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Channel: Cronaca Giudiziaria
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Omicidio di Ciro Esposito: l’incredibile versione di “Gastone” in aula: “Ho sparato io, ma la pistola era di un tifoso del Napoli”

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daniele de santis

 “Ho esploso io i colpi di pistola ma l’arma non era mia. Ce l’aveva un tifoso del Napoli che non apparteneva al gruppo di Ciro Esposito. A Ciro penso tutti i giorni e mi dispiace per quello che e’ successo”. E’ la ‘verita” raccontata in aula, nel processo in corso nell’aula bunker di Rebibbia della Corte d’Assise, da Daniele De Santis, l’ex ultra’ giallorosso protagonista degli scontri avvenuti nel maggio del 2014 in viale Tor di Quinto poche ore prima della finale di Coppa Italia tra Napoli e Fiorentina. De Santis, accusato dalla Procura di aver ucciso Ciro e di aver ferito altri due supporter partenopei, ha ricostruito cosi’ i fatti: “Ricordo di aver cercato di chiudere il cancello del Ciak Club ma di non esserci riuscito e di essere stato aggredito da un gruppo di napoletani che mi hanno ferito ad una gamba. Nel corso di questa colluttazione, sono stato colpito alla testa dal calcio della pistola che pero’ sono riuscito a strappare dalle mani di chi la possedeva, una persona dal fisico corpulento. Ho esploso dei colpi per difendermi ma non ricordo neanche quanti. Non mi sono neanche reso conto di aver colpito Ciro, e che c’era una persona a terra”. Una deposizione, quella di ‘Gastone’, che la difesa della famiglia Esposito, rappresentata dall’avvocato Angelo Pisani, ha definito “contraddittoria e non credibile, perche’ rappresenta un’ulteriore, grande prova della sua colpevolezza. Auspichiamo – ha concluso Pisani – che la Procura chieda ed ottenga la condanna all’ergastolo, perche’ la massima punizione del colpevole sara’ unico modo per rendere giustizia alla memoria di Ciro e alla sua famiglia”.

Rosaria Federico


Omicidio Di Franco a Forcella, la mamma della vittima rompe il muro di omertà

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Omicidio-Forcella

Napoli. Non volle spacciare per conto del clan Giuliano e fu ucciso sotto gli occhi della moglie. La mamma d Massimo Di Franco, ucciso due anni fa, nel quartiere Forcella ha testimoniato dinanzi ai giudici della Terza Corte d’Assise di Napoli – presidente Carlo Spagna -, rompendo il muro di omertà l’ansia ha riferito, tra le lacrime, quanto era accaduto dopo il delitto del figlio. Episodi già raccontati agli agenti della Squadra mobile di Napoli. In aula, l’imputato Alessandro Riccio, un ragazzo palestra indicato fin dal primo momento come il killer di Massimo Di Franco. Determinante per la sua individuazione, la moglie della vittima che pochi istanti prima che l’uomo morisse gli chiese se era stato Alessandro a sparargli. Quel cenno con la testa, quel si, portò la donna a denunciare l’omicida del marito. Le donne di Forcella decisero di parlare e denunciare tutto, facendo cadere il muro di omertà che vige nel quartiere. Il medico legale ha confermato nel corso del processo, che subito dopo essere stato ferito a colpi di pistola, Di Franco poteva ancora conservare lucidità per offrire notizie alla moglie sull’identità del killer. Un punto centrale, dal momento che il processo si regge sulla testimonianza resa dalla moglie della vittima: in aula, due settimane fa, la donna ha ricordato di aver soccorso il marito ferito, chiedendogli se a sparare fosse stato Alessandro. Di Franco fu assassinato, per conto dei Sibillo, perché non voleva spacciare per i Giuliano. Il delitto avvenne a porta San Gennaro, all’ingresso di rione Sanità, il 26 febbraio del 2014. La mamma della vittima, ha ricordato di aver saputo in famiglia come si svolsero i fatti. Nel corso dell’udienza è stato ascoltato anche un giovane pizzaiolo che dopo l’omicidio fu avvicinato da Alessandro Riccio che gli chiese di andare dai parenti e dire alla signora che non era stato lui ad uccidere Massimo Di Franco. I parenti dell’uomo ucciso si sono costituiti parte civile con l’avvocato Teresa Sorrentino.  Nella prossima udienza saranno ascoltati i soccorritori che portarono Di Franco in ospedale.

Ercolano: si è pentito anche il boss Cefariello

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marco cefariello

Si è pentito anche il boss Marco Cefariello, l’ultimo ras in ordine di tempo che controllava e gestiva tutti gli affari del clan Birra-Iacomino di Ercolano. L’annuncio è stato fatta ieri mattina nel corso dell’udienza del processo “Albatros” direttamente dal pubblico ministero che ha chiesto e ottenuto l’acquisizione agli atti del processo dei primi verbali dell’ultimo superpentito della camorra di Ercolano. Processo nato dopo il blitz dell’ottobre del 2012 he portò in carcere 21 esponenti del clan e che che svelò i retroscena di tutti di affari illeciti della cosca. Ma anche il piano criminale di uccidere Antonella Madonna, ex moglie del boss Natale Dantese e prima pentita per amore. Ora la decisone di passare dalla parte dello Stato da parte di Marco Cefariello può portare gli investigatori a svelare altri omicidi compiuti negli anni di sangue della faida con gli Ascione-Papale e altri affari illeciti, ma anche i nomi degli insospettabili legati al clan. I rapporti con i clan Gionta di Torre Annunziata e i Lo Russo, “i capitoni” del quartiere Miano di Napoli. E quindi dare una spallata definitiva alla cosca già decimata da decine e decine di arresti cimpiuti dalle forze dell’ordine negli ultimi anni.

 

 

Faida di camorra a Scafati: in 14 verso il processo

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romolo ridosso

Due omicidi e un tentato omicidio: verso il processo quattordici persone, parti avverse nella faida tra i Ridosso e i Muollo che ha visto cadere sotto i colpi dei killer Salvatore Ridosso, alias Piscitiello, e Luigi Muollo. Le accuse riguardano anche il fallito attentato a Generoso Di Lauro. I pm della Dda, Maurizio Cardea e Giancarlo Russo hanno concluso le indagini anche sui fatti che hanno insanguinato Scafati tra il 2002 e il 2003, con una sequenza di tre omicidi. Verso il processo, con le accuse a vario titolo di omicidio, favoreggiamento aggravato dall’articolo 7 e porto e detenzione di armi i vertici del gruppo Ridosso con Romolo, il capostipite, i figli Luigi e Gennaro e il nipote Luigi Ridosso, figlio di Salvatore; il pentito napoletano Pasquale Di Fiore, Giuseppe Iorio, Michele Imparato, Antonio Palma Giuseppe Ricco e Antonio Romano. Per il gruppo avverso sono implicati nel processo Valentino Mansi, Ferdinando Muollo, alias ’o dentista, Veruska Muollo e l’ex marito e pentito Francesco Fienga. Questi ultimi due sono accusati di aver custodito le armi che furono utilizzate da Valentino Mansi e Luigi Muollo (poi ucciso) per l’omicidio di Salvatore Ridosso, per il quale viene indicato come mandante l’imprenditore e cugino dei Muollo, Ferdinando. I Ridosso, con l’aiuto dei clan del Napoletano, sono accusati dell’omicidio di Luigi Muollo, l’ultimo in ordine di tempo, ad essere ucciso il 9 settembre del 2003. Il primo a cadere sotto i colpi dei killer fu Salvatore Ridosso il 16 maggio del 2002. In via Vitiello, Valentino Mansi e Luigi Muollo colpirono il fratello di Romolo a colpi di pistola. Secondo l’antimafia e i pentiti, in particolare Pasquale Loreto, il mandante dell’omicidio fu Ferdinando Muollo. Si lottava per l’affare dei videogiochi e per lo spaccio di stupefacenti e la guerra era tra i due gruppi allora avversi. Pochi mesi dopo, il 22 ottobre del 2002 in via Martiri d’Ungheria fu ucciso Andrea Carotenuto che teneva sotto controllo l’affare delle macchinette. Secondo quanto riferito dai collaboratori, a sparare furono Luigi e Gennaro Ridosso. Quattro mesi più tardi, i Ridosso tesero un agguato a Generoso Di Lauro, ma l’omicidio fallì e riuscì a mettersi in salvo. Ad ottobre del 2003, invece, la vendetta di Romoletto e dei suoi familiari – secondo l’accusa – si compì con l’aiuto di insospettabili e pregiudicati della provincia di Napoli che fecero appostamenti e misero in atto l’omicidio di Luigi Muollo, fratello di Vincenzo Muollo ’o lallone e padre di Veruska. Luigi Muollo fu atteso sotto la sua abitazione in via De Gasperi e freddato mentre era in sella alla sua moto. L’ascesa del clan Ridosso – secondo l’Antimafia – sarebbe iniziata in quel periodo, poi da quel momento in poi il gruppo avrebbe tenuto sotto controllo il mercato delle estorsioni, dell’usura e dei videopoker. A breve la Dda potrebbe chiedere il rinvio a giudizio per i 14 imputati, le accuse già formulate nel corso delle indagini, potrebbero essere rinvigorite dalle rivelazioni del neo pentito Pasquale Loreto. Ieri è stata rinviata l’udienza dinanzi ai giudici della Cassazione per l’appello promosso dalla Dda contro il mancato arresto dei vertici dell’organizzazione. (r.f.)

(nella foto il boss romolo ridosso)

Napoli: il boss Marco Mariano ha chiesto di parlare. Tutti i nomi degli 84 del clan a processo

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marco mariano

Un colpo di scena inaspettato nel mondo criminale napoletano: il boss Marco Mariano della potente famiglia dei “picuozzi” dei Quartieri Spagnoli ha deciso di parlare in aula e di essere interrogato dal pm durante l’udienza del processo che vede imputati ben 84 affiliati del clan e che si terrà il 28 aprile prossimo. Il suo avvocato di- fensore, il penalista Raffaele Esposito, ha chiesto e ottenuto dal gip che l’interrogatorio sia subordinato alla richiesta di giudizio abbreviato oppure ordinario. “Marcuccio” deve rispondere di associazione camorristica, estorsione, traffico di droga e altri reati nell’ambito del processo. Ma di cosa vorrà parlare lo stratega del clan, colui che dopo l’arresto del fratello Ciro e dopo la sua scarcerazione aveva tessuto le nuove alleanze della cosca e controllato tutti gli affari. Vorrà discolparsi delle pesanti accuse del neo pentito Maurizio Overa e ora suo grande accusatore? O vorrà dire altro. Due settimane e il mistero sarà svelato in pubblica udienza. Nel frattempo il collaboratore di giustizia contibua a fornire, nomi, indicazioni, cifre e particolari indeiti dello spaccato criminale del clan Mariano.

ECCO I NOMI DI TUTTI GLI IMPUTATI

CACACE EUGENIO

CALDARELLI UMBERTO

CAMMAROTA ANTONIO

CAPANO VALENTINA NAPOLI

CARDAROPOLI ANTONIO

CASTALDO ANTONIO

CINQUE MARIANNA

CINQUE PATRIZIA

CORCIONE ANNA

COSTABILE CIRO

DANIELA FRANCO

DANIELE SALVATORE

DE CRESCENZO EDOARDO

DI MEGLIO ANTONIO

DRESDA ANNAMARIA

ESPOSITO ANTONIO

FESTA ANTONIO

FLAMINIO GIANCARLO

FLORIO GENNARO

FRACASSO ALFREDO

FRATTINI UMBERTO

FURGIERO CARMINE

GAETANO LUISA G

ALLO CIRO

GALLO MASSIMO

GAUDINO LUIGI

GRUOSSO ALFONSO

IULIUCCI MARIO

LECCIA CIRO

MAGRELLI COSTANZO

MARIANO CIRO

MARIANO CLOTILDE

MARIANO FABIO

MARIANO MARA

MARIANO MARCO 13/04/1955

MARIANO MARCO 30/08/1976

MARIANO RAFFAELE

MARIANO SALVATORE

MASIELLO ANTONIO

MASIELLO GAETANO

MASIELLO PASQUALE

MASTRACCHIO PAOLO

MINGARELLI DANIELE

MOCCARDI ROBERTO

MORMILE FRANCESCO

OVERA MAURIZIO

PALMIERI GIANLUCA

PASSARO GIUSEPPE

PASTORE RAFFAELE

PATRIZIO FRANCO

PERRELLA ARMANDO

PERRELLA FRANCESCA

PULENTE GIOVANNI

PULEO CORRADO

QUINZIO MARIA

RAPILLO GENNARO

RAPILLO PASQUALE

RAPILLO SALVATORE

RICCI BENEDETTO

RICCI ENRICO

RICCI GENNARO

RICCI VINCENZO

RODRIGUEZ MENDES

ROMANO CIRO

ROSSI FABIO

SAHAI VIJAY

SARTORE ALFREDO

SAVIO GIOVANNA

SAVIO MARIO

SAVIO PIETRO

SELILLO GENNARO

SORIO EMANUELE

STILE TOBIA

TAGLIALATELA ELVIRA

TECCHIO CONCETTA

TECCHIO ERNESTO

TORTORA MARIO

TRONGONE ARCANGEL

O TRONGONE RAFFAELE

USSANO LUIGI

VOLPE GIUSEPPE

ZITO ENRICO

 

Boscoreale: tornano in libertà il figlio del neomelodico Tony Marciano e il cugino accusati di traffico di droga

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Sono tornati in lbertà Francesco Marciano, 28 anni di Torre Annunziata, figlio del cantanteneomelodico Ciro “Tony” Marciano, e suo cugino Luigi Ercolano, 27enne. Marciano junior ed Ercolano, ieri hanno ottenuto un importante sentenza favorevolenel processo di Appello che li vedeva imputati insieme con altri di traffico di droga per conto del clan Gionta di Torre Annunziata. Per Marciano junior un anno e due mesi per Ercolano invece Un anno e otto mesi di carcere. I due che erano agli arresti domiciliari in primo grado avevano avuto rispettivamente a 2 anni e nove mesi ed a 3 anni e cinque mesi di reclusione. Luigi Ercolano è il figlio di Antonio, vigile urbano in servizio presso il Comune di Torre Annunziata. Anche il vigile fu indagato nell’inchiesta del gennaio 2015  con il blitz della Dda di Napoli  che portò in carcere 14 persone. Sconto di pena anche per la 26enne pusher del Piano Napoli di Boscoreale Lucia Di Lorenzo: un anno e sei mesi (pena sospesa) dopo una condanna a tre anni e due in primo grado.

Clan Greco, 55 anni di carcere per gli 11 imputati di Sant’Egidio, Pagani e Nocera

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Nocera Inferiore/Sant’Egidio del Monte Albino. Traffico di stupefacenti e estorsioni: mano pesante dei giudici contro gli esponenti del clan Greco. Condanne per i collaboratori di giustizia della famiglia di San’Egidio del Monte Albino che tra il 2003 e il 2008 ha gestito un vasto giro di stupefacenti tra il paesino dell’Agro, Pagani e Nocera. Ieri pomeriggio, dopo poche ore di camera di consiglio i giudici del Tribunale di Nocera Inferiore – presidente Domenico Diograzia, a latere Caccavale e Russo Guarro – hanno letto il dispositivo di sentenza confermando e aggravando, in alcuni casi, le richieste del pm della Dda Maurizio Cardea. Per un totale di 55 anni di reclusione sono stati condannati 11 imputati su 12. Stangata per il boss, ora pentito, Vincenzo Greco al quale il collegio ha inflitto sedici anni di reclusione, oltre all’interdizione perpetua dai pubblici uffici e tre anni di libertà vigilata (l’accusa aveva chiesto 15 anni). Quindici anni di reclusione, interdizione perpetua e 3 anni di vigilanza per Biagio Daniele a fronte degli 11 anni chiesti dal pm.

Cinque anni e dieci mesi di reclusione, in continuazione con una precedente condanna del 2011, oltre all’interdizione perpetua per Alfonso Greco, figlio di Vincenzo, anch’egli pentito. Dimezzata la condanna, rispetto alla richiesta della Dda, per il vigile di Nocera Inferiore Andrea D’Elia. I giudici hanno condannato l’imputato – difeso dall’avvocato Antonio Sarno – a quattro anni e sei mesi di reclusione, oltre a 25mila euro di multa, a fronte di una richiesta di nove anni di reclusione e 50mila euro del pm Maurizio Cardea. Sul vigile nocerino, poi sospeso, la Procura aveva puntato l’attenzione nel corso della requisitoria ritenendo non fosse veritiero quanto dichiarato dall’imputato e cioè che lo stupefacente acquistato dai Greco fosse per uso personale.

Pena di quattro anni in continuazione per Franco Ferraioli, anch’egli interdetto dai pubblici uffici per la durata di cinque anni. Due anni e otto mesi di reclusione per Luciano Spinelli e Maria Milano, accusati di riciclaggio e armi. Due anni di reclusione per Giovanni Sorrentino, in continuazione con una sentenza del 2011. Attenuanti e condanna di due anni per il collaboratore di giustizia Gennaro Attianese e 4 mesi in continuazione con una precedente sentenza per la collaboratrice di giustizia Andreina Principale. Assolto, invece, Gianfranco Napodano accusato di associazione per delinquere e estorsione. Per Napodano erano stati chiesti 8 anni di reclusione. Alfonso Greco è stato condannato anche a risarcire, in separata sede, una donna alla quale era stata incendiata un’auto.

I giudici depositeranno le motivazioni della sentenza tra 90 giorni, poi il folto collegio difensivo – composto tra gli altri dagli avvocati Maria Del Sorbo, Antonio e Michele Sarno, Giovanni Conte, Paolo Corsaro, Danilo Laurino (per la parte civile) deciderà se proporre Appello. Medesima decisione si è riservato il pubblico ministero Maurizio Cardea.

La Cassazione annulla la condanna al rampollo dei Gionta, Valentino jr

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valentino gionta junior

La Cassazione ha annullato la  condanna a tre anni e mezzo di carcere per Valentino Gionta junior, figlio del boss poeta Aldo e nipote omonimo del superboss. per i giudici della suprema Corte infatti “Gli elementi di prova vagliati dai giudici della Corte d’Appello vanno rivalutati da altri magistrati del medesimo tribunale”. Dovrà quindi tornare in aula  a fine aprile per assistere al processo dinanzi alla Corte d’Appello minorile. Intanto, da maggiorenne sta scontando in carcere una condanna (non definitiva) a 8 anni di reclusione per estorsione, alla quale pochi giorni fa si è aggiunta quella a un anno e 4 mesi per spaccio di hashish. L’ultimo rampollo dei “Valentini” è al carcere duro, nonstante abbia solo 23 anni, come tutti quelli della sua famiglia a cominciare dal nonno.Valentino junior fu arrestato il 27 novembre 2014 nell’abitazione di uno zio. Era nascosto in un’intercapedine ricavata in cucina, nella quale si accedeva attraverso una botola: un nascondiglio quasi perfetto, dove si era rifugiato e dove fu arrestato dopo quasi 6 mesi di latitanza. A giugno dello stesso anno, infatti, insieme al padre Aldo era sfuggito al decreto di fermo emesso dalla Dda di Napoli per associazione mafiosa finalizzata all’estorsione e allo spaccio. Valentino ed altri giovani affiliati non ancora maggiorenni avrebbe preso parte all’estorsione ai danni di alcune aziende del polo nautico di Torre Annunziata. Secondo l’Antimafia, lui, il cugino Salvatore Paduano e il cognato Gaetano Amoruso erano i tre baby boss che, con i genitori detenuti, guidavano il clan Gionta nonostante avessero tra i 16 e i 19 anni.

 


Regali in cambio di aggiustamenti di processi: indagato un giudice di Salerno. Coinvolti avvocati e la commissione tributaria

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NAPOLI, 05/01/2009 VICENDA ROMEO : SI RECA IN PROCURA ITALO BOCCHINO. IL PARLAMENTARE DI AN » INDAGATO IN SEGUITO AD ALCUNE INTERCETTAZIONI TELEFONICHE. FOTO AGN/INFOPHOTO

La polizia giudiziaria della Procura di Napoli ha effettuato stamattina un blitz nella casa di un giudice salernitano. L’inchiesta, coordinata dal pool coordinato dal procuratore aggiunto Alfonso d’Avino,punta a verificare l’esistenza di un gruppo di potere organizzato per condizionare lo svolgimento di processi in cambio di regali e altre utilità. Coinvolti anche alcuni avvocati. Sono state effettuate perquisizioni anche nella commissione tributaria di Salerno.

Suquestrato in Calabria l’impero di Annunziata. L’imprenditore di San Giuseppe Vesuviano era il prestanome del boss Piromalli

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Assestato un duro colpo al patrimonio di un impreditore contiguo alla cosca di ‘Ndrangheta “Piromalli”, operante sul territorio della provincia di Reggio Calabria. La Guardia di finanza ha sequestrato beni per circa 215 milioni di euro riconducibili all’imprenditore Alfonso Annunziata, indicato come “punto di riferimento fondamentale” per le attivita’ economiche del clan “Piromalli”. Il provvedimento di sequestro, emesso dalla Sezione Misure di prevenzione del Tribunale di Reggio Calabria, e’ stato eseguito dalle Fiamme Gialle del locale Comando provinciale, del Nucleo Speciale Polizia Valutaria e dello Scico di Roma, in Calabria e in Campania. Sotto sequestro sono finite 6 imprese, 85 unita’ immobiliari, 42 rapporti finanziari personali e aziendali nonche’ denaro contante per quasi 700 mila euro, il tutto per un valore stimato pari a circa 215 milioni di euro. C’è anche il più grande parco commerciale della Calabria tra i beni sequestrati stamani dalla Guardia di Finanza ad un imprenditore ritenuto contiguo alla cosca Piromalli di Gioia Tauro e ritenuto il “cuore imprenditoriale” della cosca stessa. Si tratta del Parco “Annunziata” dell’imprenditore Alfonso Annunziata, di San Giuseppe Vesuviano ma trasferitosi a Gioia Tauro alla fine degli anni ’80. Il centro era già stato sequestrato nel marzo dello scorso anno nell’operazione “Bucefalo” condotta contro la cosca Piromalli. Allora si trattava di un sequestro penale, mentre in questo caso il provvedimento – emesso dal Tribunale di Reggio Calabria su richiesta della Procura della Repubblica – rientra tra le misure di prevenzione. L’attività è attualmente in amministrazione giudiziaria e, secondo gli investigatori, è “un esempio virtuoso nella gestione dei beni sequestrati”. In occasione dell’operazione “Bucefalo”, Annunziata è stato arrestato per associazione mafiosa. Il processo che lo vede imputato si sta celebrando davanti ai giudici del Tribunale di Palmi. Secondo quanto aveva scritto il gip di REGGIO CALABRIA nell’ordinanza di custodia cautelare, Annunziata “non è un imprenditore vittima, non è stato e non è costretto a favorire la cosca Piromalli. Al contrario, è un soggetto storicamente legato ai componenti di vertice della famiglia ed è, dunque, un soggetto intraneo che si presta da oltre 20 anni volontariamente e consapevolmente al perseguimento degli scopi imprenditoriali ed economici della cosca. Annunziata, in definitiva, è da ritenere partecipe della cosca Piromalli, rappresentandone il ‘cuore imprenditoriale'”. L’esistenza di un indissolubile rapporto di cointeressenza economico-criminale tra Annunziata ed i Piromalli, che risalirebbe sin dalla prima metà degli anni ’80, secondo l’accusa, avrebbe trovato riscontro nelle dichiarazioni di diversi collaboratori di giustizia oltre che nelle indagini, svolte anche mediante intercettazioni telefoniche e ambientali. Significa in tal senso, per gli investigatori, è una conversazione in cui Annunziata, parlando in auto con la moglie mentre transita davanti a un terreno in cui si trova una villa di proprietà dei Piromalli, racconta di quando si era più volte recato a trovare “Peppe il vecchio”, il boss Giuseppe Piromalli, quando quest’ultimo all’epoca latitante – era ricercato nel luglio 1979 ed è stato arrestato nel 1984 – si trovava in una baracca a giocare a carte con altri amici.

Arriva al Csm al vicenda del giudice salernitano che aggiustava i processi in cambio di regali

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Sul caso del giudice salernitano Mario Pagano, originario di Roccapiemonte, indagato dalla procura di Napoli per una serie di reati, a cominciare dall’associazione per delinquere finalizzata alla corruzione, potrebbe presto intervenire il Csm. Il consigliere laico di Forza Italia Pierantonio Zanettin ha infatti chiesto al Comitato di presidenza l’apertura di una pratica in Prima Commissione per “valutare se sussistano profili di incompatibilità ambientale o funzionale sotto il profilo dell’appannamento dell’immagine di terzietà e imparzialità” per il magistrato coinvolto nell’indagine. Se il vertice di Palazzo dei marescialli darà il via libera alla richiesta la Commissione incaricata dovrà in sostanza accertare se vi sono i presupposti per un trasferimento d’ufficio del giudice sotto inchiesta. Il magistrato indagato dalla Procura di Napoli era in servizio alla sezione Civile del Tribunale di Salerno mentre adesso è presidente di Sezione a Potenza. Cinque i capi di imputazione contestati dai pm Celeste Carrano e Ida Frongillo, coordinanti dal procuratore aggiunto Alfonso D’Avino. Associazione per delinquere finalizzata alla corruzione, abuso d’ufficio, millantato credito, traffico di influenze illecite e accesso abusivo nel sistema informatico. Secondo le ipotesi che questa mattina hanno portato all’emissione di decreti di perquisizioni anche nei confronti di avvocati ed imprenditori salernitani, il magistrato avrebbe ‘aggiustato’ processi in corso davanti ad uffici giudiziari del tribunale di Salerno e presso le commissioni tributarie regionali. Tutto sarebbe partito dopo alcune intercettazioni telefoniche nelle quali si faceva riferimento a raccomandazioni fornite da lui.

Marcianise: sequestrati anche beni per 5 milioni di euro ai 6 strozzini del clan Belforte arrestati

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 Nel corso della notte, nell’ambito di indagini coordinate dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Napoli, nell’ambito della cosi’ detta operazione “DYNASTY”, la Compagnia della Guardia di Finanza di Marcianise ha eseguito un’ordinanza di custodia cautelare nei confronti di 6 soggetti, 4 in carcere e 2 ai domiciliari, gravemente indiziati di aver partecipato, a vario titolo, all’associazione per delinquere di tipo camorristico denominata “clan Belforte” o “Mazzacane”, ponendo in essere, in modo continuativo, fatti di usura, estorsione, riciclaggio, abusivismo finanziario, trasferimento fraudolento di valori, con l’aggravante dell’utilizzazione del metodo mafioso. Dalle indagini e’ emersa un’attivita’ usuraia perpetrata in modo sistematico e quotidiano attraverso continue richieste di denaro in danno delle numerose vittime. Le vittime subivano pressioni e frequenti atti di intimidazione. A causa del timore di subire gravi ritorsioni, gli imprenditori, a fronte dei prestiti ricevuti, dovevano corrispondere interessi elevatissimi in una spirale perversa che li ha portati in una situazione di grave dissesto finanziario e sul ciglio del fallimento. Le vittime, seppur inizialmente reticenti perche’ costrette al silenzio, a seguito delle indagini svolte dalla Fiamme Gialle, poste di fronte ai fatti, hanno confessato di essere da decenni vittime degli appartenenti al clan camorristico. Sulla base dei dati raccolti, e’ stato quindi dettagliatamente ricostruito il “giro d’affari” della consorteria criminosa e, attraverso un puntuale esame della documentazione bancaria, sono stati determinati gli interessi usurai applicati, che, in alcuni casi, hanno superato la soglia del 120%. L’ordinanza di custodia cautelare emessa dal G.I.P. del Tribunale di Napoli ricostruisce le vicissitudini criminali del clan “Belforte”, operante in Marcianise e nei paesi limitrofi. Le dichiarazioni rese dai collaboratori di giustizia, oggetto di plurimi provvedimenti giudiziari, sono conformi nel ritenere che i “Mazzacane” gestiscono le estorsioni ai danni di imprenditori e commercianti locali, controllano il traffico di stupefacenti, si infiltrano nelle attivita’ imprenditoriali, o costituiscono vere e proprie societa’ con imprenditori compiacenti agevolati nella concessione di appalti, ovvero concedono prestiti agli imprenditori in difficolta’ in cambio di interessi usurari (oltre al pagamento delle tangenti). Sulla base della comprovata appartenenza al gruppo criminale, il Tribunale partenopeo, oltre alle 6 custodie cautelari, ha disposto il sequestro preventivo nei confronti degli indagati, di appartenenti al loro nucleo familiare e di prestanome, di immobili, disponibilita’ finanziarie, quote societarie e beni mobili per un valore di circa 5.000.000 euro. Ai fini della confisca, sono stati quindi complessivamente sottoposti a vincolo cautelare 14 immobili (tra cui due villette con piscina), 7 autovetture di pregio, quote di partecipazione in 4 societa’ di capitali e n. 13 rapporti bancari. E’ opportuno rimarcare che, grazie agli strumenti normativi della confisca speciale o allargata e di quella per equivalente, e’ possibile aggredire i patrimoni illeciti e privare gli autori del reato dei mezzi e del capitali necessari per perpetrare le proprie attivita’ criminali.

Ecco il comitato d’affari che aggiustava i processi nei Tribunali di Salerno e Nocera. I nomi dei 10 indagati

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 Un comitato di affari che operava all’interno del Palazzo di Giustizia di Salerno. Una storia di interferenze, raccomandazioni, processi pilotati e computer violati per accedere a informazioni riservate. E’ lo scenario investigativo disegnato dall’ inchiesta che ha portato oggi all’esecuzione di dieci perquisizioni, nei confronti, in particolare, di un giudice, nonché di avvocati, cancellieri e di un funzionario della Provincia, per una serie di reati che vanno dall’associazione per delinquere alla corruzione in atti giudiziari, abuso di ufficio, traffico di influenze, millantato credito, rivelazione di segreto di ufficio e accesso abusivo in un sistema informatico. Un ruolo centrale sarebbe stato rivestito, secondo l’ipotesi accusatoria al vaglio della procura di Napoli, dal giudice Mario Pagano, 56 anni, che è stato in servizio nella sezione civile del Tribunale di Salerno prima di trasferirsi al Tribunale di Potenza. In particolare, Pagano avrebbe raccolto informazioni sulle cause che gli venivano ”segnalate” da esponenti del presunto sodalizio allo scopo di pilotare i fascicoli ed assegnarli a giudici ”compiacenti” o da contattare per ”condizionarne la decisione”. Cause soprattutto civili e controversie tributarie (Pagano ha fatto anche parte della commissione tributaria di Salerno). L’inchiesta è stata avviata dai pm Celeste Carrano e Ida Frongillo della procura di Napoli – competente ad indagare sui magistrati del distretto di Salerno – coordinati dal procuratore aggiunto Alfonso D’Avino. Per verificare la fondatezza di una serie di elementi acquisiti da intercettazioni telefoniche, i pm hanno incaricato la squadra mobile di Napoli di eseguire una serie di perquisizioni. Tutto nasce da una telefonata tra un avvocato, Roberto Lambiase, e un suo amico, ascoltata dagli inquirenti della procura di Nocera Inferiore. Lambiase (indagato per corruzione in atti giudiziari in concorso con il magistrato) sosteneva di aver corrotto, consegnandogli un orologio Rolex, il giudice Pagano per ottenere lo spostamento di una udienza riguardante una causa di fallimento, e perché venisse respinto un ricorso della controparte. L’avvocato, nel corso della stessa conversazione, avrebbe affermato che Pagano era solito ”vendere” le sentenze. Verità o millanterie? E’ il nodo che stanno tentando di sciogliere gli inquirenti della procura partenopea che nel frattempo hanno acquisito una serie di elementi tali da far ipotizzare l’esistenza di un ”comitato di affari”. Di cui farebbero parte, oltre a Pagano indicato come promotore, anche gli avvocati Augusta Villani (che è anche Got, giudice onorario a Salerno), Nicola Montone, funzionario presso l’ufficio recupero crediti del Gip del Tribunale di Salerno e cognato del giudice, Michele Livrieri, assistente giudiziario addetto alla cancelleria degli Affari civili, gli avvocati Giovanni Pagano e Gerarda Torino, il tributarista Gerarda Torino, e Renato Coppola, dipendente della Provincia di Salerno e considerato il ”factotum” di Pagano. Indagato per concorso in rivelazione di segreto e accesso in sistema informatico anche un imprenditore, Giacomo Sessa, che avrebbe ottenuto informazioni riservate su una causa in cui era coinvolto.

Nocera, tensione al processo contro Nobile Izzo il serial killer delle prostitute

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“Voglio guardare in faccia l’assassino di mia madre”: un grido si è levato dall’aula dove, ieri mattina si stava celebrando l’udienza preliminare, a carico di Nobile Izzo, il presunto assassino di Santina Rizzo e Maria Ambra, le due prostitute uccise il 13 febbraio 2010 e il 30 maggio 2014. A gridare una delle figlie di Maria Ambra, a conclusione dell’udienza preliminare nella quale si è deciso di rinviare per dare incarico ad un perito di valutare le condizioni di Nobile Izzo. Presente in aula il presunto serial killer, detenuto dallo scorso anno, assistito dall’avvocato Andrea Vagito. In aula anche i parenti, figli e nipoti delle due donne uccise a distanza di quattro anni. E quando il Gup Luigi Levita ha chiesto: “Cosa chiedono le parti civili?” dalla platea si è levato il grido “Giustizia”. In realtà, solo alcuni dei parenti si sono costituiti parte civile. In primis il figlio di Santina Rizzo, Luigi, assistito dall’avvocato Alessandro Laudisio e Fabio Carusone, e poi due dei nipoti di Maria Ambra. Il difensore di Nobile Izzo, il 53enne nocerino, ritenuto l’assassino seriale delle due donne ha chiesto al Gup di accedere al rito abbreviato, rito condizionato da una perizia psichiatrica sulla capacità di intendere e volere al momento della commissione del fatto, qualora sia stato lui a commettere gli omicidi. Nonostante le confuse ammissioni di Nobile Izzo, la difesa continua a mettere in dubbio che il tappezziere nocerino non sia responsabile dei due omicidi. Anche ieri mattina, il 53enne, è apparso confuso, quasi assente. Il Gup Levita ha accolto la richiesta della difesa ed ha disposto una perizia psichiatrica, incentrata sulla capacità di intendere e volere, dell’imputato, affidata al perito Corrado De Rosa. Nel corso delle indagini, coordinate dal pm Giuseppe Cacciapuoti, il medico psichiatra Tito De Marinis aveva concluso, nella perizia disposta dal difensore, che Nobile Izzo era totalmente incapace di intendere e volere al momento della commissione del fatto. Il processo è stato rinviato a maggio prossimo quando l’esperto nominato dal Tribunale dovrà depositare a relazione psichiatrica sull’imputato. L’uomo è accusato di omicidio volontario e vilipendio di cadavere, in tutte e due le occasioni dopo aver ucciso si è accanito sulle vittime. Entrambe le donne erano note per la loro attività di prostitute. Santina Rizzo, 63 anni e Maria Ambra, 74 anni, furono trucidate a distanza di 4 anni a Nocera Superiore. Una vicenda terribile.(ro.fe.)

Omicidio Ciro Esposito, la Procura di Roma chiede l’ergastolo per De Santis e lui urla in aula: “Siete dei buffoni, l’ergastolo me lo dò da solo”

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La Procura di Roma ha chiesto l’ergastolo per Daniele De Santis, l’ultrà giallorosso accusato dell’omicidio di Ciro Esposito, ferito gravemente il 3 maggio 2014 poco prima della finale di Coppa Italia tra Fiorentina e Napoli e morto dopo un’agonia di 53 giorni. Il pm Eugenio Albamonte e Antonino Di Maio hanno, inoltre, sollecitato una condanna a tre anni per gli altri due imputati, Gennaro Fioretti e Alfonso Esposito, tifosi del Napoli e accusati di rissa aggravata. I due facevano parte del gruppo che con Ciro Esposito si avventarono contro De Santis nella zona di viale di Tor di Quinto.  “L’ergastolo me lo do da solo, non me lo date voi. Non ho paura di morire, buffoni”. Sono le parole urlate da Daniele De Santis, accusato dell’omicidio di Ciro Esposito, mentre veniva portato fuori dall’aula bunker di Rebibbia dove i pm hanno chiesto l’ergastolo nei suoi confronti. L’ultrà giallorosso ha seguito l’udienza su una barella a causa delle ferite ad una gamba riportate nel corso degli scontri avvenuti due anni fa nel prepartita della finale di coppa Italia tra Napoli e Fiorentina.


Scafati: 4 anni di carcere a Roberto Somma , il pusher di via Berardinetti

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Aveva oltre 50 grammi di cocaina pronta per essere venduta, nascosta – in parte – nelle custodie dei rullini fotografici: condannato a quattro anni e a 13mila euro di multa Roberto Somma, 32enne scafatese, arrestato a ottobre scorso dai carabinieri della Compagnia di Torre Annunziata. Una fonte confidenziale portò i militari del Nucleo operativo torrese in via Berardinetti, zona di confine tra Scafati e Boscoreale. La segnalazione era riferita ad un giovane su una Fiat Punto che spacciava cocaina in quella zona. E durante un controllo, i carabinieri riuscirono ad individuare l’abitazione e la persona che riforniva i giovani tossicodipendenti della zona. Quando il 23 ottobre dello scorso anno arrivarono in via Berardinetti, intuirono che l’uomo della segnalazione altri non poteva essere che Roberto Somma e così decisero di fare irruzione nell’abitazione e nella vicina officina. Il giovane aveva tutto l’occorrente del perfetto spacciatore: un involucro di cellophane con 40 dosi già pronte per lo spaccio, per un peso di circa 55 grammi, di cocaina ed altra droga, rinvenuta in un armadietto dell’officina, 12 grammi, oltre ad un bilancino di precisione e a materiale per il confezionamento. Nel corso della perquisizione furono trovati anche 360 euro, in banconote di piccolo taglio, provento – secondo gli inquirenti – dell’attività di spaccio. Tutto sottoposto a sequestro. Lunedì, Somma – difeso dall’avvocato Michele Sarno – è stato condannato con rito abbreviato dal Gup Luigi Levita a quattro anni di reclusione.  (r. f.)

Boscotrecase: assolto Andrea Gallo, fratello di Peppe ‘o pazzo. Per il Tribunale “non è un camorrista”

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Andrea Gallo assolto dall’accusa di essere un camorrista. L’importante sentenza per il fratello minore  del famoso “Peppe ‘o pazzo”, ras e trafficante di droga di Boscoreale-Boscotrecase del clan Limelli-Vangone, è arrivata ieri da parte del  gip del Tribunale di Napoli Vincenzo Alabiso durante il processo con rito abbreviato che lo vedeva imputato insieme con i suoi presunti complici Agostino Carbone e Fabio Carpentieri. Tutti assolti “per non aver commesso il fatto”. Il 24enne rampollo della famiglia Gallo resta però in carcere per il duplice omicidio dei fratelli Roberto e Giovanni Scognamiglio, trucidati il 31 maggio scorso nel- la loro villetta di via Andolfi, alconfine tra Pompei e Torre Annunziata. Contro i tre assolti c’erano state le dichiarazioni dei pentiti Gennaro Colantuomo e lo stabiese Luigi Cusma. Ma già la Cassazione aveva smontato le loro accuse la scorsa settimana annullando l’ordinanza di custodia cautelare sull’accusa di associazione camorristica. E ieri è arrivata l’assoluzione.

 

NapolI: la Cassazione annulla l’ergastolo per il boss di Secondigliano, Pietro Licciardi

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La Cassazione ha cancellato l’ergastolo per Pietro Licciardi, boss dell’alleanza di Secondigliano. Le carte tornano di nuovo in Procura. Il boss era stato condannato la carcere a vita perché ritenuto responsabile del duplice omicidio di Cosimo Cerino e Ciro Ottaviano, nonché al duplice tentato omicidio di Francesco Castiello e Gennaro Fastidioso avvenuto a Secondigliano il 30 giugno del 1995. Ad accusarlo il pentito Claudio Sacco, ex esponente del narcotraffico locale.  Pietro Licciardi ieri ha ottenuto un provvedimento favorevole, che riapre la partita su una vicenda giudiziaria nata nel 2012. Ora il processo è da rifare. Difeso dai penalisti Maria Lampitelli, Paolo Trofino e Dario Vannetiello, Pietro Licciardi ha fatto leva sulla mancata richiesta di estradizione alla Repubblica Ceka. Pietro Licciardi fu arrestato a Praga nel 1999. Ora Licciardi sta scontando un ergastolo per l’omicidio di Luigi Giglioso.

Processi aggiustati: controlli su tutti i movimenti economici di Pagano e il Csm apre un fascicolo

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La posizione del giudice Mario Pagano, indagato a Napoli per associazione a delinquere finalizzata alla corruzione, finisce al vaglio del Csm e della Procura generale della Cassazione. Il Comitato di presidenza di Palazzo dei Marescialli ha dato il suo via libera all’apertura di una pratica sul magistrato – all’epoca dei fatti contestati giudice civile a Salerno, oggi in servizio al tribunale di Potenza – come sollecitato dal laico Pierantonio Zanettin. La Prima Commissione del Csm, dunque, dovra’ verificare se sussistano o meno elementi per un trasferimento per incompatibilita’ ambientale o funzionale di Pagano. Sulla vicenda ha avviato accertamenti anche il pg della Cassazione, Pasquale Ciccolo, titolare, assieme al Guardasigilli, dell’azione disciplinare. Un comitato d’affari con amicizie importanti nel mondo della magistratura. Un comitato costituitosi anche intorno all’associazione onlus “Rosa Aliberti”, intitolata alla moglie del giudice Mario Pagano. Gli inquirenti napoletani che per mesi hanno ascoltato le telefonate del giudice in servizio a Potenza e in Commissione Tributaria a Salerno, hanno circoscritto – nel decreto di perquisizione eseguito lunedì all’alba – l’ambito nel quale cercare riscontri a quanto emerso nelle intercettazioni. I dieci indagati perquisiti (nel fascicolo figurano altre persone sottoposte ad indagine e per le quali non è stato disposto alcun accertamento) avrebbero agito in un contesto ampio e protetto. Il nocciolo del presunto “comitato d’affari” – secondo i pm Celeste Carrano e Ida Frongillo – era costituito da Mario Pagano con gli avvocati rocchesi Giovanni Pagano e Gerarda Torino (consigliere comunale di maggioranza) e il commercialista tributarista Michele Torino, tutti tra l’altro componenti dell’associazione “Rosa Aliberti” di cui è presidente il giudice indagato. Su richiesta dei suoi amici, Mario Pagano, si sarebbe attivato presso giudici togati, ma anche onorari – come Augusta Villani – per indurli ad assumere decisioni a loro favore. Un ruolo importante lo avrebbe avuto anche Nicola Domenico Montone, funzionario presso il Tribunale di Salerno e cognato del giudice. Montone e il tributarista Michele Torino, secondo i magistrati napoletani, sarebbero “soci in affari” del magistratio. Altro componente della “combriccola” sarebbe Giacomo Sessa, l’imprenditore di Baronissi che sta eseguendo dei lavori in una proprietà di Mario Pagano. Nel decreto di perquisizione è stato chiesto alla polizia giudiziaria di acquisire anche tutta la documentazione inerente la onlus “Rosa Aliberti” che si occupa di disagio giovanile e di attività culturali. Un’associazione per la quale Mario Pagano ha speso gli ultimi anni della sua vita, dopo la prematura scomparsa della moglie. L’ipotesi investigativa è che nella onlus il giudice avrebbe convogliato la “beneficenza” proveniente dai favori elargiti in ambito giudiziario, con l’intercessione presso i suoi amici giudici e pubblici ministeri. Fonte del sospetto, le intercettazioni sull’utenza cellulare di Mario Pagano, autorizzate a giugno dello scorso anno dal Gip del Tribunale di Napoli. Con lo stesso decreto vennero disposte anche le captazioni sul telefono di Roberto Lambiase, avvocato, attuale presidente del Consiglio comunale di Roccapiemonte: è l’uomo che ha dichiarato – in una telefonata intercettata nel 2014, con Giovanni Spinelli, “factotum” dei matrimoni fasulli – di aver regalato al giudice un orologio rolex. I magistrati napoletani, coordinati dal procuratore aggiunto D’Avino, ritengono che dalle indagini – affidate alla squadra mobile e al nucleo di polizia tributaria della guardia di finanza di Napoli – siano emersi particolari inquietanti. Ingerenze continue e corruzione in atti giudiziari, secondo il Gip che ha autorizzato le perquisizioni, sarebbero già venuti fuori con evidenza dagli accertamenti effettuati fino a questo momento. “Un indebito condizionamento delle decisioni giurisdizionali e la generale permeabilità del contesto istituzionale a forme di pressione illecite”, questo il clima nel quale avrebbero agito Mario Pagano e i suoi più fidati amici. Un sistema clientelare tra il giudice di Roccapiemonte e vari esponenti della magistratura, preordinati alla commissione di vari reati contro la pubblica amministrazione e, dunque, oltre all’abuso d’ufficio e alla corruzione in atti giudiziari si sarebbero configurate anche numerose violazioni del segreto d’ufficio con l’accesso abusivo al sistema informatico del Tribunale di Salerno. Il Gip ha disposto che venissero acquisiti documenti da cui potessero emergere anche rapporti di tipo personale con esponenti della magistratura, in particolare giudici e magistrati in servizio a Salerno e a Nocera Inferiore, ma anche con i componenti della Commissione Tributaria di Salerno. Rapporti che, secondo i pm napoletani, potrebbero essere utili a ricostruire il contesto associativo nel quale sono state pilotate decisioni giudiziarie e processi. Favori per i quali Mario Pagano, accusato da Lambiase di “vendersi” i processi, avrebbe ricevuto dei regali. Le acquisizioni di lunedì saranno determinanti a definire la reale portata dell’inchiesta, per la quale “trema” la magistratura del distretto della Corte d’Appello di Salerno. (ro.fe.)

Nocera Superiore, inchiesta della Procura: perquisita la casa dell’assessore Riso

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Nocera Superiore. Appalto Informagiovani: perquisizione a casa dell’assessore di Nocera Superiore Maria Stefania Maddalena Riso. I carabinieri della polizia giudiziaria del tribunale di Nocera Inferiore, delegati dal pm Federico Nesso, hanno perquisito l’abitazione dell’assessore ai servizi sociali, residente a San Marzano sul Sarno, alla ricerca dei documenti relativi alla gara d’appalto affidata alla cooperativa Archè lo scorso anno. Un lavoro di 39mila e settecento euro sul quale si erano scatenate le opposizioni del sindaco Giovanni Maria Cuofano alla fine dello scorso anno. L’assessore ‘esterno’ esperta in onlus, infatti, al momento dell’affidamento figurava ancora nell’assetto della cooperativa che aderisce al consorzio Gesco. Dopo la perquisizione, l’assessore è arrivata in Procura per alcuni adempimenti burocratici. Nel registro degli indagati è iscritto anche il presidente della coop con sede a Pagani, con il quale Maria Stefania Riso risponde in concorso di abuso d’ufficio. (ro.fe.)

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