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Channel: Cronaca Giudiziaria
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Faceva prostituire la figlia 12enne: chiesti 6 anni di carcere per la mamma-maitresse

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La trentaduenne di Pontecagnano, finita in carcere lo scorso gennaio per aver fatto prostituire la figlia dodicenne, rischia sei anni di reclusione. Questa, almeno, la richiesta formalizzata ieri dal sostituto procuratore Elena Guarino davanti al Gup del tribunale di Salerno, Renata Sessa all’esito della sua requisitoria nel corso della quale ha chiesto a carico della donna la condanna per le accuse di organizzazione della prostituzione ed estorsione chiedendo invece l’assoluzione per l’ipotesi di reato di sfruttamento della prostituzione.
Pesantissime le accuse formulate a carico della donna che rischia anche di perdere la potestà genitoriale, incastrata nell’ambito di una delicata indagine ed accusata di aver venduto la figlia ad alcuni suoi clienti offrendola per pochi spiccioli. Era stata la stessa minore,come ha ricordato l’edizione di Salerno de Il Mattino, che si trova ora in una casa famiglia insieme alla sorellina di appena un anno, a confermare la primavera scorsa nell’ambito di un delicatissimo incidente probatorio, parte delle accuse nei confronti della genitrice.
L’adolescente aveva affermato di non essere mai stata protetta dalla madre che la portava con sé dall’anziano e da altri uomini con i quali si appartava lasciandola aldilà della porta. E di non poter mai perdonare la madre per “le cose brutte” che le ha fatto fare ma che, nel corso dell’incidente probatorio, non ha voluto rivelare. La donna, dal canto suo, ha sempre respinto ogni addebito affermando di non aver mai fatto prostituire la figlia, anzi di aver tentato di “far cadere in trappola” l’anziano coinvolto, temendo che davvero l’uomo volesse avere rapporti con la figlia.che si trovano ora nella stessa casa famiglia.

Cronache della Campania@2017


Messaggi in codice tra i boss Casalesi: corrispondenza vietata tra il figlio di Sandokan e lo zio Walter. Arriva la conferma della Cassazione

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Caserta. Boss detenuti al 41 bis: la Cassazione conferma lo stop della corrispondenza tra Nicola Schiavone, figlio primogenito del capoclan Francesco Sandokan e lo zio Walter. La lettere sospetta, sequestrata perchè conteneva delle parole sottolineate senza che si evidenziasse un pratico ed evidente motivo, aveva fatto scattare il divieto di corrispondenza tra i due detenuti. Divieto avallato dalla Cassazione. Le lettere, secondo i giudici della suprema corte, potrebbero nascondere dei messaggi in codice. Per Nicola Schiavone è stata anche respinta la richiesta di aumentare la durata dei colloqui con i familiari. Il provvedimento restrittivo sulla corrispondenza postale tra Nicola e Walter Schiavone era stato adottato dal Tribunale di Santa Maria Capua Vetere ed è stato confermato dai giudici della settima sezione della Cassazione alla quale il figlio di Sandokan aveva fatto ricorso. “L’ordinanza impugnata si legge nella sentenza – ha preso in considerazione in modo dettagliato sia l’alterazione di alcuni vocaboli con azioni di ricalco non giustificate da nulla, alla luce di una elementare ragionevolezza, ed ha spiegato le ragioni del fondato sospetto, con motivazione adeguata e priva di illogicità”.
La stessa settima sezione della Cassazione ha confermato il no all’aumento della durata dei colloqui fra Nicola Schiavone ed i congiunti. In questo caso vi era stata una diversa interpretazione della norma, in quanto il Magistrato di Sorveglianza prima e poi il Tribunale dell’Aquila avevano ritenuto sussistere tale possibilità esclusivamente quando non era stato fruito dal detenuto il colloquio nella settimana precedente. Avverso l’ordinanza Schiavone aveva proposto ricorso personalmente, deducendo l’erronea applicazione di legge e la mancanza di motivazione: in particolare era stato eccepito come la motivazione dell’ordinanza fosse apparente e che soprattutto, utilizzando una interpretazione discutibile, finiva per restringere i diritti del detenuto a mantenere i colloqui. In entrambi i casi, quindi, ricorso inammissibile e condanna al pagamento di duemila euro alla cassa delle ammende.

Cronache della Campania@2017

Discarica abusiva nel terreno di famiglia ad Acerra: nuovo processo per il re dei rifiuti Cuono Pellini

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Acerra. Discarica abusiva nel terreno agricolo sequestrato dalla Polizia municipale: processo per Cuono Pellini e la mamma ottantennem Maddalena Crispo. I due sono stati rinviati a giudizio anche per omessa bonifica, cioè per non aver risanato il terreno in cui era stata versata una valanga di rifiuti. La prima udienza si terrà il 22 gennaio e il Comune di Acerra si costituirà parte civile. Uno dei tre fratelli già condannati l’anno scorso per disastro ambientale in via definitiva, dovrà tornare sul banco degli imputati. Cuono Pellini si trova in carcere da alcuni mesi insieme ai fratelli Giovanni e Salvatore, quest’ultimo ex maresciallo dei carabinieri, per aver sversato in buona parte dell’hinterland napoletano milioni di tonnellate di rifiuti tossici provenienti dal nord Italia e dalla Campania. I reati contestati a Cuono e a sua madre sono discarica abusiva, violazione dei sigilli e omessa bonifica. Il rinvio a giudizio è una citazione diretta davanti al giudice monocratico del tribunale di Nola, Chiara Bardi.
Si prospetta una battaglia giudiziaria. Il Comune di Acerra ha incaricato l’avvocato penalista Domenico Russo per la costituzione di parte civile al processo. L’appezzamento di terreno finito nel procedimento, ampio alcune decine di migliaia di metri quadrati, si trova in località Lenza Schiavone, area agricola a nord di Acerra, dove cioè i fratelli Pellini avevano dislocato il loro principale impianto di smaltimento dei rifiuti, poi sequestrato dalla direzione distrettuale antimafia nel febbraio di quest’anno insieme a un vero e proprio impero composto da centinaia di case, appartamenti, ville e auto di lusso, elicotteri e conti bancari milionari. Un tesoro valutato dalla Guardia di finanza 222 milioni di euro.

Cronache della Campania@2017

Quarto, legami con il clan Polverino: una perizia fa slittare la sentenza nei confronti di Armando Chiaro

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Quarto. Ci sarà bisogno prima di alcune perizie tecniche prima di emettere la sentenza nei confronti di Armando Chiaro, ex coordinatore del Pdl a Quarto accusato di intestazione fittizia aggravata dall’aver favorito il clan Polverino. Lo hanno deciso i magistrati della corte d’Appello di Napoli,  che hanno rinviato la sentenza.
Secondo l’Antimafia di Napoli, Armando Chiaro avrebbe intestato a suo nome un’abitazione di Coma Ruga, in Spagna, ma in realtà riconducibile, dice l’accusa, all’organizzazione camorristica egemone tra Marano e Quarto. Chiaro era stato condannto in prima grado a 7 anni e 6 mesi di carcere ridotti poi in appello a sei anni. Ma la sentenza di secondo grado (riguardante anche il sequestro dei beni degli altri imputati) è stata poi annullata dalla Cassazione con rimando ai giudici dell’Appello. Ma prima dell’ulteriore sentenza sarà necessaria una nuova perizia tecnica sui beni.

 

Cronache della Campania@2017

Sant’Antimo, uccise la moglie: chiesto l’ergastolo per Carmine D’Aponte

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Sant’Antimo. Omicidio Stefania Formicola, il pm chiede l’ergastolo per Carmine D’Aponte. Il prossimo 18 gennaio udienza per la discussione del difensore, l’avvocato Mario Angelino del foro di Napoli. Si è tenuta stamattina presso il Tribunale Napoli Nord, l’udienza con il rito abbreviato per D’Aponte che si era reso responsabile dell’omicidio della moglie la 28enne uccisa all’alba del 19 ottobre del 2016, a Sant’Antimo, con un colpo di pistola al cuore dal marito Carmine D’Aponte dal quale si stava separando e con il quale era ferma in auto.
Ad Aversa, davanti al Tribunale di Napoli Nord, si era anche tenuto nei mesi scorsi una manifestazione contro il femminicidio in occasione dell’udienza preliminare sull’omicidio di Stefania Formicola. Nel corso dell’udienza il giudice Daniele Grunieri aveva accolto la richiesta di giudizio con rito abbreviato avanzata dal difensore Angelino, accusato in un primo momento di omicidio colposo. Inoltre, si sono costituiti parte civile il padre, la madre e la sorella della vittima, assistiti dalla criminologa investigativa Antonella Formicola.
Lo scorso maggio il tribunale per i minorenni ha sospeso la patria podestà dell’imputato e affidato provvisoriamente i due figli della coppia – di 2 e 5 anni – ai nonni materni. La tesi degli avvocati dei parenti di Stefania è che il marito, abbia agito con premeditazione. Inoltre, dalle trascrizioni delle conversazioni intercorse su WhatsApp, sarebbe emerso una storia di violenze che andavano avanti da anni.

Salvio Amarante

Cronache della Campania@2017

Riduce la moglie in schiava e la picchia, in carcere per tentato omicidio un uomo di Piscinola

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Napoli. Contro il volere dei genitori, aveva sposato quello che per lei era l’uomo della sua vita ma, ben presto, quello che doveva essere il coronamento di un amore idilliaco, si è trasformato in un incubo fatto di soprusi, vessazioni,  violenze fisiche e psicologiche brutali.Non è stato facile, per gli agenti del Commissariato di Polizia “Scampia”, scardinare il muro di omertà e convincere una giovane donna del quartiere Piscinola, madre di una bimba di 4 anni, nata dall’unione col suo aguzzino, a far emerge la raccapricciante verità. La donna, infatti, era totalmente soggiogata dal marito che, nonostante il perdurare delle violenze nel tempo, la paura di ulteriori conseguenze per la sua incolumità e della figlioletta, l’avevano annientata psicologicamente, tanto da ridurla in uno stato di schiavitù.
Costretta come Cenerentola a lucidare i pavimenti almeno dieci volte al giorno ed a pulire e rassettare casa l’intera giornata, veniva malmenata per futili motivi o sol perché non doveva smettere di lavare. Gli abusi nei confronti della donna, molto spesso, avvenivano sotto gli occhi atterriti della bambina. A causa delle violente percosse e dell’efferatezza con cui venivano compiute, oltre a deperirsi talmente tanto da pesare circa una quarantina di chili, il marito le aveva procurato l’incrinazione delle costole, la frattura del setto nasale e la distruzione della dentatura. La donna deve la sua vita all’intervento degli agenti del Commissariato di Polizia Scampia che, d’intesa con la Procura della Repubblica, hanno svolto articolate indagini, con l’ausilio di intercettazioni ambientali, che hanno così consentito l’arresto in flagranza dell’uomo a seguito di grave pericolo per l’incolumità della moglie. I poliziotti, intervenuti nello scorso mese di ottobre in soccorso della donna, arrestarono il coniuge perché responsabile dei reati di maltrattamenti in famiglia e lesioni gravi. La vittima, infatti, fu ricoverata immediatamente in uno ospedale cittadino per lesioni guaribili in 25 giorni.  Ad epilogo dell’attività d’indagine, il Pubblico Ministero ha chiesto per il coniuge 45enne un ulteriore provvedimento di custodia cautelare in carcere, per il reato di tentato omicidio, firmato dal G.I.P. proprio nella giornata di ieri, allorquando la malcapitata ha compiuto il suo 40° compleanno.

Cronache della Campania@2017

Evasione fiscale, sequestro da 800mila euro alla Di Nardi di Caserta

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Il Nucleo di Polizia Tributaria della Guardia di Finanza di Caserta ha completato l’esecuzione di un decreto di sequestro preventivo per un valore complessivo di circa 800.000 euro emesso dal Gip del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere – su richiesta della locale Procura – nei confronti della società “DHI DI NARDI HOLDING INDUSTRIALE S.p.A.”, con sede a Pastorano in provincia di Caserta, che esercita la “raccolta dei rifiuti solidi non pericolosi’, nonché il patrimonio del relativo rappresentante legale pro-tempore, Alberto Di Nardi. L’adozione della misura cautelare reale è intervenuta a seguito dell’esecuzione di specifiche indagini effettuate delegate dalla Procura alla Guardia di Finanza, all’esito delle quali si è acclarato che la società aveva omesso il prescritto versamento all’Erario delle ritenute operate per l’anno 2013, ponendo così in essere un’ingente evasione fiscale.

Cronache della Campania@2017

Corruzione a Catania, scarcerato l’imprenditore Briganti e dissequestrata la società dei rifiuti di Napoli e Caserta

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Il Tribunale del riesame di Catania ha disposto la scarcerazione di Rodolfo Briganti, il rappresentante legale della Senesi S.p.A., società che gestisce la raccolta dei rifiuti tra le provincie di Napoli e Caserta. L’imprenditore era stato arrestato dalla Dia di Catania per corruzione nell’ambito dell’inchiesta ‘Gorgoni’, il 28 novembre scorso, assieme ad altri 15 indagati per irregolarità nella gestione della raccolta e smaltimento di rifiuti nel Comune di Aci Catena. Lo rende noto la Senesi Spa sottolineando che il Tribunale del riesame di Catania ha “contestualmente disposto anche il dissequestro dell’azienda, finita in amministrazione controllata dopo l’arresto del suo dirigente”. Nei giorni scorsi era stata anche disposta la sospensione dell’interdittiva e il reinserimento nella White List della Prefettura di Fermo quale azienda esente dal pericolo di infiltrazioni camorristiche.  Il provvedimento è stato emesso dal Tribunale del riesame di Catania presieduto dalla dottoressa Larato, che ha annullato l’ordinanza di custodia cautelare emessa dal Gip Cristaldi, con cui era stato arrestato l’amministratore della Senesi S.p.A. Rodolfo Briganti, accusato di corruzione nei confronti del sindaco di Acicatena, Ascenzio Maesano. Il Tribunale, accogliendo le richieste degli avvocati Carmelo Peluso e Alessandro Lucchetti, ha disposto la scarcerazione dell’imprenditore e ha annullato l’ordinanza cautelare dello stesso GIP con cui erano state sequestrate le quote e i beni aziendali della Senesi S.p.A., società difesa dall’avvocato Luigi Latino, disponendone la restituzione ai proprietari. Senesi è capofila dell’Ati che attualmente esegue la raccolta dei rifiuti a Catania.

Cronache della Campania@2017


Scambio di voto politico mafioso, perquisite le abitazioni degli ex politici Pasquale Coppola e Giancarlo Fele

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Scafati. Scambio politico mafioso: perquisiti l’ex presidente del consiglio Pasquale Coppola e l’ex assessore e vicesindaco Giancarlo Fele. Oggi, gli uomini della Dia di Salerno, guidati dal colonnello Giulio Pini e dal capitano Fausto Iannaccone, hanno eseguito un decreto di perquisizione – emesso dalla Dda di Salerno – nei confronti dei due politici scafatesi, già destinatari di un avviso di conclusione delle indagini nell’ambito dell’inchiesta Sarastra che li vede coinvolti insieme all’ex sindaco di Scafati Pasquale Aliberti, ad altri politici e ad esponenti del clan Loreto-Ridosso. Gli uomini della Dia hanno riscontrato di fatto le dichiarazioni di alcuni collaboratori di giustizia in merito allo scambio politico mafioso per le elezioni amministrative del 2013. Le perquisizioni, disposte dalla Procura antimafia, erano finalizzate ad acquisire ulteriori riscontri a quelle dichiarazioni emerse in questi ultimi tre anni di indagini. A parlare di Coppola e successivamente di Fele era stato in primis, il pentito Alfonso Loreto che aveva raccontato anche di dazioni di danaro nei confronti di Dario Spinelli, pentitosi alcuni mesi fa, per convogliare voti nei loro confronti. Alle dichiarazioni di Loreto e Spinelli si sono aggiunte anche quelle di altri collaboratori di giustizia le cui dichiarazioni sono attualmente al vaglio degli inquirenti. Le perquisizioni hanno riguardato le abitazioni dei due indagati e gli uffici abitualmente frequentati. I dati raccolti saranno poi incrociati con quanto già agli atti della Procura antimafia e potranno essere inseriti nella voluminosa inchiesta che ha portato allo scioglimento del consiglio comunale per infiltrazione mafiosa.

Rosaria Federico

Cronache della Campania@2017

Ha chiesto lo sconto di pena l’anziano piromane del Faito

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Vico Equense. Ha chiesto e ottenuto di essere giudicato con rito abbreviato Cipriano Di Martino, il presunto piromane del Faito, imputato per incendio boschivo doloso. Ieri mattina il giudice dell’udienza preliminare Giovanni De Angelis ha accolto le richieste di costituzione di parte civile di comune di Vico Equense, Onlus Pro Faito, Wwf, Vas, e quella di giudizio abbreviato formulata dai difensori Enrica Visconti e Giuseppe Ferraro.
Il sessantenne di Moiano dunque, in caso di condanna, potrà ottenere la riduzione della pena. La sentenza arriverà il 10 gennaio prossimo. L’uomo, al momento è agli arresti domiciliari nella sua casa, a poca distanza dal luogo del disastro.

 

Cronache della Campania@2017

Condannata a 3 anni 8 mesi di carcere la mamma che faceva prostituire la figlia dodicenne

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Condannata a tre anni ed otto mesi la mamma 32enne di Pontecagnano accusata di aver indotto alla prostituzione la figlia 12enne. La sentenza è stata emessa al termine del processo che si è svolto con rito abbreviato davanti al gup del Tribunale di Salerno, Renata Sessa, che ha inflitto alla donna anche la pena accessoria della decadenza della potestà genitoriale. Induzione alla prostituzione ed estorsione nei confronti di un cliente (un ex sacerdote al quale la donna faceva credere che la sua gravidanza fosse frutto di un loro incontro occasionale) le accuse mentre è stata assolta dall’ipotesi di sfruttamento della prostituzione minorile così come richiesto dal pm Elena Guarino (anche se il magistrato aveva chiesto una condanna a 6 anni).
Secondo la ricostruzione della Procura, la donna avrebbe promesso la figlia ad un 83enne (già rinviato a giudizio) e ad alcuni suoi clienti per pochi spiccioli: dai 5 ai 15 euro. In qualche caso 20 euro.
Era stata la stessa minore, che ora si trova in una casa famiglia insieme alla sorellina di appena un anno, a spiegare nel corso di un’audizione protetta che la mamma  le faceva fare “quelle cose brutte” senza precisare, però, cosa. Ne avrebbe mai detto di aver avuto rapporti sessuali con l’anziano e i suoi amici.

 

Cronache della Campania@2017

Natale da libero per l’attore Diele che investì e uccise una donna a Salerno

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Domenico Diele, accusato di omicidio stradale aggravato per la morte della quarantottenne salernitana Ilaria Dilillo, trascorrerà la vigilia di Natale a piede libero. Il gup del Tribunale di Salerno, Piero Indinnimeo, ha respinto la richiesta del pm Elena Cosentino dell’obbligo di dimora e di presentazione alla Pg ritenendo le misure “inadeguate a far fronte all’eventuale rischio che l’imputato possa mettersi nuovamente alla guida di un’auto”. A Diele, poi, la patente è stata ritirata nel momento in cui investì – nella notte tra il 23 e 24 giugno scorso – la Dilillo che era in sella ad uno scooter lungo la corsia nord dell’autostrada del Mediterraneo (nei pressi dello svincolo di Montecorvino Pugliano).
Dal giorno della tragedia i familiari di Ilaria Dilillo si sono chiusi nel loro dolore non volendo rilasciare alcuna dichiarazione. E anche in questa occasione hanno preferito tacere rappresentando solo, all’avvocato Michele Tedesco che per loro conto si è costituito parte civile nel procedimento contro Domenico Diele, una grande delusione ed incredulità.
E senza parole, come riporta l’edizione salernitana de Il Mattino, è rimasta anche Paola Galano, amica di Ilaria: “Non è possibile, non ho parole. Secondo me, chi ha ucciso Ilaria avrebbe dovuto scontare i sei mesi in carcere. E non a casa comodamente”. A partire, quindi, dal giorno della vigilia di Natale (al termine della custodia cautelare), l’attore sarà libero dopo aver trascorso gli ultimi sei mesi agli arresti domiciliari. Il prossimo appuntamento in tribunale sarà il prossimo 5 febbraio per l’udienza preliminare: in quella sede l’avvocato professore Giuseppe Montanara e il coodifensore, avvocato Ivan Nigro, avranno la possibilità di chiedere l’abbreviato o procedere con il giudizio ordinario.
Intanto nell’udienza di mercoledì il gup ha disposto la costituzione di parte civile dei familiari della vittima ed ha ammesso la chiamata in giudizio – quale responsabile civile – della compagnia assicurativa Generali, così come richiesto dai difensori di Diele: proprio in base a tale richiesta è stato necessario l’aggiornamento dell’udienza per integrare il contraddittorio.

Cronache della Campania@2017

Arrestato per estorsione l’ex marito della figlia del boss Bidognetti

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È stato arrestato dalla guardia di finanza di Formia su indicazione della procura Antimafia di Napoli: Giovanni Lubello, l’ex marito di Katia Bidognetti, la figlia del boss del clan dei Casalesi, Francesco Bidognetti detto Cicciotto e’mezzanotte. È accusato di estorsione, in concorso con la ex moglie, anche lei dietro le sbarre dal febbraio scorso.  Secondo le indagini Katia Bidognetti avrebbe costretto i gestori dell’azienda “Mama Casa” di Cellole  ad acquistare, per quindicimila euro, una partita di vini venduta da Giovanni Lubello, l’ex marito della Bidognetti, già condannato a cinque anni di reclusione nel processo “Il Principe e la ballerina”.

Cronache della Campania@2017

Sentenze a favore degli amici, il Csm sospende il giudice Mario Pagano

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La sezione disciplinare del Csm ha sospeso dalle funzioni e dallo stipendio il giudice del tribunale di Reggio Calabria, Mario Pagano, arrestato nei giorni scorsi su disposizione del Tribunale di Napoli, con le accuse di associazione per delinquere, corruzione in atti giudiziari, truffa aggravata, e falso in atto pubblico.
Il magistrato e’ accusato in particolare di aver fatto in modo che gli venissero assegnate cause civili ai quali erano interessati amici imprenditori, per adottare decisioni a loro favorevoli. In cambio avrebbe ricevuto somme di denaro, sotto forma di finanziamenti a una societa’ sportiva di Roccapiemonte, suo paese di origine in provincia di Salerno di cui è presidente il fratello Carmine che è anche sindaco del paese  e regali. Accuse che si riferiscono a quando prestava servizio al tribunale di Salerno.
Chiesta dal ministro della Giustizia, la sospensione era scontata perche’ costituisce un atto dovuto, quando un magistrato, come in questo caso, viene arrestato.

Cronache della Campania@2017

Napoli, la legge non è uguale per tutti: stessa pena ma un giudice scarcera e un altro no

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Per alcuni giorni è sembrato quasi che a Napoli la legge non è uguale per tutti. E’ emblematico infatti il caso portato alla luce dagli avvocati Paolo Cerruti e Fabio Marfella. Due imputati condannati alla stessa pena per lo stesso reato (2 anni e 8 mesi per tentata estorsione) per i quali pero’ il Tribunale di Sorveglianza, chiamato a pronunciarsi sulla concessione della liberta’ anticipata, adotta decisioni opposte: un giudice decide per la scarcerazione di un imputato, un secondo giudice rigetta l’istanza e tiene in carcere l’altro. Una situazione – poi sanata dal presidente del Tribunale di Sorveglianza con la fissazione immediata di una nuova trattazione del reclamo conclusa con l’accoglimento della richieste dalla difesa – che viene comunque stigmatizzata in una nota dagli avvocati Paolo Cerruti e Fabio Marfella.
”E’ inaccettabile – scrivono i penalisti – che all’interno del medesimo Tribunale, due giudici diversi risolvano in maniera tanto dissimile una medesima questione, in spregio al principio di uguaglianza. Pur nel rispetto del lavoro dei giudici, occorre che venga adottato un indirizzo condiviso, anche perche’ un detenuto costa alla Comunita’ circa 350 ? al giorno”. Gli avvocati Cerruti e Marfella evidenziano che ”uno dei Presidenti del Tribunale di Sorveglianza, grazie al suo equilibrio e all’encomiabile spirito di sacrificio, resosi conto dell’assurdo giuridico che caratterizzava la vicenda, provvedeva ad una rapida fissazione della trattazione del reclamo, nonostante l’enorme carico. Come era logico e giuridicamente corretto, accoglieva le doglianze difensive, mettendo fine a questo increscioso calvario giudiziario, dopo una ingiusta carcerazione di 41 giorni, a cui si devono aggiungere quelli gia’ espiati in eccesso durante i domiciliari”.
”La legge, allora, non e’ uguale per tutti: un detenuto a Napoli – scrivono i legali – sicuramente vedra’ riconosciuti i propri diritti in tempi decuplicati rispetto al detenuto in altra Regione; addirittura, due condannati con la stessa posizione, detenuti nello stesso carcere, che hanno tenuto una condotta impeccabile, si trovano, per un capriccio della sorte, assegnati a magistrati diversi che decidono in maniera differente. Cio’ non puo’ e non deve accadere”.
Gli avvocati ripercorrono tutti i passaggi della complessa vicenda giudiziaria che ha visto coinvolti due imprenditori incensurati, M.R. e A.T., imputati nello stesso processo, davanti al Gup di Napoli, per tentata estorsione aggravata dal metodo mafioso. Furono entrambi condannati a 2 anni e 8 mesi di reclusione, con la concessione delle circostanze attenuanti generiche e del risarcimento del danno. Dopo un breve periodo di detenzione carceraria, i due vennero posti agli arresti domiciliari con autorizzazione a recarsi al lavoro, anche fuori regione. La condanna inflitta ai due imprenditori venne espiata quasi interamente ai domiciliari con autorizzazione al lavoro, fatta eccezione per un breve periodo residuo, che sarebbe stato assorbito nel calcolo dei giorni di liberazione anticipata per la buona condotta manifestata durante l’intero periodo detentivo. ”M.R. ha sempre rispettato le prescrizioni, non si e’ mai associato a pregiudicati, ha sempre svolto regolare attivita’ lavorativa. La riduzione per la buona condotte era un atto dovuto”, spiegano gli avvocati.
La contestazione dell’aggravante del metodo mafioso avrebbe dovuto, pero’, – sottolineano – obbligare la Procura ad emettere ordine di carcerazione ancora prima di valutare il periodo di buona condotta. ”L’art. 656 del codice di procedura appare, in questo caso, assolutamente ingiusto, illogico ed irrazionale, tale da imporre un’inutile carcerazione per un periodo brevissimo, per il solo fatto che fosse stata contestata l’aggravante del metodo mafioso, atteso che, con la concessione preventiva della liberazione anticipata, M.R. avrebbe espiato una carcerazione superiore a quella inflitta. La carcerazione, in estrema sintesi, avrebbe assunto i caratteri di una sanzione ingiustamente afflittiva e non gia’ rieducativa”. Esauriti tutti i gradi di giudizio, la Procura Generale, in accordo con la difesa, aveva proposto incidente di legittimita’ costituzionale per violazione del principio di uguaglianza e rieducativo della pena. La trattazione era fissata, dopo diversi rinvii, all’udienza del 20 dicembre scorso dinanzi alla Corte di Appello di NAPOLI. ”Inspiegabilmente, pero’, – scrivono Cerruti e Marfella – il 27 ottobre la Procura Generale ritirava la richiesta ed emetteva ordine di esecuzione per la carcerazione”.
”Pertanto, M.R. e il coimputato A.T. venivano tratti in arresto e condotti al carcere di Secondigliano, in attesa che due diversi magistrati di Sorveglianza, si pronunciassero sulla concessione della liberazione anticipata. Da tale momento si dividono le sorti dei due coimputati, condannati per gli stessi capi e con la medesima condanna. M.R. si e’ visto rigettare la richiesta per tutto il periodo di detenzione, fino alla sentenza di condanna di primo grado, sul presupposto che in imputazione fosse segnalata la perduranza della condotta, sebbene questa fosse stata smentita nella motivazione offerta in sentenza e, prima ancora, dalla natura del reato contestato, arrestatosi al tentativo. Al contrario, A.T., vedeva riconoscersi la liberazione anticipata per tutto il periodo di detenzione e veniva liberato”.

Cronache della Campania@2017


Scafati, abusivismo edilizio nell’azienda di famiglia dell’ex assessore all’Urbanistica Fele: scatta il sequestro della Polizia municipale

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Scafati. Ristrutturazione del capannone dell’azienda di famiglia con un’autorizzazione scaduta: scatta il sequestro per abusivismo per l’ex assessore all’Urbanistica del Comune di Scafati, Giancarlo Fele. Era assessore all’Urbanistica quando nel 2014 segnalò – attraverso una Scia – che l’azienda, gestita insieme ai fratelli, avrebbe fatto lavori di ristrutturazione, ma quella richiesta che ha una validità temporanea era scaduta. E così gli agenti della Polizia municipale hanno provveduto a sequestrare la struttura di via Poggiomarino.
Ad accorgersi dei lavori gli uomini della Dia che giovedì scorso hanno effettuato una perquisizione nell’abitazione dell’ex assessore all’urbanistica e poi vicesindaco dell’ex primo cittadino Pasquale Aliberti. I controlli successivi della Polizia municipale hanno poi confermato che i lavori venivano effettuati senza autorizzazione visto che la Scia, l’autorizzazione di inizio attività, era ormai scaduta. Giancarlo Fele con i fratelli gestisce un’azienda che si occupa di progettazione per la depurazione delle acque. L’ex vicesindaco è indagato nell’ambito dell’inchiesta Sarastra per scambio elettorale politico-mafioso nell’ambito delle elezioni amministrative del 2013.
Nei giorni scorsi, gli uomini della Dia di Salerno, guidati dal colonnello Giulio Pini e dal capitano Fausto Iannaccone , – per ordine della Procura antimafia – gli hanno notificato un avviso di garanzia con contestuale perquisizione. Perquisito e avvisato, per i medesimi reati, anche l’ex presidente del Consiglio comunale Pasquale Coppola. Giancarlo Fele ha retto per un mese circa le sorti del Comune di Scafati dopo le dimissioni di Pasquale Aliberti da sindaco nel dicembre del 2016. Ora per l’azienda di famiglia dell’ex assessore all’Urbanistica arriva la denuncia per abusivismo edilizio. Sarà stata la ritrosia, a frequentare nuovamente gli uffici comunali dopo la fine della consiliatura per lo scioglimento del consiglio comunale per infiltrazioni mafiose, ma i Fele hanno dimenticato di rinnovare la richiesta di autorizzazione ad effettuare i lavori di ristrutturazione. Fatto sta che è scattato il sequestro.

 Rosaria Federico

Cronache della Campania@2017

Drogato alla guida uccise una donna di Salerno: l’attore Diele è già libero

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Sono scaduti oggi i termini della custodia cautelare agli arresti domiciliari per Domenico Diele, l’attore 31enne accusato di omicidio stradale aggravato per la morte della 48enne Ilaria Dilillo. Lo scorso 23 giugno la donna fu colpita dall’auto guidata da Diele mentre era a bordo del suo scooter sulla A2 all’altezza dello svincolo di Montecorvino Pugliano, in provincia di Salerno. Il 26 giugno il gip di Salerno, al termine dell’udienza di convalida dell’arresto, ha deciso per gli arresti domiciliari con braccialetto elettronico, che Diele ha scontato a casa della nonna.

Cronache della Campania@2017

Trova la moglie con l’amante e denuncia l’uomo per furto ma va a processo per calunnia

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Sant’Egidio. Tornò a casa e trovò la moglie in compagnia di uno sconosciuto, così decise di chiamare i carabinieri facendolo passare per ladro. Ora, però, rischia di essere processato per calunnia, minacce e lesioni personali. La vicenda, accaduta a Sant’Egidio del Monte Albino lo scorso 25 luglio, vede un nocerino di 39 anni che davanti a questa situazione iniziò ad inveire contro la moglie trovata con il suo nuovo compagno. Il 39enne dopo aver minacciato con un coltello la donna chiamò i carabinieri dicendo di aver trovato un ladro in casa. Riferì ai militari che lo stesso si era introdotto in casa sua pur sapendolo innocente. I carabinieri, giunti poi sul posto, ascoltarono e verbalizzarono le versioni dei tre. Quell’uomo non era un ladro ma il nuovo compagno della donna. La vicenda è finita in un fascicolo della Procura presso il tribunale di Nocera Inferiore, che dopo aver concluso le indagini ha chiesto per l’indagato, originario del posto, il rinvio a giudizio. Le accuse sono minaccia, lesioni personali e calunnia. Il compagno e la donna si costituiranno sicuramente parte civile nel processo.

Cronache della Campania@2017

Morì a 38 anni perché i medici non si accorsero dell’emorragia cerebrale: in tre rischiano il processo

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Arriva la richiesta di rinvio a giudizio da parte del sostituto procuratore Gianpolo Nuzzo di Nocera Inferiore per i tre medici iscritti sul registro degli indagati per la morte della 38enne Daniela Delli Priscoli. L’accusa formulata è di omicidio colposo per negligenza, imprudenza e imperizia. A rischiare il processo sono il medico di base della donna di Mercato San Severino e di due ospedalieri in servizio presso la struttura di Fucito.
Daniela morì nel dicembre del 2016 lasciando tre figli, il più piccolo di soli sei mesi e questo perché nessuno dei tre sanitari, secondo l’accusa, predispose esami approfonditi per capire l’origine dei lancinanti dolori alla testa. Per questo motivo la sua famiglia si è affidata all’avvocato Francesco Dustin Grancagnolo per vedere affermato il proprio diritto alla giustizia. Secondo il perito di parte civile, il neurologo e medico legale Tito De Marinis, Daniela poteva essere salvata se le fossero stati fatti approfonditi esami. Sulla stessa lunghezza d’onda anche la perizia della procura, affidata al medico legale Giovanni Zotti che ha accertato che la donna è morta per un aneurisma cerebrale. Era la mattinata del 5 dicembre del 2016 quando Daniela andò in ospedale a Mercato San Severino per una forte cefalea. I medici riscontrarono una grave ipertensione arteriosa, di massima gravità, e, nonostante al momento delle dimissioni, la donna fosse colta da un nuovo e fortissimo dolore, che secondo prassi doveva essere calmato con una terapia farmacologica, i medici omisero di ricoverarla e anche di effettuare una tac ed altre indagini. Tac che, secondo quanto poi dichiarato dagli stessi sanitari, non fu eseguita perché in quel momento l’apparecchio era fuori uso. Ma non fu neanche disposto il suo trasferimento in un’altra struttura sanitaria. Ma la dimisero prescrivendole ulteriori approfondimenti diagnostici di natura ortopedica per i forti dolori al collo. Il giorno successivo il medico di famiglia della Delli Priscoli, invece, senza una adeguata diagnosi, le prescriveva soltanto un ansiolitico, ovvero un holter pressorio per la cefalea senza considerare una diagnosi di natura vascolare o neurologica. Infatti la donna aveva una emorragia cerebrale in corso.
Tant’è che nel giro di pochi giorni dalle dimissioni è tornata nuovamente in ospedale, ma questa volta al San Giovanni di Dio e Ruggi d’Aragona, per non uscirne mai più viva. Qui i medici non hanno potuto far altro che constatarne la morte cerebrale. Le sue ultime parole, nel corso della nottata, prima dell’ennesimo ricovero sono state al marito: «Portami in ospedale, non sto bene», poi in ambulanza ha perso i sensi.
Nonostante il dolore per la improvvisa morte, però, il marito volle assecondare le sue volontà e chiedere nel corsod ella stessa nottata al giudice l’autorizzazione per l’espianto dei suoi organi che hanno regalato la vita ad altre persone. Polmoni, reni, cuore, fegato e cornee sono stati donati a persone che erano in lista d’attesa per un trapianto in varie località italiane.
Un calvario, quello di Daniela, durato in tutto una ventina di giorni durante i quali nessuno le ha indicato gli esami giusti da fare per capire a cosa potessero essere legati quei dolori alla testa che le creavano dei veri e propri momenti di choc.

Cronache della Campania@2017

Nola, a giudizio 38 furbetti del cartellino del comune

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Si è concluso con 38 rinvii a giudizio, 24 proscioglimenti ed un’assoluzione con rito abbreviato la maxi udienza preliminare contro i furbetti del cartellino del Comune di Nola tenuta davanti ai magistrati di piazza Giordano Bruno. Sotto la lente di ingrandimento gli ingressi e le uscite degli impiegati comunali che si occupavano delle procedure per una delle scorse tornate elettorali. L’esplosione del caso circa un anno fa, quando nel gennaio scorso la Procura di Nola, fece scattare 63 denunce in stato di libertà nei confronti di altrettanti impiegati (tra cui un dirigente) accusati di avere fatto passare ad altre persone il badge per l’attestazione della presenza in ufficio. Il periodo preso di mira dagli investigatori è stato quello relativo alle elezioni amministrative del 2014, quando fu eletta l’attuale amministrazione.
Sotto l’occhio attento degli investigatori in particolar modo lo svolgimento del lavoro straordinario per le votazioni. Sono stati circa quattrocento gli episodi incriminati. Si trattava in tutti i casi di piccole assenze, della durata di un’ora al massimo,ma comunque quando gli impiegati dovevano essere al lavoro. «Pause» per andare a sbrigare affari privati, il tempo di andare e venire: la sosta al bar, le compere al negozio o al supermercato, il cane da portare a spasso. A svolgere le indagini i carabinieri della compagnia di Nola, al comando del capitano Degli Effetti, i quali hanno poi steso un rapporto dettagliato per la Procura. Ad emettere il verdetto è stato il Gup di Nola Giuseppe Sepe, al termine di un’udienza preliminare iniziata il 24 maggio scorso. A dirigere le indagini è stato il sostituto procuratore della Repubblica Maurizio De Franchis, il quale dopo aver visionato lunghe ore di immagini riprese dalle telecamere, ha depositato la richiesta di rinvio a giudizio il primo marzo.
La principale fonte di prova è stata una telecamera nascosta, sistemata nell’impianto di illuminazione di emergenza. Per 38 degli indagati è stato disposto il rinvio a giudizio. Già fissata la data per l’inizio del dibattimento, che sarà avviato il 17 aprile del prossimo anno di fronte al giudice monocratico Di Petti. Ecco invece l’elenco delle persone per le quali il giudice ha dichiarato non luogo a doversi procedere prosciogliendoli dalle accuse: Erasmo Caccavale, Carmelina Caruso, Francesco De stefano, Rosa Di Domenico, Felice Di Somma, Giuseppe Ferrante, Matilde Fusco, Manlio Gallucci, Lucia Giugliano, Filomena Liberti, Vincenzo Nappi, Vincenzo Napolitano (nato nel 1957), Vincenzo Napolitano (nato nel 1962) Tobia Nunziata, Felice Pacchiano, Gennaro Pezzillo, Francesco Peluso, Gatano Peluso, Guido Pizza, Felice Romano, Mauro Romano, Paolino Santaniello, Stella Rita Giulia Scala e Adriana Tudisco. Tra i prosciolti anche un dirigente, Paolino Santaniello. Tra i legali che difendevano le varie persone coinvolte anche l’avvocato Paola Guarino.
Diversa invece la posizione dell’unica indagata che ha deciso di chiudere la vicenda attraverso il ricorso al rito abbreviato: si tratta di Carmela Iovino. Il giudice in seguito alla richiesta ha stralciato la posizione ed ha emesso nei suoi confronti una sentenza di assoluzione nel merito. Nella vicenda è scesa direttamente in campo anche l’amministrazione comunale di Nola, attraverso il sindaco Geremia Biancardi, che ha deciso di costituirsi parte civile contro i furbetti del cartellino. Nel procedimento è già presente infatti l’avvocato incaricato dal Comune, il quale, nell’ipotesi di condanna di qualcuno dei 38 rinviati a giudizio chiederà un risarcimento economico in favore delle casse comunali.

Cronache della Campania@2017

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