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Napoli, rivelazione di notizie riservate: assolto Marco Milanese

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Finisce con l’assoluzione per tutti e 7 i capi di imputazione il processo che ha visto coinvolto a Napoli, Marco Milanese, ex consigliere politico di Giulio Tremonti. Secondo la quarta sezione del Tribunale di Napoli, presieduta da Loredana Acierno, il fatto non sussiste per tutti i capi d’imputazione tra i quali la violazione di segreto d’ufficio, corruzione, associazione per delinquere e favoreggiamento. Tre capi d’imputazione erano prescritti ma il tribunale ha ritenuto di far prevalere l’assoluzione. Milanese, difeso dagli avvocati Bruno Larosa e Franco Coppi, era accusato di aver rivelato notizie riservate relative a indagini della Direzione distrettuale antimafia di Napoli su un imprenditore, vicenda che risale al 2011 quando Giulio Tremonti era ministro dell’Economia nel Governo Berlusconi.


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Sequestrarono e violentarono una minorenne: 4 anni e 8 mesi di carcere ciascuno

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Hanno incassato la metà della pena che aveva chiesto la pubblica accusa: 4 anni e 8 mesi di carcere ciascuno  per i due paganesi accusati di aver sequestrato e violentato una ragazza minorenne due anni fa. Il Tribunale di Nocera Inferiore  ha condannato Antonio Saggese e Giuseppe Bombardino che dovranno risarcire per 20mila euro la giovane vittima. Erano accusati di violenza sessuale, sequestro di persona, lesioni e resistenza.Bombardino e Saggese furono arrestati dai carabinieri tra la notte del 13 e 14 febbraio 2016. La ragazza raccontò, mentre era in ospedale per farsi medicare, che dopo essere uscita da una cornetteria con un’amica ,era  stata avvicinata e poi bloccata per le braccia da uno dei due,  minacciata di morte e costretta a salire in un’automobile. La ragazza tentò di fuggire più volte, ma fu prima scaraventata su di una saracinesca e poi riportata con forza in auto. Una sequenza ripresa da alcuni video di sorveglianza e finiti negli atti della Procura. Lungo il tragitto provò anche a chiedere aiuto a due persone, inutilmente. L’auto con a bordo i due ragazzi e la minore giunse poi all’esterno di una scuola, in un luogo appartato, dove sarebbe stata consumata la violenza. Dalle indagini emerse che la ragazza sarebbe stata costretta a bere, per poi consumare un rapporto sessuale con entrambi gli imputati. Al termine, fu riaccompagnata a casa. Dopo aver perso i sensi, fu soccorsa dalla madre, con una corsa in ospedale dove poi partì la denuncia.I due giovani sono liberi da alcuni mesi dopo due anni circa tra carcere e domiciliari.Nel corso dell’ultima uidenza aveva reso anche dichiarazioni spontanee nel corso delle quali si erano difesi sostenendo che sia stato un rapporto consensuale e non una violenza sessuale.


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Violenta l’amica disabile: processo per ”l’orco” di Salerno

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Salerno. E’ successo esattamente un anno fa, ha violentato una giovane donna approfittando della sua disabilità psichica e ieri è stato rinviato a giudizio dal gup Piero Indinnimeo a termine dell’udienza preliminare.
L’uomo, un salernitano, conosceva bene la ragazza. Nessun vincolo familiare tra i due, solo amicizia: erano conoscenti di vecchia data. Anche la famiglia di lei si fidava del giovane. Un giorno l’ha portata a casa sua, l’ha messa sul letto ed ha iniziato ad abusare di lei. L’episodio è venuto fuori dopo qualche giorno a seguito degli strani comportamenti della ragazza. Così è scattata la denuncia alle forze dell’ordine che di fatti hanno portato ad accusare l’uomo di violenza sessuale.


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Monnezzopoli a Torre del Greco, chiuse le indagini su Borriello e presunti complici

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Torre del Greco. Chiuse le indagini sul presunto giro di mazzette ed appalti pilotati al comune, l’ex Sindaco Borriello e gli imprenditori dei rifiuti verso il rinvio a giudizio. Siamo a due anni dall’ avvio dell’ inchiesta condotta dalla procura oplontina e a circa due mesi dall’ arresto di Ciro Borriello. Il PM Silvio Pavia ha chiuso le indagini a carico dell’ex fascia tricolore, degli imprenditori Francesco e Virgilio Poeti e dei fratelli Balsamo. Le accuse vado dalla corruzione di pubblico ufficiale per atti contrari ai doveri d’ufficio, truffa ai danni ad ente pubblico, falso in atto pubblico, frode pubblica. Ora il pubblico minierà chiederà il rinvio a giudizio dei sette indagati e verrà fissata un’ udienza per decidere se Borriello e i gestori dell’appalto dell’igiene urbana affronteranno o meno, un processo. I magistrati sono convinti che l’ex sindaco fosse totalmente asservito in modo incondizionale agli interessi dei fratelli Balsamo. Tanto che la sua attività da sindaco è stata sempre volta a favorire la società: per compiere atti contrari ai suoi doveri d’ufficio riceveva 20mila euro al mese dai Balsamo.


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Nomina del Procuratore antimafia: la Commissione del Csm si divide tra De Raho e Ardituro

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Roma. Slitta di un mese la nomina del procuratore antimafia nazionale. La nomina, molto probabilmente, avverrà entro il 16 novembre giorno in cui Franco Roberti lascerà la magistratura per andare in pensione e quindi lascerà l’incarico ricoperto. Il Csm e la Commissione per gli incarichi direttivi, dovrà scegliere il suo successore, la maggioranza della Commissione per gli incarichi direttivi è comunque a favore del procuratore di Reggio Calabria Federico Cafiero De Raho. Una scelta che era già nell’aria da tempo, da quando il Csm gli preferì in occasione della nomina del procuratore di Napoli Giovanni Melillo. Come allora anche oggi il gruppo di Area, che rappresenta le correnti di sinistra della magistratura, si è diviso: Piergiorgio Morosini, che in dissenso con la maggioranza del suo gruppo votò per la nomina di De Raho a procuratore di Napoli, oggi invece non lo ha sostenuto, ma ha proposto la nomina del Pg di Palermo Roberto Scarpinato a procuratore nazionale antimafia. Mentre un altro componente del gruppo Antonello Ardituro, che all’epoca appoggiò Melillo, oggi in commissione ha dichiarato il suo voto personale per De Raho.


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Ristorante Nettuno a Paestum: danno erariale per circa milione di euro. Presentato il ‘conto’ ad amministratori e dirigenti

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Capaccio-Paestum. Da bene di interesse storico a ristorante affittato a privati con canoni di locazione irrisori, causando un danno erariale di oltre 800mila euro al Comune di Capaccio – Paestum, nel Salernitano. Una responsabilità che ricadrebbe sugli ex vertici dell’amministrazione comunale, ma anche su dirigenti e il legale rappresentante dell’ente morale per le antichità e i monumenti della provincia di Salerno. Al centro dell’inchiesta “Nettuno” della Guardia di Finanza di Salerno, coordinata dalla procura regionale della Corte dei Conti della Campania, un prestigioso casale in piena zona archeologica utilizzato come ‘posto di ristoro’ durante il secondo conflitto mondiale, affidato dal comune pestano all’ente morale che, a sua volta, aveva provveduto a darlo in gestione a una nota famiglia del posto, quella della famiglia del sindaco Italo Voza, che vi ha realizzato un ristorante, pagando piccole somme direttamente con versamenti sul conto corrente del legale rappresentante dell’ente. Operazione questa che, secondo i finanzieri della compagnia di Agropoli, avrebbe generato un ulteriore danno erariale di oltre 100mila euro al quale si aggiunge un ammanco, già accertato, per le casse comunali relativo all’omessa determinazione e conseguente riscossione di un canone adeguato al reale valore di mercato del bene, per il quale è in corso un giudizio di responsabilità dinanzi alla sezione giurisdizionale della magistratura contabile.

La struttura ricettiva oggetto di indagine della Guardia di Finanza è il ristorante “Nettuno”, gestito, dal 1939, dalla famiglia di Pina Pisani, moglie dell’ex sindaco di Capaccio – Paestum, Italo Voza. A quest’ultimo, a quattro tra tecnici e dirigenti comunali e al legale rappresentante dell’Ente morale per le Antichità e i Monumenti della provincia di Salerno, nel novembre del 2016, la Corte dei Conti aveva notificato un atto di citazione in giudizio, proprio in relazione al canone annuo di 12.000 euro di affitto del casale che si affaccia sui templi. Il canone, secondo la magistratura contabile, è sottostimato rispetto al valore dell’immobile.



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Camorra, il pentito: ‘Marino fu ucciso da Abbinante e Montanera’

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Si era avvicinato alla Vanella Grassi e con loro stava tramando per un accordo che avrebbe potuto annientare i boss degli Abete-Abbinante, che in quel periodo, era il 2012, erano in lotta per il controllo delle piazze di spaccio di sostanze stupenti tra Scampia e Secondigliano. Questa l’accusa che il Tribunale della camorra aveva ipotizzato per Gaetano Marino, detto moncherino fratello di Gennaro detto Makkey uno dei “senatori” del clan Di Lauro che nel 2004 si scisse da gruppo di Cosimo scatenato la guerra del 84 morti. La sentenza fu emessa il 23 agosto del 2012: morte.
Un commando di killer partì da Napoli e ammazzò il ras attirato in trappola con un finto appuntamento sul lungomare di Terracina dove era in vacanza con la famiglia, Dieci colpi di pistola per porre fine alla sua vita. A distanza di oltre tre anni c’è uno spiraglio. Ci sono due indagati. I loro nomi, come riporta Il Roma, sono stati fatti da Pasquale Riccio, un ex boss, un killer pentito, che ha riferito i particolari, finora inediti del clamoroso omicidio in verbale del 2015. “Sono stati Arcangelo Abbinante e Giuseppe Montanera», ha riferito ai pm della Dda di Napoli. Nello stesso verbale parla anche dell’omicidio di Mattia Iavarone, il ragazzo trovato a Cardito crivellato di proiettili in un’auto nell’aprile del 2014.

“I rapporti tra noi gli Abete-Abbinante e Antonio Ciccarelli erano ottimi, anche di carattere criminale tanto che costui
diede appoggio a molti dei nostri killer quando, commesso un omicidio avevano bisogno di riparare a Caivano per sottrarsi alle indagini, come accadde in numerose occasione durante la faida di Scampia del 2012, ci distrusse anche delle autovetture utilizzate per mettere a segno alcuni delitti, lo stesso Mattia Iavarone realizzò sistemi nelle auto ed elaborazioni al motore, come nella Fiat Grande Punto usata nell’omicidio di Gaetano Marino, autovettura che, dopo l’omicidio, venne poi consegnata proprio ad Antonio Ciccarelli, che la diede a Mattia Iavarone il quale a sua volta si fece carico della demolizione del mezzo”


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Crac Cirio e finanziamenti alla Lazio in Cassazione, chiesta una riduzione di pena per Cragnotti e Geronzi

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Roma. E’ attesa per domani la decisione dei giudici della Corte di Cassazione per gli imputati coinvolti nel processo per il Crac Cirio. Il procuratore Generale, Mauro Iacoviello, ha chiesto di ridurre le pene inflitte in appello a Cesare Geronzi, ex presidente della Banca di Roma, di Capitalia e Mediobanca e a Sergio Cragnotti, ex patron del gruppo alimentare e della Lazio, tra i principali imputati nel processo. L’udienza si è svolta nell’Aula Giallombardo, piena di avvocati per via delle centinaia di risparmiatori che avevano investito nei bond con il marchio dei pomodori pelati e che sono rimasti coinvolti nella bancarotta che ha bruciato pù di 1100 milioni di euro, come appurato dalle indagini iniziate nel 2003. In particolare, Iacoviello ha chiesto la riduzione delle pene per Cragnotti e Geronzi, condannati in appello il primo a otto anni e otto mesi di reclusione, il secondo a quattro anni. Anche se non quantificato, è più sostanzioso l’alleggerimento di pena che, secondo Iacoviello, dovrebbe essere concesso per Geronzi, per il quale è stato chiesto l’annullamento senza rinvio per la vicenda Eurolat. Se le richieste del Pg dovessero essere accolte, la transazione da circa 240 milioni di euro con la quale Unicredit nel 2014 ha chiuso il contenzioso con l’amministrazione straordinaria di Cirio, autorizzata dal ministero dello Sviluppo economico, per risarcire i creditori – sebbene il crac sia di quasi quattro volte maggiore – sarebbe da considerare “ancora di più un ottimo risultato”, ha sottolineato l’avvocato di Cirio Nicola Madia. Per quanto riguarda invece la posizione di Cragnotti, il Pg ha chiesto l’annullamento senza rinvio solo per uno dei capi di imputazione, quello relativo ai finanziamenti dati alla squadra di calcio della Lazio. Per i rimanenti capi d’imputazione, il Pg ha chiesto l’inammissibilità del ricorso. Per quanto ancora riguarda Geronzi e gli altri ex funzionari della Banca di Roma Pietro Celestino Locati e Antonio Nottola, il Pg Iacoviello ha chiesto, oltre all’annullamento senza rinvio del capo relativo ad Eurolat e di altre imputazioni, anche la conferma della bancarotta per distrazione per la vicenda Bombril, relativa alla partecipazione di Banca di Roma nella società lussemburghese del gruppo Cragnotti. Ad avviso del Pg, in generale, “non basta il consenso della banca all’operazione di finanziamento richiesta dall’imprenditore per considerare Geronzi come colui che ha consentito alla distrazione tramite l’autorizzazione all’operazione”. Diversamente, ha proseguito Iacoviello, sarebbe come ritenere “responsabile di un omicidio anche la persona che ha gonfiato le gomme o ha rifornito di benzina la macchina usata da altri per andare a compiere un delitto”. Gli altri imputati sono Andrea Cragnotti, che in appello ha avuto due anni e quattro mesi, Filippo Fucile, genero di Cragnotti (condannato in appello a tre anni e 10 mesi), Ettore Quadrani, consigliere Cirio condannato in appello a tre anni e quattro mesi. Gli ex funzionari della Banca di Roma, Locati e Nottola, sono stati condannati in appello entrambi a due anni, l’alleggerimento della pena chiesto per Geronzi riguarda anche loro. Per Elisabetta e Massimo Cragnotti è invece già stata dichiarata prescritta in appello la bancarotta preferenziale. I ricorsi delle difese contestano il verdetto emesso il 10 aprile 2015 dalla Corte d’appello di Roma. Geronzi è difeso da Franco Coppi e da Ennio Amodio, Cragnotti da Massimo Krogh e Luigi Panella.

La V Sezione Penale della Cassazione ha aggiornato a domani mattina il proseguimento della Camera di Consiglio dei giudici che devono emettere il verdetto sul crack Cirio. Per la complessità del procedimento il presidente del Collegio Maurizio Fumo ha rinviato a domani la decisione.


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Sequestrati beni per due milioni di euro agli imprenditori Pellini di Acerra

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Il Nucleo di Polizia Tributaria di Napoli ha eseguito un ulteriore e ingente sequestro patrimoniale di profitti illeciti per che sarebbero stati accumulati negli anni, attraverso la continuata perpetrazione di reati ambientali, dal gruppo imprenditoriale riconducibile ai fratelli Pellini di Acerra. Lo scorso 14 febbraio, il Reparto aveva gia’ dato esecuzione ad un cospicuo sequestro patrimoniale, per un valore di circa 200 milioni di euro, nei confronti di Giovanni, Salvatore e Cuono Pellini, recentemente condannati in via definitiva per il reato di disastro ambientale e, allo stato attuale, detenuti presso le case circondariali di Rieti e di Santa Maria Capua Vetere. In specie, sulla base di un provvedimento emanato dalla Sezione Misure di Prevenzione del Tribunale di Napoli, su proposta della locale Procura – Direzione Distrettuale Antimafia, erano stati sequestrati 250 fabbricati, 68 terreni, 50 autoveicoli ed automezzi industriali, 3 aeromobili e 49 rapporti bancari. In quella circostanza, tuttavia, era emersa, come particolarmente anomala, l’irrisoria quantita’ di capitali liquidi rintracciati sui conti correnti dei citati imprenditori. Prendendo le mosse dalle risultanze investigative acquisite sugli asset patrimoniali riconducibili alla stessa famiglia Pellini, il Gico di Napoli ha quindi sviluppato ulteriori mirati accertamenti di natura economico-patrimoniale, soprattutto attraverso l’esame e l’approfondimento della copiosa documentazione reperita presso alcune banche. Gli elementi informativi cosi’ acquisiti hanno condotto la polizia giudiziaria operante all’individuazione di una societa’ fiduciaria con sede nel centro di Milano, presso la quale era stato acceso dai fratelli Pellini un mandato fiduciario, la cui esistenza e’ stata artatamente dissimulata mediante fittizia intestazione alle rispettive mogli. Pertanto, anche questa “cassaforte” di famiglia – con una consistenza ammontante a circa 2,2 milioni di euro, in denaro contante e titoli di Stato – e’ stata ora sottoposta a sequestro patrimoniale.

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Tumore non diagnosticato, la mamma della piccola Asya al processo: ”Me l’hanno uccisa”

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“Mia figlia e’ stata uccisa. Voglio giustizia e voglio che chi l’aveva in cura venga radiato dall’albo dei Medici”. Lo ha detto Maria Ciervo, mamma di Asya Bosco, la bimba di Giugliano, morta a 3 anni e mezzo, il 4 ottobre del 2014, per una diagnosi di tumore giunta troppo tardi. Oggi, nel Tribunale di Napoli Nord, ad Aversa, i genitori della piccola – assistiti dall’avvocato Libera Cesino e dalla criminologa Antonella Formicola – saranno ascoltati dai magistrati. Imputati nel processo sono Angelo Coronella, medico pediatra e neonatologo, e sua moglie, Ersilia Pignata. Quest’ultima, secondo l’accusa, esercitava la professione di pediatra malgrado fosse una maestra di musica. Sono accusati, tra l’altro, di omicidio colposo. Prima dell’udienza, all’esterno del Tribunale, e’ stato inscenato un corteo, aperto dallo striscione “Giustizia per Asya e per Patrizia”: in testa al corteo i genitori di Asya e anche di Patrizia, un’altra bambina morta in circostanze analoghe.

“Asia stava male, io li contattavo e mi lamentavo, ma loro mi dicevano che ero troppo apprensiva, che si trattava di una bronchite”, racconta ancora Maria Ciervo, mamma di Asya. “Invece era un tumore – prosegue la donna – che poi le e’ stato diagnosticato nell’ospedale Santobono di Napoli”. Da quel momento in poi e’ iniziato un altro calvario: “Hanno cercato di salvarla ma non c’e’ stato niente da fare. Era troppo tardi. Il tumore l’hanno trovato l’11 settembre del 2013. Abbiamo iniziato la chemioterapia ma il 4 ottobre del 2014 Asia ci ha lasciati, aveva appena tre anni e mezzo”. “Non sono stati in grado di giungere alla giusta diagnosi di tumore – dice l’avvocato della famiglia Bosco Libera Cesino – che avrebbe consentito di curare tempestivamente Asya e molto probabilmente di salvarle la vita visto che la neoplasia di cui era affetta, secondo alcuni periti, se presa in tempo puo’ guarire nell’80% dei casi”. “La cosa grave – sottolinea l’avvocato – e’ che hanno continuato a esercitare la professione malgrado i provvedimenti cautelari”. “La mamma di Asia – ricorda l’avvocato Cesino – porto’ la piccola nel centro di Casal di Principe  e malgrado fosse sotto sequestro, i medici la fecero entrare da un ingresso di servizio per visitarla comunque”. La coppia, infatti, risponde anche di violazione dei sigilli.

(nella foto angelo coronella, asya bosco e la mamma maria ciervo)

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Napoli, mancata bonifica di Bagnoli: chieste 8 condanne e sei assoluzioni

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Si e’ conclusa con otto richieste di condanna e sei di assoluzione la requisitoria del pm Stefania Buda nel processo in corso davanti alla sesta sezione del Tribunale di Napoli per la mancata bonifica di Bagnoli e dell’ex Italsider. Otto anni la richiesta del pm per Gianfranco Caligiuri, ex direttore tecnico di Bagnolifutura, sei anni per Gianfranco Mascazzini, ex direttore generale del Ministero dell’Ambiente, cinque anni e mezzo per l’ex vicesindaco di Napoli Sabatino Santangelo, quattro anni e mezzo per Mario Hubler, ex direttore generale della società; 5 anni e 6 mesi per Maria Palumbo, direttore generale del centro campano tecnologia e ambiente; 5 anni per Maria Teresa Anna Celano, dirigente area ambiente della Provincia di Napoli; 5 anni e 8 mesi per Alfonso De Nardo, dirigente Arpac; 5 anni per Giuseppe Pulli, coordinatore del dipartimento ambiente del Comune di Napoli.

Richiesta di assoluzione per un altro ex vicesindaco di Napoli, Rocco Papa, e per un altro ex direttore generale di Bagnolifutura, Carlo Borgomeo e per tecnici e responsabili di laboratorio finiti sotto processo, come Daniela Cavaliere, Gaetano Cortellessa, Federica Caligiuri e Antonio Ambretti. L’accusa, sulla scorta anche di una perizia disposta dal Tribunale, ha contestato agli imputati i reati di truffa e disastro ambientale, dal momento che le aree industriali in questione, un tempo occupate da Italsider ed Eternit, sono risultate pesantemente inquinate. La sentenza è prevista a dicembre.

Le aree in questione – secondo la Procura – non solo non sarebbero mai state sottoposte a interventi di bonifica, ma addirittura sarebbero peggiorate dopo gli interventi attuati, con pesanti ricadute sulla salute dei cittadini. Nella prossima udienza, in programma il 20 ottobre, la parola alle difese. La sentenza e’ attesa tra fine dicembre e l’inizio del prossimo anno. Il Comune di Napoli, rappresentato dall’avvocato Fabio Ferrari, si e’ costituito parte civile: “Sono richieste coerenti con l’impostazione dell’accusa – commenta – e con una requisitoria che ha confermato la presenza del disastro. Da notare che il pm ha richiesto una condanna anche per disastro legato alla colmata. Bene fece il sindaco a ordinare a Fintecna nel 2013 la messa in sicurezza dei luoghi”.

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Giugliano, rabbia e tensione al processo per la morte della piccola Asya

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Momenti di commozione, in aula oggi, nel Tribunale di Napoli Nord, ad Aversa , durante l’udienza del processo per omicidio colposo nei confronti di un medico, Angelo Coronella, pediatra e neonatologo, e della moglie, Ersilia Pignata, che secondo l’accusa avrebbe esercitato la professione di pediatra senza averne i titoli. Al medico e alla moglie viene contestato di non avere diagnosticato in tempo un tumore ad una bambina di tre anni e mezzo, Asya Bosco, poi deceduta, in ospedale, dopo un anno di chemioterapia. A deporre, oggi in aula, e’ stata la mamma della piccola, Maria Ciervo. I genitori della piccola sono assistiti dall’avvocato Marina Sepe.
Si e’ commossa piu’ volte Maria Ciervo, la mamma di Asia Bosco,nel corso del processo. La donna  ascoltata questo pomeriggio nell’aula del tribunale di Napoli Nord presieduta dal giudice Cioffi nell’ambito del processo che vede imputati con l’accusa di omicidio colposo il pediatra Angelo Coronella e sua moglie Ersilia Pignata. La donna, tra le lacrime, ha ripercorso il calvario della bambina presa in cura dal Pedriatic Center di Coronella a Casal di Principe dal 2011 al 2013. Maria Ciervo ha raccontato che aveva portato sua figlia in quel centro a 3 mesi: “mi avevano detto che era il migliore e mi ero fidata – spiega – visite costosissime, attrezzature di ultima generazione”. La madre ritorna di nuovo quando la piccola a meno di dieci mesi non riusciva a tenera la testa dritta e aveva rigurgiti e le fu detto dalla moglie di Coronella, secondo l’accusa priva di titoli medici e maestra di musica, di seguire una terapia e cambiare la posizione della bimba mentre dormiva. Dopo qualche mese la piccola inizia ad avere problemi alle vie urinarie, e la mamma racconta di essersi recata di nuovo nello studio del pediatra e che ancora una volta la piccola malata fu visitata dalla moglie di Coronella che le prescrisse un antibiotico, rassicurandola. Visto che la bambina continuava a peggiorare e ad accusare altri sintomi, “Il 5 settembre 2013 la sentii affannata e la riportai al centro – racconta ancora – quella volta fu Coronella a visitarla. Le fece un’ecografia alla gola, disse che la bambina aveva dei muchi, ma era una massa tumorale, prescrivendo cortisone e antibiotico. Stessa storia si ripeteva qualche giorno dopo quando Asia piangeva disperata e aveva un blocco urinario”.

E’ l’11 settembre 2013 quando Maria Ciervo, spinta dai parenti per il pianto della piccola, porta Asia al pronto soccorso del Santobono di Napoli. Un momento, quello della scoperta da parte dei medici del Santobono del tumore avanzato della piccola, che la donna in aula ha ripercorso con molta fatica. La diagnosi che non lasciava scampo, perche’ il neuroblastoma al quarto stadio che aveva Asia aveva prodotto gia’ metastasi. Le cure e la voglia di vivere della bimba non sono bastate, e’ morta dopo un anno. “Mia figlia e’ stata uccisa e voglio giustizia”, ha ripetuto piu’ volte la mamma della bimba che ha ricordato con rabbia anche il fatto di essere stata rimproverata da Coronella e la moglie. “‘Lei e’ troppo ansiosa, signora’, mi dicevano”, ricorda. Questa mattina, prima dell’udienza, i genitori di Asia, assistiti dall’avvocato Marina Sepe e dalla consulente Antonella Formicola, insieme a quelli di Patrizia, un’altra bambina morta in circostanze analoghe due anni prima e che vede lo stesso pediatra e la moglie imputati in un altro processo parallelo, hanno organizzato un sit n davanti al tribunale di Napoli Nord chiedendo la sospensione dell’attivita’ da parte del pediatra che ancora esercita. Per Coronella e la moglie il gip dispose gli arresti domiciliari il 18 giugno 2016 dopo indagini sulla morte di Asia. Lo studio medico di Casal di Principe era stato gia’ posto sotto sequestro durante la precedente indagine per la morte di Patrizia, ma nonostante cio’ avrebbero violato i sigilli ed e’ li che i due coniugi avrebbero visitato Asia. La prossima udienza si terra’ il 19 gennaio 2018, e in aula ci saranno i consulenti.

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Il boss riceveva l’amante in carcere pagando 700 euro a settimana a due secondini corrotti

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“Il boss incontrava la sua amante in carcere, perché era riuscito a corrompere due guardie carcerarie.Uno dei secondini raccontava di incassare 6-700 euro a settimana e un regalo extra da mille euro una tantum, così concedeva anche incontri con l’amante al boss detenuto”. E’ la testimonianza chiave al processo stralcio a carico del boss Antonio Inserra detto tonino ‘o guerriero del clan Cesarano. E’ stato il maggiore Andrea Minella, nel 2009 a capo del Norm della compagnia di Castellammare, a racconta tutti i dettagli dell’inchiesta nata dalle investigazioni sulle estorsioni ai commercianti del mercato dei fiori tra Castellammare e  Pompei e con il blitz Easy mail portò in carcere tutti i vertici della cosca di Ponte Persica.

Dall’inchiesta era emerso che il boss riusciva a comunicare con l’esterno grazie a pizzini, imbasciate e soprattutto telefonini cellulari che nascondeva in cella. E poi, incontrava la sua amante, l’infermiera Anna Di Donna. Tutto era partito dall’omicidio di Carmine D’Antuono, avvenuto a Gragnano il 28 ottobre 2008: nelle tasche della vittima fu trovato un biglietto che lo avvertiva di stare attento, un pizzino che era partito dal carcere ed era stato scritto da Antonio Inserra.

Ha raccontato il maggiore Minella: “Per gli incontri hot con la sua amante, Inserra pagava 700 euro a settimana a Cipollaro mentre la donna riceveva spesso regali dal clan. In un’occasione, il nipote di Inserra le consegnò un mazzo di fiori e un sacchetto con mille euro in contanti all’interno. Il boss aveva a disposizione un cellulare in cella. Lo scoprimmo perché parlava di schede telefoniche e ricariche durante i colloqui con i familiari che andavano a trovarlo in carcere, ai quali chiedeva anche se Annalisa faceva le ricariche. Inserra impartiva ordini, voleva partecipare al conteggio dei soldi delle estorsioni praticamente in diretta, parlava con i suoi affiliati, ma fu difficile recuperare il numero di telefono da intercettare. La scheda era intestata ad un cittadino indiano e il numero fu dettato da Francesco Inserra, il nipote di Antonio o guerriero. Era al telefono con un amico, parlava di fatti personali, ma senza staccare la telefonata entrò in tabaccheria e dettò il numero di telefono a cui fare una ricarica”. Fu quella la svolta dell’indagine che portò poi al blitz dell’ottobre 2013 con 18 arresti. Di recente sono diventate definitive le condanne a 120 anni di carcere per tutti gli imputati. Antonio Inserra ‘o guerriero ha incassato 12 anni di carcere.

(nella foto Antonio Inserra ‘o guerriero)

 

 

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Camorra, Amoruso e Dragonetti puniti perché volevano prendere il posto di Tonino ‘ cuozzo

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Ci sarebbe la rottura degli equilibri malavitosi nel Borgo Sant’Antonio Abate dietro il duplice omicidio del ras Eduardo Amoroso e del cognato Salvatore Dragonetti avvenuto il 5 settembre scorso nel Buvero di Sant’Antonio. I due, insieme con un manipolo di affiliati, stavano cercando di crearsi uno spazio autonomo nel mondo delle estorsioni ai bancarellari del Buvero e mettendo in piedi anche una piazza autonomo di spaccio. Dopo la morte, avvenuta per cause naturali del ras della zona Antonio Grasso ‘o cuozzo, i due erano entrati in contrasto proprio con il gruppo di Tonino ‘o cuozzo uomo del vertice del clan Contini e che secondo il pentito Carmine Esposito, era uno “che decide, che mette i prezzi sulla droga e sulle quote che devono pagare gli spacciatori. Distribuisce le mesate, dubito che faccia le estorsioni di persona: raggiunto un certo livello questa gente non fa più direttamente ma manda gli altri o si fa portare le vittime davanti sé. Fa le scorribande con gli altri giovani delinquenti con i motorini per andare a picchiare la gente con le mazze”. E gli inquirenti ritengono che siano stati proprio gli uomini del gruppo che può contare su altri personaggi di spicco come Gennaro Esposito ‘ a tacchinella, Vincenzo Tolomelli, Alfredo De Feo (uscito dal carcere di recente e zio del pentito Vincenzo morto in carcere a causa di un male incurabile) e Antonio Muscerino detto tonino ‘ biondo. Gli investigatori a un mese dal duplice omicidio ora stanno cercando i riscontri oggettivi per dare peso alle informative inviate alla Dda in cui ci sarebbero i nomi dei sospetti e dello scenario in cui è maturato l’agguato. C’è grande attenzione ma anche grande preoccupazione perché di recente oltre a De Feo sono usciti dal carcere personaggi del calibro di Nicola Rullo ‘ o nfamone, Ciro Contini (ai domiciliari) il nipote del super boss Eduardo ‘ o romano, Carmine Botta ma anche gli alleati Maria Licciardi della Masseria Cardone di Secondigliano e il marito James Teghemie detto “Tartufon”.

 

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Camorra, anche un omicidio di ‘corna’ tra quelli della faida di Scampia. IL RACCONTO DEL PENTITO

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C’è anche un omicidio passionale,  anzi per meglio dire di “corna”che rientra in quella della prima faida di Scampia e raccontati ai magistrati della Dda di Napoli dal pentito Pasquale Riccio nel famoso verbale del 18 maggio 2015 in cui ha parlato di ben 38 omicidi. Quello a sfondo passionale è quello di Massimo Mele detto pappagnella e avvenuto la notte del
7 ottobre del 2003 a Secondigliano in via Limitone di Arzano.Ha raccontato Riccio: “L’autore è Vincenzo, ragazzo poi ucciso a Benevento , (Vincenzo De Gennaro, massacrato a Benevento nel 2005 ndr)il movente è una questione di corna, come sa chiunque a Secondigliano. Mele aveva una relazione con la moglie di questo Vincenzo, a nome…omissis… Vincenzo, che al’epoca lavorava con Gennaro Marino o mekkei cominciò a  lamentarsi. So per certo che Gaetano Marino stava in macchina con Vincenzo, armato, quando Mele venne ucciso. Il che mi fa pensare che Gennaro Marino avesse autorizzato il Vincenzo ad uccidere il Mele, con il quale peraltro aveva spesso discussioni e quindi se lo levava da torno. Mele all’epoca era il cognato di Gaetano Marino stesso. Queste vicende mi sono state raccontate da Giovanni Moccia, ne parlarono anche  Cesare Pagano e Vincenzo Notturno, che volevano vendicarsi della morte di papagnella, che era un loro compagno…”

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Camorra: il pentito Dello Iacolo fa tutti i nomi degli affiliati ai clan di Pianura. I VERBALI

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Sta fornendo agli investigatori tutti i nomi degli affiliati alle due cosche familiari di Pianura in guerra da anni ovvero i Pesce-Marfella-Foglia e i Mele-Romano. E’ l’unico dei quattro nuovi pentiti dei clan in grado di fornire particolari sui due schieramenti criminali avendo militato in entrambi come fornitore di droga. Nell’interrogatorio del 14 settembre scorso Raffaele Dello Iacolo detto “Toc-Toc”  ha delineato l’organigramma, dei due clan, come riportato da Il Roma, fornendo nomi, ruoli e competenze.

“Antonio Bellofiore detto “Brillantino” è un affiliato al clan Marfella-Pesce, nell’ultimo periodo comandato da Alfredo Foglia e da Vincenzo Foglia. Non credo abbia commesso fatti gravi, partecipa ad azioni armate tipo spari nelle finestre. Secondo quanto lui stesso mi ha raccontato, ha fatto la “filata” in occasione dell’omicidio di (omissis). Lorenzo Carillo è il cognato di Pasquale Pesce. Gestisce una piazza di spaccio di cocaina, crack ed erba in via Cannavino. La piazza è riferibile a Carillo e a Pesce. Che io sappia non è affiliato al clan. Francesco Ceci è un altro affiliato al clan Marfella-Pesce. Nel periodo del contrasto con i Mele-Romano girava anche lui armato. Per un periodo ha gestito la piazza di spaccio insieme a Lorenzo Carillo in via Cannavino e poi, dopo un contrasto, ha aperto una nuova piazza di cocaina nel luogo in cui abita. Rosario D’Angelo è un altro affiliato al clan Marfella-Pesce-Foglia. Faceva parte del gruppo armato nell’ultimo periodo. Si è affiliato dopo l’arresto di Pasquale Pesce e Salvatore Marfella, avvenuto, se non erro, nel luglio 2015. Alfredo Foglia è affiliato ai Marfella-Pesce. Dopo l’arresto di Pasquale Pesce e Salvatore Marfella, lui e il padre Vincenzo sono diventati i reggenti del clan. Vincenzo Foglia è un affiliato al clan Marfella-Pesce. Insieme al figlio Alfredo decise l’omicidio di…omissis… Conosco Salvatore Luongo. Non è un affiliato: è il suocero di Salvatore Marfella. Quest’ultimo è il reggente del clan Mar-ella-Pesce insieme al cugino Pasquale Pesce. Ha anche la gestione della piazza di cocaina venduta nel mio bunker. Preciso che presso il mio bunker è organizzata la vendita di fumo ed erba e ha minori ricavi; la gestione della vendita della cocaina appartiene a Salvatore Marfella…”

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Camorra, il pentito: ”Cosimo Di Lauro sfidò i Licciardi: è stato mio fratello e li cacciò fuori”

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E’ stato il primo omicidio che ha aperto le ostilità a Scampia. E’ quello di Domenico Fulchignoni legato al clan Licciardi della Masseria Cardone e commesso da uno dei figli del boss Paolo Di Lauro. Lo ha raccontato nei dettagli il pentito Pasquale Riccio. Quell’omicidio segnò il primo segnale di rottura all’interno delle famiglie malavitose di Secondigliano e Scampia che gravitavano sotto l’egida di “Ciruzzo ‘o milionario”. Un segnale, un primo segnale per tutti. Era l’estate del 2003 e all’inizio dell’anno seguente scoppiò nella sua crudeltà la prima faida di Scampia.

Ha raccontato il pentito Pasquale Riccio: “So che l’autore è Nunzio Di Lauro, per come ho saputo da affiliati degli Amato-Pagano, quali Vincenzo Notturno, nel corso del tempo trascorso a Gricignano per come ho riferito prima Notturno e Cesare Pagano raccontavano di un incontro tra Cosimo Di Lauro e Salomone, padre della fidanzata della vittima. Salomone che era un esponente dei Licciardi, e si disse che a Salomone, che voleva soddisfazione, Cosimo Di Lauro disse : è stato mio fratello, sta qui sotto, se lo vuoi uccidere, uccidilo. E poi lo mise alla porta”.

 Antonio Esposito

@riproduzione riservata

(nella foto Cosimo e Nunzio di Lauro)

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Camorra, il pentito: ”Marfella era pronto a uccidere al minimo sospetto”

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La guerra di camorra tra i Pesce-Marfella-Foglia da una parte e i Mele-Romano dall’altra che ha insanguinato le strade di Pianura negli ultimi anni stava per fare anche un’altra vittima innocente. E’ stato solo un caso che ciò non è accaduto. Lo ha raccontato alla Dda, il pentito Raffaele Dello Iacolo che ha ricordato come Salvatore Marfella si convinse che un cugino incensurato, ed estraneo alla malavita, di Salvatore Romano detto “Muoll muoll” potesse fare una “filata” ai suoi danni. E così, secondo Raffaele Dello Iacolo, voleva gambizzarlo. ecco il suo racconto, come riportato da Il Roma:
“Ricordo un altro episodio a proposito di Salvatore Marfella. Siccome stava tutti i giorni a casa mia, temeva che un ragazzo a nome Nicola Gaudino, che frequentava il mio parco perché fidanzato con una ragazza che vi abitava, potesse fare una filata al cugino, ossia Salvatore Romano detto “Muoll muoll”, per favorire un agguato ai suoi danni. Una domenica sera, se non erro, Salvatore Marfella mi disse di prendere il motorino e andare con lui. La sua intenzione era di gambizzare Gaudino. Per questa ragione ci recammo al bar di fronte al commissariato di Pianura e Salvatore Marfella entrò con un casco integrale nero con visiera dello stesso colore, armato di pistola calibro 45 cromata. Ma non trovò Gaudino”.
Raffaele Dello Iacolo, poi rispondendo a due precise domande del pubblico ministero della Dda, ha parlato anche del boss detenuto Giuseppe Marfella (soprannominato “Peppe ’o percuoco” o “Peppe ’a maddalena”) e di Mario Marfella. “Non ho mai avuto rapporti con Giuseppe Marfella, essendo egli in carcere sin da quando io ero piccolo. Parlando con Salvatore e Mario, ho appreso che il padre Giuseppe mandava consigli su come si doveva muovere Salvatore perché inesperto. Conosco Mario Marfella. Per quanto ne so, non è affiliato al clan
Marfella. Però, siccome porta il cognome Marfella e tutti a Pianura lo conoscono, può rifornire chiunque si cocaina, erba e fumo. Inoltre fornisce anche sigarette di contrabbando”.

(nella foto il boss Giuseppe Marfella e i figli Salvatore e Mario)

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Camorra, il pentito: ”Cercai di fermare Nocera, ma lui uccise Arciello e dovetti scappare anche io”

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Tra i tanti spunti investigativi e notizie sui numerosi omicidi della prima faida di Scampia, il pentito Pasquale Riccio ha svelato agli inquirenti anche gli inediti retroscena dell’omicidio di Vincenzo Arciello, noto come omicidio del Bar Zelinda, avvenuto il 6 agosto 2004 a Secondigliano, in via Monterosa.Ha raccontato Riccio:
“L’autore di questo omicidio è stato Mariano Nocera, per un debito di droga; Arciello era un venditore di droga a privato, che tra l’altro faceva anche l’assicuratore. Arciello a pagamento della droga, cento o duecento grammi di cocaina, consegnò a Nocera assegni ricettati, Nocera ne diede uno a Salvatore Nuvoletta, ora morto, e fece una brutta figura. Mariano Nocera, puntiglioso, se ne ebbe a male, e chiese un incontro ad Arciello per riavere la droga e di farla avere a bruno Perrella, sotto il Motel Agip.
Perrella e Nocera in quel momento lavoravano insieme, a passaggi di mano, Mariano Nocera essendo un affiliato agli Abbinanate. Perrella chiamò il Nocera che giunse al Motel Agip insieme a me e gli disse che la droga avuta da Arciello non era la stessa che gli aveva consegnato prima. Nodera Mariano si infuriò e chiamò l’ Arciello, dandogli appuntamento al Bar Zelinda; io gli suggerii di dargli una lezione, ma non oltre, conoscendo il carattere impulsivo del Nocera. Più tardi, mentre mi trovavo davanti al Bar San Paolo, distante due – trecento metri dal Bar Zelinda, vedo passare a bordo di un Liberty il Nocera, da solo, con un casco con la mentoniera alzata, e mi impressionai. Presi un SH e lo seguii. Nocera stava davanti al Bar Zelinda e lo chiamai, dicendogli Maria’ vedi che ora che viene questo dagli un paio di schiaffi e basta ed ancora: mica sei armato e lui disse di no. Arrivò Arciello a bordo di una Peugeot 206 grigia, scesa dall’auto ed io mi avvicinai al ragazzo, volevo dargli qualche sberla anch’io quando vedo Mariano Nocera mettere la mano nella cintola ed estrarre una pistola, una semiautomatica, una 7, 65 ed io gli dissi: scemo ma che stai combinando? Arciello se ne stava scappando e Nocera alzò la pistola ad altezza del capo e da una distanza di circa un metro gli esplose uno, due o tre colpi, ed io scappai. Lo stesso Nocera, che si riservò e disse di avere subito anche un agguato dietro al Clinica Santa Patrizia, mi disse di essersi impossessato del telefonino dell’ Arciello, sul quale vi erano le ultime chiamate che il Nocera gli aveva fatto. Quindi un omicidio ideato e commesso da Nocera Mariano, che commise un altro omicidio, ai daru1i di una persona di Fuorigrotta, un certo Armando ‘o Barbone o con una grande barba, amico di Paolo Gervasio, a bordo di una Volvo, sempre per una questione di droga. La moglie di Mariano Nocera dell’epoca, …omissis.., è ora la convivente di Antonio Zaccaro, ‘o comparone…”.

Antonio Esposito

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Camorra, il pentito: “Il boss aveva dato ordine dal carcere di uccidere tutta la famiglia Dello Iacolo”

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“Salvatore Marfella comanda la paranza dei più giovani, mentre Pasquale Pesce i meno giovani”, E’ il ras di Pianura, il pentito Salvatore Romano, detto “muoll-muoll” scampato miracolosamente alla morte per ben tre volte e ultimo reggente in ordine di tempo del clan Mele a chiarire agli investigatori i ruoli all’internodel suo clan ma anche in quello della fazione contrapposta: quella dei Pesce-Marfella-Foglia. Una storia di una faida familiare viste le parentele tra i Marfella, e Foglie e i Mele. “Giuseppe Mele consegnava pizzini nelle buste di patatine, quando era detenuto. Era un modo per trasferire all’esterno gli ordini, usando i colloquianti, consegnando loro delle buste di patatine che dovevano sgranocchiare per finta, nelle quali venivano inseriti pizzini su aspetti cruciali della vita di una organizzazione camorristica…In una lettera c’era l’ordine di annientare tutta la famiglia di Raffaele Dello Iacolo…”.E Anche per questo che lo stesso Raffaele Dello Iacolo detto toc-toc ha deciso di pentirsi a sua volta dopo l’arresto dello scorso anno.

 

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