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Napoli, il baby killer Mariano Abbagnara per la Cassazione non è camorrista

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La Suprema Corte di Cassazione – quinta sezione penale – in accoglimento del ricorso promosso dall’avvocato Dario Vannetiello del foro di Napoli ha annullato la ordinanza emessa in data 15.05.17 dal Tribunale partenopeo, ottava sezione riesame, il quale aveva a sua volta confermato che nei confronti del giovanissimo Mariano Abbagnara sussistevano gravi indizi della sua appartenenza al clan D’Amico di Ponticelli.
Tale annullamento è sorprendente perchè segue un altro annullamento disposto in data 21.04.17 dalla Suprema Corte – I sezione – sempre in accoglimento del ricorso proposto dalla difesa in merito ad una precedente ordinanza del Tribunale del riesame di Napol, quella del 12 luglio 2016.
I supremi giudici non si sono fatti certo condizionare dall’essere stato Mariano Abbagnara il protagonista di quelle allarmanti dichiarazioni da costui rese  nel recente film-documentario dal titolo Robinù, il cui regista è stato il noto conduttore televisivo Michele Santoro .
In quelle immagini, andate in onda, prima nelle sale da cinema, poi sulla Rai,  come si ricorderà il giovane Abbagnara, intervistato in carcere, mostra entusiasmo nel ricordare i momenti in cui aveva tra le braccia un Kalashnikov, piacere che costui assimila a quello di avere tra le braccia la bellissima e nota soubrette Belen Rodriguez.

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Inondavano di droga la zona orientale di Salerno: in 8 vanno a processo

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Inondavano la zona orientale di droga, disposto il rinvio a giudizio per 8 imputati. E’ quanto deciso dal giudice per le udienze preliminari presso il Tribunale di Salerno Mariella Zambrano.
Compariranno il prossimo 6 giugno davanti al giudice monocratico Marrone Antonio De Lucci, Kristian Marku, Davide Marino, Gerardo Pierro, Antonio Pascale, Gennaro Caracciolo, alias ‘o camoscio, Pietro Milione e Silvana Coscia.
Altri due procederanno con il rito abbreviato, Emanuele Barbone e Luciano Salvati con sentenza che sarà emessa tra un mese. Tramite appostamenti e intercettazioni telefoniche, la polizia giudiziaria è riuscita a ricostruire un giro di spaccio che si sarebbe svolto dalla fine del 2013 e per tutto l’anno seguente, articolato in una fitta rete di contatti telefonici tramite i quali si concordavano orari e luoghi degli appuntamenti per lo scambio tra dosi (hashish, eroina e coca) e denaro.

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Fondi neri per pagare il boss che ospitò Gomorra, Cattleya replica: ”Noi parte offesa nel processo”

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Non sono stati usati fondi neri per pagare il boss del Rione Penniniello di Torre Annunziata, Franco Gallo detto ‘o pisiello (detenuto al 41 bis) per girare le scene della prima serie di Gomorra.
Lo afferma l’ufficio legale di Cattleya, dopo la richiesta di chiarimenti da parte di Sky Italia. Giovanni Stabilini, amministratore delegato di Cattleya,  pochi giorni  durante la sua testimonianza al processo che si sta celebrando al Tribunale di Torre Annunziata non aveva escluso la possibilità che, a sua insaputa, fossero state gonfiate delle fatture per ricavare il denaro da versare al clan di nascosto.
Nella casa dei Gallo fu ambientata la dimora della famiglia Savastano. Il boss era stato arrestato pochi giorni prima che iniziassero le riprese. Riccardo Tozzi, responsabile artistico della Cattleya nella stessa udienza di pochi giorni fa aveva raccontato: “Quando il proprietario della casa fu arrestato (il 4 aprile 2013, ndr), le riprese non erano ancora iniziate, ma avevamo già fatto dei lavori. Avevo visto la villa in fotografia e dal punto di vista artistico corrispondeva a ciò che cercavamo.
Quell’arresto era un problema, solo perché rischiava di saltare l’ambiente ideale, approvato anche dal regista Stefano Sollima, uno molto esigente. Ma con i nostri legali sapemmo che c’era la possibilità di girare le scene, pagando l’affitto all’amministratore giudiziario. Quindi era tutto ok”. Fabrizio Siggia, legale di Cattleya spiega: “Per la cifra di 6mila euro, oggetto della contestazione di estorsione, si è celebrato il processo a carico dei Gallo  e in quel giudizio Cattleya si è costituita parte civile per ottenere i danni conseguenti, essendo stata accertata dalla Procura la sua qualifica di parte offesa.
Tutte le garanzie e i controlli amministrativi sono stati rigorosamente applicati da Cattleya nel quadro di processi contabili certificati da due primarie società di revisione continua il legale il riferimento fatto da un amministratore nel corso di una testimonianza a possibili comportamenti scorretti di collaboratori esterni altro non era che una personale considerazione di natura astratta, ipotetica e purtroppo fraintendibile, che nulla aveva a che fare col caso concreto.
Nello specifico le misure di verifica adottate hanno assicurato, come d’abitudine, il massimo controllo possibile, che ha consentito di accertare la totale assenza di comportamenti irregolari anche da parte di operatori esterni”.

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Napoli, tentò di uccidere il fidanzato della sorella: condannato a 4 anni di carcere

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Massacrò di botte il fidanzato della sorella minorenne e lo ridusse in gravi condizioni e con la milza spappolata. E’ stato condannato a 4 anni di carcere per lesioni gravi.Una vittoria del suo difensore, l’avvocato Antonio Rizzo. Antonio Del Vecchio si è pentito e ha chiesto scusa al ragazzo e alla famiglia.
Quando fu arrestato pianse per ore raccontando la paura che gli era presa quando aveva saputo che la sorella, poco più che 14enne, era appartata con un ragazzo più grande di lei. “Ho immaginato di tutto in quel momento, si sentono tante cose in giro, per questo ho perso la testa. Chiedo perdono, sono pronto a tutto.
Voglio pagare per quello che ho fatto, anche materialmente: le spese mediche, le cure, la riabilitazione. Lavorerò per questo”. raccontò in lacrime al gip Miranda quello che era accaduto quel maledetto sabato sera di fine novembre dello scorso anno nella zona del Casale di Posillipo. Quando colto da un improvviso raptus ha massacrato di botte riducendolo in fin di vita il fidanzatino 16enne della sorella.
“Non volevo ucci­derlo, solo dargli una lezione. Ero a casa e mi sono reso conto che mia sorella non era ancora rientrata. Erano le 23 e lei doveva stare a casa già da mezz’ora. Abito al Ca­sale e so che lei frequenta la zo­na di Posillipo, così sono sceso di casa con il motorino sperando di incrociarla, ma non c’era.
Né al Serpentone, né al Virgi­liano. Ho chiesto in giro ad alcuni amici e mi hanno detto di averla vista con due ragazzi ver­so la scuola Domenico Cimarosa”. La sorella era in compa­gnia del fidanzatino e di una coppia di amici, loro coetanei. Qualcuno aveva detto ad Antonio che erano entrati in una casa di peterinenza della scuola dove abita un parente di quei ragazzi che fa il custode della scuola.
“Sono corso lì con il mo­torino ed ho bussato alla porta. Quando ho detto di essere An­tonio, qualcuno da dentro ha spento la luce e allora mi si è annebbiata la vista. Ho pensato che stessero facendo del male a mia sorella, quindi ho bussato con più vigore ed ho cercato a calci di aprire quella porta che alla fine si è spalancata.
Ho sferrato un pugno in volto a chi mi ha aperto, senza guardarlo neanche in faccia, poi sono corso da mia sorella che era se­duta su un divano, l’ho trasci­nata fuori. Ho chiesto spiega­zioni ed ho intimato al ragazzo che era con lei di non farsi più vedere a Posillipo, di non chiamare mai più mia sorella.
Per me ­poteva finire tutto lì ma quel ra­gazzo, che io non sapevo essere il fidanzato di mia sorella, mi ha risposto provocandomi ed io ho reagito. Gli ho dato dei pugni in faccia e poi due calci molto violenti allo stomaco. Ri­cordo di averlo fatto. Ho preso per il braccio mia sorella, sia­mo saliti in scooter e siamo tor­nati a casa”. Ora è arrivata la condanna di primo grado.

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Morì in cella per un infarto, due medici rischiano il processo

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Sarà il gup del Tribunale di Salerno a decidere il prossimo 8 novembre se mandare a processo i due medici del carcere di Fuorni a Salerno per la morte del detenuto 36enne Alessandro Landi.
Sono accusati di omicidio colposo perché “pur in presenza di una sintomatologia anche pregressa, quale dolore toracico intenso e persistente, e costrinzione mandibolare, indicativa di una possibile cardiopatia, omisero di disporre il ricovero del paziente in ospedale, rimandandolo, invece, in cella”.
Il pm che ha formulato l’accusa parla di “condotte omissive” dei due professionisti che con un esame degli enzimi si sarebbero accorti di quello che stava accadendo. La morte di Alessandro Landi, originario del quartiere di Matierno a Salerno, sopraggiunse a causa di tamponamento cardiaco dovuto alla rottura dell’aorta ascendente.
Era la notte di Santo Stefano dello scorso anno e dopo averlo visitato nonostante le sue condizioni i due medici rimandarano Landi in cella invece di farlo ricoverare in un ospedale dove sarebbe potuto essere salvato. Landi morì dopo poche ore. L’uomo era stato arrestato nell’ambito del blitz Italo con 62 arresti per rapine e  spaccio di droga tra Salerno e la piana del Sele. Ora i due medici G.B. 33 anni di Battipaglia e N.C. 33 anni di Pagani rischiano il processo.

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Camorra, fine pena mai per il boss Cesare Pagano e i killer del clan Lo Russo

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Quattro ergastoli, due in meno della richiesta della Dda di Napoli  per il duplice omicidio di Massimo Frascogna detto “Massimino o’ niro”, e Lazzaro Ruggiero “o’ Caccone” ( i due ras del clan Amato-pagano a Mugnano) uccisi in una sala giochi a Miano il 26 luglio del 2007.
Il gup Luisa Toscano ha condannato al massimo della pena  Cesare Pagano, capo degli scissionisti, per Oscar Pecorelli ‘o malomm e Raffaele Perfetto “muss ‘e scigna” e Rito Calzone. Venti anni di carcere invece per il boss di Boscoreale, Giuseppe Gallo e Mario dell’Aquila, uomo del clan Lo Russo.
Diciotto anni di carcere invece per i collaboratori di giustizia Antonio Lo Russo e Biagio Esposito, rispetto ai venti richieste. Il processo si è svolto con rito abbreviato.
Grazie al racconto dei pentiti gli inquirenti hanno ricostruito i ruoli degli indagati con precisione. e in particolare Cesare Pagano e Antonio Lo Russo (figlio di Salvatore “Capitone”) sono accusati di essere i mandanti; Oscar Pecorelli e Raffaele Perfetto avrebbero sparato mentre Dell’Aquila, Gallo, Esposito, Cipolletta e Mansi avrebbero ripulito la sala biliardo di Miano in cui avvenne l’agguato, procurato e nascosto le armi per poi occultare i cadaveri.
Ad attirare in trappola “O’ Niro” e “o’ Caccone” con una scusa fu, secondo la procura antimafia, Rito Calzone. Il quale riferì a Massimo Frascogna e Lazzaro Ruggiero che Cesare Pagano stava giocando a carte e voleva incontrarli, facendo intendere che li avrebbe pagati per il lavoro svolto per il clan.
Invece, appena entrati nel circoletto, furono trucidati con colpi alla testa. I due cadaveri furono fatti sparire e sotterrati in un terreno da parte degli uomini d el clan Lo Russo. Recentemente Antonio Lo Russo, che con il suo pentimento ha contribuito a fare luce sull’agguato, ha anche raccontato che inconseguenza del pentimento del padre e temendo che Oscar Pecorelli facesse altrettanto ordinò a Vincenzo Bonavolta “Cenzore” di far sparire definitivamente i corpi che furono sciolti nell’acido.
Cosa che fece con la complicità di Luciano Pompeo (insieme al quale è stato raggiunto da una nuova ordinanza la scorsa settimana per un altro duplice omicidio, quello di Salvatore “Totoriello” Scognamiglio e Salvatore Paolillo), Salvatore Silvestri e Mario Dell’Aquila.

(nella foto da sinistra il boss Cesare Pagano, Antonio Lo Russo, i mandanti e poi le due vittime Lazzaro Ruggiero e Massimo Frascogna; in basso Oscar Pecorelli, Raffaele Perfetto, Rito Calzone e Giuseppe Gallo)

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Fidanzati uccisi a Pordenone, la difesa: ”Ruotolo in carcere da innocente”. L’accusa ha chiesto l’ergastolo

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Pordenone. E’ il momento della difesa dopo la richiesta di ergastolo per Giosuè Ruotolo, il militare accusato di aver ucciso Teresa Costanza e Trifone Ragone il 17 marzo del 2015. Stamane è iniziata l’arringa difensiva dell’avvocato Giuseppe Esposito, nel processo che si sta celebrando dinanzi ai giudici della Corte d’Assise di Pordenone, nei confronti del militare di origini napoletane arrestato nel marzo del 2016.
“Il dolore non deve essere risarcito con un colpevole ma con la giustizia” e, tra i vari, c’è anche “il dolore di Ruotolo, detenuto innocente dal 7 marzo 2016”. Ha aperto con queste parole l’avvocato Esposito, l’arringa nel processo a carico del suo assistito Giosuè Ruotolo. “Voi avete il compito più ingrato, quello di dare giustizia”, ha detto rivolgendosi ai giudici della Corte d’Assise. “Non farò leva sul dolore. Oltre al dolore dei familiari delle vittime, c’è una terza famiglia che vive un enorme dolore.
E c’è il dolore di Ruotolo, detenuto innocente dal 7 marzo 2016”, ha aggiunto prima di addentrarsi nel dettaglio delle circostanze emerse nel dibattimento di un ‘processo indiziario’ in cui “son tante le cose da approfondire, ci sono da separare i dati oggettivi dalle suggestioni e dalle ricostruzioni immaginifiche, la prova scientifica dallo empirismo, il vero dal falso”.
L’arringa della difesa proseguirà oggi e domani, prima delle repliche, il 6 novembre.  Ergastolo con due anni di isolamento diurno: è questa la condanna chiesta dal pubblico ministero, Pier Umberto Vallerin, per Ruotolo, unico imputato per il duplice omicidio di Pordenone. Il pm ripercorrendo, attraverso un grafico temporale, il rapporto tra Ruotolo e le vittime Teresa Costanza, 30 anni, e Trifone Ragone, 28 aveva illustrato alla corte i motivi per i quali ha chiesto l’ergastolo. “Ruotolo ha commesso gli omicidi per salvare la sua carriera”, aveva affermato il 20 ottobre scorso il pm. “L’odio verso Trifone e la gelosia verso Teresa – ha aggiunto – lo avevano assalito già da tempo.
Togliendoli di mezzo sparivano due rivali, due minacce viventi, due persone verso cui covava odio già da tempo. E il suo futuro sarebbe tornato ad essere roseo”. Teresa e Trifone sono stati trovati senza vita nella loro auto la sera del 17 marzo 2015, nel parcheggio del palasport di Pordenone. I sei colpi di pistola calibro 7,65 – uno andato a vuoto – non hanno, ovviamente, lasciato scampo alla coppia.
La velocità dell’esecuzione non gli ha permesso neanche di reagire.  Tre colpi, due mortali e uno sparato a distanza ravvicinata – circa 5-10 centimetri – hanno raggiunto il capo di Trifone. Due i proiettili contro Teresa, uno frontale, probabilmente sparato mentre la 30enne si voltava verso il suo assassino.

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Napoli, tentò di uccidere la seconda moglie dopo aver ucciso la prima: condannato a 14 anni di carcere

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E’ stato condannato a 14 anni di reclusione per duplice tentato omicidio della moglie e del compagno della moglie, Giuseppe Antonucci che il 12 gennaio scorso in preda un raptus di folle gelosia stava per compiere una strage al Centro Direzionale.
Il Gup Isabella Iaselli non ha riconosciuto la seminfermità mentale dell’uomo mentre ha riconosciuto l’aggravante della premeditazione. Antonucci verso le ore 14 del 12 gennaio scorso scatenò la sua ira contro la ex moglie e il suo compagno. Ma dopo i primi tre colpi la pistola si inceppò. La donna Rosaria Montanello, di 40 anni, nonostante le ferite riuscì ad avvertire la Polizia.
Antonucci fu bloccato dopo circa un’ora dagli agenti di commissariato Ponticelli  nell’abitazione di una sua nipote, a Napoli. Con Rosaria Montanello rimase ferito anche il compagno Antonio Fevola.
Giuseppe Antonucci ha precedenti per ricettazione, violenza privata e per l’omicidio colposo della prima moglie Loredana Esposito assassinata a Napoli nel rione Luzzatti il 25 gennaio del 1991.

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L’ex avvocato del boss: ”Così aiutammo Setola ad uscire ad avere i domiciliari da dove poi evase”

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“Su indicazione di Giuseppe Setola mi rivolsi nell’estate 2006 all’oculista Aldo Fronterre’, cui chiesi di fare una consulenza medica al mio assistito affinche’ ne dichiarasse lo stato di incompatibilita’ con il carcere.
Lui accetto’, e fece cio’ che avevamo stabilito, cosi’ Setola riusci’ ad avere i domiciliari da cui poi e’ evaso”. Lo ha raccontato oggi al Tribunale di Santa Maria Capua Vetere  Girolamo Casella, ex avvocato del boss dei Casalesi Giuseppe Setola, condannato definitivamente dalla Cassazione, nel febbraio scorso, a 11 anni di carcere per associazione mafiosa perche’ oltre a rappresentare in giudizio il killer, ha svolto negli anni per conto di quest’ultimo anche le funzioni di messaggero all’esterno, tanto da essere ritenuto al servizio dei clan.
Casella, che ha iniziato a rendere dichiarazioni ai magistrati della Dda di Napoli ma non e’ ancora entrato nel programma di protezione, e’ stato sentito oggi come testimone nel processo in cui sono imputati il capo dell’ala stragista dei Casalesi, che risponde di simulazione di reato, e l’oculista di Pavia Aldo Fronterre’, cui sono contestati i reati di concorso esterno in associazione camorristica e false attestazioni all’autorita’ giudiziaria.
Per l’accusa – oggi in aula c’erano il sostituto della Dda di Napoli Sandro D’Alessio e l’ex pm antimafia, oggi Aggiunto proprio a Santa Maria, Alessandro Milita – Fronterre’ avrebbe presentato false attestazioni mediche permettendo a Setola, nel gennaio 2008, di ottenere gli arresti domiciliari in un’abitazione nei pressi della clinica Maugeri di Pavia dove si sarebbe dovuto curare; il 18 aprile dello stesso anno, pero’, Setola evase dalla clinica, dando inizio alla stagione del terrore nel Casertano che causo’ 18 morti, tra cui i sei immigrati africani uccisi nella strage di Castel Volturno.

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Camorra, il pentito e l’iniziazione ai tempi della faida: ”Per passare con gli Amato-Pagano si doveva uccidere uno dei Di Lauro”

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C’è stato un macabro rituale di camorra, uno de tanti, durante la prima faida di Scampia, che è stato svelato di recente dal pentito Pasquale Riccio, ovvero che gli ex Di Lauro che volevano passare con gli “scissionisti” del clan Amato-Pagano dovevano contribuire all’omicidio di uno dei vecchi amici, come segnale di fedeltà al nuovo gruppo.
Fu così, secondo il pentito Pasquale Riccio ‘o paliuso, an­che per Carmine Amoruso detto “Papacelle”, che fece scattare la trappola culmina­ta nella triplice uccisone a Mugnano del 9 novembre 2004. Si era agli albori della prima faida di Scampia e furono trovati i cadaveri di Stefano Maisto, del cugino Mario e di Stefano Mauriello. Ecco cosa ha messo ver­bale il collaboratore di giustizia il 18 marzo del 2015:
“Ho saputo del triplice omicidio da Gio­vanni Esposito ’o muort”  che era già nel gruppo di fuoco degli Amato-Pagano. Egli mi disse che l’omicidio venne com­ messo nel garage della casa di Carmine Amoruso, che si trova a Mugnano – sua o di suo fratello- e che se non mi sbaglio c la stessa da cui partì il gruppo di fuoco per commettere l’omici­ dio di Biagio Biancolella.
Carmine Amoruso con l’appoggio dato in questo omicidio (si riferisce al triplice di Mugano, ndr) si è girato dai Di Lauro agli “scissionisti”. “Papacelle” aveva avuto da Cosimo Di Lauro dei soldi per puntare una quota di hashish a Marano. Mandò a chia­mare ’o Cavallaro (Giovanni Cortese, ndr) con la scusa di restituire questa som­ma, ma ’o Cavallaro” (fedelissimo dei Di Lauro, ndr) invece di recarsi personalmente mandò questi tre giovani dei Di Lauro. I killer, per quanto che ho saputo, aspetta­vano Giovanni Cortese.
Esposito mi rac­contò che si trattava di Carmine Cerrato ’a recchia, Carmine Amoruso e lo stes­so Esposito, per come mi disse lui anche se credo più ad una sua vanteria. I particolari che riferì Espo­sito furono questi: una delle vittime fu colpita a un occhio, ma non mi disse chi fu a buttare l’auto con i cadaveri nella zona de­ gli “zingari”, anche se specificò che originariamente l’intento era quello di abbandonare l’auto proprio “in mezzall’arc” (strada di Secondigliano allora quartier ge­nerale del clan Di Lauro, ndr), ma non si poté fare per la presenza di troppe forze dell’ordine”.
Il triplice omicidio, come ricorda Il Roma,  si scoprì dopo una telefonata al 118. “C’è un uomo riverso a bordo di un’auto, forse sta male”. Arrivò la polizia. Nella Fiat Punto, sul sedile posteriore, c’era il corpo di Stefano Maisto, 27 anni.
Per terra, tra i sedili, quello di suo cugino Mario. I corpi crivellati dai proiet­tili erano chiusi in sacchi di plastica con chiusura lampo, generalmente usati dalla polizia mortuaria, e accanto fu trovato un giornale sportivo con la data del giorno prima, oltre ad alcuni atti giudiziari sulla scar­cerazione di un indagato per droga e alcuni disegni fatti con la mano di un bambinoinnamorato di Superman.
Nel portabaga­gli c’era il terzo cadavere, quello di Stefa­ no Mauriello, 31 anni, titolare di un gara­ge a Scampia. 1 tre, per la polizia, erano uomini del clan di “Ciruzzo ’o milionario”, pregiudicati e vivevano tutti tra Melito e Giugliano.

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Mafia, l’ordine di Scaduto di ammazzare la figlia e l’amante carabiniere: ”Questo regalo glielo farò”

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Palermo. “Ammazzare lei, la figlia, e l’amante” perché “tutto da lei è partito”. Era questo l’ordine che il boss di Bagheria Pino Scaduto impartiva dal carcere. La vittima designata era la figlia, rea di aver intrapreso una relazione con un maresciallo dei carabinieri di Bagheria e, secondo il boss, di aver causato proprio in virtù di alcune confidenze fatte all’amante, il suo arresto. Il proposito omicida emerge da alcune intercettazioni dell’operazione dei carabinieri di Palermo che questa mattina ha portato all’arresto di 16 persone per associazione mafiosa ed estorsione. L’ordine di Scaduto, che oggi è tornato in carcere dopo essere tornato in libertà nel mese di aprile, sarebbe stato quello di uccidere la figlia, il suo convivente e il suo amante, maresciallo dei carabinieri di Bagheria. Un disonore da punire con il sangue, per un uomo di Cosa Nostra, quello di una relazione con un esponente delle forze dell’ordine. Scaduto lo aveva confermato anche alla sorella in alcune lettere scritte dal carcere. “Questo regalo quando è il momento glielo farò” scrive. E ancora: “Glielo faccio ancora molto più bello questo regalo…tempo a tempo che tutto arriva”. Il sicario designato avrebbe dovuto essere il figlio del boss, il quale però si è rifiutato. “No…io non lo faccio, il padre sei tu e lo fai tu…io non faccio niente..eh… mi devo consumare io? Consumati tu. Io ho trent’anni, non mi consumo”. A questo punto, Scaduto avrebbe incaricato un’altra persona che però si tirò indietro. “Sono loro nella famiglia – dice la persona che avrebbe ricevuto l’incarico nelle intercettazioni – si ammazzano come i cani, a quel ‘picciutteddu’ lo stanno facendo diventare…che se avete qualcosa da dire, sbrigatevela fra di voi nella famiglia…che minchia ci dite ai cristiani? Sua figlia o ha sbagliato o l’ha indovinata non è sempre sua figlia? Che minchia vuole”.
Questa insubordinazione è anche il segnale di un certo fermento nella mafia della provincia palermitana. Uno degli arrestati, Vincenzo Urso, è indicato dai collaboratori di giustizia come un “ballerino”, che “non sapeva dove andarsi a sedere, perchè il suo intento era di prendere la reggenza di Altavilla Milicia ai tempi di Pino Scaduto”. Giochi di potere che non interferivano però negli affari mafiosi: i soldi arrivavano costantemente grazie a una forma di “mediazione” nelle vendite. A spiegarlo e’ il pentito Antonino Zarcone. “Mettiamo caso… un esempio, una lottizzazione di 100 mila euro, loro che cosa facevano? Al proprietario – dice Zarcone nei verbali – chiudevano l’operazione per 90 mila euro, loro il terreno invece lo vendevano per 120-130 mila euro, la differenza dai 90 a quelli in più rimanevano a loro e la quota che spettava al proprietario del terreno gliela davano e iddi (loro) invece di prendere la mediazione normale, che poteva essere del 2%, tipo 2 mila euro, si prendevano 20, 30 o 40 mila euro sull’acquisto del terreno”. Ma il business proseguiva anche dopo perchè Cosa nostra avrebbe imposto agli acquirenti le imprese che dovevano fare i lavori. In pochi hanno confermato le estorsioni. Proprio per aumentare il numero di denunce, il sindaco di Bagheria, Patrizio Cinque, ha disposto l’esenzione dalla Tari – la tassa sui rifiuti – per gli imprenditori che si rivolgeranno alle forze dell’ordine in caso di richieste di pizzo.

L’ONORE MAFIOSO: I PRECEDENTI. Il caso di Pino Scaduto che aveva ordinato l’uccisione della figlia perchè aveva una relazione con un maresciallo dei carabinieri non è un fatto isolato nella storia della Mafia. Ci sono almeno due casi noti alle cronache simili a questo. Il più eclatante è quello di Lia Pipitone, 25 anni, figlia di Nino capo del mandamento di Resuttana. “Era nata per la libertà ed è morta per la sua liberta'”, ha raccontato il collaboratore Francesco Di Carlo il quale ha anche ricostruito i retroscena del delitto. Lia Pipitone venne uccisa il 23 settembre 1983. Il padre aveva dato il suo consenso dopo avere appreso che la figlia aveva, secondo Di Carlo, una relazione extraconiugale. Lia Pipitone fu uccisa con modalità simili a quella di una rapina. Ma a distanza di trent’anni l’inchiesta, sulla base delle dichiarazioni di Di Carlo, ha individuato i due presunti esecutori materiali, Vincenzo Galatolo e Nino Madonia. Il figlio della donna, Alessio Cordaro, si è costituito parte civile e con il giornalista Salvo Palazzolo ha ricostruito in un libro (“Se muoio sopravvivimi”) la storia della madre e il contesto mafioso del delitto. L’anno prima, ancora per risolvere un caso di “disonore”, il boss Giuseppe Lucchese detto ‘Lucchiseddu’ uno dei più feroci killer di Cosa nostra, aveva ucciso la cognata Luisa Gritti inscenando una rapina in un bar del centro. Poi aveva eliminato la sorella Giuseppina, che aveva crivellato con il marito sotto gli occhi della figlia della coppia. Le due donne erano state “punite” perchè le loro relazioni gettavano “discredito” sull’onore della famiglia.

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Castellammare, donna morta in ospedale: 6 avvisi di garanzia

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Castellammare di Stabia. E’ morta in ospedale dopo 13 ore su una barella posizionata in corsia. La Procura della Repubblica ha aperto un’inchiesta ed ha provveduto inviare cinque avvisi di garanzia.
Nella giornata di ieri è stata effettuata l’autopsia sul corpo della donna, originaria di Pompei. Alla donna è stata fatta un’ iniezione ed è poi morta nella tarda serata di giovedì scorso. I familiari hanno sporto denuncia al locale commissariato di Polizia chiedendo di far luce sulla morte della 79enne.
Il caso della 79enne è l’ultimo che scuote il nosocomio stabiese, il secondo a distanza di pochi giorni dopo la morte dell’ operaio 61enne Giuseppe Balestrieri.

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Camorra, terza faida di Scampia: a processo 48 della Vanella-Grassi e dei Leonardi. TUTTI I NOMI

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E’ iniziato il processo di Appello per boss e gregari della Vanella-Grassi appartenenti al gruppo dei Leonardi, i “Girati” che scatenarono la terza faida di Scampia contro gli Abete-Abbinante e che in primo grado lo scorso anno sono stati condannati a 641 anni di carcere dal gup Francesca Ferri. Sono 48 gli imputati che in primo grado hanno incassato condanne pesantissime, pentiti compresi, come il boss Antonio Leonardi, ex braccio destro di Paolo Di Lauro, “Ciruzzo ‘o milionario”.
Ha incassato una condanna a dieci anni e otto mesi nonostante ci fossero i benefici della collaborazione con la giustizia e lo sconto di un terzo per il rito abbreviato, la condanna lo inchioda comunque per il suo ruolo apicale. Mentre i figli Alfredo, Felice e Giovanni, anche loro collaboratori di giustizia, hanno rispettivamente rimediato 15 anni e 4 mesi, 12 anni e 10 mesi, 10 anni e dieci mesi di carcere.
Sei anni per Umberto Accurso, l’ultimo dei capi dei “girati” della Vanella-Grassi in ordine cronologico latitane per oltre due anni e arrestato nel maggio scorso a Qualiano dopo la sceneggiata dell’attentato contro la caserma dei carabinieri di Secondigliano; “solo” quattro anni invece per Rosario Guarino, alias Joe banana, altro esponente storico del gruppo della Secondigliano vecchia capace di strappare – a colpi di morti ammazzati – spazi di autonomia criminale prima contro i Di Lauro (siamo nel 2007), poi contro gli scissionisti del clan Abete.
Il processo ha svelato in larga parte quelli che sono stati gli scenari e le alleanze di una delle guerre di camorra più sanguinose dell’ultimo ventennio, quella, per intenderci, che ha visto il gruppo dei Leonardi e quello della Vanella Grassi contrapporsi al cartello residuo degli “Scissionisti” della prima ora, ovvero gli Abete-Abbinante. Nel biennio 2012-2014, le strade di Napoli Nord tornano così a essere inondate da un fiume di sangue. Poi, però, succede qualcosa. All’inizio del 2014 il boss Antonio Leonardi decide di interrompere il vincolo camorristico e di passare dalla parte dello Stato.
A stretto giro di posta fanno altrettanto i figli Alfredo, Felice e Giovanni. I ras iniziano così a parlare con gli inquirenti della Direzione distrettuale Antimafia, svelando volti e retroscena della Terza faida di Secondigliano. L’inchiesta approda rapidamente a una svolta. A giugno 2015 la Procura emette infatti 44 ordinanze di custodia cautelare in carcere. I reati contestati vanno dal 416 bis, al traffico di droga e di armi. Nel faldone finiscono anche due tentati omicidi, quello di Giovanni Esposito “’o  muort” (avvenuto il 4 luglio del 2012) e quello di Giovanni Giordano (il 12 novembre 2012), entrambi affiliati agli Abbinante. Tra i destinatari dell’arresto c’erano anche ras del calibro di Antonio Mennetta “Er Nino” e Arcangelo Abbinante, sul fronte opposto degli Abete.
L’inchiesta aveva tra l’altro preso il via anche grazie alle intercettazioni telefoniche e ambientali partite proprio in seguito tentato omicidio di Giovanni Esposito, cognato degli Abbinante, e dalla ricerca di alcuni latitanti dei clan in quel momento in guerra. Gli investigatori scoprirono così una lunga serie di retroscena in merito ai traffici di droga.
Saltarono quindi fuori anche le spedizioni a Roma di grossi carichi di cocaina e la disponibilità delle armi utilizzate per i due agguati e altre incursioni armate per la riconquista dei lotti G, H e K di via Labriola e della Vela celeste, piazze di spaccio contese tra la “Vinella” e gli Abete-Abbinante. Assai nutrito il gruppo di pentiti che ha supportato le indagini. In primo luogo, provenendo dall’interno ai massimi livelli, è risultata decisiva la collaborazione del boss Antonio Leonardi e dei figli. Riscontri importanti sono arrivati pure dalle vecchie conoscenze dei pm: su tutti Rosario Guarino “Joe banana”, i fratelli Annunziata, Gianluca Giugliano, Armando De Rosa, Mario Pacciarelli, Fabio Vitagliano e Giovanni Illiano. Ieri la stangata giudiziaria.

TUTTE LE CONDANNE DI PRIMO GRADO

ABATE LUIGI 10 ANNI

ACCURSO UMBERTO 6 ANNI

ANNUNZIATA CARMINE 2 ANNI

ANNUNZIATA GAETANO 2ANNI

ARUTA LUIGI 10 ANNI

AURILIO SALVATORE 20 ANNI

BARBATO SALVATORE 16 ANNI E 8 MESI

BARONE FRANCESCO 14 ANNI

BATTAGLIA CARMINE 17 ANNI E 4 MESI

CAPALDO SALVATORE 16 ANNI E 8 MESI

CAPUTO SALVATORE 16 ANNI E 8 MESI

CASTIELLO CIRO 6 ANNI E 8 MESI

CROCE MARIA 10 ANNI E 10 MESI

DATI VINCENZO 18 ANNI E 4 MESI

DE SIMONE VINCENZO 12 ANNI E 4 MESI

DI GENNARO ANTONIO 20 ANNI

DELL’ANNUNZIATA LUCA 8 ANNI

DELL’AVERSANA SALVATORE 8 ANNI

ESPOSITO MARCO 16 ANNI E 8 MESI

ESPOSITO VINCENZO 16 ANNI E 8 MESI

GIANNINO VIRGINIO 8 ANNI

GUARINO ROSARIO 4 ANNI

IORIO GENNARO 20 ANNI

LEONARDI ALFREDO 15 ANNI E 4 MESI

LEONARDI ALFREDO CL. 85  8 ANNI

LEONARDI ANTONIO CL. 60 10 ANNI E 8 MESI

LEONARDI FELICE 12 ANNI E 10 MESI

LEONARDI GIOVANNI 10 ANNI

LUCARELLI ANTONIO 6 ANNI

MAGELLI GENNARO 10 ANNI

MAOLONI PIETRO 16 ANNI E 8 MESI

MARCHESE GIUSTINA 16 ANNI E 8 MESI

MARINO ANGELO 15 ANNI E 4 MESI

MAROTTA ANTONIO 12 ANNI E 4 MESI

MAROTTA VITTORIO 12 ANNI E 4 MESI

MINCIONE ANTONIO 16 ANNI E 6 MESI

MINCIONE NICOLA 20 ANNI

MINCIONE PASQUALINA 14 ANNI E 8 MESI

MINCIONE RAFFAELE 20 ANNI

MINICHINI GIUSEPPE 5 ANNI E 4 MESI

PARZIALE GAETANO 18 ANNI E 8 MESI

PIEDIMONTE SALVATORE 20 ANNI

RICCIO GAETANO 16 ANNI E 8 MESI

SELVA ADRIANO  6 ANNI

SILVESTRO MICHELE 20 ANNI

STRAZZULLI FRANCESCO 15 ANNI

VANACORE ALFONSO 18 ANNI

(nella foto da sinistra Antonio Leonardi, Umberto Accurso, Nicola Mincione , Angelo Marino, Rosario Guarino, Pietro Maoloni, Antonio Di Gennaro, Alfonso Vanacore, Salvatore Piedimonte, Francesco Barone, Vincenzo Dati, Gaetano Parziale)

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Truffe alle assicurazioni per conto del clan: chiesti 120 anni di carcere

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Mano pesante del pm della Dda di Napoli al processo a carico di Giuseppe Mallardo ed degli altri imputati coinvolti nel processo per truffe alle assicurazioni per conto del clan Mallardo. Davanti alla Settima Sezione del tribunale di Napoli – pres. Paglionico – il pm Maria Cristina Ribera ha svolto la sua requisitoria con le richieste di pena. La più alta, come riporta Il Roma, è per Giuseppe Mallardo: chiesti 24 anni di reclusione, 12 per Salvatore Ciccarelli alias chiò chiò, Maria Garrone 5 anni, Rodolfo Crispino 10 anni, Annabella d’Anania 5 anni, Roberto di Napoli 12 anni, Eugenio Guaglione 7 anni, Giovanna Mandara 8 anni, Massimiliano Muto a 7 anni, Pasquale Palma a 6 anni, Alfio Petralia a 5 anni, Luisa Topo a 5 anni, Gennaro Spatafora 5 anni, Michele di Napoli a 5 anni e Salvatore Napolitano a 5 anni.
Le indagini portarono al blitz nel novembre 2014 quando fu arrestato Giuseppe Mallardo alias ’o chiatton, esponente di spicco dell’omonimo clan giuglianese, sorpreso dalla Guardia di Finanza in un appartamento a Cassino.

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Camorra a Marano: la Dda ha chiesto il processo immediato per i Cesaro e soci

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La Dda di Napoli chiede il rito immediato a carico di Aniello e Raffaele Cesaro, Antonio Di Guida, Oiviero Giannella, ma anche per Biagio Cante, Salvatore Polverino  detto Toratto e Antonio Visconti. L’inchiesta è quella relativa allo scandalo dell’area Pip di Marano e dei collegamenti con il clan Polverino.
Gli indagati sono tutti accusati a vario titolo di concorso esterno in associazione camorristica, in relazione a rapporti ritenuti sospetti con imprenditori e tecnici a loro volta indicati come legati al clan Polverino ma anche di di intestazione fittizia. Secondo il  pm anticamorra Mariella Di Mauro, che sta coordinando le indagini dei Ros da circa due anni, ci sono tutti gli elementi per anadre subito a processo sneza passare per l’udienza preliminare.
I due fratelli imprenditori del parlamentare Luigi Cesaro, che è indagato in questa inchiesta, sono attualmente detenuti nel carcere di Terni. Sono stati incastrati da una serie di intercettazioni telefoniche e ambientali ma anche dal racconto di una mezza dozzina di pentiti.
Secondo l’accusa : “L’approvazione del pip e la conseguente variante del prg veniva imposta da Giuseppe Polverino a Mauro Bertini, sindaco di Marano dell’epoca e sarebbe passato attraverso il filtro del presunto patto politico mafioso: la nomina, con un incarico esterno, dell’ingegner Nicola Santoro quale soggetto deputato a redigere lo studio di fattibilità del Pip, nonché a predisporre tutti gli atti necessari per l’indizione e lo svolgimento della gara, che poi veniva pilotata dai Cesaro, dal momento che il Santoro era indicato come loro uomo di fiducia e quindi dei loro soci occulti”.
Nel circa mille pagine dell’ordinanza di custodia cautelare viene rappresentato uno spaccato criminale dei rapporti tra i Cesaro, l’imprenditore Antonio Di Guida e personaggi del clan Polverino
quali Angelo Simeoli, detto bastone e lo stesso Salvatore Polverino, figlio del boss latitante  Antonio, già condannato a 25 anni per 416 bis, e arrestato nel luglio scorso insieme ad un imprenditore considerato prestanome del clan, Antonio Visconti, per interposizione fittizia di beni, reato aggravato dalle finalità mafiose

 

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Clan Orlando: processo immediato per tutti ma gli imputati chiedono lo sconto di pena

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Inizierà dopodomani il maxi processo con giudizio immediato a carico degli oltre 30 imputati del clan Orlando di Marano, anche se molti hanno chiesto il rito abbreviato per ottenere lo sconto di pena. La cosca controllata dal boss latitante dal 2003, Antonio detto mazzulill  aveva preso il predominio su Marano e i comuni limitrofi estromettendo i Polverino e assoggettando Nuvoletta e grazie a vincoli familiari aveva creato clan satelliti con i quali controllava anche i comuni di Mugnano, Calvizzano e Quarto.
 Quello che emerge nelle 964 pagine dell’ordinanza del gip Francesca Ferri è un quadro allarmante del controllo del territorio da parte della cosca degli Orlando.Un clan articolato in piu’ livelli, militarizzato, in grado di imporre il pagamento del ‘pizzo’ a tappeto sul territorio, forte anche di ‘innesti’ della famiglia Novoletta, un tempo l’unica federata con la mafia siciliana.
Il nuovo gruppo criminale avrebbe esteso i propri tentacoli su settori specifici del territorio: mercato ortofrutticolo, edilizia ed appalti pubblici, gestione del ciclo integrato dei rifiuti, cimitero e macchina amministrativa. Con la latitanza di Antonio la famiglia malavitosa era guidata dai fratello Gaetano e Raffaele detto papele e dal cugino Angelo detto ‘o malomm.
La cosca aveva inglobato alcuni esponenti dei Nuvoletta di Marano e  si era estesa nel territorio limitrofo era strutturata in almeno quattro livelli.
Al vertice del gruppo, detto anche dei Carrisi, i fratelli Orlando, roccaforte tra Marano e Quarto; poi, al secondo livello, Armando Lubrano, nipote del boss Antonio, insieme a Lorenzo Nuvoletta, figlio di Ciro, elemento di vertice dell’omonimo clan ucciso in un agguato, e Angelo Orlando, ‘portavoce’ dei boss; al terzo livello, i ‘responsabili di zona’ come Gennaro Sarappo, che si occupa di Quarto, e Raffaele Lubrano, attivo a Calvizzano, insieme all’addetto al controllo, Celeste Carbone; al quarto livello, gli esecutori degli ordini.
Il clan intreccia i suoi interessi con quelli degli imprenditori locali, scontrandosi per questo anche con frange del clan Polverino, indebolito di recente da arresti e sequestro di ingenti patrimoni. Ma ha anche rapporti consolidati con la politica locale, in grado di condizionare la scelta degli amministratori.
Tra le attivita’ gestite, anche il traffico di sostanze stupefacenti dalla Spagna per rifornire le piazze di spaccio controllate.
La prima udienza del processo dunque è prevista per il prossimo due novembre, ma nelle settimane successive è previsto un autentico tour de force per inquirenti, giudici e difensori di parte.

 

GLI INDAGATI

1. AMETRANO Mario, nato a Aversa il 10.12.1975
2. BAIANO Luigi, nato a Napoli il 22.07.1981, alias “caramella”
3. CARBONE Celestino, nato a Napoli l‟ 11.04.1983, alias “ o Celestone”
4. CARPUTO Raffaele, nato a Napoli il 20.10.1981
5. CINCINNATO Francesco, nato ad Aversa il 21.07.1982
6. DI LANNO Antonio, nato a Mugnano di Napoli il 29.09.1980
7. DI LANNO Ciro, nato a Mugnano di Napoli il 17.05.1982, alias “Ciruzzo”
8. DI MARO Angelo, nato a Mugnano di Napoli il 21.12.1978, alias “o Pagliariello”
9. ESPOSITO Vincenzo, nato Napoli 28.09.1988
10. GAGLIANO Maria Rosaria, nata a Villaricca il 20.12.1975
11. LUBRANO Armando, nato a Villaricca il 25.07.1982, alias “Armandino” o “Shrek”
12. LUBRANO Raffaele, nato a Villaricca il 07.02.1980
13. LUBRANO Vincenzo, nato a Villaricca il 10.12.1984
14. LUCCI Pasquale Fabio, nato a Pozzuoli (NA) il 04.05.1980
15. NUVOLETTA Lorenzo, nato a Napoli il 01.07.1981
16. ORLANDO Angelo; nato a Napoli il 31.10.1979, alias “O Malomm”
17. ORLANDO Antonio, nato a Marano di Napoli il 14.1.1958, detto “Mazzulill”
18. ORLANDO Gaetano, nato a Marano di Napoli il 07.05.1947
19. ORLANDO Raffaele, nato a Marano di Napoli il 22.08.1954; alias “Papele”
20. POLVERINO Crescenzo, nato a Villaricca il 28.01.1984 alias “Crescenziello”
21. RAIMONDO Nicola nato a Napoli il 11/11/1973
22. RUGGIERO Salvatore, nato a Mugnano di Napoli il 30.03.1986, alias “u russ”
23. SARAPPO Gennaro, nato a Napoli il 26.02.1971, alias “hogan”o “ o marmittaro”
24. SARAPPO Mario, nato a Napoli 22.10.1969
25. SCHIATTARELLA Aniello, nato a Marano di Napoli il 17.10.1964
26. SPINELLI Antonio, nato a Santa Maria Capua Vetere (CE) il 17.02.1979
27. VECCIA Raffaele, nato a Napoli 07.08.1977 alias “o maresciall”
28. VISCONTI Claudio, nato a Napoli 02.03.1981, alias “Caccone”
29. AIELLO Salvatore, nato a Viareggio il 19.09.197 (
20. DI MARIO ISIDORO, nato a Napoli l’11 -12-1973
31. ORLANDO ANGELO, nato a Napoli il 26-7-1972 alias “Top Gun”
32. ORLANDO RAFFAELE, nato a Napoli il 7,-3-1980
33. BELMARE Eliodoro nato a Napoli il 22 -12-1980
34. DE FENZA Maurizio, nato a Napoli il 13-8-1986 detto mamozio
35. DE LUCA Alessandro nato aq Napoli il 15-10-1987 alias ‘o chiattone
36. DEL PRETE Luigi nato a Mugnano il 10-12- 1990

 

 

 

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Uccise una prostituta nel Cilento: condannato a 28 anni di carcere

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Condanna bis per Costabile Piccirillo, accusato di aver ucciso Rosa Allegretti. I giudici della Corte d’Appello hanno confermato la sentenza inflitta in primo grado: 28 anni e sei mesi per l’omicidio della prostituta trovata morta a via Mascagni.
L’uomo fu incastrato dalle telecamere di video sorveglianza mentre gettava i vestiti e gli oggetti della donna. L’uomo confessò dicendo di non voler uccidere Rosa Allegretti, una prostituta che abitualmente svolgeva il suo lavoro lungo il litorale di Capaccio, ma di rapinarla.
I fatti sono accaduti nel dicembre del 2011 quando il corpo della donna fu ritrovato in un teresino agricolo. Secondo quanto ricostruito dai militari dell’ arma l’uomo e la vittima si erano incontrati il giorno prima.
Il giardiniere così come raccontato agli inquirenti voleva solo rapinarla e non consumare un rapporto sessuale. Salita a bordo, la donna si rifiutò di consegnare il danaro e riuscì a fuggire nonostante Piccirillo la avrebbe colpita con un bastone.
La rincorse, la legò e, per non farla urlare, le mise un fazzoletto davanti alla bocca. Quando arrivò a via Mascagni la donna era morta per asfissia. Così la svestì e portò gli effetti personali della donna all’ isola ecologica, non calcolando la presenza di telecamere di sorveglianza. Una volta fermato l’uomo confessò ed è stato condannato per omicidio, sequestro di persona e l’occultamento di cadavere.

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Napoli, operai morti di amianto all’Atitech di Capodichino: assolti 15 ex dirigenti e medici

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Assolti con la formula “perché il fatto non sussiste” i 15 ex dirìgenti e medici in servizio all’Ati (oggi Atitech) che erano stati rinviati a giudizio con l’accusa di omicidio colposo per la morte di due operai napoletani, Aldo Converso e Pasquale Quattromani, stroncati da mesotelioma pleurico da amianto.
I due, che lavoravano a contatto con l’amianto, nello stabilimento Ati di Capodichino, dove si riparavano e si riparano aerei morirono agli inizi degli anni 2000. Secondo l’accusa, la loro morte era stata determinata dall’inosservanza di regole di diligenza e dalla violazione delle norme sulla prevenzione degli infortuni. Dopo oltre cinque anni di di processo, invece, il giudice ha escluso responsabilità a carico degli ex amministratori delegati dell’azienda Mario Franchi, Claudio Carli, Franco Colagrande, Pasquale Intontì, Gaetano Galia, Mario Rosso, Ugo Cucciniello ed Ernesto Santelia , degli ex direttori generali Vincenzo Fortunato, Gennaro Di Capua, dei medici Alberto Testa, Michelangelo Vitagliano e Maurizio Balestrieri e gli ex responsabili della sicurezza Salvatore Perna e
Francesco Vitagliano.
Un sedicesimo imputato è morto prima della conclusione del processo.

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Camorra, la Dda ha chiesto il processo immediato per gli assassini del capo della ”Paranza dei Bimbi”

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La  Dda ha chiesto il processo immediato per boss e killer del clan Buonerba “Capelloni” accusati dell’omicidio del baby boss Emanuele Sibillo, capo della “Paranza dei Bimbi”assassinato in via Oronzio Costa nell’estate del 2015. Nel maggio scorso grazie alle dichiarazioni del pentito del clan Mariano dei Quartieri Spagnoli, Maurizio Overa e alla conferma del suo capo, Marco Mariano, leader dei “Picuozzi” anch’egli  collaboratore di giustizia, furono arrestati killer e mandanti di quel clamoroso agguato.
In manette finirono Antonio Amoroso, 22enne; Gennaro Buonerba, 24enne; Luigi Criscuolo, 24 anni, soprannominato “Sby sby”; Andrea Manna “Cioccolata”, 40 anni; Vincenzo Rubino, 23enne. Una ulteriore conferma a quelle dichiarazioni è arrivata da un terzo pentito: Scuotto Claudio. Le dichiarazioni insieme alle intercettazioni telefoniche ed ambientali e alle indagini della squadra mobile hanno costituito il quadro accusatorio che ha consentito al gip Eliana Franco nel maggio scorso di emettere l’ordinanza di custodia cautelare nei confronti del gruppo di fuoco che eliminò il capo della Paranza di Forcella. Sono due gli interrogatori chiave di Mauzio Overa in cui racconta come avvenne l’omicidio e le fase di preparazione.
Il primo è datato 5 febbraio 2016. Ecco la parte relativa all’omicidio di Emanuele Sibillo contenuta nelle 211 pagine dell’ordinanza del gip: “…nel frattempo, dal carcere, Ciro MARIANO ci aveva mandato un ‘imbasciata dicendoci di appoggiare la famiglia dei BUONERBA che era da considerare una famiglia malavitosa a noi vicina. In quel periodo, infatti, era detenuto a Spoleto insieme a Ciro MARIANO, Vincenzo BUONERBA, fratello di BUONERBA Gennaro, poi arrestato recentemente insieme agli altri affiliati e a “Cioccolata”.
Nel frattempo poi i TRONGONE Raffaele e Arcangelo, cacciati da Santa Chiara a seguito dell’omicidio FRANZESE, si erano alleati con i SEQUINO della Sanità, a loro volta alleati dei BUONERBA….in quel periodo era stato organizzato l ‘omicidio di SIBILLO da MANNA Andrea detto “Cioccolata”, Gennaro BUONERBA, Luigi CRISCUOLO e un ragazzo a nome Antonio che dovrebbe essere stato destinatario dell’ultima ordinanza di custodia cautelare eseguita, se non erro, nell’ottobre del 2015 nei confronti dei BUONERBA ed altri.
Fui io a consigliare a MANNA e agli altri ragazzi di attendere SIBILLO nella zona dove i BUONERBA gestiscono una piazza di cocaina. Io feci ciò in quanto, come ho già riferito in precedenza, avevo un buon rapporto con MANNA Andrea detto “Cioccolata”, anche lui, per altro, detenuto per un certo periodo a Spoleto con Ciro MARIANO…i quattro che ho indicato sopra seguirono il mio consiglio ed infatti SIBILLO Emanuele fu ucciso nei pressi dell’abitazione dei BUONERBA mentre loro erano appostati.
La mattina seguente mi chiamò MANNA Andrea dicendomi che doveva venire da me. Io all ‘epoca abitavo alla Riviera di Chiaia dove attualmente abita mio nipote, figlio di mia sorella, a nome Vincenzo MARINACCi. Io raggiunsi MANNA Andrea alla Riviera di Chiaia ave lo trovai insieme a Luigi CRISCUOLO, BUONERBA Gennaro e questo ragazzo a nome Antonio. Ricordo bene che era il 3 luglio e che MANNA Andrea mi raccontò che erano stati loro a commettere l’omicidio di SIBILLO Emanuele e mi chiese un appoggio. lo gli diedi le chiavi di casa mia e li ospitai per tre giorni. Inoltre diedi disposizioni al proprietario del Sol Bar di offrire ai quattro ragazzi tutti ciò che volevano a mie spese.
Nella stessa mattinata MANNA e gli altri mi chiesero di fittargli un gommone da un armeggiatore soprannominato “omissis” che io conoscevo, che si trova all’altezza di Santa Lucia, difronte al vecchio club “21 “.
Io pagai per il fitto del gommone, ma BUONERBA Gennaro lasciò i suoi documenti al titolare del! ‘ormeggio per garanzia. I quattro mi chiesero anche di fornirgli una bottiglia di Champagne e quattro bicchieri di cristallo che servivano per brindare sul gommone… Marco MARIANO era a piena conoscenza dell ‘appoggio che avevamo dato ai BUONERBA e agli altri dopo l ‘omicidio, anzi, il giorno 4 luglio, io e Marco MARIANO li portammo a mangiare a un ristorante a Fuorigrotta soprannominato “omissis ” che è di proprietà di Raffaele BARATTO dei “Calacioni “. Il giorno dopo i quattro andarono via… preciso che quando i ragazzi dopo l’omicidio vennero a casa mia si erano già disfatti di tutte le armi temendo di essere scoperti dalla Polizia”.Ma è nell’interrogatorio del 2 maggio 20116 che Maurizio Overa svela agli investigatori tutti gli altri particolari e la fase di preparazione dell’omicidio di Emanuele Sibillo:
“…Genni Buonerba era sottoposto a tangente ‘dalla famiglia SIBILLO e non voleva piu’ pagare. Genni mi fu portato da Andrea Manna detto cioccolata per confermargli il nostro appoggio per volonta’ di Ciro Mariano. Consigliai a Manna di spostarsi presso i Buonerba ed ando’ ad abitare in una casa che essi avevano in via dei Tribunali. Su mio consiglio Gennaro Buonerba e gli altri si organizzarono per reagire ai Sibilio.
Non dovevano fare altro che attenderli nei pressi dell ‘abitazione di Gennaro Buonerba quando si recavano a ritirare i soldi. Si tratta di un vicolo stretto che non consente la fuga nel senso che o si torna indietro, il che comporta il fermarsi e girare il mezzo, o si va avanti necessariamente. Sicche’ se si organizza un agguato non c ‘e’ scampo. Ed infatti già in precedenza era stato colpito un ragazzo agente per conto dei Sibillo. Per come mi dice confermo che il nome del ragazzo e’ o’ nannone.
L ‘ho intravisto in carcere durante questa detenzione a Secondigliano. Quanto alla dinamica dell ‘agguato a Sibillo Emanuele, per come mi è stato raccontato, i quattro che ho citato, ossia Genni Buonerba, Andrea Manna, Luigi Criscuolo detto bis bi’ e Antonio si appostarono in questo modo: uno nel palazzo di Genni; uno in un basso nelle vicinanze (i due sono Manna e Antonio), mentre Buonerba e Criscuolo rimasero sopra. Sibillo Emanuele con i suoi, in quattro od in sei persone, su due – tre motorini, arrivati sotto la casa di Buonerba iniziarono a sparare. Mentre stavano andando via Antonio e Manna uscirono fuori e gli spararono contro di spalle.
Quando vennero a casa mia, la mattina dopo, avendo fiducia in me, da un sorriso che feci ad Antonio e dal suo controsorriso capii che ad uccidere il Sibillo era stato lui…Antonio l’ho visto in televisione con il casco nel filmato diffuso dal telegiornale che lo vede sparare. L ‘ho riconosciuto subito. Ritengo che a sparare in quel gruppo era sempre Antonio, l’unico veramente in grado di uccidere. Credo che anche a sparare al nannone sia stato lui, anche se il Criscuolo in carcere si era autoaccusato con me…Buonerba Gennaro rimase nella sua abitazione, al primo piano, insieme al Criscuolo e mi disse di non aver sparato perché non aveva la pistola e che a sparare erano stati solo Antonio e Manna”.

 Rosaria Federico

@riproduzione riservata

 

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Condannato il pusher in Ferrari

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San Valentino Torio. E’ stato condannato il pusher disoccupato che girava in Ferrari. Tre anni e sei mesi di carcere per Gennaro Basta, 36enne di San Valentino. Lo ha deciso il gup Paolo Valiante del Tribunale di Nocera Inferiore, in un processo che si è celebrato con il rito abbreviato.
Basta era stato arrestato nel luglio scorso dei carabinieri che lo avevano “beccato” in casa con 90 grammi di cocaina, divisi in dosi e pronti per essere venduti, oltre a ben seimila euro in contanti.
I carabinieri di San Valentino Torio, guidati dal comandante Giuseppe Corvino, che lo tenevano d’occhio da tempo. In garage aveva una Smart ultimo modello, una Fiat 500x e una Ferrari con la quale amava farsi vedere in giro per l’Agro Nocerino e per la costiera amalfitana.

 

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