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Nocera, uccise l’infermiere per gelosia: chiesto il processo immediato per Sanzone

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Giudizio immediato per Davide Giorgio Sanzone, Il 42enne, siciliano ma residente a Nocera, è accusato di omicidio volontario aggravato da futili motivi. Fu lui la sera del luglio scorso ad uccidere con una coltellata l’infermiere 52enne Maurizio Fortino.
Il pm Ganpaolo Nuzzo della Procura di Nocera Inferiore, che sta coordinando le indagini, ritiene di aver raccolto prove sufficienti per chiedere subito il processo.
Ci sono sia la confessione di Sanzone sia quella della sua ex compagna, Selena Strollo, che intratteneva una relazione con la vittima. L’omicidio al seguito da una lite avvenne proprio in casa della donna in via Origlia a Nocera. Sanzone, quella sera, tornava da Milano e nel voler lavare i suoi indumenti passò dalla ex per vedere la figlia.
Il 42enne aveva già chiuso il rapporto con la donna da circa 5 anni. Quando si accorse della presenza di Fortino perse il controllo. La vittima si era nascosta in bagno. Sanzone dopo aver urlato si diresse in cucina, prese un coltello, andò in bagno e colpì l’uomo. Davanti al gip il reo disse che non voleva uccidere Fortino, tanto da scortarlo fino allo scooter e pregandolo di non denunciarlo.
La coltellata sarebbe stata solo la reazione ad una colluttazione tra i due. Era geloso si, ma verso la figlia, che mai avrebbe dovuto vedere un altro uomo in casa sua. Il tutto è stato smentito dalla testimonianza della donna. Sarà il gip a valutare la richiesta della Procura.

 

(nella foto il luogo dell’omicidio e dall’alto la vittima Maurizio Fortino e l’assassino Davide Giorgio Sanzone)

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Omesso versamento delle imposte: sequestro beni per un’impresa di prodotti petroliferi di Cava de Tirreni

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Salerno. Sequestro beni ad un’azienda che commercializza prodotti petroliferi. La Guardia di Finanza di Salerno ha eseguito un decreto di sequestro preventivo per equivalente emesso dal Giudice per le Indagini Preliminari del Tribunale di Salerno nei confronti di una società della provincia che opera nel settore della commercializzazione di prodotti petroliferi e del suo rappresentante legale.
L’ esecuzione della misura cautelare reale è giunta a conclusione di una verifica fiscale eseguita dal Nucleo di Polizia Tributaria della Guardia di Finanza di Salerno nei confronti dell’impresa, all’esito della quale l’Agenzia delle Entrate ha accertato un omesso versamento di I.V.A. per oltre 525 mila euro, denunciando il legale rappresentante della stessa a questa Procura della Repubblica per il reato di omesso versamento dell’Iva dovuta .
Su richiesta di questa Procura della Repubblica, il Giudice per le Indagini Preliminari del Tribunale di Salerno ha disposto l’adozione della misura cautelare reale a garanzia del credito erariale con decreto di sequestro preventivo e per equivalente delle somme di denaro della società e, fino al completo soddisfacimento della pretesa dell’Erario, delle disponibilità finanziarie e dei beni dell’indagato, per un valore corrispondente all’imposta evasa. A fronte del decreto disposto dall’Autorità Giudiziaria le Fiamme Gialle salernitane hanno sequestrato due appartamenti di pregio di proprietà dell’imprenditore, ubicati nel centro del comune di Cava de’ Tirreni  il cui valore ammonta ad oltre 600 mila euro.

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Spaccio e estorsione, arresti tra la Piana del Sele e Torre Annunziata. In manette Zingone e i suoi complici

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Capaccio. Spaccio di droga e estorsioni tra la Piana del Sele e Torre Annunziata: la squadra mobile di Salerno ha eseguito tre arresti tra Capaccio, Eboli e Torre Annunziata, su richiesta della Dda della Procura della Repubblica di Salerno. Quattro gli indagati, tre sono finiti agli arresti domiciliari per spaccio di stupefacenti e estorsioni nell’ambito di un’indagine iniziata nel febbraio del 2017 a seguito delle dichiarazioni di uno degli indagati.
Ai quattro arrestati sono stati contestati i delitti di illecita vendita di sostanze stupefacenti ed estorsione. I provvedimenti cautelari sono stati emessi all’esito di approfondite e complesse indagini condotte dalla Polizia Giudiziaria iniziate nel mese di febbraio del 2017 a seguito delle dichiarazioni rese da un indagato dedito allo spaccio di sostanze stupefacenti.
Fin dal principio dell’indagine la Polizia Giudiziaria ha raccolto informazioni in merito ad una serie di estorsioni correlate a pregressi approvvigionamenti di sostanze stupefacenti non pagati dagli acquirenti avvenute negli anni 2015-2016.
Secondo le dichiarazioni acquisite il gruppo criminale, facente capo a Salvatore Zingone, detto “Pocket Coffee” e a Gioacchino Silvestri, detto “Jack”, al quale partecipavano anche Mouhssine El Ghazaqui e  Silvia Seno, era subentrato nella gestione del traffico di sostanze stupefacenti nel territorio di Capaccio dopo l’arresto dei trafficanti affiliati ad un altro clan camorristico.

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Aggredì un finanziere per motivi di viabilità a Roccapiemonte: arrestato un 24enne nocerino

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Roccapiemonte. Aggredisce un finanziere: finisce in manette un nocerino di origini polacche di 24 anni. I militari della Compagnia della Guardia di Finanza di Nocera Inferiore hanno eseguito una misura cautelare agli arresti domiciliari nei confronti di un giovane che aveva aggredito, a Roccapiemonte, un militare libero dal servizio per futili motivi.
Il finanziere aveva esortato l’aggressore ad avere una guida meno spericolata nel centro cittadino, ma il giovane invece di ascoltare il consiglio si era scagliato contro il militare. Immediate le indagini per identificare l’autore dell’aggressione con l’apertura di un fascicolo che ha portato all’emissione del provvedimento restrittivo nei confronti del giovane nocerino.

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Camorra, nuova ordinanza per Cosimo Di Lauro: fece uccidere Mariano Nocera

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Gli agenti della Squadra Mobile, stamane, presso il carcere di Opera  a Milano, hanno notificato a Cosimo DI LAURO, figlio di Paolo più noto come “Ciruzz o’ milionario”, un’ordinanza di custodia cautelare in carcere. L’uomo viene imputato, in qualità di istigatore e mandante, dell’omicidio di Mariano NOCERA, avvenuto il 2 settembre 2004 a Napoli nel noto rione Monterosa di Scampia.
Nella circostanza, ad operare fu un commando composto da più killer, di cui uno identificato per Claudio SALIERNO, fedelissimo di DI LAURO Cosimo. Le indagini sono state coordinate dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Napoli, fortemente impegnata a far luce su delitti che, seppur apparentemente datati, sono alla base di logiche criminali ancora attuali, e che ancor oggi incidono sugli equilibri ed i rapporti di forza tra clan; le investigazioni della Polizia di Stato si basano, essenzialmente, su indagini tecniche svolte dalla Sezione Antidroga della Squadra Mobile e sulle dichiarazioni di numerosi collaboratori che hanno permesso di far luce sia sull’omicidio di NOCERA, nonché sui retroscena che determinarono il passaggio del gruppo criminale ABBINANTE dal clan DI LAURO al costituente sodalizio cosiddetti degli Scissionisti, all’epoca capeggiato dal clan AMATO-PAGANO.
Nel 2004, infatti, gli investigatori della Squadra Mobile, indagando su un traffico di stupefacenti, scoprirono che NOCERA smerciava quantitativi di cocaina acquistati da esponenti del gruppo ABBINANTE, i cosiddetti maranesi, ad acquirenti/spacciatori che agivano tra Napoli e provincia. Uno di questi era Vincenzo ARCIELLO il quale, proprio per grazie Mariano NOCERA, riusciva ad acquistare cocaina a credito, fornendo in garanzia assegni post-datati che il NOCERA girava ai suoi fornitori. Il mancato pagamento della cocaina e il versamento di assegni rubati e/o a vuoto, che i fornitori di NOCERA Mariano tentarono di negoziare, determinarono la reazione violenta da parte di quest’ultimo che, la sera del 6 agosto 2004 uccise, a colpi d’arma da fuoco, Vincenzo ARCIELLO dopo averlo convocato telefonicamente presso il Bar Zelinda.
La decisione di uccidere ARCIELLO era stata presa da NOCERA e messa in atto senza alcuna preventiva “autorizzazione” da parte dei vertici dell’organizzazione; pertanto, temendo una ritorsione, si rivolse al suo amico Francesco ABBINANTE, chiedendogli d’intercedere con l’allora reggente del clan DI LAURO, ovvero Cosimo DI LAURO.
Francesco ABBINANTE, latitante in quel periodo e lontano da Napoli, chiese a uno dei suoi uomini più fidati, Giovanni PIANA, di recarsi da Cosimo DI LAURO per chiarire la vicenda. Nella circostanza, DI LAURO pur fornendo garanzie per l’incolumità di NOCERA, il 2 settembre 2004, diede l’ordine di eliminarlo.
Tra i componenti del gruppo armato per eliminare Nocera, composto da uomini fidatissimi di DI LAURO, faceva parte Claudio SALIERNO e tutti agirono a volto scoperto.Nocera fu colpito alla testa ed al torace da vari colpi calibro 38, proprio per lanciare un chiaro ed inequivocabile messaggio : “nessuno poteva commettere omicidi senza essere autorizzato dal capo del clan DI LAURO” in quanto solo lui poteva decidere della vita e della morte degli affiliati.
Analoga risposta fu data da Giovanni Piana, per ordine di Cosimo DI LAURO, a Francesco ABBINANTE, allorquando chiese spiegazioni circa la promessa non mantenuta. Tali retroscena sono stati pienamente confermati da Giovanni Piana nel corso del suo iter di collaborazione con la giustizia.
Quella mancata promessa fatta a Francesco Abbinante, ebbe grande risonanza, tanto che segnerà la scissione di Abbinante e di tutti i suoi familiari detenuti dal gruppo Di Lauro, che aderiranno alla nascente organizzazione nota come “Scissionisti”. Il 28 ottobre 2004 segnerà l’inizio della cosiddetta prima faida di Scampia dove gli appartenenti agli Scissionisti si fronteggiarono contro gli affiliati al Clan Di Lauro, che lascerà dietro di sé una scia di sangue di oltre 100 morti in meno di un anno, e che vide cadere due dei più stretti collaboratori di Cosimo DI LAURO, ovvero Claudio SALIERNO e Fulvio MONTANINO.
Quest’ulteriore risultato investigativo conferma, comunque, l’interesse prioritario della DDA di Napoli e della Polizia di Stato di far chiarezza su tutti i fatti di sangue verificatisi nel corso delle tre faide di Scampia, così evitando che il trascorrere del tempo possa far cadere nel dimenticatoio crimini efferati che hanno macchiato la storia di questo capoluogo.

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Fidanzati uccisi, i familiari: ”Vogliano giustizia”

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“Se non ci sara’ giustizia, se non ci sara’ la condanna all’ergastolo chiesta dal pubblico ministero, Teresa e Trifone moriranno una seconda volta”. Lo ha affermato oggi nell’aula della Corte d’Assise di Udine l’avvocato Giacomo Triolo, uno dei legali che assistono i familiari di Teresa Costanza, uccisa insieme al fidanzato Trifone Ragone a colpi di pistola la sera del 17 marzo 2015 nel parcheggio del palazzetto dello Sport di Pordenone.
. Il legale ha chiuso i due giorni di discussione dedicati agli avvocati di parte civile che si sono associati alla richiesta di condanna gia’ avanzata nelle scorse udienze dal pubblico ministero Pier Umberto Vallerin per Giosue’ Ruotolo, unico imputato per il duplice omicidio.
“La responsabilita’ e’ palmare, evidente – ha aggiunto – I genitori chiedono che venga fatta giustizia. Ovviamente nessuno potra’ tornare loro i figli, ma resta il grande dolore che sono morti per niente, per mano di un soggetto che, di fatto, odiava, covava rancore. Si puo’ uccidere per odio, ma non doveva succedere”.
In aula hanno assistito alla discussione anche i familiari delle vittime. Tra loro la mamma di Trifone Ragone, Eleonora che “ora – ha detto il legale – vivra’ questi giorni che mancano alla sentenza con sete di giustizia ma serena perche’ siamo convinti che avremo la giustizia terrena ma che l’occhio di Dio e’ lungo.
Chi commette questi atti di malvagita’ paga perche’ Dio esiste”. “Giosue’ e’ un grande manipolatore, e’ freddo, ma soffre – ha aggiunto la mamma di Trifone – Credo che la presenza di Teresa e Trifone abbia permeato anche gli animi dei giudici della Corte, per cui sono fiduciosa. Prenderanno le giuste decisioni”.
La mamma di Trifone ha anche spiegato di praticare il cross-fit che la sta aiutando nel corpo e nell’anima “perche’ vivo le stesse esperienze di Trifone. Di queste amicizie che poi si formano all’interno della palestra e di questo spirito di unione che si forma nel gruppo. Ho capito – ha concluso – perche’ lui ci teneva tanto”.

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Operazione antidroga, arresti dei carabinieri tra Capaccio e Salerno

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Dalle prime ore della mattina, è in corso un’operazione antidroga dei Carabinieri della Compagnia di Agropoli, in provincia di Salerno, nei comuni di Capaccio Paestum e Salerno.
Un centinaio di militari, con l’ausilio di unità cinofile, stanno eseguendo un’ordinanza di custodia cautelare – emessa dal GIP del Tribunale di Salerno, su richiesta della Direzione Distrettuale Antimafia – nei confronti soggetti ritenuti responsabili di “associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti”.I particolari dell’operazione saranno resi noti nel corso di una conferenza stampa> che si terrà alle ore 10,30 presso la Procura della Repubblica di Salerno.

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Furti nelle gioiellerie e usura: arrestati parenti e fiancheggiatori della famiglia Marotta di Battipaglia

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Vallo della Lucania. Operazione Golden hand: la Guardia di Finanza, su richiesta della Procura della Repubblica di Vallo ha eseguito un’ordinanza di custodia cautelare nei confronti di 17 persone accusati, a vario titolo, di associazione per delinquere finalizzata all’usura e al furto su tutto il territorio nazionale. Otto delle persone arrestate sono donne.
L’operazione di polizia rappresenta l’epilogo dell’operazione Golden hand eseguita dai finanzieri di Salerno nel novembre del 2012 che consentì il sequestro preventivo del patrimonio di 14 milioni di euro nei confronti della famiglia Marotta, soggetti ritenuti pericolosi dediti ad attività illecite, i proventi di queste attività permettevano loro di condurre un elevato tenore di vita in assenza di redditi dichiarati.
In questo contesto fu disposta dal Tribunale di Salerno l’applicazione della misura di prevenzione personale della sorveglianza speciale e la misura ablativa personale. Nonostante queste misure, alcuni sorvegliati e i parenti più prossimi hanno continuato a porre in essere delitti contro il patrimonio.
Le indagini del Gico della Guardia di Finanza di Salerno sono nate da alcune ipotesi di usura con interessi superiorei al 100% annui, ma hanno svelato ben presto uno scenario molto più ampio che ha consentito di accertare l’esistenza di due organizzazioni finalizzate alla commissione di reati predatori, come i furti e alla ricettazione di monili trafugati nelle gioiellerie di tutto il territorio nazionale.
Durante le indagini alcuni degli indagati sono stati arresrari proprio grazie alle segnalazioni delle fiamme gialle, come accaduto per un furto commesso a Grosseto a maggio el 2014 da due donne che poi furono fermate e arrestate a Battipaglia, tra l’altro per aver violato la misura di prevenzione personale della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza, mentre erano di rientro e si dirigevano dal ricettatore. Nella borsa di una di loro, all’interno di un calzino colorato, fu rinvenuta la refurtiva di 150 grammi di oto.
Il Tribunale ha, inoltre, disposto il sequestro di tutti ibeni di una gioielleria di Battipaglia, il titolare della quale aveva ricettato in più occasioni i preziosi trafugati in altre gioiellerie ubicate su tutto il territorio nazionale.

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Camorra, 2 secoli di carcere in Appello al clan di ”Peppe ‘o pazzo”

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Boscotrecase. Due secoli di carcere ma molti sconti di pena. si è chiuso in Appello il  processo contro i 27 imputati del clan di Giuseppe Gallo, il boss narcotrafficante di Boscotrecase finto pazzo. Per il boss è arrivata una condanna a 20 anni di carcere anche se assolto per numerosi capi d’imputazione.
Durante la prima udienza del processo, Gallo era collegato in videoconferenza e, dopo un tentativo di suicidio, aveva preso la parola e chiesto l’autorizzazione all’eutanasia. Relegato al 41 bis, il carcere duro, nel penitenziario di massima sicurezza di Parma, Gallo mal sopporta la detenzione e non ne ha fatto mistero.
Soprannominato “Peppe ‘o pazzo” proprio perché da capoclan riusciva a percepire ogni mese una pensione di invalidità da 700 euro per problemi psichiatrici.Per sua madre, Rosaria Vangone, la condanna invece è di  12 anni di carcere.
Le altre condanne sono: Luigi Mansi a 16 anni; Antonio Ruggiero 13 anni e 8 mesi; Nicolò D’Amico 11 anni e 4 mesi; Silvio Serpe 10 anni e 8 mesi; Luigi Mennella 10 anni e 4 mesi; Gabriele Balzano 10 anni; Domenico Topo 8 anni e 6 mesi Salvatore Carfora 8 anni e 4 mesi; Raffaele Belviso, Mario Felice De Martino, Biagio Di Biasio e Giuseppe Malvone 8 anni; Ivan Visciano 7 anni e 1 mese; Bruno Esposito 7 anni e 4 mesi; Michele Imparato 6 anni; Carmine Amabile 5 anni e 4 mesi; Gaetano Di Ronza 3 anni e 4 mesi; Alfredo Cesarano e Carmine Romeo 2 anni e 8 mesi; Giuseppe Gallo ’66 2 anni; Michela Gallo 1 anni e 4 mesi.
Infine, revocata la confisca dei beni ad Annalisa De Martino. Assolto per non aver commesso il fatto Nunzio Mennella, prescritti i reati contestati a Rosalba De Martino e Salvatore Gallo.

 

 

 

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Pizzo in nome del clan: condannati ‘o sciammaro e i suoi complici

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Sedici anni e otto mesi di carcere, è questa la pena complessiva comminata ai quattro presunti esponenti del gruppo criminale che avrebbero estorto danaro all’ imprenditore nel settore delle slot di Marigliano, Pasquale Ciappa.
In particolare Luigi Esposito, detto “’o sciamarro”, presunto leader del gruppo dei “Capasso -Castaldo”, è stato condannato a 4 anni e 6 mesi di carcere. Pena appena più lieve, invece, per il nipote Salvatore Pasquale Esposito, detto “’o sciamarretto”, che dovrà scontare 4 anni di reclusione.
Condannati anche i fratelli Giovanni Castaldo, detto “’o luong” a 5 anni e 4 mesi e Rosario Castaldo a 2 anni e 8 mesi. Ovviamente restano innocenti fino a sentenza definitiva.
I quattro erano stati arrestati dai carabinieri il 29 maggio scorso, dopo un’ordinanza di custodia cautelare dopo che, secondo l’accusa, erano stati accertati episodi di estorsione ai danni dell’imprenditore Ciappa. Imprenditore che ha avuto la forza di raccontare tutto ai militari dell’arma.
Non è escluso che nei prossimi giorni potrebbero arrivare condanne ad altri estorsori. Infatti Ciappa, titolare di numerose slot nella provincia napoletana, doveva pagare due clan che si contendevano la zona. In quasi 15 anni l’imprenditore ha raccontato di essere stato costretto a pagare migliaia di euro di estorsioni.

 

(nella foto Luigi Esposito ‘o sciamarro e il nipote Salvatore Pasquale Esposito ‘o sciamarretto)

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Carabinieri infedeli a Torre Annunziata, chiesti 82 anni di carcere per militari, boss e un avvocato

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Torre Annunziata. Carabinieri accusati di aver tradito l’Arma e di aver favorito il boss Francesco Casillo ‘a vurzella, di aver favorito il traffico di droga del pregiudicato che spadroneggiava tra il Piano Napoli di Boscoreale ed era fedele alleato del clan Gionta di Torre Annunziata tra il 2008 e il 2012, la Dda chiede condanne durissime.
Otto anni ciascuno per i sette militari, alcuni oggi in pensione, che hanno scelto di essere giudicati con rito abbreviati dinanzi al Gup di Napoli: questa la richiesta di condanna del pm della Procura Antimafia Raffaello Falcone per Francesco Vecchio, Franco De Lisio, Antonio Formicola, Antonio Santaniello, Catello Di Maio, Antonio Paragallo e Santo Scuderi. Sedici anni la pena chiesta per Franco Casillo ‘a vurzella che aveva sul libro paga carabinieri e il suo avvocato Giovanni De Caprio, accusato di aver nascosto e riciclato i proventi illeciti della cosca, per il quale sono stati chiesti 12 anni di reclusioni.
Non fa sconti l’accusa nella sua requisitoria ed ha chiesto che militari, boss e il professionista vengano condannati con tutte le aggravanti.
A Novembre è prevista la prima sentenza nel processo che ha visto l’antimafia indagare sulla Compagnia dei carabinieri di Torre Annunziata per quello che accadeva in un arco temporale di circa cinque anni. Per gli altri imputati coinvolti nell’inchiesta, tra i quali l’ex comandante della compagnia, Pasquale Sario, oggi tenente colonnello in servizio alla scuola Ufficiali di Roma, Sandro Acunzo, il maresciallo che era il referente principale di Casillo – già condannato per detenzione illegale di propriettili dal Tribunale di Torre Annunziata – e per il maresciallo capo Gaetano Desiderio, il Gip ha disposto il rinvio a giudizio insieme ai pregiudicati Orazio Bafumi, Luigi Izzo e Aniello Casillo, quest’ultimo fratello di Franco.
I sei compariranno dinanzi ai giudici del Tribunale di Torre Annunziata a partire da dicembre prossimo.
Secondo l’accusa, i militari avrebbero ricevuto da Casillo regali e soldi in cambio dell’impunità e avrebbero coperto il traffico di droga del narcotrafficante, ma avrebbero anche fatto operazioni di polizia mirate come quelle dell’arresto di latitanti, facendo sparire parte della droga sequestrata e spartendo i proventi del traffico, come nel caso di Acunzo.
Accuse pesantissime che dovranno essere valutate dal giudice per le udienze preliminari del tribunale di Napoli. Su alcuni dei militari si era aperta una diatriba giudiziaria sull’arresto davanti ai giudici del Riesame dopo che il Gip aveva negato le misure cautelari più forti al termine dell’inchiesta.
Una brutta pagina quella aperta sulla Compagnia dei carabinieri di Torre Annunziata dall’antimafia napoletana e passata per indagini pilotate e depistaggi per favorire la camorra.

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Un secolo di carcere per la banda di rapinatori che terrorizzava il Giuglianese e la provincia di Caserta

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Il blitz scattò la mattina del 29 marzo scorso. A sgominare la banda specializzata in furti furono i Carabinieri di Casal di Principe. Quindici persone finirono in carcere, quattro ai domiciliari con le accuse di associazione a delinquere, furto, ricettazione ed estorsione.
Nella giornata di ieri sono arrivate le condanne. Quasi un secolo di carcere per dieci persone, smantellata una vera e propria banda di rapinatori. La sentenza è stata pronunciata ieri mattina nel processo con rito abbreviato che vede 10 delle 19 persone coinvolte accusate di associazione a delinquere, rapina aggravata, furto aggravato, ricettazione ed estorsione. Il giudice ha accolto le richieste dei pubblici ministeri aumentando anche le condanne.
La pena più alta è stata data a Pasquale Cuciniello e Vincenzo Nave: ben sedici anni. Per Antonio Fiorillo, invece, quattordici anni, dodici anni a Carmine Cante, otto anni e quattro mesi nei confronti di Giuseppe Rendola, otto anni nei confronti di Salvatore Leoncino. Sette anni e quattro mesi nei confronti di Vincenzo Perrone Carmela Cigliano (moglie di Pasquale Cuciniello). Sei anni, infine, nei confronti di Rosa Pagano e Vincenzo Posillipo.
La banda  è accusato di aver messo a segno ben venti  colpi. Il primo un anno fa, il 31 marzo del 2016: la rapina alla gioielleria Zoppi di Casal di Principe, da cui ha avuto origine l’inchiesta. Due mesi dopo tocca al bar tabacchi “Peccati Divini” di Giugliano: agiscono in 5, minacciando i titolari con una pistola e portando via merce per 2000 euro. Poi è la volta della ricettazione dei 270 pacchetti di sigarette asportati durante la rapina.
Il bar tabacchi di Giugliano era già stato rapinato il 30 gennaio, quando, a vario titolo, 4 soggetti, minacciando i titolari con una pistola, avevano portato via 12 stecche di sigarette e 250 euro in contanti. Il 29 maggio sono accusati del furto di autovettura Fiat panda commesso a Giugliano da 3 soggetti mediante l’utilizzo di una chiave per l’apertura delle auto denominata “mille righe”.
La banda è accusata anche della tentata rapina al bar tabacchi Zanzibar di Villaricca del 2 e 3 giugno, pianificata da 3 soggetti che dovevano commettere il reato all’apertura dell’esercizio commerciale, non riuscendo nel loro intento solamente perché il 2 il titolare si richiudeva nel bar subito dopo l’apertura e il 3 per la presenza di una pattuglia dei Carabinieri di Casal di Principe.
Poi c’è la rapina alla gioielleria Tammaro di Villaricca dell’11 giugno commessa da uno degli indagati che, in concorso con soggetto non identificato, utilizzando autovettura rubata e minacciando il titolare con una pistola, dopo avergli legato i polsi e averlo fatto cadere a terra, asportava somma contante di euro 200 e vari monili. Il 13 giugno rapina al tabacchino Rugantino di Giugliano, commessa, a vario titolo, da 4 degli indagati che, in concorso con soggetto non identificato, utilizzando autovettura rubata, minacciando il titolare con un fucile a canne mozze e colpendolo con un pugno al volto, si impossessavano di cento euro.
Due giorni dopo tentato furto alla tabaccheria di Villaricca commesso, da 3 indagati che, unitamente a soggetto da identificare, forzavano con arnesi atti allo scasso la saracinesca del locale non riuscendo nel loro intento a causa del passaggio di alcuni clienti davanti all’esercizio commerciale.
Ancora il furto di una Fiat Panda commesso a Giugliano da due soggetti mediante l’utilizzo di una chiave per l’apertura delle auto “mille righe”. Il 20 giugno furto nella bottega di un artigiano ad Arzano commesso, a vario titolo, da 3 soggetti che penetravano all’interno dell’esercizio commerciale utilizzando la chiave fornita dalla basista, coindagata, domestica presso l’abitazione della vittima, e asportavano un televisore Lcd e una carta Bancoposta.
Poi c’è l’estorsione commessa con il metodo del cavallo di ritorno da una indagata, domestica dell’anziano signore vittima del reato, che, dopo aver sottratto un’autovettura, costringeva il proprietario a consegnare 2000 euro per rientrarne in possesso minacciandolo di dare fuoco al veicolo.
Ancora il furto commesso da un’indagata in danno dell’anziano signore presso l’abitazione del quale era impiegata come domestica, al quale sottraeva nel tempo la somma complessiva di 2.500 euro. Poi il furto commesso il 22 giugno, da 4 soggetti che, dopo essersi intro- dotti all’interno dell’abitazione di una donna di Varcaturo, portavano via beni per un valore di 2.000 euro.
E ancora il furto commesso il 23 giugno, da 4 persone all’interno dell’abitazione di un’anziana donna di Giugliano, parente di un’indagata che, con la sua complicità, permetteva di sottrarre la somma in contanti di 6.000 euro ed oggetti preziosi per un valore superiore ai 20.000 euro. Ancora il furto a bordo di auto commesso a Villaricca il 25 giugno da 2 soggetti che, dopo aver aperto l’auto, rubavano un telefono cellulare e una busta e il tentato furto di un’auto non portato a termine. Il giorno dopo rapina al distributore di carburanti Als di Villaricca commessa da 3 soggetti minacciando i dipendenti con una pistola e prelevando somma contante pari a 1.500 euro.
Poi la rapina al supermercato “A Casa Mia” di Casapulla del 21 marzo, com- messa da 2 indagati unitamente ad altri complici, con un bottino di 50.000 euro. In ultimo la rapina al centro medico “Benedetto Croce” di Giugliano del 22 giugno 2015, commessa da un indagato con un soggetto non identificato, minacciando il proprietario e una di- pendente con una pistola e sottraendo 250 euro dalla cassa del centro e 400 euro dal portafogli del titolare.

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Camorra a Marano, ai domiciliari il tecnico di fiducia della ‘cricca’ Cesaro

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Finisce agli arresti domiciliari Oliviero Giannella, l’ingegnere  originario della provincia di Salerno ma legato ai fratelli Cesaro di Sant’Antimo.
E’stato scarcerato ieri per motivi di salute. era stato arrestato ad aprile scorso insieme ai fratelli Aniello e Raffaele Cesaro e ai cugini Antonio e Pasquale Di Guida(quest’ultimo scarcerato poi dal Riesame) per lo scandalo dell’area Pip del comune di Marano.
Gli investigatori lo ritengono uno delle figure chiave dell’inchiesta nonchè tecnico di fiducia del clan Polverino. Secondo le accuse il professionista oltre ad essere il professionista di fiducia della cricca avrebbe aiutato alcuni vigili urbani di Marano (indagati) a falsificare gli atti per il capannone intestato al figlio del boss Polverino.

 

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Caserta: tentò di uccidere due rivali, arrestato Brusciano, il braccio destro del boss Giuseppe Setola

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Caserta. Tentò di uccidere, per ordine del boss Giuseppe Setola, due avversari: è stato raggiunto da un’ordinanza cautelare in carcere Gabriele Brusciano, detto Massimo, esponente del clan dei Casalesi ed ex fedelissimo del boss Giuseppe Setola.
Faceva parte del gruppo di fuoco, otto in tutto, guidato dallo stesso Setola che il 12 dicembre 2008 tentò di uccidere Salvatore Orabona e Pietro Falcone due affiliati che ritenuti “nemici”, sparando decine di proiettili con kalashnikov e pistole alle finestre delle rispettive abitazioni a Trentola Ducenta. Nessuno dei due bersagli fu colpito mentre una donna assolutamente incolpevole rimase ferita.
Un raid interamente ascoltato in diretta dagli inquirenti che erano sulle tracce di Setola.
“Li dobbiamo uccidere, hai capito? Na botta ‘nfaccia” ordinò ai suoi uomini il boss in dialetto, seguito da risate, voci che intonavano canzoni neomelodiche, e gli spari, tanti. A Brusciano, detto “Massimo”, oggi è stato notificato in carcere il provvedimento cautelare emesso dal Gip del Tribunale di Napoli su richiesta della Dda per i tentati omicidi di Salvatore Orabona e Pietro Falcone.
Salvatore Orabona è diventato collaboratore di giustizia, e sta rendendo dichiarazioni soprattutto sul clan Zagaria. I fatti furono quasi l’epilogo della stagione del terrore che nel 2008 insanguinò il Casertano; una strategia ideata dal boss Giuseppe Setola, ex braccio destro del capoclan Francesco Bidognetti, che ad aprile 2008 evase dalla clinica di Pavia dove era ai domiciliari per presunti problemi all’occhio destro.
Da allora iniziò a seminare terrore uccidendo parenti di esponenti di spicco del clan che avevano scelto di collaborare con la giustizia, come Umberto Bidognetti, papà del pentito Domenico, o imprenditori che avevano denunciato e fatto arrestare gli estorsori del clan, come Domenico Noviello, o che erano in procinto di parlare con gli inquirenti, come Michele Orsi; fece scalpore la strage dei ghanesi avvenuta il 18 settembre 2008.
A dicembre Setola, con alcuni suoi fedelissimi già arrestati, riuscì a mettere in piedi un gruppo di otto sicari per colpire Orabona e Falcone, che a suo dire, contrastavano la sua ascesa e non volevano sottomettersi al suo comando. I fatti avvennero a Trentola Ducenta, dove risedevano i due bersagli.
I killer guidati da setola, armati di pistole e kalashnikov, si recarono prima nei pressi dell’abitazione di Orabona, in via Caravaggio, e con il pretesto di offrirgli una torta ed una bottiglia di champagne provarono a tendergli una trappola. Orabona intuì di essere una vittima designata e non uscì, restando nascosto in casa.
A quel punto Setola e i suoi, sorpresi dal comportamento di Orabona, e forse in preda ad alcol e cocaina, iniziarono a sparare verso la finestra dell’abitazione del camorrista senza però ferire nessuno. Il gruppo di fuoco tentò di raggiungere casa di Falcone, nella vicina via Vittorio Alfieri, ma probabilmente per un errore nell’individuazione dell’appartamento, spararono verso un’altra abitazione dove dimorava una famiglia del tutto estranea ai clan di camorra, tanto da ferire gravemente una donna.

(nella foto il boss Giuseppe Setola)

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Rapinatori seriali di distributori di benzina e farmacie nel casertano: nuovo arresto per Mezzero e Bello

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Caserta. Rapinatori seriali di farmacie e distributori di benzina: confessano i due banditi Attilio Mezzero e Plinio Bello raggiunti oggi da una nuova ordinanza di custodia cautelare. A luglio erano otto i ‘colpi’ messi a segno dalla coppia di banditi formata dal 38enne Attilio Mezzero e dal 39enne Plinio Bello, i due furono fermati insieme a un complice il 13 luglio con l’accusa di aver rapinato nel casertano distributori di benzina, farmacie e bar. Tre mesi dopo, i due hanno confessato di essere responsabili di almeno altri sei colpi compiuti nello stesso periodo, sempre tra fine giugno e inizio luglio, su cui però le indagini erano ancora in corso. Oggi i due hanno così ricevuto un’altra ordinanza di custodia cautelare emessa dal Gip del tribunale di Santa Maria Capua Vetere ed eseguita dai carabinieri di Grazzanise, comune del casertano dove i banditi risiedono ed hanno colpito più volte. In particolare le nuove accuse riguardano una rapina compiuta all’ufficio postale e ad una farmacia ubicati a Castel Volturno, un distributore di benzina di Villa Literno, una rivendita di prodotti lattiero-caseari di Cancello e Arnone; tra le vittime anche un cittadino cui la coppia ha rapinato l’auto usata poi per compiere gli altri colpi. Sempre uguale il modus operandi dei malviventi, che agivano armati, usando in particolare pistole e coltelli. A incastrarli nella prima fase delle indagini le telecamere dei sistemi di videosorveglianza degli esercizi colpiti, ma anche le intercettazioni telefoniche avviate dopo i primi sospetti. Durante le perquisizioni delle abitazioni degli indagati, i militari hanno rinvenuto e sequestrato due pistole a salve prive di tappo rosso e con relativo munizionamento, e un coltello da cucina.

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Fondi neri per girare Gomorra nella villa del boss, Sky chiede chiarimenti a Cattleya

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“Sky Italia ha appreso da fonti di stampa che l’Ad di Cattleya Giovanni Stabilini avrebbe recentemente dichiarato, nel corso di un procedimento giudiziario a Napoli, di ‘non poter escludere che possano essere stati creati fondo neri, attraverso fatture gonfiate, con i quali siano stati pagati quei camorristi’.
Queste dichiarazioni, se si rivelassero fondate, lasciano stupiti e contrastano con quanto Cattleya ha sempre garantito a Sky e con la condotta che Sky ha da sempre richiesto a Cattleya come a qualsiasi altro partner produttivo”.
Cosi’ Sky Italia, attraverso una nota, commenta notizie di stampa nelle quali Giovanni Stabilini, amministratore delegato di Cattleya, non esclude l’uso di fondi neri per pagare la villa di un vero di boss di camorra dove sono state girate scene di ‘Gomorra – La Serie’.
“Ad ogni societa’ che collabora con Sky infatti – prosegue la nota – viene richiesto dall’azienda di attenersi scrupolosamente alle norme che disciplinano il settore e ai principi di etica e responsabilita’; nel caso di Cattleya e della produzione di ‘Gomorra’ questa richiesta e’ stata ribadita in molteplici occasioni anche in considerazione del contesto territoriale in cui la serie e’ stata realizzata”.
“Sky ha, di conseguenza, richiesto ai legali rappresentati di Cattleya di chiarire urgentemente le affermazioni di Stabilini”, conclude la nota di Sky Italia.

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Camorra, arrestato ras del clan Pesce-Marfella di Pianura

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Nella mattinata odierna gli uomini del Nucleo Operativo della Polizia Penitenziaria di Secondigliano hanno arrestato presso il proprio domicilio di Pianura il 57enne Vincenzo Giordano, ritenuto vicino al clan Pesce-Marfella.
Lo stesso era destinatario di un ordine di esecuzione per la carcerazione emesso dalla Procura Generale della Repubblica presso la Corte di Appello di Napoli.
Giordano è anche imputato, in un altro procedimento, per l’omicidio della guardia giurata Antonio Moroder, ucciso nel 1994, il cui corpo non fu mai ritrovato. Dopo le formalità di rito è stato associato al Centro Penitenziario di Secondigliano, dove dovrà scontare una pena di 6 anni e 8 mesi per associazione camorristica.

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Napoli, chiesti 14 anni di carcere per i ladri vip del rione Traiano

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Chiesti 14 anni di reclusione per i tre ladri vip del Rione Traiano che prima svaligiavano le case dei salernitani e poi si concedevano vacanze esclusive in resort. a cinque stelle con il ricavato dei copi e postavano le foto sui social. Il gup del Tribunale di Salerno stamattina ha chiesto 5 anni di carcere per Ciro Romano, 52 anni e il socio Ciro Guillari mentre per il figlio Giuseppe Romano sono stati chiesti 4 anni di carcere.
Prima sceglievano le abitazioni che sapevano essere disabitate per qualche giorno. Poi posizionavano un foglietto di carta davanti alla porta d’ingresso e ritornavano il giorno dopo: se quel pezzetto di carta era ancora li’, era il lasciapassare per la banda per indicare che i proprietari non c’erano.
I furti,  avvenivano sempre con le stesse modalità e nel periodo estivo ed avevano come obiettivo le abitazioni lasciate vuote dalle famiglie partite per le vacanze estive. 
Quando arrivava il ‘via libera’ del foglietto, iniziavano le procedure per scassinare le serrature delle porte e nessun modello aveva segreti.
L’unica cosa che metteva ansia alla banda erano le telecamere di sicurezza. In un’occasione, uno di loro entro’ in un’abitazione in provincia di Avellino, ma si accorse di essere inquadrato da una telecamere notturna. La scena viene immortalata sequenza dopo sequenza nelle immagini acquisite dai carabinieri.
Il ladro quando si accorge di essere stato ripreso, tenta di smontare l’impianto di registrazione e non ci riesce. Di fondamentale importanza per le indagini sono state le intercettazioni telefoniche perché i ladri si tengono in contatto l’uno con l’altro durante il colpo proprio con i telefoni cellulari captati dalla forze dell’ordine.
“Cerca qualcosa di buono”, dice Ciro Romano il 6 luglio 2016 a proposito di un furto un’appartamento a Salerno. “Ci stanno, ci stanno, come non ci stanno, ad una parte che tengo e’ grossa”, la risposta del suo interlocutore. Quella mattina furono portati via tre orologi, due paia di occhiali, una borsa Louis Vuitton, 380 euro e diversi anelli e bracciali in oro e argento.
I carabinieri hanno poi accertato un altro modus operandi della banda: mentre il complice sale le scale che portano all’abitazione, un altro bussa al citofono per essere certi dell’assenza dei proprietari. In un altro caso, in un furto perpetrato al Vomero il 29 luglio 2016, qualcosa va storto: “Ci sono persone per le scale”. La risposta e’ rapida: “Appena se ne vanno questi qua andiamo a vedere un’altra via, e mi fai uno squillo, va bene?”
E con i soldi andavano a fare vacanze nei più esclusivi resort del mondo postando poi i selfie su Fb. In particolare un commento postato su facebook ad una foto di Angelina Jolie il 18 ottobre del 2016 da Giuseppe Romano. “Meglio essere poveri ma onesti piuttosto che ricchi e malvagi”.
E subito dopo gli è arrivata la risposta di una donna che conosceva bene la sua “l’onestà” e che era amica del titolare del profilo sul quale Giuseppe Romano aveva postato quella frase. “Ma quale onesto voi rubate nelle case della povera gente che fanno sacrifici x andare avanti po va nu Piezz e merddd comm e te e pat’t e va rubbat tutte sacrific che fanno… accussi vo fa a bllel mammt e rient e porcellan ca ten mocc e o sang ra Gent… non sapit manc nupoc ronesta’ facit e squarcciun co sang re povera Gent!! Latrin a te e a pat’t mariuuuuuolllll prrrrrrrrrrrrr”.

 Rosaria Federico

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Manifesti funebri abusivi a Scafati: nuove accuse all’ex sindaco e ai responsabili delle due imprese

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Scafati. Manifesti funebri abusivi e mancato versamento dei diritti per le affissioni: nuove accuse per l’ex sindaco Angelo Pasqualino Aliberti, il suo staffista Giovanni Cozzolino e per il responsabile dell’area economico finanziaria del Comune di Scafati, Giacomo Cacchione ai quali è stato recapitato un avviso di conclusione delle indagini insieme ai responsabili delle due agenzie di pompe funebri che operano sul territorio: l’Eternità e Cesarano. I tre sono accusati di abuso d’ufficio, aggravato dall’articolo 7, cioè per aver agevolato le due imprese concorrenti, ritenute vicine – la prima – al clan Matrone, la seconda al clan D’Alessandro di Castellammare.
Il sostituto procuratore della Dda, Vincenzo Montemurro, ha inviato l’avviso di conclusione delle indagini agli indagati – notificato ieri – dagli uomini della sezione Dia di Salerno guidati dal colonnello Giulio Pini e dal capitano Fausto Iannaccone.
Insieme all’ex sindaco, a Cozzolino e Cacchione sono finiti nel registro degli indagati Giuseppina Ametrano, 50 anni di Boscoreale, legale rappresentante della Eternità srl, Alfonso e Catello Cesarano di Castellammare, all’epoca legali rappresentanti della ‘Cesarano Nicola Pompe funebri’.
Secondo l’accusa Aliberti, Cozzolino e Cacchione non avrebbero impedito alle due imprese funebri di affiggere i manifesti mortuari in spazi non consentiti e quindi evitando che pagassero i tributi dovuti procurando alle ditte un vantaggio economico. Inoltre, l’ex staffista Giovanni Cozzolino avrebbe, per i favori prestati, beneficiato di un funerale gratis per un suo congiunto defunto, Francesco Gallo, effettuato con la ditta l’Eternità.
La questione è emersa durante le indagini che la Dda di Salerno ha svolto sull’amministrazione di Scafati e sui legami che esponenti politici hanno avuto con i referenti del clan Ridosso-Loreto, nell’ambito della quale Aliberti e Cozzolino sono indagati per scambio di voto con Gennaro, Luigi e Andrea Ridosso Ridosso, Alfonso Loreto, l’ex consigliere Roberto Barchiesi, Ciro Petrucci, il consigliere regionale Monica Paolino e il fratello dell’ex primo cittadino Nello Maurizio Aliberti.
A supportare le accuse relative alle omissioni e alle agevolazioni alle imprese di pompe funebri, lo scorso anno, sono arrivate anche le dichiarazioni del dirigente dell’area economica, Giacomo Cacchione, che ha rivelato di aver ricevuto pressioni dall’allora sindaco e da Cozzolino affinchè la situazione relativa all’affissione dei manifesti pubblici rimanesse immutata e cioè che i referenti delle due imprese funebri che svolgono il servizio sul territorio non pagassero i tributi dovuti per l’affissione e si attenessero a spazi prestabiliti per la pubblicità dei manifesti funerari.

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Grumo Nevano, i ‘favori reciproci’ tra il sindaco e Barbato ‘il corvo’ della Procura

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Grumo Nevano. Nella giornata di ieri le fiamme gialle hanno arresto il sindaco Chiacchio, Pascale, un vigile urbano in servizio presso il comune di Grumo Nevano ed un assistente della polizia penitenziaria, Rodolfo Barbato, in servizio presso la Procura di Napoli Nord.
Accuse pesantissime per il primo cittadino che dovrà rispondere di corruzione, il vigile urbano invece di favoreggiamento personale, rivelazione di atti d’ufficio e falso. Per entrambi sono scattati gli arresti domiciliari. Invece per la guardia penitenziari il trasferimento in carcere.
Le indagini  riguardano alcune gare d’appalto bandite dal Comune; inchiesta nella quale sono coinvolti oltre al sindaco e il vigile, altre nove persone, tra queste quattro imprenditori del settore dell’energia solare e dell’igiene urbana. Gli investigatori hanno trovato e sequestrato nell’auto di Antonio Pascale una busta contenente del materiale ritenuto importante sotto il profilo delle indagini e un pizzino sul quale erano scritti i dati informativi dell’inchiesta di marzo, coperti da segreto investigativo.
Il duro lavoro svolto dagli inquirenti ha portato a scoprire il “corvo” che passava le informazioni al sindaco e al vigile urbano. Nei mesi precedenti al blitz di marzo, i finanzieri notarono che i futuri indagati avevano ridotto all’ essenziale le conversazioni telefoniche.
Un lungo silenzio, interrotto da una telefonata di Rodolfo Barbato al sindaco Pietro Chiacchio. La guardia penitenziaria, utilizzando il tipico linguaggio dei malavitosi, sbottò: “Sindaco, vi ho visto in procura, ma se avete qualche problema, e capite di quali intendo, sono a vostra completa disposizione”. Barbato, sposato con una donna italiana e con due figli, intratteneva una relazione con una donna dell’Est e chiese al sindaco, noto ginecologo, un certificato attestante la gravidanza a rischio dell’amante perché incinta. Un’attestazione clinica, necessaria per far abortire la donna e salvare anche il suo matrimonio.
Quel certificato, stilato secondo gli inquirenti senza nemmeno che Pietro Chiacchio visitasse la donna, è costato al sindaco l’accusa di corruzione. Visto il silenzio telefonico i finanzieri hanno seguito hanno seguito fino a Roma, all’aeroporto di Fiumicino, Antonio Pascale, che si doveva imbarcare su un volo per l’estero. Il vigile urbano lasciò l’auto nel parcheggio di lunga sosta, dando mondo alle fiamme gialle di piazzare qualche cimice e perquisire l’auto. Nel vano portadocumenti fu trovata la busta contenente il foglio sul quale erano state trascritte le informazioni riservate. Ricongiunte tutte le informazioni sono scattati i provvedimenti della Procura.
Intanto ieri si è celebrato il consiglio comunale, in cui i massimi esponenti della maggioranza hanno espresso solidarietà al sindaco. Il futuro amministrativo o sarà assegnato al vice sindaco o, in caso di dimissioni del primo cittadino, ad un commissario prefettizio che condurrà il comune fino alla prima data utile per votare, stessa sorte se la maggioranza dei consiglieri comunali si dimetta in modo contestuale.

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