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Channel: Cronaca Giudiziaria
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Furti di merce dai Tir: arresti e perquisizioni ad Angri, San Giuseppe, Poggiomarino e Sarno

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Angri. Si appropriavano della merce che avrebbero dovuto trasportare attraverso una società ‘fantasma’: quattro arresti della Polstrada di Napoli e della sezione di polizia giudiziaria della polizia locale del Tribunale di Nocera Inferiore. Gli agenti hanno eseguito un’ordinanza di custodia cautelare emessa dal Gip Alfonso Scermino su richiesta del pm Mafalda Maria Cioncada della Procura di Nocera Inferiore. Sono stati arrestati Giuseppe Nappo, 36 anni di San Giuseppe Vesuviano, Angelo Ferrante, 41 anni di Angri, Angelo Raffaele Aliberti, 53 anni di Poggiomarino, Giovanni Cava, 70 anni di Sarno, accusati a vario titolo di ricettazione e furto pluriaggravato. Inoltre sono state denunciate altre 10 persone accusate di appropriazione indebita.
L’indagine segue altri analoghi filoni d’inchiesta che hanno portato nel 2014 e nel 2016 all’emissione di ordinanze cautelari emesse dal gip Scemino su richiesta del sostituto procuratore Giuseppe Cacciapuoti.
Dopo i vari colpi inferti contro gruppi criminali specializzati nel settore delle appropriazioni indebite, si era registrato un periodo di calma apparente. Ma nell’ultimo periodo la Squadra di Polizia giudiziaria della Polstrada Campania veniva a conoscenza che “alcuni soggetti”, utilizzando la società VI.SA Autotrasporti Snc di Cioffi Romeo con sede ad Angri, stavano compiendo nuove appropriazioni indebite in danno di aziende di autotrasporto e logistica utilizzando nell’occasione i mezzi commerciali utilizzando trattori stradali e semi rimorchi di cui erano note le targhe. La notizia è stata riscontrata dal personale del Comando di Polizia Municipale di Angri, nel mese di settembre del 2015. La società “VI.SA AUTOTRASPORTI snc” si era iscritta in vari portali web per autotrasportatori e si era messa alla ricerca di “viaggi” con l’intento di appropriarsi indebitamente della merce a loro affidata, provvedendo ad inviare, come da tipico modus operandi, mail di presentazione ad ignare ditte di autotrasporti tentando di carpire la loro fiducia, utilizzando nell’occasione l’indirizzo mail visa.autotrasporti@libero.it dal quale inviavano un messaggio per carpire possibili commissioni di trasporti di cui si sarebbero indebitamente appropriati.
Il messaggio inviato dimostrava inequivocabilmente la volontà di chi gestiva la “VI.SA AUTOTRASPORTI” di acquisire la fiducia degli ignari imprenditori, dai quali tentavano di farsi assegnare dei trasporti di merce per poi appropriarsene indebitamente creando seri danni economici e di immagini alle società colpite.
Il personale del Comando Polizia Municipale di Angri ha accertato inoltre che, la documentazione allegata alle mail di presentazione inviate dalla VI.SA, non era regolare, tanto è vero che, sia l’iscrizione albo dei trasportatori che il Durc erano contraffatti.
L’aver accertato che la documentazione amministrativa inviata alle varie società di trasporti e logistica era falsa, già faceva emergere “il chiaro intento criminale” di chi materialmente gestisce la VI.SA AUTOTRASPORTI.
Le utenze fornite nella mail di presentazione inviate dalla VI.SA AUTOTRASPORTI, erano intestate a Cioffi Romeo.
Successivamente la Squadra di polizia giudiziaria del Compartimento Polstrada veniva delegata insieme al personale della Polizia Locale della Sezione di Polizia giudiziaria dalla Procura di Nocera Inferiore per rintracciare i veicoli della società VI.SA AUTOTRASPORTI, sui quali apporre sistemi di localizzazione GPS per verificare eventuali condotte illecite.
SEQUESTRO MERCE OGGETTO DI RAPINA
Nel maggio 2016 venivano anche attivate le intercettazioni ambientali all’interno della Lancia Thesis di Angelo Raffaele Aliberti e la Polizia giudiziaria riusciva a rilevare delle conversazioni che vi erano a terra 8 bancali di merce (fagioli) che si dovevano portare in un determinato posto e che c’era anche Angelo Ferrante con il furgone pronto a partecipare al trasbordo di un carico di fagioli provento di rapina nel napoletano e destinato ad una nota multinazionale di Angri, La Doria.
Ritenuto che sui sacchi sottoposti a sequestro era riportato il nome della società LAWGLX americana, venivano svolti accertamenti tramite internet al fine di verificare chi commerciava tale prodotto in Italia. L’accertamento svolto permetteva di appurare che tale prodotto era utilizzato dalla Doria di Angri.
Successivamente, personale della Polizia Locale di Angri hanno verificato presso la Doria di Angri che il 9 maggio 2016 era stato rapinato un autoarticolato – containers carico di fagioli della LAWGLX sulla Ss 268, alle prime ore del mattino.
L’autotrasportatore era stato fermato, rapinato e sequestrato per diverse ore e nell’occasione i malviventi si erano impossessati del suo mezzo e della merce trasportata.
EVENTO FURTO E SEQUESTRO “VERLIGHT” E COLLEGAMENTO CON CAVA GIOVANNI
Inoltre, sempre a riscontro delle intercettazioni telefoniche ed ambientali, nonché dalle localizzazioni GPS installati sui veicoli in loro uso, era possibile accertare che, la sera del 5 giugno 2016 un furgone intestato a Giuseppe Nappo, era portato presso i depositi della VERLIGHT di Torre Nocelle, in provincia di Avellino dove rimaneva fermo per diverse ore per poi rientrare presso l’abitazione di Angelo Raffaele Aliberti.
Le indagini permisero di scoprire che il deposito della Verlight e la società erano sottoposti a sequestro penale ed in fallimento in quanto coinvolta nel “contrabbando di liquore”. Infatti, diverse indagini svolti dalle Forze di Polizia avevano dimostrato che, il liquore prodotto da quella società e diretto all’estero, era poi rivenduto illegalmente in Italia.
Più tardi gli investigatori intercettarono il furgone seguito da una Fiat Punto condotta da Angelo Ferrante nei pressi dell’uscita dell’autostrada di Sarno e seguirono i mezzi fino a Sarno dove i due si incontrarono con Giovanni Cava. Nel corso del controllo che ne scaturì gli agenti trovarono due taniche di plastica di mille litri di liquore di contrabbando diversi scatoloni contenenti tappi per bottiglie e veline di copertura per tappi riportanti tutti l’etichetta della società VERLIGHT di Torre Nocelle in provincia di Avellino. si scoprì poi che il liquore e il materiale per il confezionamento era stato rubato presso la società di Torre Nocelle.
Che la consegna del liquore, poi sequestrato, fosse stata pianificata tra Aliberti, Nappo e Ferrante, vi sono conversazioni intercettate sulla utenza di Ferrante. Aliberti, infatti, gli chiede di fare “un colpo di telefono a Zio Giovanni per fare quella consegna” ovvero indica il ricettatore finale che sarà Giovanni Cava.
Stamattina i quattro principali indagati per quei due episodi sono stati nuovamente arrestati.

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Ercolano, il boss Papale voleva tassare le piazze di spaccio dei propri affiliati

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C’è  stato un momento durante la sanguinosa faida di Ercolano in cui si è rischiato lo scontro interno nel clan Ascione-Papale tra il gruppo dei siciliani, ovvero quelli della famiglia papale e quelli che invece facevano capo a Ciro Montella ‘o lione. E’ stato il pentito Ciro Gaudino, ex killer della cosca a raccontare in aula al processo di Appello per l’omicidio di Giorgio Battaglia, alcuni retroscena inediti di quella vicenda.
“All’uscita dal carcere vole­vano che io posavo una parte dei miei giri delle piazze di spaccio a loro per mantenere i carcerati.Io ho fatto presento che  non pagavo a nessuno perché già mantenevo a mio cugino. Perché io quelle piazze me le ero conquistate con il san­gue. Avevo commesso reati per loro e non pagavo a nessuno.I miei amici stavano diventando i miei nemici. A
lla fine mi volevano ricattare, ma io non ho mai pagato nessuno.Così negli ultimi anni ho ragionato io”.Gaudino, il pentito che ha fat­to scoprire all’Antimafia una cava di rifiuti tossici sepolti sul Vesuvio, ha parlato anche del piano messo in atto dai Papale per provare a risollevare le sorti del clan dopo gli arresti che fecero seguito alle denunce dei commercianti coraggio. “I Papale nel 2013 hanno adottato un metodo: anche se non ti passavano la droga volevano un regalo a fine settimana”.
Nel 2014 Ciro Gaudi­no fu arrestato per l’omicidio di Giorgio  Battaglia ucciso l’8 marzo del 2009 fuori la chiesa di Pugliano. Pocio dopo il suo arresto Gaudino si pentì e grazie alle sue confessioni sono arrivati decine di arresti.

 

(nella foto da sinistra il boss Pietro Papale, il pentito Ciro Gaudino e Ciro Montella ‘ o lione)

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Giovane straniero arrestato a Vairano Scalo per rapina ai danni di una contadina

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Caserta. I militari del Comando Stazione Carabinieri di Vairano Scalo hanno arrestato su ordine del Gip del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere Toure Mohamed, 22 anni cittadino richiedente asilo ed ospite del CTA denominato La Cittadella, per rapina aggravata dall’uso di un’arma impropria utilizzata a scopo intimidatorio. Le indagini, dirette dalla Procura della Repubblica di S. Maria Capua Vetere e svolte dai carabinieri di Vairano Scalo, hanno permesso di accertare che il giovane immigrato aveva effettuato una rapina il 17 maggio scorso nelle campagne del comune di Caianello in provincia di Caserta, ai danni di una cittadina straniera intenta ad effettuare lavori di raccolta delle ciliegie. Nella circostanza l’indagato, aveva afferrato al collo la vittima stringendola con entrambe le mani quasi fino a soffocarla e minacciandola con un bastone in ferro, era riuscito ad impossessarsi della sua borsa contenente un telefono cellulare ed una somma di denaro contante. Lo stesso soggetto reiterava poi l’azione ai danni della stessa vittima in data 23 maggio, ma la donna aveva notato il giovane e con l’aiuto di altri lavoratori presenti, riusciva ad evitare l’ulteriore rapina, facendo scappare l’aggressore.

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Bancarotta Novaceta: chiesti 9 anni di carcere per Lettieri e 4 per il figlio Giuseppe

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Condanne che vanno dai 13 anni di carcere come quella formulata nei confronti dell’ imprenditore Massimo Cimatti passando dai 9 anni per Gianni Lettieri, anche lui imprenditore ed ex candidato sindaco per il centro destra a Napoli, fino ai 4 anni per suo figlio Giuseppe.
Sono queste le richieste di pena proposte oggi dal pm di Milano, Bruna Albertini per 19 imputati per bancarotta al processo con al centro il crac di Novaceta Spa, poi diventata BembergCell, storica azienda di Magenta, nel milanese, leader nella produzione di filo acetato in Italia e nel mondo.
Il pm, che ha fatto una lunga ricostruzione della vicenda sulla quale si sono concentrate le indagini della Gdf e per la quale tra il 2005 e il 2010 sarebbero stati sottratti milioni di euro, ha concluso affermando che dal dibattimento sono emersi “elementi sufficienti” per ritenere provata la responsabilita’ di tutti e ha parlato di “operazioni distrattive e di depauperamento di ampia portata” (si stima 70 mln). Poi ha sostenuto che “il progetto di creare un polo cellulosico, mai partito, e’ diventato un leitmotiv usato per fare altre operazioni” anche di tipo immobiliare, che avrebbero portato al fallimento.
Le operazioni di “mala gestio” sarebbero state messe in atto prima con l’amministrazione di Cimatti e poi di Lettieri, amministratore unico dal marzo 2007 e poi presidente fino al marzo del 2009 (subentrato per cercare di salvare l’azienda ora chiusa) “con il risultato anche di lasciare senza lavoro”, parecchi operai.
Tra le richieste di condanna ci sono anche 13 anni per Nicola Squillace ritenuto ai tempi amministratore di fatto della societa’, 9 anni sia per Mario e Luca Celentano considerati “teste di legno” per conto di Cimatti e lo stesso Squillace sia per Riccardo Ciardullo, ex consigliere, 8 anni per Gaetano Scoccia, altro ex consigliere, e 7 anni sia per Roberto Tronchetti Provera, fratello di Marco e dall’ottobre 2003 al 5 maggio 2005 presidente del cda sia per Maurizio Dorigo, liquidatore di BembergCell. Le pene piu’ basse chieste sono i 4 anni per Lettieri jr. e per l’ex consigliere Igino Sogaro. Si ritorna in aula il prossimo 16 novembre con le discussioni delle parti civili.

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Castellammare, sentenza esemplare: 15 anni di carcere per il papà-orco

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E’ stato condannato a 15 anni di carcere il papà-orco di Castellammare che aveva abusato della figlio di sette anni. Una condanna esemplare e più elevata rispetto ai 12 anni chiesti dal pm Emilio Prisco quella decisa dal collegio del Tribunale di Torre Annunziata presieduto da Francesco Todisco e formato anche da Riccardo Sena ed Emanuela Cozzitorto.
L’uomo, Salvatore C. di 45 anni, residente alla periferia stabiese è già in carcere da oltre un anno. Era stata la madre della piccola a scoprire la terribile verità. I due erano separati e la piccola aveva cominciato ad avare uno strano comportamento: silente sia a casa sia in classe. Ma non per colpa della separazione dei genitori.
Grazie anche all’aiuto degli assistenti sociali la piccola riuscì a raccontare le violenze subite dal padre quando erano soli in casa. Le violenze sarebbero avvenute tra il 2014 e il 2015.

 

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Camorra, il pentito: ”Uccidemmo Stanchi e Montò e poi gli tagliammo le mano destra per far capire che avevano un debito”

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La Dda di Napoli ha chiesto e ottenuto l’arresto di uno dei presunti assassini di Raffaele Stanchi e Luigi Montò, affiliati al gruppo criminale Abete-Abbinante, trovati carbonizzati il 9 gennaio 2012 a Melito, all’interno del bagagliaio di una Fiat Punto risultata rubata. Vincenzo Russo detto “Geremia”, già in carcere per associazione a delinquere, traffico di droga e armi, è ritenuto un affiliato al gruppo della Vanella Grassi, è stato raggiunto da una nuova ordinanza di custodia cautelare.
Contro di lui le ricostruzioni dei collaboratori di giustizia che hanno raccontato fin nei minimi dettagli più atroci il duplice omicidio che segnò l’affrancazione dei “Girati” dai gruppi di Secondigliano. In carcere, come ricorda Il Roma, ci sono tutti i boss della Vanella Grassi, alcuni di loro, come Fabio Magnetti, già reo confessi.
Raffaele Stanchi, 33enne, aveva acquistato una partita di droga dalla Vanella Grassi e non l’avrebbe pagata. Ecco perché, secondo la Dda, scattò la vedetta e cadde nella trappola con Luigi Montò. Prima di dargli fuoco dopo averlo ucciso, gli fu tagliata la mano destra, quella che si usa abitualmente per maneggiare i soldi: un chiaro segnale a chi doveva capire che il movente stava nel mancato pagamento della sostanza stupefacente.
Uno “sgarro” imperdonabile per quelli della Vanella-Grassi. Decisivo, per ricostruire movente e retroscena e capire quale clan avesse organizzato l’ag- guato, si è rivelato il riascolto di un’intercettazione ambientale risalente al 31 ottobre 2011. “Lellobastone” conversava con un uomo non identificato, affiliato anch’egli agli Amato-Pagano, e i due fecero dei riferimento all’intenzione di non pagare quelli della “Vanella” per la droga.
Ecco cosa ha raccontato il pentito Rosario Guarino detto Joe Babana: “L’accordo era quello di tenerli in vita, anche se Luigi Montò dei due milioni di euro non sapeva niente e poteva morire. “Lello bastone” no, doveva darci i soldi e perciò volevano solo farlo parlare. Perciò lo chiudemmo in uno stanzino e cominciammo a picchiarlo. Lui ripeteva di non essersi preso niente: né per lui né per Arcangelo Abete. A un certo punto Fabio Magnetti perse la pazienza e gli sparò. Nel frattempo era già stato ucciso Montò”.

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Minacce al testimone di giustizia a Somma Vesuviana: l’associazione Caponnetto chiede l’arresto dei responsabili

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Somma Vesuviana. Minacce ad un testimone di giustizia: l’associazione antimafia Antonio Caponnetto chiede misure per i responsabili. Minacce gravissime sono state proferite, presumibilmente da appartenenti ad organizzazioni camorristiche, all’indirizzo del testimone di giustizia, Gennaro Ciliberto – responsabile della sicurezza sui cantieri di una ditta – e dei Carabinieri di scorta a Somma Vesuviana. “Nemmeno la presenza degli uomini dell’Arma – fa sapere il segretario dell’associazione Caponnetto, Elvio Di Cesare – ha indotto questi criminali ad esimersi dal pronunciare parole che suonano minaccia anche nei confronti dell’Arma e dello Stato, oltre che della persona del testimone di giustizia. Minaccia, peraltro, talmente grave che avrebbe dovuto comportare l’arresto seduta stante”. L’Associazione chiede in particolare al Procuratore Capo della Repubblica di Napoli “di emettere immediatamente le misure restrittive previste dalla legge nei confronti di coloro che minacciano, oltre che singole persone, i rappresentanti della legge”. Ciliberto è stato responsabile della sicurezza nei cantieri di una ditta realizzatrice della costruzione e della manutenzione di varie opere autostradali in subappalto, e nel 2010 ha denunciato corruzione nell’aggiudicazione di lavori, infiltrazioni mafiose ed anomalie costruttive.

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Camorra, mano pesante sul clan Orlando: chiesti oltre 3 secoli di carcere per boss e gregari

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Oltre tre secoli di carcere. Una mazzata nonostante abbiamo chiesto e ottenuto di essere processati con il rito abbreviato. Le richieste del pm della Dda di Napoli sono senza sconti per i 24 imputati tra boss e gregari del clan Orlando.
Venti anni di carcere Angelo Orlando (classe 1979) detto ‘o malomm per il cugino Raffaele Orlando, detto papele, Gennaro Sarappo ‘o marmittar e per Crescenzo Polverino, detto Crescenziello. Ma anche 18 anni di carcere per Gaetano, Orlando, Lorenzo Nuvoletta, nipote omonimo del defunto padrino, Angelo Di Maro ‘o pagliariello e Salvatore Ruggiero ‘u russ. Queste le richieste di pena più pesanti.
La cosca controllata dal boss latitante dal 2003, Antonio detto mazzulill  aveva preso il predominio su Marano e i comuni limitrofi estromettendo i Polverino e assoggettando Nuvoletta e grazie a vincoli familiari aveva creato clan satelliti con i quali controllava anche i comuni di Mugnano, Calvizzano e Quarto.Un clan articolato in piu’ livelli, militarizzato, in grado di imporre il pagamento del ‘pizzo’ a tappeto sul territorio, forte anche di ‘innesti’ della famiglia Novoletta, un tempo l’unica federata con la mafia siciliana.
Il nuovo gruppo criminale avrebbe esteso i propri tentacoli su settori specifici del territorio: mercato ortofrutticolo, edilizia ed appalti pubblici, gestione del ciclo integrato dei rifiuti, cimitero e macchina amministrativa. Con la latitanza di Antonio la famiglia malavitosa era guidata dai fratello Gaetano e Raffaele detto papele e dal cugino Angelo detto ‘o malomm.
La cosca aveva inglobato alcuni esponenti dei Nuvoletta di Marano e  si era estesa nel territorio limitrofo era strutturata in almeno quattro livelli.
Al vertice del gruppo, detto anche dei Carrisi, i fratelli Orlando, roccaforte tra Marano e Quarto; poi, al secondo livello, Armando Lubrano, nipote del boss Antonio, insieme a Lorenzo Nuvoletta, figlio di Ciro, elemento di vertice dell’omonimo clan ucciso in un agguato, e Angelo Orlando, ‘portavoce’ dei boss; al terzo livello, i ‘responsabili di zona’ come Gennaro Sarappo, che si occupa di Quarto, e Raffaele Lubrano, attivo a Calvizzano, insieme all’addetto al controllo, Celeste Carbone; al quarto livello, gli esecutori degli ordini.
Queste, nel dettaglio, le richiesta di pena invocate dalla Procura: Salvatore Aiello, 4 anni di reclusione; Mario Amitrano, 4 anni; Luigi Baiano, 14 anni; Celestino Carbone, 10 anni; Raffaele Carputo, 10 anni; Francesco Cincinnato, 4 anni; Di Lanno, 14 anni; Angelo Di Maro, 18 anni; Vincenzo Esposito, 7 anni; Maria Rosaria Gagliano, 12 anni; Raffaele Lubrano, 14 anni; Vincenzo Lubrano, 14 anni; Pasquale Fabio Lucci, 15 anni; Lorenzo Nuvoletta, 18 anni; Angelo Orlando (classe 1972), 5 anni; Angelo Orlando (classe 1979), 20 anni; Gaetano, Orlando, 18 anni; Raffaele Orlando, 20 anni; Crescenzo Polverino, 20 anni; Salvatore Ruggiero, 18 anni; Gennaro Sarappo, 20 anni; Mario Sarappo, 12 anni; Aniello Schiattarella, 4 anni; Raffaele Veccia, 12 anni; Claudio Visconti, 9 anni.

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Camorra, la Dda: ”Duplice omicidio Stanchi-Montò, fu un delitto ‘corale’ della Vanella-Grassi”

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Nella giornata di ieri, la Squadra Mobile di Napoli ha dato esecuzione ad un’ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa dal Giudice per le Indagini Preliminari del Tribunale per i Minorenni di Napoli, su richiesta di quella Procura della Repubblica, a carico di Salvatore RUSSO, nato a Napoli il 28 giugno 1995, all’epoca dei fatti minorenne, esponente del clan camorristico della “Vanella Grassi”, ritenuto responsabile, a vario titolo, dei reati di duplice omicidio premeditato, sequestro di persona, distruzione di cadavere, detenzione e porto illegale di arma da fuoco, delitti tutti aggravati dall’art. 7 legge 203/91.
Le indagini hanno consentito di ricostruire il contesto criminale, il movente diretto, ed ogni rilevante circostanza in ordine al duplice omicidio perpetrato ai danni di STANCHI Raffaele, detto Lello Bastone, e MONTO’ Luigi.
In data 4 maggio 2016, personale di questa Squadra Mobile aveva già eseguito, per i medesimi fatti, un’ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa dal Giudice per le Indagini Preliminari del Tribunale di Napoli, su richiesta della locale Direzione Distrettuale Antimafia, a carico di MENNETTA Antonio, nato a Napoli il 3.01.1995, MAGNETTI Fabio, nato a Napoli il 21.01.1989, BARONE Francesco, nato a Napoli il 16.01.1979, ARUTA Luigi, nato a Napoli il 12.06.1987, GRAZIOSO Alessandro, nato a Napoli il 12.06.1985, CASTIELLO Ciro, nato a Napoli il 13.05.1990, ZAINO Eduardo, nato a Napoli il 18.06.1992, esponenti del clan camorristico della “Vinella Grassi” .
In data 9 gennaio 2012, in località Melito di Napoli (NA), all’interno del bagagliaio di una Fiat Grande Punto di colore grigio, targata DG206JR, risultata rubata, furono rinvenuti due cadaveri carbonizzati, successivamente identificati solo grazie al DNA nei pregiudicati STANCHI Raffaele ed il suo uomo di fiducia MONTÒ Luigi, ritenuti intranei al gruppo criminale denominato ABETE – ABBINANTE, operante nell’area Nord di Napoli.
Il grave episodio criminale, ricostruito nel dettaglio anche attraverso i numerosi riscontri investigativi alle dichiarazioni rese dai collaboratori di giustizia, ha segnato, per come indicato dal Giudice nel provvedimento cautelare, l’inizio della c.d. terza faida di Scampia, esplosa tra il 2012 ed il 2013, allorché la “Vinella Grassi”, capeggiata da MENNETTA Antonio, MAGNETTI Fabio e GUARINO Rosario, in stretto vincolo di alleanza con la famiglia MARINO, padrona delle CASE CELESTI, decide di intraprendere una guerra avverso la famiglia ABETE-NOTTURNO-ABBINANTE.
La scelta di STANCHI RAFFAELE quale obiettivo strategico nasce dalla considerazione dell’essere costui l’uomo di fiducia di ABETE Arcangelo, oltre a gestore della remunerativa piazza di spaccio del LOTTO P, le c.d. Case dei Puffi, vera cassaforte del gruppo. Dunque, l’omicidio di Stanchi fu deciso ed eseguito per interrompere il flusso finanziario della famiglia ABETE ABBINANTE NOTTURNO. In tale momento la VANELLA GRASSI, pur essendo formalmente alleata degli ABETE NOTTURNO ABBINANTE, pone le basi per la futura confederazione VANELLA-LEONARDI-MARINO, che sarà la protagonista vincente della faida 2012-2013 contro gli ABETE-NOTTURNO-ABBINANTE.
L’efferata azione criminale fu realizzata, attraverso diverse fasi esecutive, caratterizzate dalla progettazione ed esecuzione del sequestro di persona delle vittime, a Villaricca, dal trasporto dei prigionieri presso l’abitazione di MATUOZZO Carlo, qui sottoposte ad un interrogatorio pressante allo scopo di far rivelare allo STANCHI dove si trovassero alcuni milioni di euro che lo stesso conservava per ABETE ARCANGELO. Infine dalla brutale eliminazione e dalla distruzione dei corpi e delle tracce dell’omicidio, con l’incendio dell’auto abbandonata a Melito con a bordo i cadaveri, allo scopo di allontanare i sospetti dalla Vinella Grassi e far ricadere la responsabilità del delitto sul clan AMATO PAGANO.
Si è trattato di un delitto ‘corale’, a cui hanno partecipato numerosi affiliati sia del clan MARINO che del clan VINELLA GRASSI, che in quel momento hanno siglato nel sangue di STANCHI e MONTO’, la loro fusione in una consorteria unitaria.

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Benevento, uccise l’imprenditore Rosiello: Messina è scappato dopo la condanna a 25 anni di carcere

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Benevento. Condannato per l’omicidio dell’imprenditore Rosiello è irreperibile. Era stato scarcerato per decorrenza termini ed aveva l’obbligo di dimora, ma da martedì sera Paolo Messina, 35 anni, condannato a 25 anni di carcere per il delitto di Antonello Rosiello, è irreperibile. I giudici della Corte d’Assise avevano emesso nei suoi confronti un’ordinanza di custodia cautelare nei suoi confronti, ma quando gli agenti della squadra mobile hanno cercato di eseguire il provvedimento Paolo Messina era già sparito. Messina è stato condannato per la morte di Rosiello, 41 anni, industriale che operava nel settore dei pastifici, ucciso nel novembre del 2013, per un debito che aveva nei confronti di Messina. Quarantamila euro, secondo quanto ricostruito dall’accusa rappresentata in aula da Miriam Lapalorcia. Secondo l’accusa, Paolo Messina aveva prelevato Antonello Rosiello a casa e lo aveva condotto in via Pisacane a Benevento, dove lo aveva ucciso con tre colpi di pistola. Messina era poi fuggito bruciando abiti ed altri oggetti che potevano far risalire alle sue responsabilità, poi dopo alcune ore si era costituito. Era rimasto in carcere fino al gennaio 2015 quando era stato scarcerato per decorrenza dei termini di custodia cautelare. Dopo la condanna è scappato per non finire in carcere.

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Torre del Greco, è tornato libero l’ex sindaco Borriello

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Revocati gli arresti domiciliari all’ex sindaco di Torre del Greco, Ciro Borriello, arrestato il 7 agosto nell’ambito di un’inchiesta legata alla raccolta dei rifiuti. Il gup ha accolto infatti la richiesta di revoca della misura cautelare, riaffidando di fatto la piena liberta’ a Borriello. L’ex primo cittadino era costretto agli arresti domiciliari dallo scorso 22 agosto, quando fu accolta l’istanza presentata dal suo legale, l’avvocato Giancarlo Panariello, che chiedeva l’attenuazione della misura cautelare.

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Castellammare, 65 persone truffate con le finte case vacanze dalla gang di Scelzo e Guerriero: 8 a processo

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Castellammare di Stabia. Dovranno comparire in aula tutte le 65 vittime della truffa online delle case vacanza. Una vicenda che risale intorno al periodo di tempo che va dal 2010 al 2015. Oltre 60 le truffe fatte dal gruppo che farebbe capo a Scelzo e Guerriero.
Dei veri e propri annunci web che permettevano di prenotare case vacanza in mete ricercate a prezzi concorrenziali con foto delle abitazioni vere, indirizzi giusti e i dettagli su dove effettuare il bonifico dell’ acconto. I vacanzieri, arrivati nel giorno prestabilito trovano le case ma al loro interno c’erano i veri occupanti o proprietari, ignari di tutto. Dei truffatori nessuna traccia.
Nella rete delle truffe sono finite vittime da tutta Italia ma anche da parti del mondo. Gli inquirenti sono riusciti a risalire a otto persone, tutte della città delle acque. Associazione per delinquere finalizzata a una serie di truffe è l’accusa con la quale sono finiti a processo il presunto capo del gruppo Carlo Scelzo, 35 anni, del rione Moscarella, Carmine Guerriero, 29 anni, che proprio la scorsa settimana ha patteggiato una condanna a cinque anni di reclusione per la vicenda delle banconote contraffatte vendute sul web.
Lo scorso luglio, il gup Maria Concetta Criscuolo ha rinviato a giudizio Scelzo e Guerriero (assistiti tra gli altri dagli avvocati Olga Coda e Carmine Iovino) insieme a Sebastiano Sorrentino (54 anni), Maria Dura (73), Concetta Conti (30), Anna Steano (52), Carmela Cavallaro (55) e Asja Rebeca De Filippis (35, di Avellino), fissando la prima udienza per ieri.
I giudici hanno disposto il rinvio con urgente convocazione delle 65 parti offese. Se risponderanno, saranno tutte chiamate a testimoniare a processo e potranno anche costituirsi parti civili. In caso di non risposta potranno anche non essere mai risarcite.

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Cassazione, anche un boss mafioso ha diritto alla dignità e non può essere paragonato ad un escremento

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Roma. Anche un boss di mafia ha diritto alla ‘dignità’ che il ‘nostro ordinamento riconosce a qualunque essere umano’ e non può essere paragonato ad un escremento. Lo ha sancito la Cassazione che ha messo la parola fine ad una querelle che dura da 4 anni e riguarda il reato di diffamazione per il quale il blogger siciliano Gaspare Giacalone è stato processato. A querelarlo i familiari del boss mafioso Mariano Agate, capo mandamento di Mazara condannato all’ergastolo per la strage di Capaci, morto il tre aprile 2013 a 73 anni. Secondo i giudici, anche un mafioso o chi si è macchiato di crimini orrendi ha diritto alla “dignita'” che il “nostro ordinamento riconosce a qualunque essere umano, anche a chi è appartenuto a una associazione malavitosa sanguinaria e nefasta (o addirittura la capeggia)” e non può essere paragonato ad un escremento. La Cassazione ha depositato oggi le motivazioni, in base alle quali, lo scorso maggio, ha annullato l’assoluzione emessa “perchè il fatto non costituisce reato” del blogger Gaspare Giacalone dall’accusa di aver diffamato la memoria di Agate perchè sul web ne aveva ricordato la storia criminale concludendo che la sua morte aveva tolto alla Sicilia “un gran bel pezzo di m….”. E’ stato così accolto il ricorso della Procura di Trapani, supportato dai familiari di Agate. Ad avviso della Suprema Corte, “il fondamento costituzionale del nostro sistema penale postula la ‘rieducabilità’ anche del peggior criminale e, pertanto, non può tollerare, neanche come artifizio retorico, la sua reificazione”. Giacalone, querelato dalla vedova e dai figli del boss, era stato prosciolto dal giudice di Trapani Gianluigi Visco, nel giugno 2016, in quanto l’espressione usata “imponeva al lettore di confrontarsi con il sistema pseudo-valoriale” di Cosa Nostra “di cui era parte l’Agate, in un contesto ambientale nel quale la confusione (o apparente coincidenza) tra valori e disvalori costituisce un obiettivo preciso del sodalizio criminoso”. Secondo il tribunale la frase “rappresentava uno strumento retorico in grado di provocare nel lettore un senso di straniamento” per “sollecitarlo ad una nuova consapevolezza sulla necessità di stradicare ogni ambiguità nella scelta tra contrapposti (seppur artatemente confondibili) sistemi valoriali”. Ma la Cassazione si è dissociata “dalla finalità” perseguita dal blogger “di aggredire l’ambiguità del sistema di controvalori mafioso” ritenendola “non idonea a giustificare la lesione di un valore fondamentale della persona”. “E si ritiene doveroso aggiungere – prosegue la Suprema Corte – di qualunque persona, anche del riconosciuto autore di delitti efferati, giacchè proprio il rispetto di tali diritti vale a qualificare la superiorità dell’ordinamento statale, fondato sulla centralità della protezione dell’individuo, rispetto ad organizzazioni criminali, che invece si nutrono del sostanziale disprezzo di chi non risponda alle proprie finalità, quale che sia il modo in cui esso possano autorappresentarsi per cercare di conquistare il consenso sociale”. Aggiunge inoltre la sentenza 50187 che la “celebre frase” di Giuseppe Impastato – “la mafia è una montagna di m….” – sottolineava “la devastante capacita'” dei clan di “intaccare le strutture portanti della società civile” e non può essere d’aiuto perchè non prendeva di mira il singolo. Giacalone tornerà sotto processo davanti alla Corte di Appello di Palermo. A lui era stata espressa solidarietà dalla Fnsi, e da parlamentari dem e M5s, come Mattiello e Giarrusso.

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Camorra, il pentito Notturno confessa: ”Il figlio del boss del clan Amato-Pagano si nasconde a Dubai”

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Che Dubai sia la meta preferita per la latitanza dorata dei trafficanti del clan Amato-Pagano è un fatto noto, non fosse altro per la presenza da alcuni anni di Raffaele Imperiale, lo stabiese diventato famoso per i furti dei Van Gogh e finanziatore della faida di Scampia contro i Di Lauro. “Lelluccio ‘o parente come viene chiamato dai vertici degli Scissionisti soprattutto per i suoi legami con Elio Amato fin dalla fine degli anni Novanta.
E così a Dubai nella capitale degli Emirati Arabi dove Imperiale spende 3mila euro a notte per dormire in uno degli alberghi più esclusivi del mondo c’è un’altra presenza importante del clan Amato-Pagano. Lo ha confessato alla Dda di Napoli, il pentito Gennaro Notturno ‘ o sarracino: “… Ho incontrato Pietro Caiazza in carcere a Secondigliano quando è stato arrestato l’ultima volta nel 2017. In quella occasione mi rivelò diversi dettagli della questione che stava evolvendo su Melito, dei suoi scontri con Ciro Mauriello e di diversi omicidi. So che Raffaele Mauriello sta ora a Dubai. Mi riservo di riferire su quanto dettomi da Pietro Caiazza in separato verbale. Detenuti con me sono stati anche Alfonso Riccio e Gennaro Liguori…”.
Raffaele Mauriello è scappato dall’Italia all’indomani dell’arresto di D.A.A, figlio minore di “zia” Rosaria Pagano, la donna boss, arrestata lo scorso anno pochi mesi prima che finisse in carcere l’erede al trono degli Amato-Pagano. Il minorenne è accusato di aver ucciso, con la complicità di Raffaele Mauriello e Carmine Della Gaggia, due ribelli del clan legati proprio a Pietro Caiazza.
Il 20 giugno del 2016 infatti a Melito nel corso di un chiarimento il minorenne uccise Alessandro Laperuta e Achir Muhamed Nuvo, due pusher che avevano osato ribellarsi. In quell’occasione il 16enne rimase ferito a colpi di pistola e durante il trasporto in ospedale insieme con Mauriello in moto furono anche coinvolti in un incidente stradale.
La Dda aveva già sotto intercettazione la casa del boss Ciro Mauriello e sia prima sia dopo il duplice omicidio potè ascoltare quello che si dicevano i vertici del clan Amato-Pagano nel corso di alcuni summit che si tennero in quella casa. Intercettazioni che sono alla base sia dell’ordinanza di arresto per il duplice omicidio del giovane figlio di Rosaria Pagano ma anche per l’arresto di Ciro Mauriello e Pietro Caiazza avvenuto sempre nel gennaio scorso poco dopo la cattura di Rosaria Pagano e altri 16 affiliati.

Antonio Esposito

@riproduzione riservata

 

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Camorra, azzerata la Vanella-Grassi: fine pena mai per 8 tra boss e gregari

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Fine pena mai per gli otto esponenti della Vanella-Grassi accusati di essere  mandanti ed esecutori materiali del duplice omicidio Raffaele Stanchi e Luigi Montò uccisi in maniera barbara l’8 gennaio del 2012.
Una mazzata pesantissima che chiude uno dei capitoli più sanguinari della terza faida di Scampia, quello che vide come protagonisti i famosi “Girati della Vinella” che con questa sentenza escono di scena definitivamente dalla geografia criminale di Secondigliano e Scampia.
Massimo della pena dunque per Antonio Mennetta, detto er nino, Fabio Magnetti, Umberto Accurso (il boss “fantasma” per alcuni anni e autore del clamoroso attentato alla caserma dei carabinieri di Scampia lo scorso anno).
Con i tre che si erano alternati ai vertici del sanguinario gruppo criminale di via Vanella-Grassi hanno ricevuto l’ergastolo anche gli autori materiali e i complici di quell’orrendo duplice delitto. Ovvero Francesco Barone, Ciro Castiello, Luigi Aruta, Edoardo Zaino e Alessandro Grazioso.
L’altro pomeriggio in carcere era stato raggiunto da un’ordinanza di custodia cautelare per lo stesso duplice omicidio Raffaele Russo detto Geremia che all’epoca era ancora minorenne.Raffaele Stanchi e Luigi Montò vennero prima soffocati, poi fatti ritrovare con le mani mozzate e dati alle fiamme: i loro cadaveri sfigurati furono ritrovati nei pressi del cimitero di Melito.
“Lello bastone”, all’epoca 33enne, sarebbe stato assassinato in seguito all’acquisto di una grossa partita di droga dalla Vanella Grassi. Droga che però non avrebbe mai pagato ai “Girati”. Ecco perché, secondo la Dda, scattò la trappola in cui il ras cadde insieme a Luigi Montò. Si fidò, nonostante la sua esperienza negli ambienti di malavita, delle persone sbagliate e parcheggiò la propria autovettura per salire su quella dei carnefici.
Stanchi, affermato ras dei traffici di stupefacenti per conto del boss Arcangelo Abete, e il suo guardaspalle Luigi Montò furono così attirati in un tranello e poi ammazzati a Miano, nell’abitazione di Carlo Matuozzo, allora fedele braccio operativo proprio della Vanella. Era l’8 gennaio 2012.
I due cadaveri furono trovati carbonizzati la mattina successiva nei pressi del camposanto di Melito. Si trattò di un tentativo di depistare le indagini, ma soprattutto di disorientare i nemici della Vanella, facendogli credere che si trattasse di un’epurazione interna. Decisive ai fini delle indagini sono state le dichiarazioni rese dall’ex ras dei “Girati” Rosario Guarino, alias “Joe Banana”.
Ma anche il riascolto di un’intercettazione ambientale risalente al 31 ottobre 2011. “Lello bastone” conversava con un uomo ad oggi non identificato e i due fecero dei riferimenti all’intenzione di non pagare quelli della Vanella (il cartello Petriccione-Mennetta-Magnetti, alleatosi con i Marino e i Leonardi) per la droga. Ecco alcuni passaggi registrati dalla microspia e riportati da Il Roma. Erano le 16 e i due si trovavano in macchina.
Lello: “Non si fa niente manco al bar”.
Sconosciuto: “Che cosa Lellù?”.
Lello: “’O bar”.
Sconosciuto: “Perché non stai lavorando?”
Lello: “(incomprensibile)”
Sconosciuto: “Azz, a posto di andare avanti, andiamo indietro allora?”.
Lello: “Lello bastone ti dava 3-4mila euro al mese, stai a posto, che tieni da vedere? 3 o 4 di là e 2 la pizzeria… sette… chi sta meglio di te? Nessuno”.
Sconosciuto: “Ora devo vedere di organizzarmi un altro poco, perché so pochi… non abbiamo abboccato neanche niente più”.
Lello: “Io avevo “inciarmato” con quello scornacchiato di quel Carletto là… quello ci ha ucciso a noi”.
Sconosciuto: “Gli devo far uscire la merda dalla bocca, gli devo fare una sfaccimma di paliata… come non ci sta più la Vanella… senti, ti faccio vedere, vado là, mi prendo la roba, non la pago, metti qua… metti”.
Lello: “Se non era a fine di mese ci abbuscavamo nà cosa”.

 

(nella foto di copertina il luogo dove furono ritrovati i due cadaveri bruciati  di Stanchi e Montò a Melito. Nei riquadri da sinistra le foto di sette degli otto condannati  per il duplice omicidio: Antonio Mennetta, Fabio Magnetti, Umberto Accurso, Francesco Barone, Ciro Castiello, Edoardo Zaino e Luigi Aruta)

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Calcio&Camorra: il calciatore Izzo a processo con la Vanella-Grassi

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E’ stata fissata per il 2 febbraio 2018, dinanzi ai giudici del collegio A della nona sezione del tribunale di Napoli, la data di inizio del processo a carico del calciatore del Genoa, e nel giro della nazionale, Armando Izzo, originario di Scampia. E’ accusato di concorso esterno  in associazione camorristica e frode sportiva insieme ad alcuni esponenti del clan della Vanella-Grassi di Secondigliano.
Accuse che il calciatore,  tornato in campo di recente dopo sei mesi di squalifica da parte del Tribunale Federale, assistito dall’avvocato Salvatore Nugnes, ha sempre respinto.
Con Izzo ci saranno a processo il boss Umberto Accurso e Salvatore Russo detto Geremia, ex baby killer del gruppo della Vanella. Sono accusati di aver combinato due partite dell’Avellino (squadra in cui militava Izzo) nel campionato di serie B nella stagione 2013-2014 consentendo al clan di scommettere a incasso sicuro.
Contro Izzo e gli altri oltre alle indagini e una serie di intercettazioni ci sono anche le accuse dell’ex calciatore Luca Pini che ha confessato accordi e risultati pilotati in un interrogatorio con il pm, parlando di spartizioni di soldi tra calciatori, ma negando di sapere che Accurso fosse un boss.
Lo stesso Pini e l’ex capitano dell’Avellino, Francesco Millesi hanno scelto di essere processati con rito abbreviato. Il pm ha chiesto la condanna, rispettivamente a tre anni e mezzo e a cinque anni di carcere, con sentenza prevista a metà dicembre. Quattro mesi di reclusione, per il reato di frode sportiva, è invece la pena proposta per Antonio Accurso, oggi pentito, fratello di Umberto ed ex gestore della cassa del clan della Vanella-Grassi.
Sono state le sue confessioni a svelare il sistema con cui il clan puntava ai soldi del calcioscommesse. Lo stesso Accurso tra l’altro gestiva un importante centro scommesse nella zona. Izzo è nipote di Salvatore Petriccione, detto ‘ o marenar uno dei fondatori del clan della Vanella. “Da ragazzo voleva diventare un affiliato – hanno raccontato i pentiti – e lo zio glielo vietò perché avendo un talento come giocatore di calcio doveva seguire questa vocazione”. Izzo due settimane fa subito dopo il suo rientro in campo fu protagonista della gara che il Napoli ha vinto al Ferraris contro il Genoa. Il calciatore di Scampia segnò il gol del momentaneo 1-1 per i suoi e per questo ricevete una serie di insulti sulla sua pagina facebook.

 

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Camorra, il pentito: ”Il boss Zeno ordinava omicidi dal carcere grazie a un microtelefono”

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Non è la prima volta che i pentiti di camorra parlano di corruzione di guardie carcerarie sia a Poggioreale sia a Secondigliano. Regali, favori, soldi fatti ad agenti penitenziari corrotti per rendere più agevole la detenzione di boss della camorra.
Un episodio inedito del genere viene riportato nelle motivazioni dei 6 ergastoli comminati ad esponenti del clan Birra-Iacomino e gli alleati Lo Russo di Miano nel processo per il duplice omicidio del 2003 in cui furono uccisi il boss avversario Mario Ascione e il suo guardaspalle Ciro Montella.
Uno dei pentiti che ha contributo a svelare i delitti “Cold Case” della faida di Ercolano, Agostino Scarrone ha raccontato di un telefonino arrivato in carcere al boss Stefano Zeno e utilizzato anche per commettere omicidi.
“Nel 2003 noi dei Birra – racconta Scarrone – avevamo, all’interno del Padiglione Livorno di Poggioreale un telefono cellulare di piccole dimensioni, marca Panasonic che era sta­to fatto recapitare a Stefano Zeno da Renato lacomino e Giacomo Zeno. Il tramite di questo scambio era una guardia penitenziaria corrotta di Portici.
Si tratta  di una guardia che era intima della famiglia di Re­nato Iacomino. Sarei in grado di riconoscerlo”. Anche se non ci sono state conseguenze giudiziarie (conosciute) nei confronti dell’agente penitenziaria. Il pentito Scarrone ha raccontato che l’uomo venne poi trasferito perché “aveva avuto problemi con i Vollaro, che avevano esagerato a chiederne la collaborazione. Attra­verso di lui in carcere sarebbero entrate dosi di droga nasco­ste nelle linguette dei lacci da scarpe e telefonini. I cellulari sarebbero stati usati dai boss per deliberare diversi omicidi dal carcere”.

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Camorra, il boss pentito: ”L’assassino del tatuatore non è Vincenzo Russo”

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“Il tatuatore di Casavatore non fu ucciso da Vincenzo Russo ‘o luongo, a sparare è stato Ciro Abrunzo. La confessione choc è del boss neo pentito Gennaro Notturno ed è datata 10 ottobre scorso. Un colpo di scena che rischia di compromettere il processo a carico del boss Arcangelo Abete e del suo braccio destro Raffaele Aprea accusati di essere gli organizzatori dell’omicidio dell’ennesima vittima innocente della camorra.
Gianluca Ciminiello fu ucciso sull’uscio del suo negozio il 2 febbraio del 2010. Per quel delitto è stato condannato all’ergastolo Vincenzo russo dopo una prima condanna e l’annullamento da parte della Cassazione. Ma le dichiarazioni di Gennaro ‘o sarracino, riportate in anteprima stamane da Il Roma, danno una nuova versione dei fatti e chiamano in causa come presunta killer una persona che non potrà difendersi perché ucciso a sua volta.
Davanti al pm della Dda, Gloria Sanseverino, il boss Gennaro Notturno che è anche cugino di Arcangelo Abete ancora sotto processo per quel delitto, ha raccontato: “Di questo omicidio ho parlato con Vincenzo Russo, che ho conosciuto all’inizio del 2017 nel carcere di Secondigliano mentre stava facendo il processo d’appello. Lui si professava innocente. C’entrava più che altro mio cugino Arcangelo Abete. C’era stata una discussione tra il tatuatore e il nipote di Cesare Pagano.
Russo mi disse che era stato chiamato da Abete (in quel periodo ristretto agli arresti domiciliari a Milano, ndr) e andò a trovarlo insieme a Ciro Abrunzo. Si decise quindi che lui e Abrunzo dovevano dare questa lezione al tatuatore. Mi disse che si recarono a Casavatore, lui entrò per farlo uscire e Abrunzo doveva sparare alle gambe, mentre invece poi alzò la mano, come mi ha raccontato, e ha puntato al petto. Poi non mi ha detto altro, si è soltanto lamentato del fatto che la famiglia Abete, dopo l’arresto di mio cugino, non gli faceva più percepire lo stipendio”.
Una versione completamente diversa almeno della scena del crimine rispetto a quella raccontata fino ad oggi da altri pentiti e che portato alla condanna all’ergastolo per Russo. Gli inquirenti ci vanno con i piedi di piombo perché le persone coinvolte sono tutti parenti di Notturno. In primo luogo l’altro presunto killer, Raffaele Aprea, cugino di Notturno, oltre che cognato di Abrunzo, così come Arcangelo Abete verso il quale Notturno nutre invece risentimenti. Insomma una versione che necessita di approfondimenti e di verifiche.
Tra l’altro Notturno ha anche raccontato che Gianluca Cimminiello sapeva bene di essersi messo in un grosso guaio, dopo aver malmenato il nipote del boss Cesare Pagano.
“Il tatuatore conosceva una persona che lavorava al forno del lotto Tb, si mise in mezzo per calmare questa situazione, per non farla andare oltre. Aveva chiamato – riferisce il pentito – mio cugino Raffaele Aprea, così da evitare che potessero sorgere altri problemi. Ma fu tutto inutile. Russo fu chiamato a Milano da Arcangelo Abete e partì con Ciro Abrunzo. Arcangelo Abete – conclude il pentito Gennaro Notturno – voleva fare un favore a Cesare Pagano, dando una lezione al tatuatore per la “mancanza” che aveva avuto contro suo nipote”.
L’epilogo della storia è nota con la morte di Ciminiello e la condanna all’ergastolo di Vincenzo Russo ‘ o lungo che altri pentiti indicano come l’esecutore materiale dell’omicidio.

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Napoli, la Camera di Commercio finanziava progetti fantasma: la procura chiede il processo per 12 tra ex dirigenti e funzionari

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Napoli. Preparavano progetti fantasma, mai sostenuti, anche se regolarmente finanziate secondo la polizia tributaria napoletana. Progetti finanziati dalla Camera di Commercio e realizzati solo su carta. Soldi pubblici destinate ad iniziative, almeno nei nomi, belle ed interessanti ma che non sono mai state messe in essere. Un vero e proprio fiume di soldi, un giro d’affari di migliaia di euro, se andiamo a calcolare la media di 30mila euro per progetto.
Un’indagine durata circa due anni fino a chiedere al gip l’apertura di un processo a carico di dodici persone tra dirigenti, imprenditori, segretari, consulenti della Camera di Commercio ed esponenti sindacali.
Tra i dodici nomi per i quali c’è la richiesta di processo, è presente quello di Maurizio Maddaloni, storico esponente dell’ente di piazza Borsa. Nei suoi confronti la sola accusa di turbativa d’asta, in relazione alla organizzazione della “giornata nazionale sulla legalità”. Maddaloni risponde per il suo ruolo di presidente pro tempore della Camera di commercio, assieme ad Ilaria Desiderio (dirigente della Camera di Commercio e responsabile della gara finita nel mirino della Procura); Mario Esti (ex segretario generale), Carmine D’Alessandro (associato di confcommercio); Pietro Russo (presidente Confcommercio). Inchiesta coordinata dai pm Valter Brunetti e Giancarlo Novelli (sotto il coordinamento dell’aggiunto Alfonso D’Avino).
Sono otto i progetti fantasma sui quali la polizia tributari ha posto la lente di ingrandimento.
Per il corso “Addetti alla manipolazione e preparazione di alimenti per celiaci”, sono accusati di truffa Nicola Gentile (rappresentante della Confazienda Campania) e i coniugi Giuseppe Salvati e Anna Canzanella: il progetto ottenne un contributo di 48.204 euro, ma i documenti allegati sono ritenuti falsi; stesso copione per il progetto “Alimentaristi esperti nell’intolleranza al glutine”, che avrebbe prodotto dei costi per 17mila e passa euro ritenuti dalla Procura quanto meno sospetti.
Poi c’è il capitolo Unimpresa, che vede coinvolti Raffaele De Falco, Giuseppina Tella e Paolo Longobardi, Anna Longobardi, Maria Grazia Lupo (“Crediti d’imposta e agevolazioni alle imprese”, contributi per 35mila euro); gli stessi imputati (tranne la Tella) rispondono di truffa anche per il progetto “l’acconciatore da mestiere a professione”; mentre sotto i riflettori finiscono anche il progetto “Sicurezza sui luoghi di lavoro” (contributo di 35mila euro); “La regolamentazione delle aziende del settore sportivo culturale” (sarebbe costato 14mila euro); “La legalità come investimento nella promozione dello sviluppo territoriale (sarebbe costato 30mila euro); “La crisi economico-finanziaria” (sarebbe costato 30mila euro); “La tutela alimentare” (sarebbe costato 30mila euro).

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Camorra, ”Sparate in alto alle quaglie e ai piccioni mentre i guappi veri fanno i morti”: lo scontro-social tra i clan del rione Sanità

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“Sparate in alto alle quaglie e ai piccioni mentre i guappi veri fanno i morti”. La sfida ma anche l’ironia sui social corre e si diffonde tra i pistoleri protagonisti delle ultime stese del rione Sanità. Gli investigatori nelle ultime ore hanno interrogato alcune persone. Il quadro delle tensioni tra i clan è stato alimentato ieri da un altro episodio: un incendio doloso che ha coinvolto un ciclomotore e due autovetture.
È un’ulteriore vicenda che, in attesa di stabilire con certezza le cause, alimenta la paura tornata a serpeggiare tra le stradine del rione. La notte scorsa due automobili in sosta che hanno preso fuoco, intorno alle 3 in via Bernardo Celentano, all’angolo con via Fonseca. A dare l’allarme sono stati alcuni abitanti che, in attesa dei soccorsi e terrorizzati che le fiamme potessero espandersi, hanno gettato secchi d’acqua da balconi e finestre.
Sul posto sono comunque arrivati rapidamente sia i poliziotti si vigili del fuoco. I pompieri hanno impiegato quasi un’ora per domare le fiamme, che hanno danneggiato le mura perimetrali di un palazzo. Era stato uno scooter, parcheggiato tra i due veicoli completamenti arsi dalle fiamme, a prendere fuoco per primo. Ed è questo il punto di partenza per le indagini, non ancora completamente orientate in una direzione precisa.
Anche perché nessuno dei proprietari dei veicoli risulta legato alla criminalità organizzata. Perciò è in piedi anche l’ipotesi del racket della sosta. Ma la preoccupazione degli investigatori è rivolta a quanto sta accadendo in tutto il rione Sanità con i Vastarella, storico clan dominante nella parte alta del quartiere alleati dei Mauro, della zona dei Miracoli contro i Sequino-Savarese che controllano il lato “basso” del quartiere, quello del mercato dei Vergini, da via Santa Maria Antesaecula in giù.
E’ lì che si concentrano il maggior numero di negozi e venditori ambulanti ed è lì che i Sequino e i Savarese hanno messo radici e fanno affari imponendo il racket a tappeto e a tutti. Lo scontro sta tutto qui, perché in vista delle festività natalizie le richieste di pizzo sono aumentate.

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