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Camorra, il pentito: ”Foglia e Bracale mi chiesero le pistole per uccidere Balestieri”

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Il pentito Raffaele Dello Iacolo detto “Toc-Toc” ha dato spunti investigativi nuovi rispetto a una serie di omicidi commessi nella faida di Pianura tra i Pesce-Marfella-Foglia e i Mele-Romano. E tra questi anche l’omicidio “Cold case”di Francesco Balestrieri ucciso il 10 aprile del 2014 in via Pallucci a Pianura. La vittima con un passato nel clan Lago nel 2000 aveva fatto il pentito per sette mesi per poi uscire dal programma di protezione. Dopo 14 anni di carcere pensava che potesse stare tranquillo e che i nemici si fossero dimenticati di quel periodo da pentito. E invece non fu così. Un mese dopo la sua scarcerazione fu ucciso. Ecco cosa ha raccontato Raffaele Dello Iacolo nel verbale del 14settembre scorso:  “Conosco Emanuele Bracale. È un affiliato al clan Marfella. Fa parte del gruppo di fuoco insieme a Salvatore Marfella, Giuseppe Foglia, Antonio Campagna detto “Sasà”, Maurizio Legnante detto ’o talebano. La sera prima dell’omicidio di Francesco Balestrieri il Bracale venne insieme a Giuseppe Foglia a casa mia a nome di Salvatore Marfella e mi chiesero due pistole, che gli consegnai e precisamente una “Beretta” calibro 380 automatica e una calibro 357”.

(nella foto il luogo dell’omicidio balestrieri e da sinistra in alto: Raffaele Dello Iacolo toc-toc, Salvatore Marfella, Giuseppe Foglia, Emanuele Bracale)

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Aiutò i killer in un omicidio della faida di Ercolano: 30 anni di carcere Giuliano Quaranta

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E’ stato condannato a 30 anni di carcere Giuliano Quaranta , il 57enne ritenuto dagli investigatori vicino al clan D’Alterio-Pianese di  Giugliano e Qualiano e accusato di aver fatto da specchiettista nell’omicidio di Michele Vignola avvenuto il 25 luglio 1997 a Parete, in provincia di Caserta nell’ambito della sanguinaria guerra di camorra di Ercolano.
Nonostante abbia scelto il rito abbreviato, Quaranta non ha potuto evitare una pesante condanna. L’uomo  era stato arrestato il 13 luglio scorso in esecuzione di un provvedimento di custodia cautelare firmato dal gip del Tribunale di Napoli, Marcello De Chiara, ed eseguito dai carabinieri di Torre del Greco.
In base a quanto ricostruito dalle indagini, il clan camorristico D’Alterio-Pianese, operativo nella zona di Giugliano e Qualiano, all’epoca dei fatti era alleato del clan ercolanese dei Birra- Iacomino. Secondo le accuse della Dda, e com’è emerso dalle dichiarazione dei pentiti, l’uomo è accusato di essere colui che di fatto avrebbe indicato ai killer, Salvatore Viola e Lorenzo Fioto, il luogo dove uccidere Vignola, affiliato al clan Birra.
La vittima fu trucidata dai due appartenenti alla sua stessa cosca, perché ritenuto non più affidabile. Lo stesso Quaranta si sarebbe anche occupato del “recupero” dei killer in trasferta. Quaranta era amico di Lorenzo Fioto, i due erano legati dalla passione per i cavalli da corsa.

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Omicidio della piccola Fortuna: ”Titò un ‘sex offender’ senza senso morale”. LE MOTIVAZIONI DELLA SENTENZA

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Sono state rese note le motivazioni della sentenza pronunciata il 7 luglio scorso dalla Quinta sezione della Corte di Assise di Napoli (presidente Alfonso Barbarano, giudice a latere e relatore Anna Elisa De Tollis, che ha condannato all’ergastolo Raimondo Caputo, detto Titò, per l’omicidio della piccola Fortuna Loffredo.
Nelle 186 pagine vengono ripercorrono minuziosamente le varie fasi delle indagini, ostacolate non poco dal clima di omertà denunciato dai giudici, ed esaminano tutti gli elementi che hanno portato la Corte ad infliggere il massimo della pena all’uomo che avrebbe spinto nel vuoto Chicca perché si era ribellata, secondo la ricostruzione dei magistrati, al tentativo di violenza, l’ennesima messa in atto sulla piccola di appena sei anni.
Una indagine condizionata dal ”clima di assoluto controllo e manipolazioni delle dichiarazioni” imposto dai familiari alla bambina che aveva assistito all’uccisione della sua amichetta.
Una omertà che però si è sbriciolata quando la piccola, insieme con le sorelline, e’ stata allontanata dal contesto familiare e trasferita in una casa famiglia dove ha confidato il segreto che custodiva alle operatrici, agli psicologi e ai magistrati.
La testimonianza della amica del cuore, che raccontò agli inquirenti di aver visto lanciare nel vuoto la piccola Fortuna, da tutti conosciuta con il soprannome di Chicca, nel parco Verde di Caivano il 24 giugno 2014, è uno degli argomenti centrali delle motivazioni della sentenza di condanna all’ergastolo di Raimondo Caputo, detto Titò, e a 10 anni della ex compagna Marianna Fabozzi, riconosciuta responsabile di concorso negli abusi sessuali commessi da Titò (”privo di qualsiasi senso morale”) su altre tre bimbe.
Titò viene classificato come un ”sex offender”, che abusava di Chicca e di altre bimbe dell’edificio al Parco Verde di Caivano, coperto dalla Fabozzi, che pur al corrente delle ripetute violenze avvenute anche davanti ai suoi occhi, non avrebbe mai denunciato quell’orrore.
Nella sentenza e’ riportata la frase liberatoria affidata dalla amichetta-testimone al suo diario dopo aver raccontato di aver visto Titò sul terrazzo che tentata di violentare Chicca: ”Finalmente ho detto tutta la verità, sono felice ora, mi sento più tranquilla e felice.
Quello deve pagare per quello che ha fatto”. Per la Corte di Assise, che confuta i tentativi di crearsi un alibi da parte dell’imputato, il processo ”ha fornito elementi plurimi e convincenti per affermare che il giorno dei fatti Raimondo Caputo, nella deliberata esecuzione di un atto di predazione sessuale ai danni di Fortuna, l’ha portata con se’ sul terrazzo all’ottavo piano ed e’ rimasto con lei fino al momento della precipitazione.
In ogni caso quale che sia la ragione contingente che ha spinto Caputo all’omicidio – scrivono i giudici a proposito del movente del delitto – essa si appalesa comunque come aberrante e perversa, priva di qualsiasi senso morale e rispetto per l’altro”.
Quanto a Marianna, la ex compagna ”ha avuto conoscenza o conoscibilità di condotte abusanti del suo convivente”. ”Ha di fatto accettato quel malessere (delle bimbe, ndr) e rinunciato a qualsiasi pur minima azione doverosa per impedirlo.
Ha sacrificato la integrità morale e psicofisica delle bimbe per offrire appoggio e copertura ad un uomo talmente depravato da accusarlo di averlo costretto ad abusare della figlia per mero scopo di compiacenza o convenienza personale”.

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Delitto di Ravello: ora anche Lima è accusato di omicidio

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Il pubblico ministero Cristina Giusti del Tribunale di Salerno ha chiesto il rinvio a giudizio con l’accusa di omicidio volontario per Giuseppe Lima  per il delitto della 45enne scafatese Patrizia Attruia, assassinata all’interno di un appartamento di via San Cosma, nella zona periferica di Ravello, nella notte tra il 25 e il 26 marzo 2015 dall’amante del suo compagno, Vincenza Dipino, già condannata lo scorso giugno a 23 anni di reclusione dai giudici della Corte d’Assise.L’uomo era accusato inizialmente solo di occultamento di cadavere e favoreggiamento personale.Secondo la tesi della Procura ad innescare la miccia sarebbe stata la gelosia dell’Attruia che, rincasando, avrebbe intuito che il suo compagno e la Dipino avevano consumato un rapporto sessuale.

 

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Giugliano, investì due gemelli uccidendone uno: chiede lo sconto di pena

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Ha scelto di essere processato con la formula del rito abbreviato , che prevede lo sconto di pena, Domenico Cacciapuoti, il 26 enne di Giugliano che nel giugno del 2016 investì e uccise il 24enne Giovanni Cappabianca e ferì il fratello gemello Paolo.
I due fratelli si erano fermati per prestare soccorso ad alcune persone coinvolte in un incidente notturno sull’asse mediano Afragola-Lago Patria, nel territorio di Giugliano, ma una Fiat Bravo, condotta da Domenico Cacciapuoti, lo travolse proprio in quel momento.
Dalle perizie è emerso che la Fiat Bravo viaggiava ad una velocità di 150 chilometri all’ora, una velocità superiore a quanto consentita in un tratto di strada pericoloso.
Un mega incidente con una dinamica particolare. Il tutto sarebbe iniziato con l’urto ad una Citroen C3 da parte di una Fiat Panda.
Il veicolo sarebbe uscito di strada dopo 200 metri, la Citroen invece sarebbe ruotata su se stessa finendo sulla corsia di sorpasso.
L’arrivo poi dell’auto dei gemelli Cappabianca che si fermarono a soccorrere la C3. Una prima auto, una Ford, sarebbe riuscita a fermarsi ma sarebbe stata la Fiat Bravo ad iniziare un tamponamento a catena concluso con l’investimento dei fratelli Cappabianca.
Giovanni era uno studente universitario e lavorava in un ingrosso di bibite.
Aveva una grande passione: la musica. Infatti nel tempo libero indossava i panni di DJ, molti lo conoscevano con il nome di DJ Giò.

(nella foto i due gemelli cappabianca)

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False fatture: perquisizione a casa dell’editore del quotidiano la Città, Giovanni Lombardi

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La Guardia di Finanza di Napoli sta eseguendo perquisizioni negli uffici e nelle abitazioni dell’ imprenditore Giovanni Lombardi, indagato dalla Procura della Repubblica di Torre Annunziata per reati tributari.
Le perquisizioni scaturiscono da reati tributari accertati nell’ ambito di una verifica fiscale svolta nei confronti della Millestampe srl, di cui il legale rappresentante e’ Vincenzo Sessa ma della quale risulta amministratore di fatto Giovanni Lombardi.
Sia Lombardi che Sessa risultano indagati. Le perquisizioni dei finanzieri, oltre che nei confronti di Lombardi, riguardano anche le abitazioni di Sessa, gli uffici della Millestampe srl, e gli altri uffici che sono nella disponibilita’ dei due indagati, tra Castellammare di Stabia e il capoluogo partenopeo.

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Madre di quattro bambini intasca gli assegni assistenziali dell’Inps destinati ai figli e scappa con un altro

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Madre di quattro bambini intasca gli assegni assistenziali dell’Inps destinati ai figli e scappa con un altro. Una triste storia di abbandono e di povertà la cui protagonista è una quarantacinquenne della provincia di Salerno e per la quale l’ex marito chiede l’affidamento esclusivo dei quattro bambini.
La cosa è finita in Tribunale e oltre l’ambito civile c’è anche un procedimento penale a carico della donna per le ipotesi di reato di appropriazione indebita e abbandono di minori.
Qualche anno fa, il rapporto già burrascoso tra i due si conclude definitivamente e con la separazione legale viene stabilito che i figli restino con la madre alla quale spetta un assegno assistenziale per il mantenimento della prole di circa mille euro al mese.
Nel settembre 2016 però, la donna che aveva conosciuto un altro uomo, decide di andare via con lui abbandonando i figli che spettano loro.
La Procura, con il supporto dei servizi sociali, sta ricostruendo la complessa vicenda per appurare la veridicità della denuncia che accusa la donna di ritirare gli assegni assistenziali da oltre un anno senza corrispondere neanche un euro ai ragazzini.
Questa mattina il giudice del Tribunale civile dovrà decidere sull’istanza del padre, un disoccupato cinquantatreenne che, da quando l’ex è andata via lasciandogli i figli, si occupa di tutti e quattro.
I ragazzini saranno chiamati dal magistrato a fornire i particolari del loro vissuto con la madre che, dopo averli abbandonati, rischia di perdere la potestà genitoriale.

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Camorra, l’ex avvocato del clan, ora pentito, testimone in aula contro il boss Setola

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Dopo essere stato arrestato e condannato come avvocato al servizio della camorra, da qualche mese ha iniziato a rilasciare dichiarazioni alla magistratura, e il 30 ottobre prossimo si trovera’ di fronte proprio quel boss di cui aveva cosi’ tanta paura da diventarne un fedele messaggero.
L’ex avvocato Girolamo Casella testimoniera’ infatti al Tribunale di Santa Maria Capua Vetere nel processo in cui sono imputati il capo dell’ala stragista dei Casalesi, Giuseppe Setola, di cui Casella in passato era il legale, e l’oculista di Pavia, Aldo Fronterre’; il camorrista risponde di simulazione di reato, il secondo delle ben piu’ gravi condotte di concorso esterno in associazione camorristica e false attestazioni all’autorita’ giudiziaria.
E’ stato il collegio presieduto da Loredana Di Girolamo ad ammettere le nuove richieste probatorie del pm Alessandro Milita, che ha poi depositato un verbale di 9 pagine, carico di omissis, con le dichiarazioni rese qualche mese da Casella.
I fatti riguardano le presunte false certificazioni mediche che, nel 2008, permisero a Setola di ottenere gli arresti domiciliari in un’abitazione nei pressi della clinica Maugeri di Pavia dove si sarebbe dovuto curare; il 18 aprile dello stesso anno, pero’, Setola evase dalla clinica, dando inizio alla stagione del terrore nel Casertano che causo’ 18 morti, tra cui i sei immigrati africani uccisi nella strage di Castel Volturno.
Per quelle vicende, nel dicembre 2012 finirono in manette proprio Casella, che ha scelto il rito abbreviato venendone condannato definitivamente, e l’oculista lombardo Fronterre’, che ha scelto il rito ordinario, e che per la Dda di Napoli avrebbe falsificato i certificati medici facendo cosi’ ottenere i domiciliari a Setola, che poi evase.

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Ricostruzione post terremoto in Umbria, avvisi di garanzia alle ditte napoletane

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Associazione per delinquere, illecita intermediazione e sfruttamento del lavoro, falso ideologico e materiale, inadempimento e frode nelle pubbliche forniture, false fatturazioni.
E’ la lunga lista delle ipotesi di reato formulate dalla procura di Napoli che sta indagando su alcuni imprenditori campani impegnati attualmente nella realizzazione di una serie di opere nell’ambito della ricostruzione post terremoto in Umbria.
Il pm Ida Frongillo, della sezione reati contro la pubblica amministrazione coordinata dal procuratore aggiunto Alfonso D’Avino, ha ordinato numerose perquisizioni, eseguite dai carabinieri del Nas, nelle sedi delle societa’, studi commerciali e di consulenza (a Roma, in Umbria e nelle province di Avellino e Caserta).
Sono quattro al momento gli indagati ai quali sono stati notificati avvisi di garanzia contestualmente all’emissione dei decreti di perquisizione.
Le aziende sono impegnate in particolare nei lavori per la costruzione dei moduli abitatiti Sea (Soluzioni abitative d’emergenza) in Umbria. Dalle indagini e’ emerso che nei cantieri nel territorio del comune di Cascia lavorano, come si legge nel decreto di perquisizione ”operai sottopagati, privati del vitto sufficiente e di alloggi idonei, esposti a situazioni di grave pericolo per la loro incolumita’ personale”.
I lavoratori sono stati reclutati tutti in Campania. I carabinieri dei Nas hanno accertato che sia il trasporto dal comune di Quarto, in provincia di Napoli, ai cantieri, sia le condizioni di lavoro violano le piu’ elementari norme antinfortunistiche.
A tale proposito gli inquirenti sottolineano che gli operai vengono trasportati su furgoni in cattivo stato di manutenzione e in numero eccedente la capacita’ degli automezzi. Lo scenario dell’indagine e’ comunque assai esteso.
Gli imprenditori, che ad avviso degli inquirenti avrebbero dato vita a una associazione per delinquere, si sarebbero avvalsi della copertura di contratti di subappalto e dell’affidamento ad imprese fittizie ”prive di requisiti economici e tecnici”.
Presunte irregolarita’ riguarderebbero anche le attestazioni di idoneita’ relativi ai requisiti delle aziende ottenute tramite uno studio di consulenza. Complessivamente sono 12 le societa’ finite nel mirino dell’inchiesta della procura partenopea.

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Camorra, omicidio di Ciro Nuvoletta: assolto Zagaria boss dei Casalesi

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Il boss dei Casalesi Michele Zagaria e’ stato assolto nel processo d’appello per l’omicidio avvenuto nel 1984 di Ciro Nuvoletta, fratello di Lorenzo, capo del clan storicamente egemone a Marano di Napoli.
Con Zagaria, la Corte d’Assise d’Appello di Napoli ha assolto anche l’altro imputato Maurizio Capoluongo, esponente di spicco del clan dei Casalesi.
Totalmente capovolto l’esito del giudizio di primo grado, quando Zagaria era stato condannato all’ergastolo al termine del dibattimento, mentre a Capoluongo, che aveva scelto il rito abbreviato, erano stati inflitti 30 anni di carcere.
Nonostante la richiesta della Procura di confermare la sentenza di primo grado, la corte non ha ritenuto attendibili dichiarazioni del collaboratore di giustizia Antonio Iovine, ex boss del clan dei Casalesi in passato molto vicino a Michele Zagaria, su cui si fondava l’accusa della Dda.

(da sinistra nella foto Michele Zagaria, Maurizio Capoluongo, Ciro Nuvoletta)

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Pagani, Processo Criniera: testimone minacciato diserta l’aula

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Versione sostenuta in aula dal pm Vincenzo Montemurro. Il mancato testimone sarebbe stato vittima, sette anni fa, di estorsione ed usura da parte di diverse imputati: i fratelli Vincenzo e Daniele Confessore, Antonio Petrosino D’Auria,  Michele e Adolfo Faiella, Alfonso Cascella, Rosario e Michele Ruggiero.
Per la prossima udienza, prevista per il 23 ottobre, il pubblico ministero ha disposto l’accompagnamento coatto del teste. Ha testimoniato regolarmente, invece, un commerciante di Pagani, proprietario di una macelleria, che ha risposto alle domande dell’avvocato di Gennaro Napolano, accusato di estorsione in concorso, aggravata dal metodo mafioso.
Il macellaio gli avrebbe dato della carne a titolo gratuito. Una conseguenza – secondo l’Antimafia – della “coartazione psicologica” riconducibile al “contesto criminale”.  Il commerciante ha però riferito di non essere stato mai costretto a regalare merce.

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Calcio, editoria, centri clinici e vita mondana tra Capri e Montecarlo: indagato l’imprenditore Lombardi

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Napoli. Fatture fasulle e per operazioni inesistenti, una maxi frode fiscale quella che ha travolto l’imprenditore Giovanni Lombardi, ‘re’ dei centri nefrologici in Campania, con interessi nel campo delle cartiere, dell’editoria e del calcio.
L’indagine del Nucleo di Polizia Tributaria di Napoli, coordinata dalla Procura presso il Tribunale di Torre Annunziata, diretta dal Procuratore Alessandro Pennasilico e affidata al sostituto procuratore Sergio Raimondi, è arrivata ad una svolta stamane, quando i finanzieri hanno bussato – all’alba – all’abitazione dei coniugi Lombardi, in via Crispi a Chiaia, appartenuta alla famiglia di Benedetto Croce, per eseguire un decreto di perquisizione, emesso dalla procura oplontina.
La Finanza ha effettuato l’accesso, inoltre, negli uffici a via Napoli di Castellammare di Stabia della società Mille Stampe srl, ufficialmente amministrata da Vincenzo Sessa, ma di fatto gestita dell’imprenditore Lombardi, nell’ufficio in Traversa Varo di Lombardi, nell’abitazione di Sessa sempre a Castellammare e in quella dei coniugi Lombardi-Scarlato, in via Montegrappa a Scafati in provincia di Salerno.
Due gli indagati nell’inchiesta: Vincenzo Sessa, ritenuto dagli inquirenti il factotum e prestanome della società finita nel mirino della Finanza e Giovanni Lombardi, noto imprenditore originario di Battipaglia ma per anni residente a Scafati, dopo aver sposato Elena Scarlato, erede della storica famiglia Dc salernitana, proprietaria di una nota cartiera.
L’attenzione degli inquirenti che hanno eseguito una verifica fiscale sulla società di Castellammare di Stabia, centro stampa e cuore di una holding facente capo a Lombardi, si è appuntata su Lombardi, lo spregiudicato imprenditore noto alle cronache per la sua passione per il mondo del calcio, per anni presidente della Casertana,  ma prima ancora con interessi nella Scafatese attraverso il cognato Corrado Scarlato e poi anche socio di fatto del Benevento prima dell’ascesa in serie A, e che alcuni mesi fa ha mostrato interesse per l’acquisto dell’Avellino calcio del presidente Walter Taccone.
L’indagine – partita alcuni mesi fa – pare abbia evidenziato una serie di passaggi finanziari, coperti da documentazione contabile, in particolare fatture, per acquisti e prestazioni fraudolente.
Dietro le operazioni finanziare, tra le quali anche la stampa del quotidiano Metropolis, vi sarebbe l’imprenditore salernitano che lo scorso anno ha rilevato la proprietà, attraverso la società Edizioni Salernitane, riconducibile alla moglie Elena Scarlato e all’imprenditore Di Canto di Eboli, del quotidiano La Città di Salerno.
Operazioni spregiudicate, un arricchimento spropositato, un vorticoso giro di danaro legato anche ai numerosi centri di nefrologia sparsi in tutta la Campania, ma nei quali il commercialista non figura ufficialmente, sono ora al vaglio degli inquirenti che – partendo dalla società di stampa di Castellammare di Stabia – cercano di ricostruire la holding finanziaria dell’imprenditore che – di fatto – vive all’ombra di società che fanno capo a lui.
Stamane la Finanza ha acquisito una copiosa documentazione per cercare riscontri a quella esaminata presso la società dalla quale è iniziata la verifica fiscale.
Le ipotesi d’accusa per le quali Giovanni Lombardi e l’amministratore della società sono indagati sono quelle relative alle frodi e alle false fatturazioni, ma l’inchiesta potrebbe allargarsi anche ad altre ipotesi di reato.
La famiglia Lombardi-Scarlato, nota nel jet set nazionale e internazionale, ha interessi anche nel settore alberghiero, in particolare per la gestione dell’Holiday Inn di Cava de Tirreni, ma Lombardi è noto nel mondo dell’alta finanza e nei salotti capresi e di Montecarlo, oltre ad avere interessi in società di trasformazione e stampa di carta e cartone.
Noti i suoi legami e le sue amicizie politiche, in particolare con quel Pasquale Sommese, ex assessore e consigliere regionale, arrestato per tangenti a marzo scorso nell’ambito dell’operazione ‘The Queen” sull’appaltopoli campana e ora agli arresti domiciliari, e con Luigi Greco, ex consigliere comunale a Castellammare di Stabia.

Rosaria Federico

@riproduzione riservata

 

(nella foto a sinistra Vincenzo Sessa e a destra Giovanni Lombardi in barca a Capri con alcuni amici)

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Camorra, oltre due secoli di carcere al gruppo ”scissionista” di Mariano Riccio.TUTTE LE CONDANNE

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Una stangata per il gruppo degli scissionisti legati a Mariano Riccio, genero del boss Cesare Pagano ed ex reggente del clan Amato-Pagano, nonostante il processo sia stato celebrato con rito abbreviato.
Sono complessivamente 221 gli anni di carcere inflitti al gruppo dei “maranesi” dal gup Anna Laura Alfano. Sedici i condannati ma anche 17 assolti.Il boss Mario Riccio, alias Mariano, è stato condannato a 18 anni di carcere.
Fu arrestato dalla polizia nel febbraio del 2014 dopo diversi anni di latitanza, in un appartamento di Qualiano. Durante la sua reggente ci fu una violenta scissione interna al gruppo con quelli di Melito legati alla famiglia Amato con epurazioni interne e vendette che continuarono anche dopo la sua cattura come l’omicidio di Antonio Pastella ‘o russo (ucciso a Marano nel marzo del 2015) e la scomparsa  di Antonio Ruggiero, vero capo del gruppo rimasto vittima della lupara bianca, fino alla pace sancita con la reggenza di zia Rosaria Pagano.
Pesanti condanne sono arrivate per Armando Di Somma, Mario Iadonisi, e per Vincenzo Aletto (20 anni); a 18 anni di carcere invece sono stati condannati Castrese Ruggiero, Giuseppe Busiell oe Salvatore Stabile.
Le altre condanne, a 12 anni Massimiliano Aricò, Carmelo Borrello, Vittorio Crisonti e Natale Perone  e ancora Giuseppe Aiello (10 anni e 1 mese), Gaetano Milone (9 anni), Giovanni Ascione (8 anni e 8 mesi), Antonio Caputo (7 anni e 4 mesi) e Vincenzo Esposito (6 anni e 4 mesi).
Assolti, invece, Ciro Cerqua, Giuseppe Colucci, Nunzia Crisonti, Giuseppe De Martino, Diego Ferrara, Raffaele Frascogna, Raffaele Mauriello, Michele Messina, Antonio Parolisi, Giuseppe Pezzella, Giuseppe Sica, Giuseppe Siviero, Raffaele Tessitore, Luigi e Raffaele Tufino, Alfonso Riccio (fratello di Mariano) e Salvatore Panico, difeso dagli avvocati Anna Iorio e Antonietta Madore.

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Le estorsioni del Terzo sistema: chiesti 81 anni di carcere per gli uomini del clan di Torre Annunziata

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Torre Annunziata. Nato come una costola del clan Gionta, il ‘Terzo sistema’ formato da giovani addetti a raccogliere le estorsioni diventò un gruppo autonoma: per l’antimafia vanno tutti condannati gli uomini di Domenico Ciro Perna, il 27enne di Torre Annunziata ritenuto il capo del gruppo criminale.
Sette uomini, che dopo l’alleanza con Gaetano Maresca e i fuoriusciti della cosca dei Gallo-Cavalieri erano diventati un gruppo autonomo. Il pm Claudio Siragusa ha chiesto 81 anni di carcere per i sette che hanno scelto di fare il rito abbreviato dinanzi al Gup Maria Luisa Miranda del Tribunale di Napoli.
Per Domenico Ciro Perna, sono stati chiesti 16 anni di reclusione; 11 anni e 4 mesi ciascuno per Bruno Milite, Gennaro Pinto di 24 e 20 anni e Luigi Gallo di 27; 10 anni e 8 mesi per Antonio Longobardi (26) e Salvatore Orofino 45 anni; 10 anni di carcere invece per Vittorio Della Ragione (20).
Il pm ha ribadito le accuse di associazione a delinquere di stampo mafioso, armi ed estorsioni, reati commessi tra fine 2015 e il 2016. L’accusa, ripercorrendo le indagini dei carabinieri del Nucleo investigativo di Torre Annunziata, e il tenore delle conversazioni telefoniche, ha riproposto la tesi secondo la quale Ciro Domenico Perna e i suoi uomini costituirono un clan autonomo, nonostante la Cassazione avesse ritenuto ‘inesistente’ il Terzo sistema.
Gli imputati erano tutti presenti, solo per Antonio Longobardi sono state adottate misure di sicurezza e tenuto in una cella isolato perchè l’ex macellaio – dopo l’arresto – aveva tentato una collaborazione con la giustizia, durata poche settimane, dopo la quale aveva ritrattato tutto.La richiesta di condanna sarà discussa dagli avvocati difensori, tra i quali Giovanni Tortora, Angela Mastrice e Salvatore Irlando.

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Prostituta bulgara uccisa a Pagani: 20 anni per Ferrante, il muratore di Vietri sul Mare

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Pagani. Nikolova Temenuzkhka fu uccisa nella notte tra il 12 e il 13 agosto del 2016 e il suo corpo fu ritrovato due giorni dopo: per quel delitto è stato condannato Carmine Ferrante, il 36enne di Vietri sul Mare, residente nella frazione di Dragonea che fu individuato dalle indagini dei carabinieri del Reparto Territoriale di Nocera Inferiore. Venti anni: questa la condanna inflitta all’uomo, che ha chiesto di essere giudicato con rito abbreviato, dal giudice per le udienze preliminari Alfonso Scermino. La prostituta bulgara di 37 anni, Nikolova Temenuzhka fu trovata senza vita in una strada adiacente al Mercato ortofrutticolo di Pagani, il 19 agosto. Le indagini portarono all’individuazione dell’uomo, riconosciuto – tra i sospettati – anche da due amiche della vittima.  Il pm Giuseppe Cacciapuoti chiese ed ottenne una misura cautelare. Secondo la ricostruzione degli inquirenti, la sera tra il 12 e il 13 agosto del 2016, Ferrante si recò in via Nazionale a Sant’Egidio del Monte Albino e caricò sulla sua Citroen nera, Nika Temenuzkhka. Prima di prendere contatti con la donna, il muratore aveva fatto un sopralluogo e le telecamee di sorveglianza avevano ripreso quell’auto in orari compatibili con la scomparsa della donna. Nella Citroen furono trovati alcuni orecchini che appartenevano alla bulgara, sui quali non furono tuttavia trovate tracce o impronte. Il corpo fu invece ritrovato il 19 agosto. La prostituta era stata uccisa probabilmente per strangolamento. L’uomo fu individuato attraverso la targa dell’auto, ma la difesa – rappresentata da Agostino De Caro e Bernardina Russo – ha sempre contestato la circostanza che l’uomo fosse l’autore dell’omicidio. Ferrante rispondeva anche di detenzione di arma clandestina e munizioni, gli fu trovata una pistola e alcune munizioni al momento dell’arresto.

 

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Camorra: si riorganizza la Dda di Napoli, al lavoro tre pool di magistrati

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Si riorganizza la Direzione distrettuale antimafia di Napoli. I magistrati saranno ripartiti in tre gruppi ai quali verranno affidate le indagini antimafia su tre distinte aree geografiche.
La nuova organizzazione decisa dal procuratore Giovanni Melillo e’ scaturita da una serie di riunioni con gli aggiunti e i sostituti titolari delle inchieste sulla camorra.
Un gruppo composto da 12 magistrati si occupera’ dei clan attivi nella citta’ di Napoli e sara’ coordinato dal procuratore aggiunto Filippo Beatrice; altri dieci sostituti – sotto il coordinamento dell’aggiunto Giuseppe Borrelli – lavoreranno alle indagini relative alla provincia di Napoli (in pratica il territorio del circondario del Tribunale partenopeo), con una competenza estesa anche alle aree degli altri tribunali della provincia, ovvero Nola e Torre Annunziata e parte di Napoli Nord; a un terzo pool di nove pm – coordinato da un procuratore aggiunto ancora da designare – saranno affidati i fascicoli riguardati, tra gli altri, il clan dei Casalesi, e in particolare (in riferimento alle aree geografiche) le zone del Casertano e del Beneventano.
Secondo indiscrezioni il pm Henry John Woodcock, che negli ultimi anni ha condotto indagini sulla camorra cittadina (tra cui la cosiddetta ”Paranza dei bambini”, conclusasi con le condanne dei giovani boss), dovrebbe passare al pool coordinato da Borrelli, occupandosi in particolare del giuglianese, area ad alta densita’ camorristica.

 

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Rapina da 20 milioni in Germania, le mail del ragioniere di Scafati incastrarono la gang

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Scafati. Un colpo da 20 milioni di euro: un assalto armato ad un furgone portavalori che sarebbe entrato nella storia del crimine, ideato e progettato tra l’hinterland salernitano e napoletano e la provincia di Foggia e messo a segno in Germania.
Un progetto seguito passo passo dagli agenti della Squadra Mobile e per il quale Domenico Cocco, lo scafatese titolare della pizzeria Il Lanternone, e Angelo Carbone pregiudicato della Provincia di Napoli, avevano pianificato tutto, o quasi.
Mille precauzioni, telefoni cellulari utilizzati a ‘circuito chiuso’ solo tra gli indagati arrestati nel blitz di domenica notte, documenti fasulli realizzati fai da te, auto con targhe false prese a noleggio attraverso ‘o ragioniere, l’insospettabile commercialista scafatese, Luigi Cavallaro.
E poi, la base d’appoggio in Germania attraverso due italiani, Pasquale Ricciardi, titolare di una rivendita di auto e Luigi Delli Carri, un ristoratore, con banditi specializzati assoldati a Verona e Foggia.
Insomma, il colpo della ‘vita’ per gli uomini della gang delle rapine scoperti dalle indagini della Squadra Mobile sarebbe dovuto essere davvero spettacolare e curato nei minimi particolari.
Tutte le figure che avrebbero partecipato all’assalto erano state scelte con cura. I meccanismi per isolare telefoni e comunicazioni sul luogo dell’assalto e impedire le richieste di sos acquistati on line, la ‘macchinetta’ per falsificare i documenti di un albanese con precedenti penali, residente a Verona, ordinata e recapitata ai componenti della banda pochi giorni prima della partenza per la Germania.
Era il mese di maggio quando gli uomini della gang arrestati nei giorni scorsi, cominciarono le grandi manovre per il colpo in Germania, costantemente monitorati e fotografati dalle forze dell’ordine.
Numerosi incontri, a Scafati, presso la pizzeria di Mimmo Cocco e da qui presso lo studio di San Pietro del Commercialista Luigi Cavallaro, con Angelo Carbone servirono a pianificare l’intera operazione.
La mail di Cavallaro, ex contabile della società partecipata Scafati Sviluppo e consulente dell’Acse, uno dei professionisti ai quali si era affidato l’ex sindaco Pasquale Aliberti per le società dell’Ente, è stata monitorata per mesi da quando gli stretti rapporti tra Domenico Cocco e il ragioniere avevano evidenziato che i due erano impegnati nella programmazione del colpo in Germania e comunque Cavallaro si occupava di aiutare gli uomini della gang a sbrigare quelle questioni ‘burocratiche’ che li avrebbero agevolati nell’operazione oltre la frontiera italiana.
Ed è dalla mail di Cavallaro che vengono spediti i documenti fasulli intestati a tale Mario Bellini, ma in realtà Huqi Lorenc, uno dei due albanesi che avrebbe dovuto partecipare al colpo.
Documenti che erano palesemente falsi. Tant’è che lo straniero viene controllato dalla Polizia poco prima della partenza per la Germania, e mostra il suo documento vero, la foto viene comparata a quella inviata via mail, già in possesso della Squadra Mobile di Salerno, ed è la stessa.Secondo gli inquirenti, personaggio centrale per i colpi messi a segno tra Fisciano, Avellino, Pompei, Acerra e quello programmato in Germania è Angelo Carbone, il vero deus machina della gang.
Ed è proprio con Carbone e Cocco, che il commercialista di Scafati si incontra un pomeriggio nel suo studio di Scafati, probabilmente per organizzare proprio quel colpo in Germania, o quanto meno la documentazione fasulla e l’affitto dell’auto per effettuare il viaggio dall’Italia. Luigi Cavallaro è destinatario di un’ordinanza di custodia cautelare con obbligo di dimora, Cocco e Carbone sono finiti in carcere e nei prossimi giorni – molti per rogatoria – verranno effettuati gli interrogatori dei 19 indagati finiti nella rete della Squadra Mobile e della Procura di Nocera Inferiore, nell’operazione Last Day.

Rosaria Federico

@riproduzione riservata

 

(nella foto grande il commercialista Luigi Cavallaro, nel riquadro il pizzaiolo Domenico Cocco)

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Camorra, il boss pentito di Forcella: ”Il giovane nella discoteca fu ucciso da Costagliola”

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“Posso riferire di molti fatti di sangue. Uno dei questi è l’omicidio di Lutricuso, quel ragazzo ucciso per futili motivi all’esterno della discoteca. Ad ucciderlo fu Vincenzo Costagliola, mentre a vantarsene era il ragazzo che stava con lui e che è stato condannato”.
Vincenzo Amirante, il boss della zona dei Tribunali che da oltre un mese ha deciso di collaborare con lo Stato ha dato agli investigatori molti spunti nuovi sui fatti di sangue che hanno caratterizzato la stagione di sangue a Forcella e nel centro di Napoli con la nascita della Paranza dei Bimbi e la guerra con i Buonerba “capelloni”.
Le sue dichiarazioni sono agli atti del processo di appello contro l’ex gruppo degli Amirante-Brunetti-Giuliano-Sibillo. Conosce tanto della criminalità organizzata del centro della città e anche i nomi di chi ha fatto fuoco durante i giorni di terrore.
Ed è stato un omicidio, quello di Lutricuso, che ha fatto molto discutere.  “Costagliola prese la pistola dall’auto e gli sparò in petto e poi alla testa. Perché aveva risposto male e si era permesso di rifiutare una sigaretta che il boss aveva chiesto per fare uno spinello”.
Morì così, per gioco, Maurizio Lutricuso  un giovane di 24 anni, davanti all’uscita di una discoteca di Pozzuoli il 10 febbraio del 2014, il Private One, al termine di una rissa scoppiata per motivi banali. Costagliola è stato condannato a 20 anni di reclusione mentre a 23 anni è stato invece condannato Salvatore I., detto Tore ‘o maligno”, minorenne all’epoca dei fatti, che  si è autoaccusato di essere l’esecutore materiale dell’omicidio.
“Sì, va bene, sono stato io. Ammetto la mia responsabilità, sono stato io a ucciderlo”.  Così in aula il minorenne conosciuto da tutti nei vicoli di Forcella come Tore ‘o maligno e legato alla “Paranza dei Bimbi”, aveva ammesso in  aula le proprie responsabilità in merito all’omicidio di Maurizio Lutricuso- Il ragazzo era stato ucciso perché aveva osato schiaffeggiare Tore ‘o maligno all’interno della discoteca dopo che questi con toni guappeschi gli aveva chiesto una sigaretta.
Il ragazzo legato in maniera particolare al defunto boss Pasquale Sibillo poi si vantò al telefono del suo gesto.”L’ho sciattato, l’ho ucciso, dici la verità Giuliano, ti è piaciuto? Sette botte. Ma davvero stai facendo? Quello è venuto sotto a me , ha chiavato un pacchero, è partito direttamente con il pacchero è partito. Gugliè, l’ho sfondato, trasc, bunget, poi mi ha pigliato il compagno e mi ha alzato per aria”.
Cosi il killer  parlava con il suo sodale ignorando di essere intercettato. Il finale si commenta da solo: “Ma che me ne fotte di questa storia, odiniamo due saltimbocca…”  . Ma ora le confessioni di Vincenzo Amirante aprono una nuova pista.

(nella foto da sinistra il boss pentito Vincenzo Amirante, Vincenzo Costagliola e la vittima Maurizio Lutricuso)

 

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Clan della Piana del Sele: solo 3 imprenditori sui 98 taglieggiati si sono costituti parte civile

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Nonostante i loro aguzzini siano tutti in carcere, hanno ancora paura i numerosi imprenditori della Piana del Sele taglieggiati per anni dal gruppo criminale dei fratelli Bisogno e dei gruppi federati di Francesco Mogavero e del pentito Sabino Di Maio.
Su 98 imprenditori taglieggiati solo tre si sono costituiti parte civile al processo il contro il clan. ieri si è tenuta la prima udienza, dinanzi al gup Piero Indinnimeo del Tribunale di Salerno, per valutare la richiesta di rinvio a giudizio della procura Antimafia contro i 92 imputati.
I vertici e molti altri hanno già anticipato di voler accedere al rito abbreviato per ottenere sconti di pena. Si decide il 30 ottobre.
Novantadue le posizioni che il giudice per l’udienza preliminare dovrà ora valutare mentre Sergio Bisogni, Francesco Mogavero, Sabino De Sono accusati a vario titolo di associazione per delinquere, rapina, estorsioni ma anche di singoli episodi di spaccio di droga.
I vari gruppi criminali avevano al vertice proprio Sabino De Maio (ora collaboratore di giustizia) e i gemelli Enrico e Sergio Bisogni oltre a Francesco Mogavero.
Attraverso attentati incendiari, gambizzazioni e minacce avevano ottenuto il monopolio del trasporto ortofrutticolo, estromettendo la concorrenza e obbligando i produttori a rivolgersi a due agenzie di intermediazione: la Atm di Francesco Mogavero e la Ma.Pa. di Marcello Palmentieri.
Poi c’era il settore delle rapine, la ricettazione di auto rubate, i cavalli di ritorno, ma anche un giro di prostituzione in una casa squillo nella zona del litorale di Pontecagnano. Infine c’era il “sistema salernitano” dello traffico di droga gestito attraverso  attraverso otto sottogruppi, da Salerno alla Piana del Sele e fatto in modo tale che non ci fossero contrasti tra le varie piazze di spaccio.

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