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Channel: Cronaca Giudiziaria
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Napoli, detenuti picchiati nella ‘cella zero’ del carcere di Poggioreale: rinviato il processo ai 12 agenti penitenziari

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Prima udienza, oggi nel Tribunale di Napoli, del processo che vede imputati dodici agenti di Polizia Penitenziaria accusati di avere picchiato detenuti nella casa circondariale napoletana di Poggioreale. I fatti contestati agli agenti – secondo quanto riferito dai detenuti che hanno denunciato i presunti pestaggio – si sarebbero verificati alcuni anni fa in un locale del carcere chiamato “cella zero”.
Il giudice monocratico della terza sezione penale, Lucio Galeota, dopo la costituzione delle parti, ha fissato la prossima udienza per il primo marzo 2018. L’avviso di conclusione indagini, firmato dalle pm pm Giuseppina Loreto e Valentina Rametta, ha riguardato, inizialmente, oltre una ventina di agenti. Gli inquirenti, dopo avere ascoltato gli indagati e acquisito memorie difensive, hanno chiesto l’archiviazione per alcuni degli agenti.
Cinque i casi ritenuti dagli inquirenti riscontrati dalle dichiarazioni incrociate delle vittime, mentre per altri episodi relativi a presunti abusi di potere e’ stata chiesta l’archiviazione. I reati contestati a vario titolo vanno dal sequestro di persona (due i casi contestati), all’abuso di potere nei confronti di persone detenute, lesioni e maltrattamenti. I fatti contestati si riferiscono agli anni 2013 e 2014. La vicenda venne alla luce in seguito a un esposto del Garante per i diritti dei detenuti.


Estorsioni tra Castellammare, Pompei e Scafati: 34 tra boss e gregari rinviati a giudizio. TUTTI I NOMI

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Estorsioni agli imprenditori di Scafati e comuni Vesuviani aggravate dal metodo mafioso:  sono 34 tra boss e gregari del clan Ridosso-Loreto e del clan Cesarano che sono stati rinviati a giudizio. Molti hanno annunciato di procedere con il rito alter­nativo, patteggiamento per le poche posizioni marginali e abbreviato {processo ordinario) per quelle più gravi. Gli avvo­cati difensori formuleranno le richieste nella prossima udienza prevista per il 20 no­vembre a Salerno.
Alla sbarra ci sono  Giovanna Barchiesi (sorella dell’ex consigliere comunale di Scafati, Roberto), Giacomo Casciello, Giuseppina Casciello, Roberto Cenatiempo, Giovanni Cesarano, Rosalia Ciatti, Gaetano Criscuolo alias “Mesopotamia”, Francesco Pa­olo D’Aniello, Giuseppe Iorio alias “Peppe o’ killer”, Mario Di Fiore alias “o’ cafone”, Pasquale Di Fiore alias “il figlio do’ ca­fone”, Fiorentino Di Maio, Lu­igi Di Martino alias “Gigino o’ profeta”, Aldo Esposito Fluido, Giovanni Vincenzo Immediato, Michele Imparato detto Massi­mo, Alfonso Loreto, Pasquale Loreto, Antonio Matrone detto Michele, Francesco Matrone, Giovanni Messina, Alfonso Morello alias “o’ Balanzone”, Giuseppe Morello, Francesco Nocera alias “cecchetto”, Anto­nio Palma, Vincenzo Pisacane alias “coccodè”, Giuseppe Ricco detto “Pinuccio ‘o foggiano, Gennaro Ridosso, Luigi Ridosso, Romolo Ridosso, Salvatore Ridosso e Mario Sabatino.
Tra le estorsioni  figurano quelle al “Re Bingo” di Pompei gestito dai fratelli Moxedano, dove fu picchiato il custode del parcheggio per un ritardo nei pagamenti, poi alla sala Bingo di Scafati di via Vitiello e poi la vicenda delle tre ditte del clan Loreto-Ridosso, le cui quote erano state sequestrate, imponevano l’appalto delle pulizie nella zona compreso al “Centro Plaza” di Scafati. L’usura arrivava ad un tasso di interesse annuo pari al 120%. Per la pubblica accusa a Scafati tutto ruotava intorno a tre ditte e in particolare alla “Italia Service”, l’azienda che serviva per acquisire gli appalti dei servizi di pulizia, attraverso il metodo mafioso-camorristico, presso le varie sale bingo del comprensorio, il Centro Plaza di Scafati e alcune aziende del comprensorio conserviero.
Una struttura aziendale apicale che, dietro Cenatiempo, avreb­be avuto a capo gli esponenti di spicco dei Loreto-Ridosso. L’inchiesta è nata dopo le di­chiarazioni dei collaboratori di giustizia Alfonso Loreto e Ro­molo Ridosso, finiti nel mirino della giustizia a settembre del 2015 con un altro blitz messo a segno tra Scafati, Castellammare di Stabia e Boscoreale per un gruppo dedito alle estorsioni a danno di commercianti di Scafati e che portò alla cattura dei vertici dell’organizzazione criminale.

 

 

 

Pestaggio in Metropolitana per una sigaretta: 42 anni di carcere ai tre casertani

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Pesanti condanne per i tre giovani campani accusati di tentato omicidio nei confronti di Maurizio Di Francescantonio, brutalmente picchiato in un vagone della metropolitana di Roma, nel settembre del 2016. In particolare, i giudici della decima sezione penale, hanno condannato a 17 anni e 9 mesi Antonio Senneca, e a 14 anni ciascuno Luigi e Gennaro Riccitiello. Il solo Senneca, inoltre, è accusato anche di lesioni ai danni della madre di Di Francescantonio, presente insieme al figlio nel vagone in cui si sono svolti i fatti. A scatenare la violenta aggressione era stata una richiesta fatta dalla vittima agli imputati. Il trentasettenne aveva chiesto a uno dei tre di spegnere la sigaretta che stava fumando nello scompartimento.
Le immagini del violento pestaggio sono ancora impresse nella mente dei passeggeri che assistettero sgomenti alle violenze. Era il 18 settembre del 2016 quando Maurizio Di Francescantonio, oggi 39enne, chiese a tre passeggeri che si trovavano sullo stesso vagone della Metro B di non fumare all’interno del convoglio. I tre, tutti casertani, per tutta risposta lo picchiarono selvaggiamente lasciando in terra in fin di vita.
A Senneca veniva contestata anche l’accusa di lesioni ai danni della madre dell’allora 37enne e la resistenza a pubblico ufficiale. Il fatto avvenne di domenica pomeriggio su un convoglio della metro B, in prossimità della fermata Piazza Bologna. Senneca e gli altri, tutti residenti a Maddaloni in provincia di Caserta, vennero identificati grazie alle immagini delle telecamere di sorveglianza.

Si nascondeva nella casa della sua ex, arrestato il latitante dei ‘palazzi azzurri’ di Mondragone

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Mondragone. Era a capo di un’organizzazione che rubava e riciclava autovetture: arrestato il latitante Gennaro Buonocore. I Carabinieri della Compagnia dei carabinieri di Mondragone, hanno arrestato il 45enne Buonocore Gennaro, pluripregiudicato, destinatario di un’ordinanza di custodia cautelare in carcere per associazione per delinquere finalizzata ai furti e al riciclaggio. L’indagato, ritenuto il vertice dell’associazione per delinquere finalizzata a furti di autovetture e commercio delle componenti delle vetture di provenienza delittuosa, si era reso latitante il 2 agosto 2017, data in cui i Carabinieri avevano eseguito una vasta perquisizione presso le palazzine popolari di Mondragone, note come “palazzi azzurri”, site in via Palermo n. 33 ed avevano eseguito otto ordinanze di custodia cautelare in carcere nei confronti dei gregari del Buonocore.
A partire dalla sua latitanza, la Polizia Giudiziaria, diretta dalla Procura di Santa Maria Capua Vetere, coordinata dal procuratore aggiunto Alessandro Milita, ha attuato una complessa investigazione finalizzata alla localizzazione del latitante con l’utilizzo di intercettazioni telefoniche ed ambientali e pedinamenti, attraverso le più moderne e sofisticate tecnologie di indagine con particolare attenzione al monitoraggio dei profili “Facebook” riconducibili ed utilizzati dal latitante.
I Carabinieri di Mondragone, forti delle risultanze investigative raccolte, hanno fatto irruzione, nelle primissime ore del giorno, all’interno dell’appartamento in uso ad una ex compagna del latitante ove il Buonocore era stato ospitato negli ultimi giorni.

Redditi nascosti, sequestro per un milione a un imprenditore edile di Agropoli

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Agropoli. Nascondeva i suoi redditi al Fisco: sequestro di un milione di euro ad un imprenditore edile. Per 2 anni, nel 2011 e nel 2012, ha nascosto al fisco un reddito per il quale avrebbe dovuto pagare imposte dirette e Iva per circa un milione di euro. Per questo la Guardia di Finanza di Salerno ha eseguito un decreto di sequestro di beni emesso dal tribunale di Vallo della Lucania nei confronti di un imprenditore edile di Agropoli, S.A., 47 anni, che deve rispondere di dichiarazione infedele, reato tributario per il quale è prevista la reclusione da 1 a 3 anni. Il sequestro è preventivo e per equivalente, e ha riguardato denaro contante, disponibilità liquide, rapporti bancari, una moto e una Porsche Cayenne nonchè 13 immobili tutti ad Agropoli (5 appartamenti, 4 garage e 4 terreni).

Le mani del clan Orlando su Calvizzano: chiesto il processo per 11 tra boss e gregari. TUTTI I NOMI

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Compariranno il 22 dicembre, davanti al giudice per l’udienza preliminare gli 11 esponenti tra boss e gregari del clan Orlando raggiunti nel luglio scorso da una seconda ordinanza di custodia cautelare emessa sempre dal gip Francesca Ferri e che riguardava il traffico di droga e una serie di estorsioni compiute dalla cosca nel comune di Calvizzano. In quell’inchiesta è coinvolto anche l’imprenditore edile e vice sindaco del paese, Antonio Di Rosa che il ras Mario Sarappo chiama in segno di rispetto “Zi Antonio”.
L’imprenditore subisce  un’estorsione per dei lavori di carpenteria che stava eseguendo in un edificio poi fa da intermediario tra il clan Orlando e i proprietari dell’appartamento. Ma è Mario Sarappo che come scrive il gip “conduce tutta la trattativa estorsiva, fungendo da intermediario dell’azione criminosa, conducendo il Di Rosa prima da Orlando Angelo (o’malomm) e poi da Orlando Raffaele (Papele), altresì facendolo incontrare con Carbone Castrese, nonché concordando con Carbone Castrese ai traslare quanto richiesto a titolo estorsivo ai committenti Russo-Pellegrino, sfruttando poi Di Rosa Antonio quale intermediario tra il gruppo criminale e i predetti committenti, così costretti a mettersi a posto e versare una somma non quantificata per i lavori commissionati, somma poi materialmente riscossa da tale Massimo – allo stato non identificato – fiduciario di Papele, come chiarisce Sarappo Mario a Felaco”.
Tra le 11 persone ci sono Chiara Catuogno, 38 enne, finita ai domiciliari , moglie del ras del clan Polverino Antonio Napolano detto ‘o mostro attualmente detenuto e che si rivolge agli Orlando per un recupero crediti di 24mila euro dall’ex socio del marito gestore di un pub. E poi i boss Raffaele Orlando,63 anni alias Papele, Angelo Orlando, 38 anni detto ‘o malomm, Raffaele Veccia, 40 anni detto ‘ marisciallo e Mario Sarappo di 48 anni. E con loro Castrese Carbone 37 anni, considerato il reggente per conto del clan Orlando nel comune di Calvizzano nonché nipote da parte di madre del ras del clan Polverino, Luigi Esposito detto celeste, Giuseppe Assenzo (48 anni), Salvatore Trinchillo (56 anni), Cristoforo Chianese (46 anni), , Vittorio Felaco (25 anni) e Crescenzo Muoio (54 anni).
Dall’indagine è emerso come il 
clan Orlando avesse ampliato e consolidato l’egemonia criminale anche su Calvizzano, area sulla quale era stato posizionato Castrese Carbone quale apicale e referente.

 

 

Camorra, il pentito: ”Ecco come fu ucciso Giacomo De Fenza a Pianura”

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“Giacomo fu ucciso per ordine di mio cugino Luigi Pesce detto ’o milanese, poi diventato collaboratore di giustizia, in quanto si diceva che faceva le estorsioni per conto del clan Lago a Pianura. L’omicidio fu commesso materialmente da Luigi Pesce, Diego Basso ’o cacaglio”, Carmine Pesce e Vitale Perfetto”.
Sono le confessioni di Giovanni Romano detto ‘o maccarone, figlio di Giuseppe Marfella ’o percuoco, anziano leader ed ex reggente del clan Marfella-Pesce, in merito all’omicidio di Giacomo De Fenza. Ieri la squadra mobile di Napoli grazie alle sue confessioni ma anche degli altri pentiti come il boss Pasquale Pesce ‘e bianchina e Diego Basso, suicida in carcere lo scorso anno, ha arrestato due dei presunti assassini: Vitale Perfetto, 38 anni, attuale reggente della co­sca e un altro anziano ras ovvero Carmine Pema, 66enne.
Ecco il racconto di Romano nel dettaglio: “Ricordo che io, insieme alle persone che ho indicato, ci trovammo nei pressi dell’abitazione di Luigi Pesce e Diego Basso sotto i porticati in via Cannavino. A un tratto Diego Basso vide passare un’Alfa 33 rossa e disse testualmente ‘eccolo là, è lui’. A quel punto Luigi Pesce prese uno scooter e fece salire dietro di lui Diego Basso mentre Vitale Perfetto e Carmine Pesce indossarono caschi integrali e salirono in sella a un altro motorino guidato da Carmine Perna. Io non andai con loro e rimasi in via Cannavino.
Ricordo che dopo 10-15 minuti tornarono e io li aiutai a nascondere gli scooter e i caschi. Ricordo pure che Vitale Perfetto disse testualmente: non ha capito niente ha preso tutte le 4 botte”.

(nella foto da sinistra i due pentiti, il boss Pasquale Pesce e’e bianchina e Giovanni Romano ‘o maccarone e Vitale Perfetto uno dei killer arrestato ieri)

Camorra a Marano, il pentito Perrone: ”L’imprenditore Amelio fu ucciso dal clan Polverino”

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Enrico Amelio, l’imprenditore edile di Mugnano vittima di un agguato di camorra nel 2006, fu ammazzato dai sicari del clan Polverino. Lo ha ribadito nel corso del processo che si sta svolgendo davanti ai magistrati della quarta sezione della Corte d’Assise di Napoli, il collaboratore di giustizia Roberto Perrone, per anni braccio destro del boss Giuseppe Polverino.
Il collaboratore di giustizia ex uomo di riferimento dei Polverino nel comune di Quarto, ha spiegato di aver appreso dalla televisione della morte di Amelio, suo amico, mentre era in carcere e di avere poi parlato di quella vicenda con Castrese Paragliola, sempre durante il periodo della sua detenzione. “Fu Paragliola a confermarmi che ad uccidere Enrico Amelio erano stati gli uomini del clan Polverino”, ha ribadito in videoconferenza Perrone.
L’imprenditore pagò con la vita perché lo zio, Leonardo Carandente Tartaglia, mise gli occhi su alcuni terreni, nel comune di Quarto, oggetto degli interessi della cosca che ne avrebbe ricavato almeno tre milioni con una speculazione edilizia. Ma Amelio doveva avere  soltanto una “lezione”: la gambizzazione, si trasformò in omicidio perché uno dei quattro proiettili che lo centrarono alle gambe recise l’arteria femorale dell’imprenditore, provocandone la morte.
“Per l’organizzazione dell’agguato – ha ricordato Perrone – furono convocati anche Giuseppe Perrotta e Salvatore Liccardo”. Nell’agguato, a vario titolo, secondo le tesi formulate dall’accusa, furono coinvolti Claudio De Biase, indicato come l’esecutore materiale, Salvatore Liccardo, Salvatore Simioli, Salvatore Cammarota e Gaetano D’Ausilio, altro collaboratore di giustizia già ascoltato dagli inquirenti nei mesi scorsi.


Suicidio di Tiziana Cantone, il gip archivia l’inchiesta sull’istigazione

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Tiziana Cantone, la 31enne di Mugnano, in provincia di Napoli, suicida dopo la diffusione sul web di suoi video hard, non e’ stata istigata da qualcuno a compiere il gesto estreno. O meglio, non ci sono prove e per questo il giudice per le indagini preliminari di Napoli Nord ha archiviato l’inchiesta aperta contro ignoti per istigazione al suicidio. La ragazza fu trovata senza vita, con un foulard al collo, nella sua casa il 13 settembre 2016. Non aveva retto all’onta provocata dai filmati hot che aveva girato con il suo ex fidanzato e che erano stati pubblicati in rete. Migliaia di visualizzazioni e altrettanti commenti oltraggiosi, che poi si sono continuati anche dopo la sua tragica fine.
La 31enne di Mugnano aveva chiesto anche al giudice il diritto all’oblio e il cambio del nome, ma a nulla era servito. La goccia che fece traboccare il vaso, cosi’ come ha sempre raccontato la mamma, era stata la sentenza che la condannava alle spese processuali per una causa civile intentata contro i colossi del web Facebook, Google e Youtube che avevano rilanciato i suoi video in diversi link, molti dei quali non erano stati prontamente rimossi. Nel fascicolo aperto dalla procura di Napoli Nord ad Aversa non c’era nessun iscritto, anche se non meno di 20 persone informate sui fatti erano state citate. Alla fine, il pm Rossana Esposito ha deciso di chiedere l’archiviazione. Sono stati invece prosciolti i cinque ragazzi che erano stati accusati da Tiziana di aver diffuso in rete i video che da lei stessa erano stati girati via chat. Il giudice ha stabilito invece che il fidanzato Sergio Di Paolo dovesse essere incriminato per calunnia, in quanto, sarebbe stato proprio lui a convincere Tiziana ad accusare i cinque ragazzi.

Cronache della Campania@2017

Camorra, le minacce del boss Zagaria al giornalista Sandro Ruotolo: ‘Lo possano squartare’

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Come quell’altro, Ruotolo, Ruotolo, che dice che io avevo contatti con i servizi segreti. Ma perche’ ti permetti di dire queste cose? ti possano squartare vivo…”. E’ un frammento del colloquio avvenuto nel carcere di Opera tra il boss del clan dei Casalesi Michele Zagaria e alcune familiari nel carcere di Opera.
Conversazioni videoregistrate dagli investigatori della Dia e inserite nell’inchiesta che oggi ha portato in carcere la sorella e tre cognate del capoclan, con l’accusa di aver gestito la ”cassa” della organizzazione camorristica. Le frasi minacciose pronunciate dal boss sono all’origine della decisione di assegnare una protezione al giornalista Sandro Ruotolo, che da allora vive sotto scorta.

Cronache della Campania@2017

Camorra, il pentito: ‘La droga a San Giorgio o la prendete dai Troia o pagate il pizzo di 100 euro a settimana’

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E’ stato Giovanni Gallo il primo pentito del clan Troia di San Giorgio a Cremano sgominato ieri dalla Dda di Napoli in un blitz che ha portato a ben 33 persone tra capi e gregari in carcere. Il collaboratore di giustizia ha ripercorso la storia criminale della famiglia Troia affrancatosi dagli Abate “cavallari”, il ruolo degli esponenti della famiglia a comincia da Vincenzo Troia, reggete della cosca dopo l’arresto del padre Ciro e poi quello di Immacolata Iattarelli, la mamma, diventata spietata boss decisionista a tal punto da imporre le sue regole a tutti. Ha messo a verbale Gallo: “La prima cosa di cui voglio dirvi e che sono detenuto per un episodio di spaccio di droga (7 5 grammi) dal giugno del 2012 episodio per il quale non avrei sofferto presumibilmente lunga detenzione ma sono mesi che rimurgino con la mia coscienza e mi devo affidare a qualcuno per uscire da questa
situazione….omissis… Vi spiego come sono andati i fatti: mi occupo da sempre di spaccio di droga attività c he s volgo chiaramente con “l’autorizzazione ” del clan camorristico locale.
Anzi in proposito vi preciso che siccome Enzo Troia reggente a San Giorgio dopo la scissione con gli Abate non permetteva a nessuno di vendere droga al di fuori della sua gestione  anche io seguivo questa regola. Secondo le indicazioni di Troia o avrei dovuto comprare la droga da lui oppure avrei potuto comprarla da altri versando però una quota di cento euro a settimana al predetto Troia. Io lavoravo da anni con Andrea Attanasio, cognato di Enzo Troia (costui ha spostalo la sorella di Attanasio) e la droga l’ho sempre presa da lui e così Attanasio per non essere in difficoltà con il cognato Enzo Troia mi vendeva la droga – mi dava 50 grammi di cocaina a settimana – a cinquantacinque euro a grammo, anziché cinquanta prezzo di mercato proprio perché i cinque euro andavano al cognato. Io gestivo una piazza di spaccio nel quartiere dove abito cosiddetto “Manicomio”….Omissis.
Preciso che nella struttura camorristica Andrea Attanasio aveva capacità criminali sicuramente superiori a quelle del cognato Enzo Troia, che invece voleva solo cercare di prendere soldi in tutti i modi ed in quel periodo doveva affermare la sua supremazia con il clan Abate e quindi l’omicidio di Ciro Formicola coniugava diverse esigenze, sia la vendetta per l’estorsione denunciala sia l’obiettivo di colpire una persona vicina agli Abate, tale era il Ciro Formicola e quindi ribadire la supremazia su San Giorgio di Enzo Troia…mi chiedete di chiarire se nel periodo in cui sono stato libero ho avuto contatti e conoscenze con ambienti camorristici e di che genere, invitandomi a riferire tutto quanto a mia conoscenza, sia in relazione ad eventuali ferimenti, sia in relazione ad episodi associativi, tipo estorsioni ed altro, sia in relazione al traffico di droga.
In merito ai ferimenti confermo quanto vi ho già dichiarato nello scorso interrogatorio in relazione al ferimento di quattro ragazzi fuori “al manicomio” dove abito io. Come vi ho detto, tale episodio è stato consumato dal fratello di Andrea Attanasio, di nome Giuseppe. Non sono a conoscenza di altri ferimenti e/o attentati… mi chiedete se ci sono altre piazza gestite dall’Attanasio ed in merito vi ribadisco che a San Giorgio la droga o la prendete da Enzo Troia o gli pagate la commissione per venderla….”.

 Antonio Esposito

@riproduzione riservata

 

(nella foto Vincenzo Troia e la mamma Immacolata Iattarelli)

Cronache della Campania@2017

Camorra, la donna boss: ‘Ma noi ci prendiamo il torto e pure la ragione … perché se abbiamo torto noi ci facciamo dare ragione’. LE INTERCETTAZIONI 

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A San Giorgio a Cremano tutti sapevano che donna Imma era la reggente del clan Troia e commercianti e imprenditori scattavano sull’attenti quando la incontravano per strada o quando Immacolata Iattarelli telefonava loro. Scrive il il gip Giuliana Pollio a proposito della Iattarelli: “La donna si rivela un vera e propria “Manager” del crimine, continuamente dedita alla riscossione delle somme dovute o dai commercianti estorti o dai gestori delle piazze di spaccio. Le conversazioni, chiarissime nel contenuto, evidenziano come tutto ruoti intorno alla figura di Iattarelli Immacolata, che, come dichiarato dai collaboratori di giustizia, dirige l’organizzazione in assenza dei figli detenuti, anche attraverso le direttive impartite da questi ultimi nel corso dei colloqui in carcere, gestisce personalmente la cassa del clan e provvede alla ripartizione dei proventi delle attività illecite tra gli affiliati e al mantenimento delle famiglie dei detenuti, impartisce ordini agli affiliati, si occupa dei rapporti con le altre organizzazioni, in particolare con i Rinaldi, ai quali sono legati anche da vincoli di parentela”.
Non a caso nel corso parlando con la sorella Anna di un litigio tra il nipote e la famiglia della sua ragazza, di appartenere ad una famiglia camorristica e di non aver paura di nessuno ” ti faccio capire che la famiglia nostra … siamo noi.. .. tu non sei nessuna” “infatti…noi questo ti siamo venuti a dimostrare … ogni tre e quattro (ogni tanto) … tu e questo tuo cognato … ma chi è tuo cognato ….. tutto o blocco …. quello mio cognato è quello che è …… mio nipote è quello che è …… no tuo cognato … ma chi è ……. ogni tre e quattro”; ” io poi sopra Rosetta disse che lei scese giù la vide a questa … (incomprensibile) … stava con una faccia bianca … ” “ma noi ci prendiamo il torto e pure la ragione … perché se abbiamo torto noi ci facciamo dare ragione .. (risata) … “. Nelle 1146 pagine dell’ordinanza di custodia cautelare che tre gorni hanno portato in carcere la donna boss, i figli, la nuore  e altre 30 affiliati ci sono numerose altre conversazioni rivelano poi l’attività estorsiva del clan che, tramite la stessa Iattarelli che provvede a riscuotere le somme dagli imprenditori e commercianti taglieggiati, pretende il pagamento del pizzo da quasi tutti gli operatori commerciali di S. Giorgio a Cremano.
La Iattarelli contatta con impressionante precisione  ogni mese gli imprenditori estorti per sollecitare il pagamento delle somme dovute. Come questa che si riporta in cui la donna boss telefona  un imprenditore che aveva una ditta di pulizie e che era taglieggiato dalla stessa per lamentarsi del ritardo nel pagamento. Iattarella: “Pronto”.  Giorgio “Imma, mi hai chiamato? Buongiorno”. I: «”E buongiorno, eee già sai perché ti ho chiamato, l’imbasciataaaaa … a parte che ieri non è venuto il piastrellista che doveva venire”. G: «No, viene domani pomeriggio perché ieri non c’era”. I: “Eh … ho capito eee”. G: “Viene domani pomeriggio verso l’ora di pranzo, e noi ci vediamo tra giovedì e venerdì, non ti preoccupare”. I: “No Giorgio, com’è giovedì, venerdì, giovedì venerdì è maggio”. G: “Oh .. giovedì”. I: “Stiamo ad aprile, che dobbiamo fare dai?”. G: «Eh, e che vuoi da me, tu sempre il tre sempre il trenta, adesso che vuoi da me? Non ti preoccupare, può darsi pure che domani mattina ti vengo a trovare, non avere fretta, lo sai come sono io, quando do una parola la mantengo”. I: “No non hai capito, eh bravo, sei un uomo di parola, anche io, quando do una parola, lo sai no? Come me”. G: “Ti dico la verità, può essere anche domani mattina, però per essere più si- curo ti dico giovedì, però non ti preoccupare, è capace anche che domani mattina”.

 Antonio Esposito

@riproduzione riservata

Cronache della Campania@2017

Camorra, la Dda pronta a chiedere il processo per il ‘macellaio’ dei due contrabbandieri. LE INTERCETTAZIONI

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La Dda di Napoli ha notificato il decreto di conclusione delle indagini preliminari al 24 enne Domenico D’Andò, detto ‘o chiatto accusato di aver ammazzato e fatto a pezzi i due ras del contrabbando Luigi Ferrara e il suo socio Luigi Rusciano insieme con il suo complice minorenne Aniello I. di Acerra.

I corpi dei due di Mugnano e Casoria furono ritrovati il 16 febbraio scorso fatti a pezzi e seppelliti in contrada Franzese di Afragola. Una operazione da “macelleria messicana” per sbarazzarsi dei corpi dei due che avevano “sgarrato” con i clan dell’area Nord di Napoli. Domenico D’Andò è il nipote di Pietro Caiazza ras del clan Amato-Pagano e figlio di Antonino, vittima di lupara bianca nell’ambito della prima faida di Scampia tra il clan Di Lauro e gli scissionisti. I due furono attirati in una trappola e uccisi nella loro auto. Poi i cadaveri furono portati a Giugliano in una casa in uso a Doemico D’Andò e fatti a pezzi rinchiusi in due bustoni della spazzatura e portati ad Afragola dove furono sotterrati.
Era stata la moglie Maria Maglione, moglie di Rusciano a denunciare la scomparsa del marito il primo febbraio. Poi il giorno dopo dai carabinieri di Casoria si presenrtò anche la moglie di Rusciano. Dopo due settimane i corpi furono ritrovati dalla polizia che in breve tempo strinse il cerchio attorno agli assassini arrestandoli. Il minorenne sarà processato a febbraio. E’ rinchiuso nel carcere minorile e  ha anche cercato di farsi passare come incapace di intendere e volere sottoponendosi a una perizia psichiatrica.
Pochi giorni prima del ritrovamento dei corpi Domenico Esposito, fratello del pentito Bruno, affiliato al clan Moccia di Afrogola, ha deciso di pentirsi e ha raccontato quello che sapeva a proposito di Ferrara e del contrabbando di sigarette. Nel suo primo interrogatorio datato 13 febbraio 2017  ha spiegato: ” Conosco bene Ginetto Ferrara. So poi che di recente Ginetto entrato in società con altri sia delinquenti di Scampia come o’ cinese un contrabbandiere a livello grande che io saprei riconoscere in foto e che so che abita nella zona di Scampia che viene prima del Lotto G la zona posta alle spalle della casa di Alessandro Acanfora detto o’ niro il cui fratello venne ammazzato a Ponticelli…Franzese era anche in affari nel settore del contrabbando di sigarette con Caiazza Pietro e persone di Melito e Mugnano entrato anche in società con quelli di Melito e Mugnano impegnati in particolare nel contrabbando. So anche che le persone di Melito in società con Ginetto nella gestione del contrabbando delle sigarette sono anche soci di Pierino Caiazza parente di Lello Amato a vecchia di Melito o meglio sono uomini della paranza di Caiazzo cioè di Pierino o’ fraulese quello con gli occhi celesti… Saprei riconoscere in foto gli uomini della paranza di Pierino o’ fraulese che sono soci in affari di Ginetto…. Ginetto Ferrara, non era un dipendente ma un socio di Pierino Caiazza, almeno da quando, credo 2-3 anni fa, quest’ultimo è stato cacciato da Melito ed è ritornato fìsso alle Salicelle.
So che ha subito anche degli agguati. Del gruppo oltre a Pietro  Caiazza e Ginetto, vi era il Cinese, e delle persone di Mugnano che io ho visto fino allo scorso anno con il Cinese… credo di saper riconoscere queste persone di Mugnano. Per come mi chiede io non sono a conoscenza di discussioni tra il Caiazza e Ginetto per le sigarette; so per certo, invece che Ginetto ha avuto una discussione con i soci di Mugnano nel bar di Melito Questi soci di Mugnano di Ginetto, nell’attività commerciale del bar a Melito, non sono certo di poterli riconoscere. Per come mi chiede Pietro Caiazza faceva sia le bancarelle nelle Salicelle che il grossista per le altre bancarelle di Afragola, senza pagare nulla al clan Moccia”.

Cronache della Campania@2017

Rapina nel parcheggio del cinema multisala, arrestato il figlio del boss del quartiere Sanità

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Napoli. Rapina: in cella figlio del boss del Quartiere Sanità. Questa mattina, i carabinieri del nucleo investigativo del comando provinciale di Napoli hanno dato esecuzione ad un’ordinanza di custodia cautelare in carcere, emessa dal Gip del Tribunale di Napoli Nord – su richiesta della Procura guidata dal Procuratore Domenico Airoma – nei confronti di un giovane di 26 anni – figlio di un esponente apicale del clan egemone nel quartiere Sanità – accusato di rapina, lesioni e violenza privata.

Il 16 marzo scorso due giovani erano stati rapinati all’interno del parcheggio di un cinema multisala della provincia di Napoli. Alcune persone, giunte a bordo di due auto – si erano avvicinate al veicolo in sosta, avevano bloccato una delle due vittime e picchiato selvaggiamente l’altra he occupava il lato guida. Dopo la rapina i malviventi erano scappati. Le intercettazioni telefoniche e i riscontri delle telecamere di videosorveglianza hanno permesso di individuare il 26enne arrestato oggi. A giugno scorso erano stati già arrestati altri due giovani per lo stesso episodio.

Cronache della Campania@2017

Giudice arrestato, il Csm deciderà martedì sulla sospensione di Pagano. Ieri il magistrato ha rinunciato a difendersi davanti al Gip

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Salerno. Associazione per delinquere, corruzione e truffa: il giudice Mario Pagano, arrestato lunedì mattina per ordine del Tribunale di
Napoli si è avvalso della facoltà di non rispondere nell’interrogatorio di garanzia effettuato ieri. Ma sul magistrato ai domiciliari pende anche la spada di Damocle del Consiglio superiore della magistratura, al quale il Ministro Andrea Orlando ha chiesto la sospensione dalle funzioni e dallo stipendio. Martedì prossimo la sezione disciplinare del Csm si pronuncerà sulla richiesta fatta nei confronti del giudice di Roccapiemonte in servizio al tribunale di Reggio Calabria. Pagano è accusato di associazione per delinquere, corruzione in atti giudiziari, truffa aggravata e falso in atto pubblico. Il magistrato è accusato in particolare di aver fatto in modo che gli venissero assegnate cause civili ai quali erano interessati amici imprenditori, per adottare decisioni a loro favorevoli. In cambio avrebbe ricevuto somme di denaro, sotto forma di finanziamenti alla società sportiva Polisportiva Rocchese, presieduta dal fratello Carmine, e regali. Accuse che si riferiscono a quando prestava servizio al tribunale di Salerno. La sospensione è stata chiesta dal ministro della Giustizia; e sarà senz’altro decisa dal Csm, perchè costituisce un atto dovuto, quando un magistrato viene arrestato.

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Pagani, chiedeva pizzo e assunzioni sui cantieri: condannato il boss

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Imponeva le assunzioni di familiari e amici agli imprenditori della Valle dell’Irno oltre che al pizzo: condannato a 4 anni di carcere Pietro Desiderio, 37enne originario di Pagani detto “Pierino Maradona” il boss della Valle dell’Irno, nel Salernitano. Il boss fu arrestato nel maggio scorso insieme con il complice Emanuele Arena. Si erano presentati in alcuni cantieri edili della zona chiedendo posti di lavoro. In un caso la minaccia fu fatta davanti agli operai. Fu la coraggiosa denuncia dell’imprenditore a far scattare la manette ai polsi di Desiderio e Arena.

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Giudice Pagano arrestato: convocati dai pm Lenza e Del Forno, i due magistrati indagati

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Salerno. I due magistrati salernitani coinvolti nello scandalo delle sentenze aggiustate del giudice Mario Pagano sono stati convocati per essere interrogati dai sostituti procuratore Ida Frongillo e Celeste Carrano che conducono le indagini. Maria Elena Del Forno, magistrato in servizio al Tribunale civile di Salerno, indagata per rivelazione di atti coperti dal segreto istruttorio e abuso d’ufficio dovrebbe essere ascoltata lunedì prossimo. Il collega, sostituto procuratore alla Procura di Nocera Inferiore, Roberto Lenza, indagato per rivelazione di atti coperti dal segreto, è stato invece convocato per martedì. Ma i suoi avvocati Andrea Vagito e Giovanni Annunziata, in un comunicato stampa hanno fatto sapere che chiederanno un rinvio dell’interrogatorio. “In qualità di difensori del dottor Roberto Lenza, la cui posizione risulta già dagli atti palesemente marginale – scrivono – stiamo valutando l’opportunità di chiedere un differimento dell’interrogatorio fissato per la prossima settimana. Riteniamo, invero, che non sia assolutamente possibile fornire dichiarazioni difensive a fronte di una contestazione decisamente generica per come, allo stato, formulata. Non appena la Procura di Napoli ci fornirà elementi più concreti sui quali confrontarci, saremo disponibili a rendere ogni necessario e doveroso chiarimento. Nel frattempo attendiamo fiduciosi gli sviluppi investigativi che, non v’è dubbio, condurranno ad escludere, senza riserve, qualunque coinvolgimento del nostro assistito”.
I due magistrati sono finiti nell’inchiesta che lunedì scorso ha portato agli arresti domiciliari Mario Pagano e il funzionario del Tribunale di Salerno Nicola Montone e ad una misura di divieto di dimora per altri cinque coindagati (4 imprenditori e un consulente). Secondo l’accusa, il giudice di Roccapiemonte in provincia di Salerno avrebbe – in cambio di sentenze favorevoli – ottenuto soldi per una società sportiva locale, la Polisportiva rocchese, e regali di valore.
Nell’ambito dell’indagine, supportata da intercettazioni ambientali e telefoniche, e da acquisizioni documentali è emerso il coinvolgimento dei due magistrati, convocati dalla Procura di Napoli, e di altri esponenti della magistratura che per il momento non sono stati ‘avvisati’.
Nel corso dell’esecuzione dell’ordinanza di custodia cautelare, lunedì scorso, gli agenti della Squadra Mobile di Napoli e i militari della Guardia di Finanza hanno effettuato altre sette perquisizioni e acquisito documentazione, supporti telematici e telefoni cellulari, ora al vaglio degli inquirenti.
Rosaria Federico

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Risarcimento alle vittime di camorra, per l’agguato ad Avellino il Consiglio di Stato accoglie il ricorso dell’ex autista del Procuratore

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Una sentenza che dà speranza a tanti familiari di vittime innocenti della camorra quella depositata il primo dicembre scorso dalla III sezione del Consiglio di Stato che – confermando la sentenza del Tar Campania, Sezione staccata di Salerno – per l’indennizzo a Stefano Montuori, autista dell’allora Procuratore della Repubblica di Avellino Antonio Gagliardi, vittime entrambi di un agguato di camorra nel settembre del 1982. Entrambi rimasero gravemente feriti, ma mentre Gagliardi fu risarcito dallo Stato, il suo autista no, nonostante lo avesse difeso mettendo a repentaglio la sua vita. Montuori, nel 2011, aveva chiesto l’indennizzo previsto dalla legge n.302/1990 per le vittime del “dovere”, ma il Ministero dell’Interno l’aveva negato, ritenendo che la parentela di quarto grado con due soggetti appartenenti alla criminalità organizzata – condannati anche nel processo per l’agguato – fosse circostanza ostativa ai sensi dell’art. 2-quinquies del D.L. 151/2008.
I giudici di Palazzo Spada, nel confermare la sentenza appellata, hanno affermato che l’art. 2 quinquies del D.L. 151/2008, espressamente riferito solo ai familiari delle vittime, è norma eccezionale insuscettibile di estensione analogica anche alle stesse vittime che siano sopravvissute. Per le vittime, infatti, non sono previsti automatismi ostativi legati alla semplice parentela, con la prova dell’insussistenza, in concreto, del rischio che le somme possano andare a beneficio di organizzazioni criminali.
Nel caso di specie, conclude la sentenza “la vittima, oltre ad essere totalmente estranea ad ambienti e logiche criminali, svolgeva, al momento dell’agguato, una funzione istituzionale di contrasto alle associazioni criminali (autista di un magistrato sottoposto a particolari misure di protezione), che lo ha messo in condizione di rischiare la propria vita, e lo ha altresì indotto a compiere azioni tali da salvare persino la vita altrui. In nessun atto si adombrano sospetti di vicinanza agli ambienti mafiosi, né si indicano elementi concreti, o rapporti, che possano minimamente offuscare la limpidezza e la significatività del comportamento della vittima, prima, durante e dopo i fatti”.
Il ministero che avevano negato l’indennizzo a Muontuori è stato censurato anche per la violazione degli articoli 3 e 24 della Costituzione, che riconoscono i diritti di uguaglianza e di difesa, ed è stato condannato a pagare le spese del processo. La sentenza, sebbene riguardi il caso di una “vittima diretta” del clan, ha comunque aperto una prima crepa nel blocco normativo che negli anni ha impedito a decine di “vittime riflesse”, per lo più parenti di persone uccise dai clan senza colpa, di ricevere gli indennizzi previsti per legge.
Tra l’altro proprio sul risarcimento ai familiari di vittime innocenti della camorra pende un procedimento dinanzi al Tribunale di Napoli, sul quale l’avvocato Giovanni Zara – difensore dei familiari di Paolo Coviello e Pasquale Pagano, vittime innocenti dei Casalesi, uccisi nel 1992 per un errore di persona – ha sollevato la questione di legittimità costituzionale e ad aprile i giudici potrebbero decidere di inviare gli atti alla Corte Costituzionale per chiarimenti.

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Prostituzione nel club privée Adrenalina di Sarno: due condanne

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Due condanne in primo grado e due assoluzioni per l’indagine sul club privèe Adrenalina di Sarno, dove i carabinieri scoprirono che una ragazza brasiliana era costretta a prostituirsi e obbligata a subire rapporti sessuali anche con più clienti contemporaneamente.
Due le persone raggiunte da condanna: C.G. è stato condannato a sei anni e sei mesi di carcere con accuse che andavano dalla violenza sessuale allo sfruttamento, fino alla riduzione in schiavitù. La seconda condanna è per G.C., un sessantenne che dovrà scontare quattro anni di reclusione. Assolte due donne, di cui una moglie di C.G.
La storia ebbe inizio quando la ragazza brasiliana, scappando dai suoi primi aguzzini per denunciare tutto ai carabinieri, giunse in Italia ripiombando in un altro incubo: costretta a prostituirsi non solo nel club, ma anche presso abitazioni private tra Pompei e Scafati. La coppia (per il quale è stato riconosciuto colpevole solo l’uomo) aveva trattenuto denaro e passaporto, segregandola in casa – da giugno a settembre del 2009 – senza la possibilità di contatti con l’esterno. La Procura scoprì un’attività di sfruttamento di prostituzione in quel club, con un ingresso dal costo di cento euro. Per i rapporti sessuali, invece, il prezzo era a parte. Decisivi per le indagini alcuni testimoni. Per le due donne coinvolte, che avrebbero favorito la prostituzione, l’accusa non è stata dimostrata durante il dibattimento e per capirne i motivi, bisognerà attendere il deposito delle motivazioni.

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Droga e armi ai Quartieri Spagnoli: assolti e scarcerati la D’Amico e Nocerino

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E’ stata scarcerata Maria D’Amico ’e fraulella, la 46enne esponente dell’omonima famiglia criminale del rione Conocal di Ponticelli nonché sorellastra del ras di Montecalvario, Enrico Ricci. La donna infatti è stata infatti assolta dalla Corte d’Appello di Napoli, dall’accusa di detenzione di droga ai fini di spaccio e porto e detenzione abusiva di armi comuni e da sparo con relative munizioni. Assolto anche il suo presunto complice Luigi Nocerino, di 49 anni.
I due hanno lasciato le rispettive prigioni e inaspettatamente trascorreranno il Natale in famiglia. In primo grado la D’Amico aveva rimediato tre anni di reclusione mentre Nocerino 4 anni e 6 mesi. Ieri però la Quarta sezione della Corte d’appello di Napoli, come riporta Il Roma, accogliendo la linea difensiva dell’avvocato Domenico Dello Iacono, ha infatti assolto entrambi gli imputati. Non è stato infatti possibile attribuire, al di fuori di ogni ragionevole dubbio, il possesso delle armi e dei 25 ovetti di cocaina esclusivamente all’una o all’altro.
Al momento del blitz dei carabinieri, in casa, il 9 aprile del 2016, erano infatti presenti anche altre due persone, una delle quali minorenni. Non solo, un istante prima dell’irruzione la droga era stata lanciata in strada da uno dei quattro soggetti: ed è qui che è stata poi effettivamente recuperata. Di qui la decisione di assoluzione.

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