l’ex pm di Siracusa, il giudice napoletano Giancarlo Longo, arrestato il 7 febbraio scorso. La Sezione disciplinare del Csm ha disposto la sospensione cautelare dalle funzioni e dallo stipendio su richiesta dal Pg della Cassazione Riccardo Fuzio, un provvedimento che è obbligatorio nel caso di arresto di un magistrato. Longo, che alcuni mesi fa è stato trasferito in prevenzione al tribunale civile di Napoli, è accusato di aver pilotato fascicoli di indagine per favorire i clienti di due avvocati siracusani, Piero Amara e Giuseppe Calafiore, anche loro arrestati. In cambio avrebbe ottenuto soldi e regali. Con lo stesso provvedimento la Sezione disciplinare ha anche disposto il collocamento fuori dal ruolo organico del magistrato.
Oggi il Gip del Tribunale di Messina ha rigettato la richiesta di scarcerazione per i due avvocati arrestati, nell’ambito dell’inchiesta della Procura di Messina. Amara e Calafiore resteranno in carcere. Il gip ha respinto la richiesta dei legali dei due indagati di sostituire la misura della custodia cautelare in carcere con quella dei domiciliari. Stessa decisione il giudice aveva preso nei giorni scorsi per Longo. Secondo l’accusa, Amara e Calafiore avrebbero condizionato le scelte dell’ex pm che, in cambio di denaro, avrebbe favorito alcuni dei loro clienti. Nella vicenda, che si intreccia con un’inchiesta della Procura romana su sentenze “comprate” al Consiglio di Stato, sono coinvolti anche alcuni consulenti che avrebbero fatto relazioni tecniche false in favore di clienti dei due difensori su input di Longo.

Cronache della Campania@2018

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