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Camorra, processo al clan Contini: chiesti 7 secoli di carcere

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Piu’ che un clan e’ una holding del crimine che per anni ha gestito gli affari criminali non solo nei quartieri a ridosso dell’aeroporto di Napoli, ma anche in quelli limitrofi, grazie ad una fitta rete di alleanze.
E’ il clan Contini e per alcuni suoi esponenti i pm della Dda di Napoli hanno chiesto oltre sette secoli di carcere, distribuiti su novanta imputati accusati non solo di associazione a delinquere di stampo camorristico, ma anche di riciclaggio. L’inchiesta da cui prende vita il processo ha infatti portato a scoprire tutti i canali che il clan usava per poter reinvestire, ripulendoli, i milioni di euro provenienti dai traffici di droga.
I maggiori investimenti erano stati fatti a Roma e a Viareggio. Le richieste di condanna oscillano dai 30 anni per Ciro Di Carluccio, esponente di punta della cosca , ai 24 anni per Rita Aieta, moglie del boss Eduardo Contini detto ‘il romano’, per la sua spiccata capacita’ di fare affari nella capitale.
Tra gli imputati anche Ettore Bosti detto ‘il rosso’, figlio del capoclan Patrizio, che rischia una condanna a 24 anni di reclusione. Stessa pena chiesta anche per Antonio Righi, uno dei presunti “colletti bianchi” del clan. Il giudice della prima sezione penale del Tribunale di Napoli ha stabilito che ci saranno almeno dieci udienze destinate alla discussione degli avvocati difensori. La sentenza dovrebbe essere pronunciata entro fine anno.

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Camorra, stangata sulla holding del crimine dei Contini.TUTTE LE RICHIESTE DI CONDANNA

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Una richiesta di condanna senza precedenti per la holding del crimine organizzato che dal quartiere Vasto di Napoli ha esteso i suoi tentacoli in Italia e in mezza Europa.
Sette secoli di carcere: è questa la richiesta di condanna della Dda di Napoli nei confronti dei 90 imputati del clan Contini. Sono accusati di associazione camorristica, traffico di droga, estorsioni, riciclaggio, omicidi. Le richieste di condanne oscillano dai 30 anni per Ciro Di Carluccio, ai 24 anni per Rita Aieta, cognata di Eduardo Contini detto ‘il romano’, per la sua spiccata capacità di fare affare a Roma.
Richiesta analoga anche Ettore Bosti detto ‘il rosso’, figlio di Patrizio, che rischia una condanna a 24 anni di reclusione e per Antonio Righi, uno dei presunti “colletti bianchi” del clan.
Il giudice del- la prima sezione penale del Tribunale di Napoli ha stabilito che ci saranno almeno dieci udienze destinate alla discussione degli avvocati difensori. La sentenza dovrebbe essere pronunciata entro fine anno.
Secondo la Dda i Contini, fondatori della famosa “Alleanza di Secondigliano” con i Mallardo di Giugliano e i Licciardi della Masseria Cardone, sono  una delle cosche economicamente più potenti della camorra quella creata negli anni ’90 dal boss Eduardo Contini, un impero fondato sul traffico di droga anche per conto di altri clan, ma anche su capillari estorsioni  e soprattutto capace di riciclare i proventi illeciti in svariate attività commerciali in Italia e all’estero.

LE RICHIESTE DI CONDANNA

Aieta Anna, 16 anni
Aieta Rita, 24 anni
Annicelli Gianluca, 4 anni e 6 mesi
Annicelli Giulio, 3 anni
Apicella Rosario, 15 anni
Barone Lumaga, 15 anni
Bartolacci Davide, 6 anni
Bastone Elena, 6 anni
Bastone Raimondo, 6 anni
Bosti Ettore (classe 1979), 24 anni
Bosti Ettore (classe 1958), 16 anni
Botta Loredana, 3 anni
Botta Massimo, 3 anni
Botta Salvatore (classe 1982), 9 anni
Botta Salvatore (classe 1950), 30 anni
Cappella Giuseppe, 16 anni
Carandente Carmela, 3 anni
Cardinale Mario (classe 1984), 12 anni
Cardinale Mario (classe 1961), 17 anni
Cardinale Paola, 6 anni
Cicio Gennaro, 3 anni
Corvino Raffaele, 15 anni
Daniele Giovanni, 8 anni
Delle Donne Maurizio, 12 anni
Delle Vedove Diego, 8 anni
Di Carluccio Antonio, 8 anni
Di Carluccio Ciro, 30 anni
Di Carluccio Eduardo, 3 anni
Di Carluccio Emma, 3 anni
Di Carluccio Gerardo, 12 anni
Di Carluccio Ivan, 3 anni
Di Mauro Paolo, 15 anni
Donzetti Annalisa, 4 anni e 6 mesi
Donzetti Carmine, 8 anni
Errico Guglielmo, 8 anni
Errico Lucia, 4 anni e 6 mesi
Esposito Gaetano, 4 anni e 6 mesi
Esposito Mario, 15 anni
Ferrara Luigi, 9 anni
Ferrara Nicola, 3 anni
Fornicelli Alessandra, 3 anni
Formicola Beniamino, 8 anni
Granatello Rosa, 3 anni
Grimaldi Pasquale, 4 anni e 6 mesi
Guerriero Angelo, assoluzione
Guerriero Vincenza, 14 anni
Guido Immacolata, 3 anni
Iannella Franco, 3 anni
Kaiser Enrico, 15 anni
La Cava Pasquale, 6 anni
La Cava Sabrina, 6 anni
Lorusso Paolo, 3 anni
Mandile Maurizio, 4 anni e 6 mesi
Migliaccio Lucio, 9 anni
Musella Salvatore, 6 anni
Napoli Francesco, 6 anni
Natoli Vincenzo, 3 anni
Olisterno Raffaele, 10 anni
Oliva Annunziata, 3 anni
Pascale Gennaro, 6 anni
Pittirollo Andrea, 6 anni
Petito Antonietta, 4 anni e 6 mesi
Piscopo Carlo, 12 anni
Righi Antonio, 21 anni
Righi Carmela, 3 anni
Righi Giuliano, 3 anni
Righi Ivano, 15 anni
Righi Marianna, 8 anni
Righi Mario, 10 anni
Righi Salvatore, 21 anni
Righi Sara, 3 anni
Sangermano Antonio, 3 anni
Sannino Antonio, 12 anni
Saturno Raffaele, 6 anni
Scarici Giuseppe, 3 anni
Scarici Vincenzo, 3 anni
Severgnini Luigi Pietro, 9 anni
Silvestro Rosa, 3 anni
Simaldone Sergio, 15 anni
Simonetti Carla, 3 anni
Sprovieri Luca, 6 anni
Tomberli Giuseppe, 8 anni
Vano Michele, 9 anni
Vollaro Franco, 15 anni
Volpe Francesco Maria, 9 anni

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Omicidio stradale, nuova perizia per l’attore Diele che travolse Ilaria Di Lillo a Salerno

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Propensione ad assumere droghe o guida sotto l’effetto di stupefacenti: è questa la sottigliezza sulla quale puntano i difensori dell’attore Domenico Diele, accusato di omicidio stradale per la morte della donna salernitana Ilaria Dilillo. E’ una battaglia a colpi di perizie quella che gli avvocati di Diele, Viviana Straccia e Ivan Nigro hanno intrapreso con la Procura di Salerno e con la parte civile rappresentata dai familiari della vittima e assistita dall’avvocato Michele Tedesco.
La perizia depositata dagli avvocati di Diele dice più o meno questo: “se è pur acclarato il fatto che il giovane attore abbia fatto uso di sostanze stupefacenti non è invece altrettanto evidente che, nel momento stesso in cui era alla guida della sua auto e si è scontrato con lo scooter della Dilillo, fosse attivo il principio psicotropo”. Secondo la difesa, le analisi eseguite su Diele al momento dell’arresto non erano precise in quanto indicherebbero soltanto una propensione dell’attore a prendere droga, ma questa era cosa nota e ‘confessata’ dallo stesso Diele al momento dell’interrogatorio dopo l’arresto. Intanto si attende la perizia tecnica sulle modalità dell’incidente avvenuto lo scorso 24 giugno sulla corsia nord dell’autostrada del Mediterraneo nei pressi dello svincolo di Montecorvino Pugliano. Ilaria Dilillo, 48 anni, era in sella ad uno scooter quando Diele tornava alla guida della sua A3 da una festa di matrimonio in provincia di Matera. L’impatto tra i due mezzi fu fatale per la donna che morì sul colpo. Diele risultò positivo sia ai cannabinoidi che agli oppiacei. L’attore 31enne, inoltre, guidava senza patente in quanto gli era stata sospesa un anno prima per uso di stupefacenti. Gli agenti della polizia stradale di Eboli lo arrestarono per omicidio stradale aggravato. In  seguito Diele ha ottenuto i domiciliari con il braccialetto elettronico.

 

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Camorra: ”Dobbiamo uccidere Petrone. Prima che lui uccida noi”, condannati gli ‘scissionisti’ del Rione Traiano

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“Dobbiamo uccidere Petrone. Prima che lui uccida noi”. Si esprimeva così, con un tono di voce deciso, il 23enne di Pianura Salvatore Lazzaro detto “Lulù”, figlio di Gaetano, ras dell’area flegrea che da tempo si pensa sia fuori dai giochi. Lulù per questa sua frase intercettata dai carabinieri ma anche  per detenzione di arma da fuoco e danneggiamento alla pizzeria “Sciuscià”, le cui vetrine  furono sforacchiate durante la “stesa” con sparatoria in viale Traiano del 14 luglio scorso, è stato condannato con i suoi complici.
Il gruppo degli “scissionisti” del Rione Traiano che avea stretto alleanza con i Mallo e con i “Barbudos” del Rione Sanità. La Prima sezione penale della Corte d’appello di Napoli (presidente Teresa Annunziata) ha condannato: Emanuele Manauro detto ‘o lione, 6 anni e 4 mesi di reclusione, più 8mila euro di multa; Salvatore Lazzaro detto “Lullù”, Salvatore Basile detto “Cozzca nera” e Gennaro Cozzolino, 5 anni di reclusione e 8mila euro di multa; Gianluca Orfeo, 2 anni e 8 mesi di reclusione, più 4mila euro di multa.
Per quest’ultimo la Corte d’appello di Napoli ha inoltre disposto la revoca della pena accessoria dell’interdizione dai pubblici uffici.Il gruppetto di “scissionisti”, con base a Pianura pur non abitando tutti nel quartiere, girava armato. Nella conversazione intercettata un parente di Lulù Lazzaro gli raccomanda di essere prudente: “È meglio che non giriate armati, rischiate l’arresto”. Ma “Lulù” avrebbe risposto che i nemici rappresentavano un pericolo e di conseguenza bisognava essere preparati.
Nell’intercettazione si sentirebbe una mitraglietta “scarrellare” , forse una Uzi, mai però trovata. “Non hanno posti dove fuggire, hanno giocato sporco e hanno fatto troppi errori…(si sente il rumore dello scarrellamento di armi). Non hanno un posto dove fuggire, quando arriviamo noi, che siamo cinquanta motociclette, hai capito che abbiamo 1800 botte? Dove le vuoi buttare…” , dicevano. E poi ancora  “…Sparano qua, sparano da me, sparano nel rione, sparano a Vincenzo ‘o muorto, dopo allora facciamo la guerra delle finestre.
Quindi? Che succede se scoppia la guerra delle finestre? …Quando ci avranno fatto sedere al tavolo, sai che diranno? Hanno sparato nelle finestre, proprio per non incominciare la guerra, perché sanno che morivano, perché quella è una famiglia storica, invece quando noi partiamo, partiamo.
E diciamo: bum a uno, bum a o nano grande (Francesco Petrone), e bum a o nano piccolino (Salvatore Petrone)”. I contrasti tra i due gruppi originari e con base nel rione Traiano sarebbero scoppiati a maggio dello scorso anno per vicende relative alle numerose piazze di spaccio della zona, diventata la seconda Scampia per i traffici di sostanze stupefacente.  Poi c’è stato il mxi blitz con oltre novanta arresti che ha decapitato le famiglie malavitose del Rione Traiano.

 

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Fidanzati uccisi, ”Richiesta di ergastolo per Ruotolo”. La difesa: ”E’ innocente, chiederemo assoluzione piena”

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“La richiesta dell’ergastolo per Ruotolo era ampiamente scontata anche perche’ l’alternativa a questa richiesta era l’assoluzione quindi?. Qui siamo di fronte a un reato per duplice omicidio in cui viene anche contestata la premeditazione per cui il Pm non poteva chiedere meno dell’ergastolo. Ma la richiesta non ci vede assolutamente stupiti”. Lo ha detto l’avvocato Roberto Rigoni Stern, del foro di Vicenza, difensore assieme a Giuseppe Esposito, di Giosue’ Ruotolo, unico imputato del duplice omicidio dei Fidanzati Trifone Ragone e Teresa Costanza uccisi nel parcheggio del palasport di Pordenone.
“E’ chiaro peraltro – aggiunge Rigoni Stern riferendosi alla massima pena chiesta del Pm Umberto Vallerin – che la Procura ha dato una sua interpretazione del fatto, dopo una mole di atti e di indagini, fornendo una versione anche a volta suggestiva di queste risultanze dibattimentali, ma dove hanno omesso di trattare molti argomenti che sono invece, per noi, dirimenti in questa vicenda.
Ha costruito un movente e ha messo in evidenza tutta una serie di aspetti che possono ricondurre alla figura dell’imputato. Noi invece riteniamo – spiega Rigoni Stern – che nel dibattimento sono emerse tantissime altre informazioni che gettano veramente un dubbio su questa impostazione accusatoria in cui c’e’ la dimostrazione piu’ evidente che Ruotolo non ha neppure sfiorato la scena del delitto, con tutti i problemi che questa scena ha manifestato e sul fatto che lui fosse partito prima del delitto.
E cio’ e’ palese della debolezza della impostazione accusatoria ed e’ sintomatico che non ci sono argomenti forti per quanto riguarda questa scena del delitto.Noi chiederemo l’assoluzione piena – aggiunge – anche perche’ qua non c’e’ alternativa: o e’ l’ergastolo o e’ assoluzione”.
Che reazione ha avuto Ruotolo alla richiesta dell’ergastolo? “Ma noi lo avevamo preparato. Del resto una persona introdotta in un circuito di questo tipo sa benissimo quali sono le richieste dall’accusa, tenendo presente che se avessimo fatto il rito abbreviato sarebbe stata la stessa cosa con la stessa richiesta. Cioe’, qualsiasi rito alternativo a questo avrebbe provocato i medesimi risultati da parte della Procura.
Ma fondamentalmente la cosa che ci da’ soddisfazione – conclude Stern – e’ che abbiamo sviluppato un dibattimento dove sono emerse tante informazioni di cui la Procura non ha nemmeno accennato. E ci sono quindi molti aspetti che verranno trattati dalla difesa nel corso della nostra discussione”. Per il pubblico ministero Pier Umberto Vallerin: “Ruotolo ha commesso gli omicidi per salvare la sua carriera”, ha affermato il pm nelle ultime battute della sua lunga requisitoria cominciata ieri davanti alla Corte d’Assise di Udine.
“L’odio verso Trifone e la gelosia verso Teresa lo avevano assalito gia’ da tempo. Togliendoli di mezzo sparivano due rivali, due minacce viventi, due persone verso cui covava odio gia’ da tempo. E il suo futuro sarebbe tornato ad essere roseo – ha aggiunto – Abbiamo avuto il movente sempre sotto gli occhi e ce lo ha detto l’imputato stesso quando ha motivato le ragioni per cui non aveva riferito di essere stato al palazzetto quella sera.
“Una sola attenzione avrebbe potuto compromettere il mio ingresso nella Guardia di finanza che sarebbe avvenuto a breve”. Ruotolo ebbe a studiare l’occasione propizia per eliminarli insieme, altrimenti non avrebbe risolto nulla; a individuare il percorso di allontanamento e il luogo in cui disfarsi dell’arma. E passo’ un apprezzabile lasso di tempo tra il proposito criminoso e la sua attuazione”. Il processo riprendera’ lunedi’ 23 ottobre con gli interventi delle parti civili.

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Napoli, uccisero un ragazzo dopo una lite tra adolescenti: condannati padre e figlio

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Ridotta la condanna  a Vincenzo  e Gennaro Pomatico padre e figlio condannati a 18 anni di carcere per l’omicidio di Vincenzo Sannino  ucciso nel giugno del 2012 al termine di una lite a Cercola. I due erano stati condannati a 30 anni di carcere, condanne poi annullate con rinvio dalla Cassazione.
I giudici della Terza sezione della Corte d’assise d’appello di Napoli (presidente Mastursi). Il collegio, , ha accolto le indicazioni della Suprema Corte e le motivazioni dei difensori dei due imputati escludendo l’aggravante dei futili motivi.
Giuseppe Sannino, 21enne di Cercola, venne “punito” perché intervenuto in una rissa per difendere l’onore dell’amico che era stato poco prima accoltellato. La colluttazione degenerò, il giovane venne raggiunto al cuore da un solo, fatale colpo di pistola. La prima lite scoppiò  tra Giuseppe Sannino che era insieme a Mario Noto e un minorenne di 16 anni accompagnato dal 21enne Gennaro Pomatico.
Al centro della lite la relazione che il sedicenne aveva con la cognata di Noto, anche lei 16enne. Soprattutto, la voce che girava in paese che la minorenne fosse rimasta incinta: voce non accertata. Durante la lite, il 16enne accoltella alle natiche Noto.
Dopo essere soccorso all’ospedale Villa Betania, Mario Noto accompagnato da Sannino decide di recarsi sotto casa del 16enne e di Gennaro Pomatico. E lì che scoppia la seconda lite alla quale partecipa anche Vincenzo Pomatico, 39enne sorvegliato speciale, padre di Vincenzo e armato di pistola.
Durante la rissa, alla quale presero parte anche altre persone un colpo di pistola raggiunge Giuseppe Sannino. Dopo l’omicidio i due Pomatico, accompagnati anche da parenti, tentarono di raggiungere altri familiari a Follonica, ma furono intercettati dai carabinieri in provincia di Viterbo.

 

 

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Camorra, il boss pentito: ”Organizzavo gli omicidi spiegando solo ai killer cosa fare. Nessuno sapeva i lori nomi”

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“Organizzavo gli omicidi in modo che ogni componente del commando conosceva solo il proprio ruolo. Faccio un esempio: i raccoglitori (quelli preposti a riportare nei covi i killer dopo il delitto) conoscevano solo la loro posizione e vagamente il nome della persona che dovevano aiutare; anche i killer sapevano solo quale fosse la loro missione, senza interessarsi sul movente e sui nomi dei mandanti.
I killer sapevano solo che fare, dove posizionarsi prima durante e dopo l’operazione”. Sono  alcune delle dichiarazioni del boss pentito di Pianura, Pasquale Pesce ‘e bianchina reggente del clan Pesce-Marfella-Foglia che da due mesi insieme ad altri tre camorristi del quartiere ha deciso di passare dalla parte dello Stato. Grazie alle sue dichiarazioni ma anche degli altri collaboratori la squadra mobile di Napoli, con il coordinamento della Dda sta ricostruendo decine i delitti e tracciando un quadro di affari e alleanze della camorra di Pianura.
“Voglio cambiare vita per me stesso e la mia famiglia”, aveva spiegato ai giudici che quasi increduli nel luglio scorso raccolsero la sua prima deposizione. Pesce ha puntato il dito contro affiliati al clan che ha diretto fino a qualche mese fa: “Riconosco la persona raffigurata nella fotografia. Si tratta di Giuseppe Foglia. È affiliato al clan Marfella-Pesce fin dal 2013 unitamente a Salvatore Marfella.
È l’esecutore materiale di omicidi ordinati da me. Nell’ambito del clan si occupa di tutto (il collaboratore di giustizia continua a riferirsi a Giuseppe Foglia, ndr), anche del settore della droga (consegne, ritiri, riscossioni di pagamento). È una persona di cui mi fidavo tanto…Riconosco la persona raffigurata in fotografia. Si tratta di Antonio Discetti. In passato ha fatto parte del clan Varriale facendo lo specchiettista.
Poi è passato con il clan Me- le. Nel 2013 all’atto della scarcerazione dei fratelli Mele, si occupava di tenere i conti delle scommesse del calcio per i Mele…”. L’ex boss ora pentito ha parlato anche dell’omcidio di  Luigi Aversano detto ‘ musichiere e per il quale è stato raggiunto nei mesi scorsi da un’ordinanza di custodia cautelare insieme con i suoi complici: “Sono stato io ad ordinare l’agguato.
Bisognava dare un segnale forte ai nostri nemici. A casa mia, durante una riunione, incaricai Salvatore Marfella, Giuseppe Foglia e Diego Basso di compiere l’agguato. Mi occupai personalmente di procurare un’auto rubata, una Hyundai scura, e applicai le pellicole per oscurare i vetri. La parcheggiai in via Cannavino. Separatamente parlai invece con Lorenzo Carrillo, Salvatore Schiano e Antonio Campagna. Carrillo aveva il compito di andare a prendere Foglia e Marfella per condurli a casa di mia madre a Ischitella.
Campagna si doveva occupare del recupero di Basso per riportarlo a casa. Consegnai tre pistole, una calibro 45, una 38 ed una 9×21, a Marfella, Foglia e Basso. I tre partirono all’orario previsto, fecero il percorso stabilito, incontrarono Aversano da solo sul mezzo e lo tamponarono frontalmente facendolo cadere a terra. A quel punto Foglia e Marfella gli spararono. Così mi fu raccontato da Diego Basso”.

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Le motivazioni per l’omicidio dell’ultrà di Nocera: ”Ferraro è colpevole, ma non voleva uccidere Dario”

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Nocera Inferiore. Un debito di droga non saldato tra i due e la ritorsione: i giudici della Corte d’Assise d’Appello non hanno dubbi sulle responsabilità di Francesco Paolo Ferraro, il 26enne nocerino, condannato a 18 anni di reclusione per l’omicidio di Dario Ferrara. Le motivazioni depositate dal collegio presieduto da Claudio Tringali, ribadiscono le circostanze già  emerse in primo grado, per l’aggressione avvenuta il 25 aprile del 2015 che tre giorni dopo causò la morte del 21enne ultrà della Nocerina. I togati sottolineano nelle motivazione della sentenza emessa a luglio scorso, lo ‘scorretto’ comportamento processuale dell’imputato che ha ‘rivelato dettagli falsi finalizzati a confondere le acque e a far deragliare la ricerca della verità’. Secondo i giudici, la ricostruzione di Ferraro è artefatta. Non ci fu alcuna colluttazione, contrariamente a quanto sostenuto dall’imputato che ha sempre sostenuto di essere caduto addotto a Dario Ferrara dopo essersi avvinghiati. ‘Non ci fu nessuna colluttazione’ perchè le ferite riportate dalla vittima non erano compatibili con una caduta accidentale e nel punto in cui la vittima cadde ‘non c’è alcun dosso o avvallamento che abbia potuto causare quel tipo di ferite’. E poi, secondo la ricostruzione degli inquirenti, Francesco Paolo Ferraro aveva già aggredito precedentemente Dario Ferrara, tra loro c’era acredine per un debito di cento euro non saldato per l’acquisto di droga.
I giudici della Corte d’Assise d’Appello, inoltre, ribadiscono che non vi furono responsabilità da parte dei medici che ebbero in cura per tre giorni il giovane nocerino, come aveva sostenuto la difesa. E la circostanza che il tifoso ultrà fosse stato colpito violentemente con un casco non era dedotto da ‘voci correnti’ ma da ‘precisi e inoppugnabili elementi di prova scaturenti dall’autopsia. un quadro che non si scalfisce anche se le
prime informazioni si raccolgono da ambienti amicali e familiari’. A conclusione delle motivazioni, i giudici ribadiscono che l’imputato non aveva intenzione di uccidere la vittima e dunque, l’accusa di omicidio preterintenzionale e non volontario: ‘Non si persegue un intento omicida armandosi di casco. Non voleva sopprimerlo, ma solo dargli un’ulteriore lezione’ scrivono nelle motivazioni. La sentenza emessa a luglio scorso sarà impugnata dalla difesa di Ferraro che sicuramente ricorrerà in Cassazione. 

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Ucciso per un debito non pagato: la Cassazione annulla la condanna per Sorriento

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La Corte di Cassazione ha annullato la condanna per il muratore di Baiano, Santolo Sorriento, ritenuto responsabile dell’omicidio di Benito Fusco Petrillo, ucciso a seguito di 22 coltellate.
Aveva ricevuto in secondo grado uno sconto di pena. Infatti il tribunale partenopeo aveva riconosciuto al muratore di Avella era stato concesso il riconoscimento del vizio parziale di mente nel momento in cui commise l’omicidio.
La Cassazione, poi, ha annullato la sentenza di secondo grado, stabilendo quindi il rinvio ad un’altra sezione della corte di Appello di Napoli che dovrà procedere ad un nuovo vaglio della vicenda. L’avvocato dell’uomo ha più volte ribadito la tesi dell’incapacità di intendere e di volere al momento del grave fatto di sangue che avvenne lo scorso gennaio 2013.
Tale incapacità è stata dimostrata anche con perizia medica di parte. La mancata riscossione della somma fece piombare l’operaio in uno stadio di profonda disperazione e frustrazione.

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Un giudice di Firenze nega la scarcerazione a tre cittadini dello Sri Lanka perchè ‘vivono a Napoli’

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A Napoli ci sono controlli saltuari delle forze dell’ordine: negati gli arresti domiciliari a tre cittadini extracomunitari arrestati per ricettazione a Firenze. Con questa motivazione, il gip di Firenze, Paola Belsito, ha negato i benefici dei domiciliari a tre cittadini dello Sri Lanka finiti in carcere per ricettazione di carte di credito e documenti di identità. Il legale dei tre stranieri, Riccardo Ferone, ha rilasciato su questo episodio alcune dichiarazioni al quotidiano Il Mattino: “Mi sono offeso come cittadino napoletano – dice – e sono esterrefatto come operatore del diritto. Ho avuto la netta sensazione che anche il giudice napoletano delegato per rogatoria abbia provato lo stesso imbarazzo”. Il legale napoletano annuncia che farà richiesta di Riesame “perchè parliamo di incensurati in cella per motivi ‘ambientali'”. Secondo il giudice di Firenze, non possono avere i domiciliari perchè “vivono a Napoli, città ad alta densità criminale nella quale il carattere saltuario dei controlli di polizia non sarebbe idoneo ad evitare il concreto pericolo di evasione, considerata anche l’elevata abilità degli indagati nel celare la propria reale identità”.

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Scafati, morte del benzinaio: medico del 118 indagato per omicidio colposo

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Svolta nell’inchiesta sulla morte di Alfonso Gallo, 55enne di Scafati ex benzinaio e attivista del Movimento 5 Stelle morto per un infarto il 3 luglio scorso.  E’ infatti indagato per omicidio colposo il medico del 118, che quella sera visitò l’uomo, decidendo poi di non trasferirlo in ospedale.
Il pm Roberto Lenza della Procura di Nocera Inferiore ha firmato la chiusura delle indagini ipotizzando una responsabilità del professionista. La tragedia si consumò verso le 18,30 in via Cavallaro a Scafati. la famiglia della vittima telefonò al 118 perché Alfonso, cardiopatico, non era in ottime condizioni e soffriva da tempo di una valvulopatia mitralica.
L’uomo era in casa con moglie e figlie. ma dopo la visita il medico del 118 ritenne che non era necessario trasferirlo in ospedale. I familiari, come hanno poi formalizzato nella denuncia, avevano anche avvertito il medico della sua patologia.
Nonostante il malore il medico andò via. E Alfonso Gallo morì dopo mezzora circa nonostante un massaggio cardiaco praticato da un medico amico del fratello e il ritorno dell’ambulanza del 118 che non fece in tempo ad effettuare il trasferimento in ospedale.

 

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Immortalato dalle telecamere l’ agguato al figlio del defunto boss Cennamo

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Sono fuori pericolo, Gioacchino Cennamo, figlia del defunto boss Antonio ‘o malommo, e la sua compagna Angela Capasso, rimasti feriti nella serata di venerdì da colpi di pistola esplosi da un commando che voleva uccidere il giovane.
I carabinieri, che stanno conducendo le indagini, hanno sequestrato le immagini della telecamera di video sorveglianza del negozio di abbigliamento della donna ma anche di altre in zona. Vi sono impresse le scene dell’agguato. Poco dopo le 20,30 di venerdì Gioacchino Cennamo si trovava all’esterno del negozio della campagna mentre Anita Capasso  era uscita per abbassare le saracinesche si accorge dell’arrivo di un’auto con una persona lato passeggero che impugna una pistola. Istintivamente si para davanti al suo compagno.
Il killer esplode quattro colpi. Due dei quali colpiscono la donna all’addome passandola da parte a parte. Una pallottola raggiunge l’uomo alle gambe, mentre alcuni frammenti di piombo colpiscono al volto Gioacchino. Le indagini dei carabinieri hanno stabilito che il killer ha usato un un revolver calibro 38, caricato con pallottole a piombo morbido, i cui frammenti hanno colpito al volto l’uomo. L’obiettivo dei sicari è stato interrogato a lungo così come conoscenti e amici.
Gli investigatori stanno cercando di ricostruire i suoi contatti, Gioacchino Cennamo, risulta incensurato e non inserito in alcun cartello criminale, attraverso le telefonate e la chat social. Massimo riserbo sull’inchiesta ma il sospetto che il fallito agguato vada ad inserirsi nella lotta per il controllo del potere criminale nella zona di Crispano e comuni confinanti. Il figlio del defunto boss era salito agli onori della cronaca lo scorso anno quando durante la festa della ballata dei gigli di Crispano cacciò la paranza “avversaria” di Brusciano.
Infastidito dalla bravura della paranza “La Gioventù Bruscianese”, afferrò il microfono, e gridò invitò i “rivali” ad andarsene via. ” ‘O Pescatore – soprannome del capo paranza della Gioventù Bruscianese – fai sempre questo! Hai rotto le scatole. Mò è meglio che tu te ne vada”. Quelli della paranza di Brusciano si allontanarono spaventati. Ne seguirono minuti carichi di tensione con la fuga di molta gente che assisteva allo spettacolo e solo per un miracolo non ci una tragedia.
La ballata del Giglio dei “tigrotti”, proseguì il suo percorso . Giunto in piazza . Gioacchino Cennamo, nella veste di capo paranza, prese n cora una volta il microfono e saluto l’allora sindaco Antonio Barra.”Un saluto al nostro caro sindaco, che mentre lo scorso anno ci è stato molto vicino, ore invece si è fatto desiderare.
Ma non importa, perché caro sindaco sei sempre uno di noi”. Quel saluto cosi caloroso, che sembro creare un forte imbarazzo nel primo cittadino, venne salutato da una vera e propria ovazione di popolo.La storia si è conclusa con lo scioglimento dell’assise cittadina, per sospetta infiltrazione camorristica.

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Camorra, il clan Elia chiede lo sconto di pena. I NOMI DEI 43 IMPUTATI

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Hanno chiesto lo sconto di pena e ora sarà il giudice per l’udienza preliminare a decidere le condanne da infliggere per gli oltre 40 imputati del clan Elia del Pallonetto di Santa Lucia gestori di numerose piazze di spaccio fino al lungomare Caracciolo e al Borgo Marinari di Napoli.
La Dda aveva chiesto per tutti gli arrestati nel maxi blitz del gennaio scorso il giudizio immediato ritenendo che le prove a loro carico fossero inoppugnabili (le intercettazioni video e ambientali oltre al racconto di oltre una mezza dozzina di pentiti). Ed è per evitare condanne elevate che hanno tutti chiesto di far ricorso al rito abbreviato.
Rimangono invece indagati a piede libero, perché avevano ottenuto l’annullamento dell’ordinanza di custodia cautelare sia Renato Elia, detto ‘o renato il più piccolo dei fratelli maschi degli Elia, sia Carmela Terracciano, inquadrata dagli inquirenti come la figura deputata dal clan all’occultamento della droga all’interno della “piazza di spaccio delle donne” , quella gestita da Giulia Elia, sorella dei due capi Ciro e Antonio.
Quello degli Elia e’ il clan di Napoli che controlla la zona del Pallonetto di Santa Lucia, una ‘porta’ verso la citta’ che si affaccia sul mare, in particolare il lungomare Caracciolo, ma anche verso i Quartieri Spagnoli.
L’organizzazione criminale, retta attualmente da Antonio detto ‘o Capocchia, insieme al fratello Ciro, alias ‘o Mucill, si occupa del racket e dello spaccio della droga, gestendo direttamente tre grosse ‘piazze’ di cui due controllate da altrettante donne, Giulia, sua sorella minore, e Adriana Bianchi, sua cognata moglie di Renato, altro fratello.
La cosca storica del Pallonetto, spiccatamente a conduzione familiare ma organizzato in modo militare, al vertice comprende anche Luciano e Anna, gli altri due figli di Michele ‘e Tribunale, capostipite della ‘famiglia’ di camorra e di Anna Di Mauro. Il 17 gennaio scorso l’organizzazione ha subito un pesante colpo dopo l’indagine dei carabinieri che ha portato a 43 arresti tra boss, affiliati e sottogruppi per lo spaccio di droga.
Un’inchiesta che ha portato alla luce anche l’abitudine da parte delle donne del clan di coinvolgere i figli minori per la confezione delle dosi di stupefacenti e per la loro consegna a pusher e clienti. Il clan e’ da anni in guerra con i Ricci dei Quartieri Spagnoli, che fanno capo al boss Enrico Ricci, motivo per cui negli anni ha chiuso un’alleanza con i Lepre della zona del Cavone, mentre gli avversari hanno stretto un sodalizio con un ex affiliato dei Sarno, Antonio D’Amico, residente ai Quartieri Spagnoli.
La famiglia del Pallonetto conterebbe anche sul sostegno dei D’Amico del quartiere Ponticelli, e del cartello Marfella-Pesce del quartiere di Pianura. Diversi gli episodi registrati dalla cronaca anche recente dello scontro tra gli Elia e i Ricci.
Nel 2015 ci fu il ferimento in un agguato di Michele Elia jr, nipote del boss Michele, e una ‘stesa’ contro i Ricci, eseguita dai giovani Elia nella zona della Pignasecca, a pochi passi dall’ospedale dei Pellegrini, regno della cosca nemica.

 

TUTTI GLI INDAGATI

ELIA Antonio detto “ò Capocchia”, di’Michele e di DI MAURO. Anna nato a 24.02.1966
ELIA Ciro detto “ò Mucill’ di Michele e di DI MAURO Anna nato a Napoli ìl 20.08.1967
ELIA Michele detto “Michelino” di Antonio e CAPUTO Orientale Lucia nato a Napoli 21.07.1987
ELIA Renato detto “ò Nan”, di Antonio e CAPUTO Orientale Lucia nato a Nàpoli il 25.09.1994
ELIA Anna di Michele e dì DI MAURO Anna, nata a Napoli ìl 28.07.1968
FOGLIA Anna detta “Nanà’ nata a Napoli il 08.08.1974
PIPOLO Salvatore di Nunzio e DI MAURO Giulia nato Napoli 09.11.1994
DI MAURO Enzo detto “Crauc” dì Mario e Leone Giuseppina, nato a Napoli il 20.12.1991
BIFULCO Enrico detto ‘Chiccotto” dì Benito Vittorio e Manna Giuseppina, nato a Napoli il29.10.1968
BELAEFF Gennaro, da Salvatore e Montagna Nunzia, nato a Napoli il 20.11.1995
PARZIALE Vittorio , di Antonio e Egizzo Maria Dolores, nato a Napoli 29.04.1994,
BLANCID Adriana , da Giovanni e Pecorara Maria, nata Napoli 20.07.1975
ELIA Michele Antonio detto “Mycol” da Renato e Bianchi Adriana , nato Napoli il  05.08.1997
DE PASQUALE Francesco detto “Ciccia,’ di Federico e Maiorano Laura, nato Napoli 14.01.1970
SESSO Luigi detto “Gino da nera” , di Ciro e Cigliano Antonietta, nato Napoli 08.11.1976
PAPA Francesco detto “Checco” di Salvatore e Ferrante Antonella nato a Napoli il 21.10.1982
ELIA Giulia di Michele e Di Mauro Alma, nata Napoli il 16.04.1980
DI MEGLIO Annamaria, di Umberto ed Elia Giulia, nata a Napoli il24.09.1995,
EGIZZO Giuseppe detto “ò Merican” di Antonio e Criscuo1o Antonietta nato a Napoli il 23.06.1962
DE MURO Anna, di. Gennaro e Saltalamacchia Maria Grazia, nata a Napoli il 31.12.1986
DI GIOVANNI Mariano “Mericano falso” di Antonio e Ferrante Rosaria, nato Napoli il 03.02.1981
FERRANTE Rosanna detta “a Romana” di Giuseppe e Reder Anria, nata a Napo.li il 31.07.1955
VARRIALE Raffaele, Di Giovanni e Grimaldi Assunta, nato a Napoli il 11.05.1953
FERRANTE Antonella di Giuseppe e Reder Anna, nata a Napoli il 20.12.1962
PAPA Luigi detto “Gino” di Giovanni e Pariso Lucia nato a Napoli il 15-4- 1968
CASCELLA Carmela di Giòrgio e Cigliano Rita, nata a Napoli. il17.07.1978
ELlA Anna di Luciano e Di Costanzo Nunzia nata a Napoli il 27.o2 1990
CAMPOCHIARO Manuel di Alfonso e Coppola Brigida, nato a Napoli il 18.09.1986
FEBBRAIO Caterina, di Salvatore ed Errico Maria, nata a Napoli il 10.12.1941
PUGLIESE Bruno detto “ò Brun” , di Carmine ·e Di Mauro· Rita, nato a Napoli il 11.06 1977
VALESE Anna detta  “a polacca”, da ignoto e Valese Rosaria; nata a Napoli 29.12.1987
PUGLIESE Carmine detto “ò Joe’ di Mario e Petrillo Anna,nato a Napoli 22.03.1951,
RAGONE Renato detto “ò Paris’, di Paolo ed Esposito Antonietta, nato a Parigi (Francia) il 1.12:1989
PUGLIESE Giulia, da Carmine e Di Mauro Rita, nata Napoli il 07.06 1988
PUGLIESEAnna, da Cannine e Di Mauro Rita, nata Napoli il 09.05.1976
DI MAURO Rita di Ciro e Pesacane Giulia, nata a Napoli il20.01.1953
DE MATTEO Francesco di Salvatore e Pugliese Anna, nato a Napoli il 03.04.1995,
DE CRESCENZO Rita di Francesco e Criscuolo Maria, nata a Napoli il 10.08.1979
ZITO Marco, nato a Napoli il 08.05.1997,
GIULIANO Antonio nato a Napoli il 18.12.1993
DE LAURENZIO Giovanni nato a Napoli il 27.01.1959,
SCOGNAMIGLIO Angelo, nato a Napoli il30.03.1977,
MANNA Salvatore da Giovanni e Pandolfi Maria,nato a Napoli il 25.04.1967,

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Inchiesta Anm: indagato un broker assicurativo stabiese

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Napoli. Le Fiamme Gialle partenopee puntano la lente di ingrandimento su un broker assicurativo stabiese. La tributaria ha effettuato degli accertamenti nell’ ufficio del broker portato via copie di documento, atti, hard disk dagli uffici dell’indagato, che è in forza ad una compagnia assicurativa di livello internazionale che ha anche una filiale a Castellammare.
Gli investigatori indagano per l’ipotesi di truffa ai danni dello Stato. Le indagini sono partite direttamente da Napoli. Tutto sarebbe iniziato con un esposto anonimo inviato agli uffici del Comune di Napoli e dell’Anm, azienda che si occupa del trasporto locale. In questi giorni si cerca un piano di risanamento e il modo per non far terminare l’azienda dei trasporti nel crac.
Il buco di bilancio dell’Anm è milionario e forse la presunta truffa messa a segno dallo stabiese avrebbe influito molto sul bilancio. Infatti la polizia tributaria di Napoli è al vaglio di tutta l’attività del broker negli ultimi cinque anni. Lo stabiese avrebbe fatto da intermediario per chiudere le polizze assicurative sui mezzi dell’azienda.
Si punta il dito sui costi: 15 milioni di euro l’anno che, moltiplicati per 5 anni di gestioni, portano a circa 80mila euro. Intanto le altre società campane pagano esattamente la metà. Le fiamme gialle indagano anche sulle provvigioni da riscuotere: il 5%. Secondo i finanzieri avrebbe incassato molto di più, facendo fatture false o non dichiarate.
Qui anche l’ipotesi di evasione fiscale. Intanto, la compagnia assicurativa ha preso già provvedimenti ed ha momentaneamente sospeso lo stabiese in attesa delle indagini in corso.

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Scontri per la partita di Coppa Italia Ebolitana-Portici, domiciliari e obbligo di firma per sei ultrà

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Sarno. Un tifoso dell’Ebolitana ai domiciliari e cinque con obbligo di firma per il match disputato sul campo neutro di Sarno con il Portici il 2 febbraio scorso. Il personale della Polizia di Stato appartenente al Commissariato di Pubblica Sicurezza di Sarno, con la collaborazione dei Carabinieri della Stazione di Eboli, ha provveduto alla notifica, ad Eboli e Sarno, di un’ordinanza agli arresti domiciliari e di obbligo di firma nei confronti di sei persone, emessa dal Gip presso il Tribunale di Nocera Inferiore, Alfonso Scermino, su richiesta del Pm della Procura della Repubblica, Roberto Lenza.
I sei arrestati sono indagati per gli scontri che si sono verificati a Sarno, il 2 febbraio 2017, al termine della gara di calcio di Coppa Italia Ebolitana – Portici.
La finale per l’accesso alla categoria superiore e si disputò in campo neutro, a SArno, alle ore 21, con numerosa tifoseria di entrambe le squadre. Al termine della gara, conclusasi con la sconfitta dell’Ebolitana, numerosi facinorosi, appartenenti alla tifoseria ebolitana, aggredirono ripetutamente le forze di polizia, che erano posizionate tra le opposte tifoserie, con l’intento di raggiungere quella avversaria, lancio di pietre, transenne e altri corpi contundenti, compreso alcuni specchietti retrovisori esterni, che erano stati divelti da vetture in sosta furono lanciati con la Polizia.
Solo dopo qualche ora – fu necessario anche l’uso di lacrimogeni – gli ultrà si dileguarono.
Le indagini, coordinate dal pm Lenza, hanno consentito di ricostruire, grazie al paziente lavoro degli operatori della polizia scientifica del Commissariato di Sarno, le fasi salienti degli scontri, e di individuare alcuni dei facinorosi, identificati poi grazie alla collaborazione di personale della Stazione Carabinieri di Eboli.
Il Gip ha emesso quindi l’ordinanza, disponendo gli arresti domiciliari nei confronti di Giuseppe D’Agostino, ebolitano di 28 anni, già noto alle forze dell’ordine, e nei confronti degli altri cinque indagati, (tre della tifoseria dell’Ebolitana e due della tifoseria della Sarnese, gemellata con quella dell’Ebolitana, che parimenti avevano preso parte ai disordini) ordinanza applicativa di obbligo di firma presso la polizia giudiziaria.
I provvedimenti sono stati tutti puntualmente eseguiti e, nella giornata odierna, è previsto l’interrogatorio davanti al Gip.
Tutti i sei indagati risultano colpiti anche da DASPO emesso dal Questore di Salerno.

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Uccise la direttrice delle poste che lo aveva messo a fare il postino: 30 anni di carcere

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La Cassazione ha confermato la condanna a 30 anni di carcere per Cristofaro Gaglione, il postino 58enne di Torre del Greco che il 30 luglio del 2012 sparò e uccise Anna Iozzino, 56enne che all’epoca svolgeva il ruolo di direttrice dell’ufficio postale, dove lo stesso Gaglione lavorava.
L’uomo in primo grado era stato condannato all’ergastolo. L’omicidio si consumò di primo mattino nell’ufficio postale di via Veneto a Torre del Greco. Gaglione entrò nella stanza della direttrice per il consueto briefing. Ma non per discutere delle cose di lavoro. Aveva una pistola in pugno e fece fuoco a ripetizione contro la donna.
Poi scappò a piedi pistola in pugno mentre la donna fu trasportata in ospedale a Torre del Greco dove arrivò già morta. La donna, aveva 56 anni, sposata con due figli, originaria di Torre Annunziata. E’ li che fu trovato in via Prota l’assassino qualche ora più tardi. “Ho fatto un atto di giustizia”,disse poi davanti al giudice spiegando i motivi dell’omicidio.
La direttrice lo aveva sottoposto a diverse mansioni l’ex portalettere attraverso un ordine di servizio interno. Una “umiliazione” che andava vendicata in quel modo barbaro e bieco. Nel corso del processo i suoi legali hanno chiesto, inutilmente, riconoscimento dell’infermità mentale. Ora è arrivata la parola definitiva della Cassazione.

 

 

 

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Cani molecolari per cercare il corpo dell’imprenditore casertano scomparso nove anni fa da Piedimonte Matese

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Caserta. Cani molecolari per ritrovare il corpo dell’imprenditore edile di Piedimonte Matese scomparso il 23 aprile del 2008. Nuovi sopralluoghi dei carabinieri di Piedimonte Matese, domani mattina, dopo che la Procura della Repubblica di Santa Maria Capua a Vetere, ha riaperto il caso della scomparsa e dell’omicidio di Sandro Ottaviani, sparito dal comune di Dragoni nove anni fa. Secondo gli inquirenti Ottaviani sarebbe stato ucciso tanto che la procura indaga per omicidio volontario. Subito dopo la scomparsa, si parlò di una fuga all’estero dell’imprenditore e per anni le indagini non hanno fatto passi avanti, tanto che la Procura, alla fine dello scorso anno, aveva presentato richiesta di archiviazione, trovando però l’opposizione della famiglia dell’imprenditore, assistita dal legale Carlo Grillo; il Gip ha sentito le figlie di Ottaviani, e qualche mese fa ha deciso di ordinare la prosecuzione delle indagini. “Abbiamo fatto emergere delle contraddizioni emerse dalle indagini immediatamente successive alla scomparsa di Ottaviani” spiega l’avvocato Grillo. Poche settimane fa la Procura ha quindi aperto un fascicolo per omicidio, indagando due persone, tra cui l’imprenditore napoletano cui Ottaviani aveva fittato il capannone industriale di Dragoni dove è avvenuta la scomparsa. Ottaviani, il 23 aprile 2008, avrebbe infatti dovuto incontrare proprio il conduttore del suo immobile, che stava cercando di sfrattare attraverso le vie giudiziarie. Il costruttore di Piedimonte fu visto l’ultima volta da testimoni nel piazzale del capannone; nelle ore e nei giorni successivi le ricerche furono condotte anche nel fiume Volturno, ma del corpo non fu trovata alcuna traccia. Alle nuove ricerche, per le quali sono stati incaricati i carabinieri della Compagnia di Piedimonte Matese, parteciperanno da domani mattina “esperti investigatori” come i cani molecolari dell’Unità Cinofila di Bologna, capaci di fiutare anche solo una molecola di odore di un individuo, pur a distanza di anni dalla scomparsa.

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Avellino, arrestato il 70enne condannato per violenza sessuale a Cava de Tirreni: deve scontare sei anni

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Avellino. I Carabinieri della Stazione di Montoro Inferiore, in provincia di Avellino, hanno arrestato un 70enne in esecuzione di un ordine di carcerazione per l’espiazione della pena di sei anni, emesso dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Salerno. L’arrestato, responsabile del reato di violenza sessuale aggravata commesso a Cava dei Tirreni tra il 2002 ed il 2005, dopo le formalità di rito è stato associato presso la Casa Circondariale di Bellizzi Irpino.

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Fidanzati uccisi, il legale: ”Bastano le sue bugie per condannare Ruotolo”

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“Per condannare Giosue’ Ruotolo bastano le sue bugie”. E’ la riflessione fornita oggi alla Corte d’Assise del Tribunale di Udine dall’avvocato Nicodemo Gentile, uno dei legali di parte civile nel processo per il duplice omicidio della coppia di Fidanzati Teresa Costanza e Trifone Ragone, uccisi la sera del 17 marzo 2015 nel parcheggio del palazzetto dello sport.
Il processo a carico di Rutolo, unico imputato, e’ ripreso con un’udienza dedicata alle arringhe degli avvocati delle parti civili dopo che alla scorsa udienza il pm Pier Umberto Vallerin aveva chiuso la requisitoria chiedendo la condanna all’ ergastolo, con due anni di isolamento diurno.
“A mio avviso e’ rimasto seppellito nel corso del tempo da quel castello di mendacio che aveva creato nel tempo. Sono le prove piu’ forti a suo carico. Giosue’ e’ il peggior amico di se stesso – ha continuato – L’ho anche invitato ad alzarsi e a dire la verita’, a pulirsi il cuore, pur consapevole che non lo fara’.
Ha detto delle bugie cosi’ grandi che non si puo’ salvare. L’esca d’origine – ha aggiunto il legale soffermandosi sul movente del duplice omicidio – e’ quel profilo ‘anonimo anonimo’ non creato con i suoi coinquilini ma da lui e dalla fidanzata. Tant’e’ che quando poi si accorgono che Trifone li aveva scoperti cercano l’escamotage della malattia mentale della Patrone.
La bomba che fa scoppiare tutto e’ lo scontro fisico”. La discussione proseguira’ con gli altri avvocati delle parti civili che affronteranno le tematiche della blood pattern analysis, delle risultanze di medicina legale, delle consulenze informatiche, del profilo delle parti coinvolte nella vicenda. I legali si assoceranno alla richiesta di condanna del pubblico ministero e formuleranno le proprie richieste di risarcimento del danno.

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Soldi in nero per pagare il boss che ospitò Gomorra, la rivelazione choc al processo

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Torre Annunziata. “Ufficialmente dalle casse della Cattleya non sono uscite somme di denaro se non quelle rendicontate. Ma non posso escludere che possano essere stati creati fondi neri, attraverso fatture gonfiate, con i quali siano stati pagati quei camorristi”.
E’ una testimonianza chiave quella di Giovanni Stabilini, amministratore delegato della casa cinematografica che gira la serie tv Gomorra, al processo che si sta celebrando al Tribunale di Torre Annunziata contro i due ex manager di Cattleya accusati di favoreggiamento personale.
Sotto accusa ci sono Gianluca Arcopinto, organizzatore generale della prima serie di Gomorra, e il location manager Gennaro Aquino, colui che indicò alla Cattleya la villa del vero di boss di camorra Francesco Gallo, alias ‘o pisiello per ambientare “casa Savastano”. Il boss che si trova da alcuni anni al regime di 41bis è stato condannato  per estorsione ai danni della Cattleya a sei anni di carcere mentre il padre Raf­faele è stato condannato a 5 anni e 8 mesi di carcere, 5anni e 4 mesi per la madre Annunziata De Simone.
La famiglia Gallo impose a “Cattleya”, la società produttrice del­la nota serie televisiva, il pagamento di un importo maggiore rispetto a quello pattuito (30 mila euro con regolare contratto).
Stabilini nel corso dell’udienza di ieri ha anche spiegato:”Se l’avessi saputo, avrei detto di andare via subito. Alla fine della vicenda  ci siamo un po’ guardati in ufficio e facemmo una battuta. Era impossibile che una casa di quel genere potesse essere di un notaio o di una persona comune”.
Nell’udienza è intervenuto anche Riccardo Tozzi, responsabile artistico della Cattleya: “Quando il proprietario della casa fu arrestato (il 4 aprile 2013, ndr), le riprese non erano ancora iniziate, ma avevamo già fatto dei lavori. Avevo visto la villa in fotografia e dal punto di vista artistico corrispondeva a ciò che cercavamo.
Quell’arresto era un problema, solo perché rischiava di saltare l’ambiente ideale, approvato anche dal regista Stefano Sollima, uno molto esigente. Ma con i nostri legali sapemmo che c’era la possibilità di girare le scene, pagando l’affitto all’amministratore giudiziario. Quindi era tutto ok”.
Poi è stata la volta di Maurizio Tini, produttore cinematografico che ha lavorato per alcuni mesi alla prima produzione, prima di lasciare a settembre 2013. “Avevamo avuto molte difficoltà a trovare il set giusto è la versione di Tini- ha spiegato- perché a Napoli nessuno ci voleva. Ci serviva una casa pacchiana, sfarzosa e di cattivo gusto, e alla fine la trovammo a Torre Annunziata.
Sono stato nella villa durante le riprese e, vi assicuro, veramente era quella che cercavamo. Quando Arcopinto mi disse dell’arresto di Gallo, rischiavamo di dover trovare una nuova location in due giorni. Invece, trovammo la soluzione con i nostri legali e iniziarono le riprese”.

 

 

 

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