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Channel: Cronaca Giudiziaria
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Napoli, torna in libertà il boss Paolo Pesce, fondatore delle ‘Teste Matte’

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E’ tornato in libertà il boss dei Quartieri Spagnoli, Paolo Pesce, detto “Chipeppe”, fondatore delle “Teste Matte” e scissionista del clan Mariano. L’uscita dal carcere del 53enne per cessate esigenze cautelari e mancanza di attualità del reato ha scatenato una sorta di festa con tanto di fuochi d’artificio nella zona di Montecalvario. Il suo difensore, l’avvocato Leopoldo Perone, come riporta Il Roma, è riuscito ad ottenere una doppia vittoria.
In un primo processo, nel quale il ras è imputato per associazione finalizzata al traffico di stupefacenti, è subentrata la cessazione delle esigenze cautelari. In un secondo procedimento, quello che vede “Chipeppe” già condannato in primo grado a 23 anni di reclusione per l’omicidio di Giuseppe Campagna, freddato ai Quartieri Spagnoli nel lontano 1990, si è invece configurata la mancanza di attualità del reato.Pesce quindi affronterà gli ultimi gradi di giudizio da uomo libero e non da detenuto.
Ma c’è poi anche un terzo aspetto che ha contribuito a determinare la scarcerazione dell’ex leader delle “Teste matte”. Nel 2015 Pesce e il complice Pio Lo Masto furono fermati in sella a una moto. In particolare “Chipeppe”, impugnava una calibro 9 con il colpo in canna e il caricatore pieno. Condannato in primo grado a otto anni di carcere, nel luglio dello scorso anno Pesce se l’era cavata con soli quattro anni. Un intreccio di verdetti e ricorsi grazie al quale il 53enne, ormai da due giorni, ha potuto fare ritorno tra i “suoi” vicoli.

Cronache della Campania@2017


Camorra, scarcerate le donne del boss Michele Zagaria

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Il Tribunale del Riesame di Napoli ha disposto la scarcerazione per la sorella e le cognate del boss dei Casalesi Michele Zagaria, finite in carcere due settimane fa nell’ambito di un’inchiesta della Dda di Napoli. Le “donne del clan” andranno ai domiciliari. Beatrice Zagaria, sorella del capoclan, Francesca Linetti, Patrizia Martino e Tiziana Piccolo, mogli rispettivamente dei fratelli del boss, Pasquale, Antonio e Carmine, erano accusate di ricettazione con l’aggravante mafiosa per aver percepito dalla cosca lo stipendio mensile di 2500 euro, provento delle attivita’ illecite. I giudici, nell’annullare l’ordinanza di custodia cautelare emessa dal Gip di Napoli, hanno poi escluso l’aggravante mafiosa cosi’ come richiesto dai legali delle indagate (Ferdinando Letizia, Giuseppe Stellato, Angelo Raucci e Andrea Imperato), disponendo di conseguenza i domiciliari. Per Beatrice Zagaria, la Procura Antimafia – pm Sandro D’Alessio e Maurizio Giordano – aveva ipotizzato l’associazione di stampo camorristico, ritenendola reggente del clan in seguito all’arresto dei fratelli e del figlio Filippo, “erede designato” di Michele Zagaria; il Gip aveva pero’ gia’ derubricato l’accusa.

Cronache della Campania@2017

Napoli, appalti truccati per la manutenzione negli ospedali: 11 rinviati a giudizio

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Oggi il gup del Tribunale di Napoli Maria Luisa Miranda ha accolto le richieste del pm Henry John Woodcock rinviando a giudizio undici imputati a conclusione dell’udienza preliminare per i presunti illeciti nel settore sanita’ in relazione, in particolare, agli appalti per le pulizie negli ospedali pediatrici napoletani Santobono, Pausillipon e Annunziata. Il processo, davanti alla quarta sezione del Tribunale, comincera’ il primo marzo 2018. A giudizio Guglielmo Manna, all’epoca dei fatti capo del settore legale della struttura ospedaliera ed ex marito del giudice Anna Scognamiglio, il magistrato che si occupo’ del procedimento per l’applicazione della legge Severino nei confronti del governatore De Luca (entrambi finiti sotto inchiesta).
Al centro dell’inchiesta – condotta dai pm Woodcock, Celeste Carrano e Enrica Parascandolo – un appalto da 11 milioni e 500mila euro. I reati contestati, a vario titolo, sono di corruzione e turbativa d’asta. Rinviati a giudizio, tra gli altri, anche il dirigente medico e presidente della commissione di gara Pasquale Arace e il caposala del reparto chirurgia Giorgio Poziello. Secondo l’accusa, vi furono accordi per il versamento di tangenti pari al due per cento dell’importo dell’appalto da parte degli imprenditori della Manutencoop di Bologna e della Euro servizi generali Group che avevano dato vita a una Ati, associazione temporanea di imprese.

Cronache della Campania@2017

Oltre 4 secoli e mezzo di carcere per il clan Contini. TUTTE LE CONDANNE

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Una mazzata senza precedenti per la holding del crimine organizzato del clan Contini che dal quartiere Vasto di Napoli ha esteso i suoi tentacoli in Italia e in mezza Europa. oltre 4 secoli e mezzo di carcere (rispetto ai sette richiesti) emessa oggi pomeriggio dai giudici della Prima sezione penale dei Tribunale di Napoli (presidente Marco Occhiofino)
nei confronti dei 90 imputati del clan Contini. Sono accusati di associazione camorristica, traffico di droga, estorsioni, riciclaggio, omicidi. Quattordici le assoluzioni e ben 74 le condanne, Pesanti le condanne per Salvatore Botta (30 anni, cosi come la richiesta del pm) ma anche i 25 anni e 3 mesi per Ciro Di Carluccio (erano stati chiesti 30). ma anche per le donne dei boss ovvero le due sorelle Anna Aieta, moglie del capo clan Francesco Mallardo (per lei una condanna a 13 anni di carcere rispetto ai 16 richiesti) mentre per Rita, (moglie dell’altro capo Patrizio Bosti )  condannata a 16 anni di carcere rispetto ai 24 richieste dalla Dda. Invece il figlio Ettore Bosti detto Ettoruccio ‘o russo è stato condannato a 18 anni di carcere rispetto ai 24 richiesti. Così come è pesante la condanna a 16 anni e 10 mesi di carcere per uno dei colletti bianchi della cosca, ovvero Antonio Righi per il quale erano stati chiesti 21 anni.
Secondo la Dda i Contini, fondatori della famosa “Alleanza di Secondigliano” con i Mallardo di Giugliano e i Licciardi della Masseria Cardone, sono  una delle cosche economicamente più potenti della camorra quella creata negli anni ’90 dal boss Eduardo Contini, un impero fondato sul traffico di droga anche per conto di altri clan, ma anche su capillari estorsioni  e soprattutto capace di riciclare i proventi illeciti in svariate attività commerciali in Italia e all’estero.

TUTTE LE CONDANNE

Aieta Anna, 13 anni
Aieta Rita, 16 anni;
Annicelli Gianluca, 2 anni
Annicelli Giulio ASSOLTO
Apicella Rosario, 8 anni;
Barone Lumaga, 13 anni;
Bertolacci Davide, 5 anni 9 mesi;
Bastone Elena, 3 anni;
Batone Raimondo, 3 anni;
Bosti Ettore (classe 1979), 18 anni;
Bosti Ettore (classe 1958), 7 anni;
Botta Loredana, 4 anni e sei mesi;
Botta Massimo, 4 anni e 6 mesi;
Botta Salvatore (classe 1982) ASSOLTO
Botta Salvatore (classe 1950) 30 anni
Cappella Giuseppe ASSOLTO
Carandente Carmela 2 anni
Cardinale Mario (classe 1984) 2 anni e 6 mesi
Cardinale Mario (classe 1961), 8 anni;
Cardinale Paola, 5 anni e 9 mesi;
Cicio Gennaro, 2 anni e sei mesi;
Corvino Raffaele, 7 anni;
Cristiano Tommaso ASSOLTO
Daniele Giovanni ASSOLTO
Delle Donne Maurizio, 8 anni;
Delle Vedove Diego, 2 anni;
Di Carluccio Antonio, 6 anni;
Di Carluccio Ciro, 25 anni e 3 mesi;
Di Carluccio Eduardo, 4 anni;
Di Carluccio Emma ASSOLTO
Di Carluccio Gerardo, 16 anni;
Di Carluccio Ivan, 6 anni;
Di Mauro Paolo, 6 anni per un totale di 30 anni per una precedente condanna;
Donzetti Annalisa, 2 anni;
Donzetti Carmine 4 anni e 7 mesi;
Errico Guglielmo, 4 anni;
Errico Lucia, ASSOLTO
Esposito Gaetano ASSOLTO
Esposito Mario, 7 anni;
Ferrara Luigi, 6 anni e 2 mesi;
Ferrara Nicola, 2 anni;
Fornicelli Alessandra, 2 anni;
Formicola Beniamino, 5 anni;
Granatello Rosa, 2 anni;
Grimaldi Pasquale, 2 anni e 1 mesi;
Guerriero Angelo ASSOLTO
Guerriero Vincenza, ASSOLTO
Guido Immacolata, 2 anni;
Iannella Franco ASSOLTO
Kaiser Enrico, 7 anni;
La Cava Pasquale, 3 anni;
La Cava Sabrina, 3 anni;
Lorusso Paolo, 3 anni e 4 mesi;
Mandile Maurizio, 4 anni;
Migliaccio Lucio, 11 anni e 6 mesi;
Musella Salvatore, 7 anni e sei mesi;
Napoli Francesco, 4 anni;
Natoli Vincenzo, 3 anni e un mese;
Olisterna Raffaele, 5 anni e sei mesi;
Oliva Annunziata, 11 anni e sei mesi;
Pascale Gennaro, 4 anni;
Pittirollo Andrea, 3 anni
Petito Antonietta, 3 anni;
Piscopo Carlo, 7 anni;
Righi Antonio, 16 e 10 mesi;
Righi Carmela, 2 anni e 10 mesi;
Righi Giuliano, 2 anni e 10 mesi;
Righi Ivano, 4 anni e un mese;
Righi Marianna, 4 anni e un mese;
Righi Mario, 3 anni e un mese;
Righi Salvatore, 12 anni e 3 mesi;
Righi Sara, 2 anni e 10 mesi;
Sangermano Antonio ASSOLTO
Asannino Antonio ASSOLTO
Saturno Raffaele, 4 anni;
Scarici Giuseppe ASSOLTO
Severgnini Luigi Pietro, 9 anni;
Silvestro Rosa ASSOLTO
Simaldone Sergio, 7 anni;
Simonetti Carla, 2 anni;
Sprovieri Luca, 7 anni e sei mesi;
Tomberli Giuseppe, 5 anni e sei mesi;
Vano Michele, 10 anni;
Vollaro Franco, 7 anni;
Volpe Francesco Maria 12 anni

Cronache della Campania@2017

Ercolano, 30 anni di carcere ai due pentiti Scarrone e Raimo

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Trent’anni di carcere per due degli assassini di Antonio Papale, ucciso nel 2007 nell’ambito della sanguinosa faida di Ercolano tra i Birra-Iacomino e gli Ascione-Papale. Per l’omicidio del fratello del boss sono stati condannati rispettivamente a dieci e venti anni di carcere, Francesco Raimo e Agostino Scarrone. I due ex killer del clan Birra ed entrambi collaboratori di giustizia, si sono auto accusati di aver partecipato al massacro di Antonio Papale, seguendo le direttive dei boss Giovanni Birra e Stefano Zeno. Papale fu ucciso per vendicare l’assassinio di Giuseppe Infante, cognato del boss Giovanni Birra.Per il delitto avvenuto il 10 febbraio 2007 in corso Resina ad Ercolano sono stati condannati a 30 anni di galera Vincenzo Bonavolta detto cenzore il famoso killer dei 7 secondi del clan Lo Russo di Miano,  Pasquale Perfetto, sempre dei “Capitoni” di Miano e Ciro Uliano e Francesco Ruggiero, affiliati questi ai Birra.
L’agguato ai danni di Papale venne messo a segno lo stesso giorno in cui, a Terzigno nel bar “Naemi”, venivano uccisi i fratelli Marco e Maurizio Manzo, due uomini del clan del super boss Francesco Casillo, alias ‘a vurzella.  Il delitto maturò nell’ambito dell’alleanza di sangue tra i Gionta di Torre Annunziata e il clan Birra di Ercolano. L’ordine partì dagli ercolanesi che volevano vendicare la morte di Giuseppe Infante. I responsabili della morte di Infante erano stati individuati nei fratelli Manzo, sicari degli Ascione-Papale. Per concretizzare la vendetta i Birra si rivolsero ai Gionta che diedero in prestito i killer, Giovanni Iapicca alias “rangetiello” ed Alfonso Agnello detto “chiocchiò”. Nella ricostruzione del delitto hanno avuto un ruolo decisivo le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia tra cui l’ex giontiano Michele Palumbo, alias “munnezza”. In Appello si sono aggiunte le dichiarazioni di un altro collaboratore di giustizia, stavolta di Ercolano, Antonio Birra, fratello del boss Giovanni.

(nella foto i pentiti Agostino Scarrone e Francesco Raimo)

Cronache della Campania@2017

Clan Troia, ai domiciliari la moglie del boss Francesco: le accuse a ‘donna Imma’ e le intercettazioni in carcere

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Il Tribunale del Riesame di Napoli ha concesso gli arresti domiciliari a Concetta Aprea, nuora della donna boss Immacolata Iattarelli, reggente del clan Troia di San Giorgio a Cremano arrestate il mese scorso insieme con un’altra quartina tra familiari e affiliati con l’accusa di associazione camorristica, traffico di droga, estorsione e altro nell’ambito di un’inchiesta della Dda di Napoli. Per la Aprea, difesa dall’avvocato Leopoldo Perone è venuta meno la grave accusa di associazione camorristica. Secondo le accuse la donna, moglie di Francesco Troia, e figlia di uno dei boss di Barra, Ciro Aprea, manteneva la gestione della cassa del clan e si occupava della distribuzione delle “mesate” agli affiliati. Significativo un colloquio intercettato in carcere in data 21 maggio 2016 con il marito Troia Francesco dal quale emergono i forti dissidi con la suocera donna Imma a causa della gestione da parte di quest’ultima del clan, dei soldi e del mantenimento dei carcerati.
In particolare, Concetta Aprea si lamenta con il marito del fatto che la Iattarelli  “si sta prendendo i soldi loro” ovvero quelli di Francesco e Vincenzo in relazione alle attività illecite del clan. Infatti la donna chiede al marito l’autorizzazione a prendere direttamente lei i soldi da Cosimo Di Domenico, (un loro cugino e gestore di una delle piazze di spaccio del clan)per evitare che la Iattarelli li trattenga e non corrisponda la quota a loro spettante. La donna, ricevuto l’assenso del marito, chiede se possa andare direttamente lei anche”dall’altro”, altra persona che, evidentemente, corrisponde somme di denaro al clan come Di Domenico. Dal colloquio risulta anche che, per volere della Iattarelli, che continua ad essere unico referente del clan stante la detenzione dei figli, Aprea Concetta non ha più il suo autista individuato nel “cinese” che l’avrebbe dovuta accompagnare al colloquio con il marito. Tale circostanza viene ribadita quando Aprea Concetta rappresenta al marito che la Iattarelli non sta mandando con regolarità i soldi ai carcerati e non si preoccupa del mantenimento delle loro famiglie: “però quello che non sopporto è quando incomincia a far mancare le cose ai carcerati… non mi ha domandato del mangiare, se io non telefonavo per i soldi alla porta io facevo rivoltare, quella neanche i soldi per la porta aveva mandato… una macchina, non ti sei degnata neanche ieri sera a qualcuno di dire qua ci sono le chiavi della macchina” cioè, hai capito?”.
Nel corso del colloquio, inoltre, la donna racconta al marito di alcune discussioni avvenute nell’ambito della famiglia Aprea e del fatto che lei ha ribadito ai suoi parenti il “valore” di suo padre: “I cento morti accusati ce li ha Ciruzzo punta di coltello e se siete qualcuno, dovete ringraziare Ciruzzo punta di coltello perché il resto non valete niente, valete zero.”
Secondo il gip Giuliana Pollio che il mese scorso ha firmato l’ordinanza di custodia cautelare: “Tali conversazioni, documentano il ruolo attivo della donna che riceve dal marito detenuto le disposizioni da riferire agli altri sodali e, ali ‘inverso, informa il coniuge di quanto accade all’esterno e gli comunica i messaggi che i vari chiedono di recapitare. La donna è pienamente consapevole delle logiche criminali in opera il marito, logiche condivise con sostegno morale e fisico, con impegno costante a favore del gruppo”. Ma per i giudici del Riesame non è stato così visto che hanno concesso gli arresti domiciliari alla donna.

 

Cronache della Campania@2017

Sentenze aggiustate a Salerno, indagato il procuratore regionale della Corte dei Conti Michele Oricchio

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Il procuratore regionale della Corte dei Conti della Campania Michele Oricchio è iscritto nel registro degli indagati della procura di Napoli per concorso in abuso di ufficio nell’ambito dell’inchiesta che l’11 dicembre scorso portò all’arresto del giudice Mario Pagano, in servizio a Reggio Calabria ma accusato di essersi attivato a favore di imprenditori amici quando era al tribunale civile di Salerno. La circostanza emerge dagli atti depositati nel corso dell’inchiesta su Pagano condotta dai pm Celeste Carrano e Ida Frongillo e coordinata dal procuratore Giovanni Melillo e dal procuratore aggiunto Alfonso D’Avino. Oricchio, all’epoca dei fatti era in servizio al Tribunale civile di Salerno, ed in assenza di Pagano – trasferito a Potenza – si sarebbe adoperato per l’assegnazione delle cause a giudici amici, o allo stesso Pagano quando i due erano nello stesso tribunale. Agli atti della Procura partenopea, le email e i messaggi che i due si sono scambiati per pilotare le cause.

Cronache della Campania@2017

Processi pilotati a Salerno, nell’inchiesta sul giudice Pagano finisce anche il collega Luigi Bobbio

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Sentenze aggiustate o pilotate: l’inchiesta su Mario Pagano coinvolge anche altri colleghi del giudice finito agli arresti domiciliari prima di Natale. Oltre al Procuratore Regionale della Corte dei Conti, Michele Oricchio, e agli altri due magistrati salernitani, Roberto Lenza e Maria Elena Del Forno, sono finiti nel mirino della Procura di Napoli anche Luigi Bobbio, il giudice ex senatore e ex sindaco di Castellammare di Stabia, oggi in servizio al Tribunale civile di Nocera Inferiore. Insieme a Bobbio anche Nicola De Marco, presidente della sezione lavoro a Salerno e già citato nell’ordinanza di custodia cautelare che ha portato ai domiciliari Pagano, il magistrato di Roccapiemonte, ora sospeso dal Csm. Bobbio e De Marco risultano iscritti nel registro degli indagati da giugno scorso, anche per loro l’ipotesi di accusa è quella di concorso in abuso d’ufficio. I due non sono stati avvisati dai colleghi napoletani che attendono l’esito degli accertamenti tecnici e delle ulteriori acquisizioni effettuate nel corso delle perquisizioni avvenute al momento della notifica dell’ordinanza di custodia cautelare, con la quale sono finiti ai domiciliari oltre a Pagano anche Nicola Domenico Montone, cognato del giudice e funzionario al Tribunale di Salerno, mentre era stato imposto il divieto di dimora nel comune di residenza agli imprenditori Roberto Leone, Luigi Celestre Angrisani, Riccardo De Falco e Giovanni Di Giura. Obbligo di dimora nel comune di residenza per il commercialista Antonio Piluso.
Gli accertamenti nei confronti degli altri magistrati coinvolti nell’inchiesta coordinata dai pm Celeste Carrano e Ida Frongillo, della Procura di Napoli, sono nella fase iniziale, solo all’esito di ulteriori verifiche si deciderà se contestare formal­mente le accuse oppure chiedere l’archiviazione. Le intercettazioni svolte durante le indagini sul giudi­ce Pagano, molto conosciuto tra i colleghi e impegnato anche associativamente nella corrente di Mi, hanno portato all’apertura di diver­si filoni d’indagine sui quali so­no in corso approfondimenti. Il nome di Oricchio, all’epoca dei fatti in servizio a Salerno, e di De Marco erano già emersi dopo gli arresti di Pagano e Montone, dai messaggi di posta elettronica e del cellulare sequestrati al giudice di Roccapiemonte, poi in servizio a Potenza e Reggio Calabria.
Nei supporti informatici di Pa­gano sono stati rinvenuti messaggi di posta elettronica scambiati tra la fine del 2012 e l’inizio dell’anno successivo con Oricchio, all’epoca dei fatti alla commissione tributa­ria di Salerno. I due secondo l’ipotesi della Procura si sarebbero scambiati favori, si sarebbero aiutati reciprocamente per favorire persone amiche. Ai loro nomi e a quelli di Roberto Lenza e Maria Elena Del Forno (convocati dalla procura napoletana per essere interrogati) si aggiunge ora anche quello di Luigi Bobbio, il giudice in servizio a Nocera Inferiore ed ex senatore.

Cronache della Campania@2017


Scafati, calvario in due ospedali, muore donna di 33anni: indagati 30 medici di Nocera e Pagani

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Una patologia non ancora definita, ha stroncato la vita di Anna Pistol, trentatré anni di Scafati, lasciando marito e figli. Il marito ha sporto denuncia ai carabinieri e la Procura di Nocera Inferiore ha aperto formalmente un’inchiesta, iscrivendo nel registro degli indagati i nomi di trenta persone, tra medici, infermieri e altro personale per omicidio colposo.
Il sostituto procuratore Gaetana Amoruso ha disposto ieri mattina l’esame autoptico, eseguito nel primo pomeriggio. Serviranno novanta giorni per comprendere le cause della morte della donna, ricoverata per circa due mesi presso due ospedali diversi, oltre ad accertare l’esistenza di eventuali patologie pregresse. Lo scorso 20 settembre la donna aveva accusato un malore in casa e, allertato il 118, era stata soccorsa in una prima fase per poi essere trasferita all’ospedale Umberto I di Nocera Inferiore.
Secondo le prime informazioni, contenute nella denuncia, Anna Pistol sarebbe morta in stato di arresto cardiaco per diversi minuti. Una circostanza che è al vaglio degli inquirenti e rappresenta un primo punto di partenza per l’indagine. A Nocera, la donna era stata trasferita in fase di ricovero presso il reparto di rianimazione dove sarebbe rimasta per un lungo periodo, fino al trasferimento all’Andrea Tortora di Pagani, dove poi è deceduta il 23 dicembre. La denuncia ai carabinieri della tenenza è stata sporta dal marito Angelo, che lamenta non solo una presunta e cattiva gestione e cura della paziente, ma pretende anche chiarezza.
Sempre stando alle prime notizie, il trasferimento da Nocera a Pagani non sarebbe stato motivato nella sua interezza alla famiglia della donna.
Le fasi di accertamento da parte degli inquirenti sono diverse: si va dal primo soccorso in ambulanza per il malore segnalato dal marito della giovane donna al telefono, fino alla criticità riscontrata durante il tragitto in ospedale. Poi verrà valutato l’operato di medici ed infermieri dei due ospedali. Ma si attendono i risultati dell’autopsia e il resto degli esami complementari per valutare quale posizione eliminare dalla lunga lista.

Cronache della Campania@2017

Sesso con minori, si analizza lo smartphone del prete della provincia di Caserta

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L’indagine si intensifica sullo scandalo che si è abbattuto a inizio dicembre sulla chiesa della Trasfigurazione di Succivo che ha portato ai domiciliari Mario Donadio e Yevheneik Borysyuk, di 22 e 24 anni, con l’accusa di aver tentato di estorcere del denaro al parroco, don Crescenzo Abbate, per non pubblicare un video hard. I carabinieri della compagnia di Marcianise, infatti, hanno sequestrato anche il cellulare del sacerdote, nel frattempo sospeso dalle sue funzioni dal vescovo di Aversa, Monsignor Angelo Spinillo.
Sequestro disposto dal magistrato della Procura di Napoli Nord, Giovanni Corona, che sta svolgendo un’indagine a 360 gradi. Vista la delicatezza del caso, gli inquirenti vogliono capire se vi siano state anche responsabilità che costituiscano reato da parte del prete. Responsabilità non solo legate all’episodio della denuncia per estorsione sporta dal sacerdote nei confronti dei due ragazzi, ma capire se vi siano stati in precedenza contatti anche con adolescenti di età inferiore ai 18 anni. Al momento sul tavolo non vi sarebbero elementi concreti che porterebbero in questa direzione, ma la scrupolosità della Procura e degli investigatori non sta lasciando nulla al caso.
Solo l’analisi tecnica dello smartphone del parroco – molto chiacchierato già prima che lo scandalo raggiungesse le cronache nazionali – metterà un punto fermo sulla questione. Così come saranno fondamentali, per quanto riguarda i fatti legati all’estorsione, i risultati che i consulenti stanno svolgendo sui cellulari dei due ragazzi, sequestrati subito dopo l’arresto, il 5 dicembre scorso, e che dovrebbero arrivare sul tavolo del magistrato il prossimo mese.
Dagli atti risulta che fu il 24enne di origine ucraina, Borysyuk, a filmare il 7 novembre scorso il prete mentre con lui consumava un rapporto orale. Rapporto che lo stesso parroco ammise di esserci stato in fase di denuncia ai carabinieri. «Ci devi dare mille euro da questo momento e per ogni mese, altrimenti noi facciamo i cattivi e diffondiamo ovunque il video»; questo il messaggio vocale che il sacerdote consegnò ai militari dell’Arma ai quali raccontò di aver dato dei soldi ai due ragazzi anche in precedenza «perché ne avevano bisogno».

Cronache della Campania@2017

Casoria, falsità nel bilancio: verso il processo l’ex sindaco Carfora e altri 24

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Non era certamente un avviso di conclusione delle indagini preliminari il botto di fine anno che si auguravano l’ex sindaco Vincenzo Carfora e i rappresentanti della giunta, i revisori contabili, il dirigente del settore finanziario e i consiglieri comunali in carica nel 2013, in tutto 25 persone accusate ora di abuso d’ufficio e falso in atto pubblico, ovviamente in concorso.
Avrebbero attestato falsamente, infatti, approvando la proposta di rendiconto di gestione dell’anno 2012, come entrate correnti dell’ente locale crediti pari a euro 29.939.228,12 per violazioni al codice della strada, relative agli anni 2000-2011. Secondo i pubblici ministeri della Procura della Repubblica di Napoli Nord, Valeria Palmieri e Giovanni Corona, gli indagati, in tempi diversi ma in esecuzione di un medesimo disegno, avrebbero effettuato una artificiosa operazione di sovrastima delle risorse dell’ente contabilizzando le potenziali entrate delle contravvenzioni nella gestione 2012 per dare copertura finanziaria, ma solo formale, a impegni di spesa per circa 15 milioni di euro.
Secondo i giudici questo non era possibile perché basato su entrate aleatorie e inattendibili che servivano sostanzialmente ad eludere il patto di stabilità 2102. Gli atti, proposti dalla giunta e approvati dal consiglio comunale, riportavano il parere di regolarità tecnica contabile del dirigente del settore finanziario e dei componenti dell’organo di revisione che, insieme con il sindaco Carfora, sottoscrissero pure il prospetto per la certificazione del patto di stabilità 2012. Secondo i pubblici ministeri, però, l’elusione del patto di stabilità avrebbe determinato pure un ingiusto vantaggio patrimoniale agli amministratori comunali che avrebbero così evitato di rideterminare le indennità di funzione e dei gettoni di presenza per le cariche rivestite. Gli amministratori che hanno posto in essere atti elusivi delle regole del patto di stabilità interno, comunque, per legge rischiano di essere sottoposti dalla sezione giurisdizionale della corte dei conti anche alla condanna ad una sanzione pecuniaria fino ad un massimo di dieci volte l’indennità di carica percepita.
Per il responsabile del servizio economico finanziario la sanzione può essere, invece, pari fino a tre mensilità del trattamento retributivo. L’ex primo cittadino Vincenzo Carfora e gli altri 24 indagati hanno ora venti giorni per presentare memorie e produrre documenti ma anche per chiedere, tra l’altro, di rilasciare dichiarazioni spontanee o di essere sottoposti a interrogatorio. Successivamente spetterà al giudice per le indagini preliminari accogliere l’eventuale richiesta di rinvio a giudizio da parte dei pubblici ministeri che,al momento però, non hanno ritenuto di dover proporre l’archiviazione.

Cronache della Campania@2017

Omicidio a Fornelle, non fu legittima difesa. Luca Gentile uccise volontariamente il padre della fidanzata

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Salerno. Nessuna legittima difesa: Luca Gentile ha ucciso Eugenio Tura De Marco con premeditazione. Non ci sono dubbi per il giudice per le udienze preliminari, Stefano Berni Canani, del Tribunale di Salerno che nei giorni scorsi ha depositato le motivazioni per l’omicidio di Fornelle, avvenuto la sera del 19 febbraio 2016.
Secondo il giudice le dichiarazioni del giovane ‘non sono credibili e anzi sono ‘smentite da fatti oggettivi e inopinabili’.
Luca Gentile è stato condannato a 20 anni di reclusione con rito abbreviato, imputata per lo stesso omicidio la figlia di Eugenio Tura De Marco, Daniela che ha scelto il rito ordinario e dovrà rispondere quale concorrente morale nel delitto commesso materialmente da Gentile.
Il giudice Berni Canani ha – nelle 20 pagine di motivazioni – ripercorso le fasi del delitto così come emerso dalle indagini svolte dal comando provinciale dei carabinieri di Salerno e dal pm Elena Guarino. Nelle attività di sopralluogo nella casa della vittima non sono stati rinvenuti segni di colluttazione e il coltello, descritto da Gentile come quello utilizzato da Tura De Marco per aggredirlo, non è stato trovato sul pavimento dell’abitazione ma riposto in modo ordinato su una mensola della cucina. Resta il movente ipotizzato dalla Procura che non è certo quello della legittima difesa. Secondo l’accusa Luca Gentile aveva subito delle avances sessuali da Eugenio Tura De Marco e dopo averle spesso rifiutate quel giorno andò armato di coltello dell’appartamento della vittima a Fornelle e quando l’anziano aprì la porta o colpì con 12 colpi al torace, poi scappò buttando via l’arma del delitto che non è stata mai ritrovata.
Per il gup, Gentile ‘ha pienamente preveduto e voluto uccidere la vittima’ e nella motivazione si spiega anche perché la tesi difensiva non possa essere accolta in quanto, come scrive il giudice, ‘le sommarie informazioni rese dalla fidanzata Daniela chiariscono come l’incontro tra la persona offesa e l’imputato non sia stato fortuito ma al contrario deciso dal Gentile stanco e provato dalle avances sessuali subite in passato e delle ingerenze tra il Tura De Marco e la sua fidanzata alla relazione con lui’.
A Gentile, infine, non sono state applicate le aggravanti ma neppure la concessione delle circostanze attenuanti generiche in quanto il comportamento processuale dell’imputato non è mai stato ‘esaustivamente collaborativo: egli, ad esempio, non ha mai consentito di far ritrovare l’arma del delitto indicando genericamente di averla gettata in un fiumiciattolo. E Gentile ha anche mutato per ben tre volte la versione dei fatti fornendo al pm indicazioni apparentemente collaborative, ma in realtà decisamente contraddittorie sulla sua condotta omicidiara in particolare sull’esistenza o meno di correi’.

Cronache della Campania@2017

Clan Polverino, resta ai domiciliari l’ingegnere Oliviero Giannella. La Cassazione rimanda gli atti al Riesame

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Marano. Clan Polverino: resta agli arresti domiciliari, l’ingegnere Oliviero Giannella, accusato di aver curato gli interessi della cosca nell’area industriale di via Migliaccio. La Cassazione ha annullato l’ordinanza con la quale, qualche mese fa, il tribunale del Riesame aveva confermato il provvedimento di arresto emanato dal gip Gabriella Ferri. I giudici della Cassazione hanno rilevato, infatti, alcuni profili di illegittimità nell’ordinanza del luglio scorso e, pertanto, hanno rinviato gli atti al Riesame che ora dovrà pronunciarsi nuovamente sul caso.
Restano in piedi le accuse nei confronti del tecnico, ma si discute sull’applicabilità della misura cautelare, eseguita ad aprile scorso nel corso di un blitz dei carabinieri del Ros. A luglio scorso, i difensori di Giannella avevamo fatto ricorso al Riesame che decise di confermare la misura cautelare e alleviarla con gli arresti domiciliari, per motivi di salute. Insomma una questione di forma e non di sostanza. Ora la parola passa ai giudici del Riesame che dovranno rivalutare la decisione alla luce delle indicazioni della suprema corte di Cassazione. L’ingegnere Giannella è accusato di concorso esterno in associazione maiosa, insieme ai fratelli Aniello e Raffaele Cesaro, titolari dell’azienda che ha realizzato il polo produttivo, e di Antonio Di Guida, imprenditore edile ed ex esponente provinciale di Forza Italia, legato a Giannella da vincoli di affari e di amicizia. Secondo l’accusa, sarebbe stato Giannella ad agire – in più occasioni – per scongiurare la chiusura di uno dei capannoni di Salvatore Polverino, alias Toratto. Ed inoltre avrebbe tentato di mettersi in contatto con Zi Totonno, al secolo Antonio Polverino, all’epoca latitante, allo scopo di indurre il clan Orlando – all’epoca egemone sul territorio – a ritirare una richiesta estorsiva di 500mila euro nei confronti di Antonio Guida, l’imprenditore edile suo amico.

Cronache della Campania@2017

Sarno: donna aggredita brutalmente a Episcopio. E’caccia ai responsabili

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Un episodio di inaudita violenza sarebbe stato perpetrato ai danni di una donna a Sarno. La vittima S.A. sarebbe stata aggredita nella frazione di Episcopio da criminali al momento sconosciuti. Una brutta vicenda sui cui le forze dell’ordine sono chiamate a fare piena luce. Solidarietà e vicinanza alla donna arrivano dal primo cittadino Giuseppe Canfora e dall’amministrazione comunale che condannano il vile atto auspicando che i responsabili vengano nel più breve tempo possibile assicurati alla giustizia

Cronache della Campania@2017

Scafati, folla ai funerali della 33enne, il commosso messaggio del marito: ‘Non lo meritavi, la vita è stata ingiusta’

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Una folla commossa ha partecipato il 31 dicembre ai funerali di Anna Pistol la 33 enne mamma di Scafati morta per cause in via accertamento nell’ospedale di Nocera dopo aver peregrinato per due mesi tra le strutture ospedaliere di Pagani e Nocera. La chiesa di san Francesco era gremita di familiari ed amici per l’ultimo saluto. Il marito Angelo, che non riesce a darsi pace e che ha denunciato la vicenda facendo scattare un’inchiesta della Procura della Repubblica di Nocera Inferiore, ha pubblicato un commovente post sul proprio profilo facebook: “Amore mio hai lasciato un vuoto grande dentro di me e dentro i nostri figli, eri solare e eri una madre magnifica una moglie stupenda eri tutto per noi e ci hai lasciato così giovane ha soli 33 anni non lo meritavi la vita è stata ingiusta. Spero che ora stai nelle braccia del nostro Signore Gesù e da lassù tu farai in modo di fare uscire fuori tutta la verità tutte le ingiustizie che abbiamo sopportato in questo anno e mezzo. Resterai e sarai sempre parte di me e dei nostri figli. Sei la mia vita Sei sempre la mia piccolina. Ciao amore mio a presto”.
Intanto la Procura di Nocera Inferiore, per chiarire le dinamiche che hanno portato alla morte Anna Pistol, indagherà su un presunto ritardo collegato  all’intervento svolto in prima battuta dal personale del 118 e sui motivi del trasferimento presso la rianimazione di Pagani avvenuto da Nocera e comunicato con una telefonata al marito senza fornire grossi dettagli. Circostanze contenute nella denuncia sporta dal marito della trentatreenne scafatese madre di cinque figli, che preferisce restare in silenzio fino a quando non sia chiaro tutto.
I problemi per Anna erano cominciati il 20 settembre scorso, quando era stata colta da un improvviso malore. Una difficoltà di tipo respiratorio, anticipata da un attacco di panico. L’intervento del 118 non sarebbe stato però immediato. I primi soccorsi alla donna sarebbero stati fatti dalla famiglia stessa e da alcuni vicini. Quando l’ambulanza l’aveva poi trasferita a Nocera, la donna sarebbe andata in arresto cardiaco per diversi minuti.
Dal 20 settembre al 2 ottobre Anna è rimasta ricoverata presso la rianimazione dell’Umberto I di Nocera Inferiore. Le sue condizioni sarebbero restate critiche fino al nuovo trasferimento a Pagani, con due giorni trascorsi in coma farmacologico. Poi piccoli segni di ripresa. Ma nonostante le rassicurazioni dei medici, le condizioni di Anna non sono mai migliorate. Una delle diagnosi fatte dai due ospedali – anche questo sarà oggetto di verifica investigativa – avrebbe riportato un problema di tipo neurologico. Con l’interessamento a ricercare un posto disponibile presso un istituto di Unità di Risveglio sia in regione Campania che altrove. A dicembre le condizioni della giovanissima donna erano però peggiorate fino ad arrivare al decesso dichiarato il 23 dicembre scorso.
La denuncia è stata sporta ai carabinieri della tenenza di Pagani. Ad aprire il fascicolo d’inchiesta è stato il sostituto procuratore Gaetana Amoruso, che ha iscritto nel registro degli indagati ben trenta persone. Tra queste, sono compresi medici, infermieri e personale del 118.

Cronache della Campania@2017


Napoli, Il procuratore generale della Corte dei Conti indagato: ‘Piena collaborazione con i giudici’

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Dal procuratore regionale della Corte dei Conti della Campania, Michele Oricchio, iscritto nel registro degli indagati della Procura di Napoli con l’ipotesi di abuso d’ufficio nell’ambito dell’inchiesta che lo scorso 11 dicembre ha portato all’arresto del giudice Mario Pagano, e’ arrivata “un’immediata e completa collaborazione” alla “doverosa attivita’ d’indagine svolta dalla Procura della Repubblica di Napoli a seguito di accadimenti riguardanti altri soggetti”.
Oricchio ha diffuso una nota in riferimento “alle notizie diffuse nei giorni scorsi da alcuni mass media relative alla presunta iscrizione nel registro degli indagati”. Il procuratore sottolinea “anche a tutela dell’Istituzione rappresentata, la costante legittimita’ del proprio operato di giudice tributario attraverso la produzione di pertinenti atti amministrativi e giudiziari”. “Si esprime, pertanto, la massima fiducia nell’operato della magistratura napoletana che sapra’ presto ristabilire la verita’ dei fatti al di la’ delle evidenti approssimazioni giornalistiche”, conclude Oricchio nella nota.

Cronache della Campania@2017

Inchiesta ‘Money gate’, verso il processo in 15 tra dirigenti e calciatori di Avellino e Catanzaro

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La Procura della Repubblica di Palmi ha chiuso le indagini nei confronti di 17 persone indagate nell’ambito dell’inchiesta “Money Gate” che il 29 maggio scorso aveva portato agli arresti domiciliari l’ex presidente del Catanzaro Giuseppe Cosentino e sua figlia Ambra. Secondo l’accusa, l’imprenditore di Cinquefrondi, titolare di una societa’ di import-export, sarebbe stato al centro di un’associazione per delinquere, aggravata dalla transnazionalita’, accusata di aver commesso reati di natura fiscale, riciclaggio, trasferimento fraudolento di valori e appropriazione indebita di ingenti somme di denaro. Frode in competizione sportiva e’ l’ipotesi di reato a carico di Cosentino; dell’ex ds del Catanzaro Armando Ortoli; dell’attaccante Andrea Russotto, e del presidente e del direttore sportivo dell’Avellino, Walter Taccone e Vincenzo De Vito. Secondo l’accusa gli indagati si sarebbero accordati, senza riuscirvi, per far terminare in parita’ l’incontro del campionato di Lega Pro tra il Catanzaro e l’Avellino del 5 maggio 2013. Il processo sportivo scaturito dall’inchiesta Money Gate si e’ chiuso il 19 dicembre scorso senza alcuna penalizzazione per le due squadre. La Procura federale ha comunque presentato appello.

Cronache della Campania@2017

Zagaria, il boss dei Casalesi, si scaglia contro il pm Maresca in aula: “Mi voleva far pentire”. Atti in Procura

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Caserta. Il boss Michele Zagaria ha ripetuto ieri in aula il suo teorema: “Mi volevano far pentire”. Il capo dei casalesi lo ha detto nel corso del processo per il Polo calzaturiero utilizzato per riciclare danaro del clan che si sta celebrando al tribunale di Napoli, dinanzi al Gup Claudia Picciotti e nel quale il pm Catello Maresca ha chiesto una condanna a 12 anni di reclusione. Per l’ennesima esternazione in videoconferenza dal carcere di Milano-Opera dove è detenuto in regime di 41 bis è stata chiesto un approfondimento di indagine, come riporta oggi il quotidiano Il Mattino di Napoli. Il boss Zagaria, dopo aver mimato il gesto dell’impiccaggione per protestare contro la fiction Rai e dopo aver chiesto il risarcimento dei danni, rigettato dal Tribunale civile di Napoli, ieri ha chiesto la parola e si è scagliato contro il pm Catello Maresca, che era nel pool di magistrati che nel 2011 hanno coordinato l’indagine che portò al suo arresto dopo 17 anni di latitanza. “Mi voleva far pentire” ha detto al giudice. Uno sfogo che sarà valutato dalla Procura antimafia alla quale sono stati trasmessi gli atti, per verificare se ci sono i presupposti per un’intimidazione o una calunnia ai danni del magistrato in aula.
Il processo per il polo calzaturiero, sta per definirsi. Secondo la Dda, la realizzazione dell’area industriale tra Carinaro e Gricignano di Aversa, in provincia di Caserta affidata alla Sogest srl, con sede a Roma, sarebbe stata utilizzata per ‘lavare’ i soldi sporchi dell’organizzazione criminale dei Casalesi. Con i camorristi che pretendevano un miliardo delle vecchie lire l’anno, infiltrandosi nelle imprese manufatturiere che sarebbero sorte nel 1997 in zona Asi. Successivamente si costituì un consorzio di imprese. Nel processo che si dovrebbe definire entro febbraio con rito abbreviato vede imputato il boss Zagaria e Salvatore Verde detto ‘tore ‘a bestia”, ed è relativo appunto ad una vicenda del lontano 1997. Nel 2016 arrivò l’ordinanza di custodia cautelare per il capoclan dei Casalesi. Nel processo è costituito parte civile l’imprenditore Luciano Licenza, rappresentato dall’avvocato Vittorio Giaquinto. Ma ancora una volta a depistare spostare l’attenzione dei magistrati dal processo in sè sono state le esternazioni di Zagaria, probabilmente provato dalla morsa che la magistratura ha assestato con l’arresto delle donne di famiglia e con l’ennesima richiesta di condanna a suo carico.

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Evade l’Iva: sequestro per 200mila euro al legale rappresentante di una società di vigilanza di Salerno

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Salerno. Su disposizione della Procura della Repubblica, la Guardia di Finanza di Salerno ha eseguito un decreto preventivo per equivalente. L’esecuzione della misura cautelare reale è giunta a conclusione delle indagini eseguite dal Nucleo di Polizia Economico-Finanziaria della Guardia di Finanza di Salerno, nei confronti di una società che opera nell’ambito della vigilanza privata. Il sequestro è stato disposto per un omesso versamento dell’Iva per un importo superiore ai 200mila euro. Il legale rappresentante della società, R. J. J. G. di 45 anniè stato denunciato e il Gip del Tribunale di Salerno ha emesso il provvedimento di sequestro preventivo a garanzia del credito erariale.

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Sant’Antimo, uccise la moglie in una lite, l’avvocato: ‘Non fu volontario’

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Sant’Antimo: uccise la moglie con il colpo di pistola al termine di una lite in auto, la procura di napoli ha chiesto l’ergastolo, il suo difensore ha sostenuto la tesi della non volontarietà del colpo di pistola.  “Non era sua intenzione ucciderla, non voleva. E’ partito un colpo di pistola. E’ stata una disgrazia e pertanto chiedo che sia condannato per omicidio volontario”. Questa in sintesi l’arringa dell’avvocato di Carmine D’Aponte, Antonio Verde, accusato di aver ucciso sua moglie, Stefania Formicola, con un colpo di pistola a Sant’Antimo il 16 ottobre del 2016. Lo stesso imputato aveva dichiarato di non aver avuto mai l’intenzione di ucciderla, ma che “la pistola era nella mia tasca perche’ temevo che i miei suoceri volessero uccidermi”. Il pubblico ministero della Procura di Napoli Nord Fabio Sozio ha chiesto l’ergastolo e ha gia’ ottenuto la revoca della patria potesta’ dei due bambini della coppia, affidati ai nonni materni che si sono costituti parte civile assistiti dagli avvocati Raffaele Chiummariello e Libera Cesino. Tra i due coniugi c’erano stati molti momenti di tensione e la ragazza aveva deciso di lasciare la casa che avevano preso assieme e ritornare con i genitori fino all’appuntamento ‘trappola’. ‘Scendi, ti devo parlare e dobbiamo chiarire una volta per tutte’. Ma D’Aponte girava armato e dopo un litigio violento estrasse la pistola e fece fuoco mirando allo stomaco. Fu arrestato poche ore dopo. Gli investigatori trovarono anche un diario della vittima nel quale questa raccontava le violenze che subiva dal marito e in un passaggio si appellava ai suoi genitori, implorandoli di prendersi cura dei suoi figli se le fosse accaduto qualcosa. Un presagio che fu ricordato anche durante l’omelia del prete nel rione Don Guanella a Miano, dove la donna era nata e cresciuta fino al matrimonio. La sentenza e’ prevista per il 12 febbraio prossimo.

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