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Camorra, è finita nelle Marche la latitanza di Salvatore Esposito

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E’ terminata nelle Marche la latitanza di Salvatore Esposito, ricercato da tre mesi in seguito a una condanna per camorra e ritenuto affiliato al clan Di Lauro di Secondigliano. I carabinieri lo hanno arrestato a Grottammare, in provincia di Ascoli Piceno, il 40enne latitante, esponente del clan Di Lauro . L’uomo, che si trovava in zona per motivi ancora al vaglio degli investigatori,era ricercato da tre mesi,in quanto colpito da un ordine di carcerazione emesso dall’Autorità Giudiziaria di Napoli, poiché condannato a scontare la pena di quattro anni e quattro mesi di reclusione per il
reato previsto e punito dall’articolo 416 bis (associazione di tipo mafioso) del codice
penale. L’arrestato, per la sua appartenenza alla camorra, è stato subito rinchiuso nel carcere di Fermo. Il 40enne Salvatore Esposito era considerato uno dei latitanti più pericolosi d’Italia. In passato, seppur con incarichi “minori”, prese parte ad alcuni delitti e, almeno in un caso, anche a un fatto di sangue.

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Fughe di notizie e competenza ad indagare: giorni decisivi al Csm e alla Procura di Roma per il caso Consip

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Giornate importanti per il caso Consip che ha aperto un vero e proprio scontro istituzionale. Il Csm domani tornerà sulla vicenda, mentre il procuratore di Roma Giuseppe Pignatone farà un vertice con gli aggiunti Paolo Ielo e Mario Palazzi, titolari del fascicolo, per valutare le dichiarazioni del Procuratore di Modena Lucia Musti fatte al Consiglio superiore della magistratura. Le polemiche dopo la pubblicazione dei verbali del magistrato al Csm non sono mancate.

Il Csm, domani mattina, ha convocato gli aggiunti della Procura di Napoli, Alfonso D’avino e Giuseppe Borrelli, nell’ambito del procedimento per incompatibilità ambientale nei confronti di John Woodcock. Le contestazioni riguardano, in particolare, la competenza ad indagare da parte della Dda, di cui il magistrato che ha avviato le indagini su Cpl-Concordia e Consip fa parte. Sulla competenza ad indagare si era espresso in modo molto critico il Pg di Napoli Luigi Riello che ha poi chiamato in causa il collega D’Avino che dovrebbe fare chiarezza sulla vicenda.

Riello avrebbe sostenuto, secondo quanto anticipato oggi il Corriere della Sera, che D’Avino fece una nota in cui era palese il disaccordo con i metodi di Woodcock. “Ci si trova di fronte ad una patologia – diceva la nota – peraltro grave, che riguarda i reati contro la pubblica amministrazione costantemente ricercati per mesi ed anzi anni, sistematicamente, al di fuori della propria competenza e delle regole interne all’ufficio”. Sempre a luglio è stato sentito l’aggiunto Nunzio Fagliasso. Il magistrato ha raccontato al Csm che le intercettazioni nei confronti del padre di Renzi, Tiziano, disposte dal decreto nel novembre 2016, furono ritardate dalla procura per ragioni di opportunità visto che di lì a qualche settimana ci sarebbe stato il referendum costituzionale e, dunque, quella poteva essere una linea calda quanto a conversazioni di natura politica. A disporre il rinvio fu lo stesso Woodcock. La richiesta fu inviata l’8 novembre, il Gip diede l’ok il 17 novembre ma il via alle intercettazioni venne dato il 5 dicembre, il giorno dopo il referendum.

Intanto, domani ci sarà un nuovo vertice a Piazzale Clodio per valutare le dichiarazioni del procuratore Lucia Musti nei confronti del Colonnello dei carabinieri Sergio De Caprio, il Cpitano Ultimo, e il maggiore Gianpaolo Scafarto, mentre arriva la presa di posizione del colonnello De Caprio che tramite il suo avvocato Francesco Romito, dice basta “alle gravissime accuse infondate mosse nei miei confronti” sulla vicenda Consip e si dice pronto ad un confronto pubblico per poter “esercitare i diritti di difesa e di informazione al cittadino”. Con un unico obiettivo: dissipare, dice ancora Ultimo, ogni dubbio rispetto a “paventate minacce alle Istituzioni ed altre azioni eversive” cui hanno fatto riferimento “diversi parlamentari”, “il presidente del Pd, il ministro della Difesa e infine il premier”. Il procuratore Giuseppe Pignatone incontrerà dunque domani mattina l’aggiunto Paolo Ielo e il pm Mario Palazzi, titolari del fascicolo Consip: sul tavolo le carte inviate dal Csm e contenenti anche il verbale di audizione del procuratore di Modena Lucia Musti sui casi Consip e Cpl Concordia nel quale il magistrato definisce il maggiore Giampaolo Scafarto, già indagato dalla procura per rivelazione del segreto d’ufficio e falso, e il capitano Ultimo, il colonnello Sergio De Caprio, all’epoca dei fatti comandante del Noe, due “esagitati”, “spregiudicati”, come “presi da un delirio di onnipotenza”. In quell’audizione, il 17 luglio, a Musti, come ai dirigenti degli uffici giudiziari di Napoli, il Csm chiede chiarimenti sulla trasmissione dalla Campania all’Emilia, per competenza territoriale (siamo nell’aprile 2015), del fascicolo sul caso Cpl-Concordia, al centro di una famosa fuga di notizie: quella sulla telefonata tra Renzi e il generale della Gdf Michele Adinolfi. Solo dopo aver visionato l’intero carteggio arrivato dal Csm, Pignatone e gli altri magistrati decideranno se inserirlo nel fascicolo relativo alla vicenda della centrale di acquisti della pubblica amministrazione o aprire un fascicolo apposito.

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Un ex pentito della mafia pugliese: ”Noi carne da macello, abbandonati dallo Stato”

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Il suicidio nel carcere di Sulmona di un giovane pentito pugliese ha riacceso i fari sulla questione dei pentiti ma anche di coloro che escono dal programma di protezione dopo aver collaborato con lo Stato. Con una lettera inviata alla nostra redazione l’ex pentito della mafia foggiana Antonio Niro segnala delle situazioni che riguardano pentiti della camorra campana. Scrive Niro: “Sono regolarmente fuori,  uscito dal programma e ho creato una Associazione Collaboratori di Giustizia Online per poter aiutare chi dopo programma voglia reinserirsi nel mondo del lavoro e poterli indirizzare come fare, tenendo conto che non dovranno mai riferire le loro identità anche fuori programma per una sicurezza entrambi.

Da alcuni giorni sono contattato da alcuni collaboratori di giustizia campani a cui (a loro dire) vengono revocati i programmi di protezione  senza motivo valido  avendo dato buoni risultati e non avendo commesso reati durante tale periodo.

Visto che io vivo il mio caso vedi(Il pentito abbandonato dallo stato) e so cosa significa visto che poi le nostre  generalità vengono divulgate da chi chi dovrebbe tutelarci mettendoci siamo in serio pericolo di vita. Per quanto mi guarda nonostante tutte le denunce fatte alla Procura e alla DDA di residenza attuale, la Commissione Centrale di Protezione presso il Servizio Centrale di Protezione del Ministero degli Interni sostiene che da accertamenti fatti dalla Squadra mobile di Foggia noi non siamo in pericolo di vita. Anche se tutto e successo a 1200 Km lontano da Foggia . Allora ascoltando queste storie da questi personaggi di cui non conosco ne  generalità e ne località ci stavamo preoccupando di un Sistema che non funziona più, anche se è vero che alcuni o tantissimi collaboratori e famigliari abbiano preso il programma di protezione come fonte di sostegno ma questo non sta a me a giudicarlo.

Voglio solo comunicare pubblicamente che se il verso della Collaborazione dovrebbe avere questi effetti sappiano Magistratura e Servizio centrale di protezione che questa gente ha fatto delle dichiarazioni credo valide ai fini processuali.

Se ci lasciano cosi senza un briciolo di sicurezza e di sostegno a poter finire la propria collaborazione siamo solo carne da macello e credo che lo Stato non voglia questo. Lo spero.

Alcuni di loro si stanno aggrappando ad fantomatiche associazioni antimafia. Ma non credo possano  fare niente.

A malincuore suggerisco di non collaborare con la giustizia perché ci condanneremo a morte da soli. Spero solo che qualche alto Magistrato della DNA voglia vagliare per bene queste cose anche se non credo che gli interessi visto che i miei 16.223 sostenitori di change.org   hanno scritto con le loro email per scongiurare il peggio senza avere risposta come possiamo avere più fiducia di uno stato cosi?”.

Ringrazio la Redazione di Cronache della Campania per lo spazio utile e umanitario datoci grazie. A.N.

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Abusi sessuali su una paziente camuffati da sedute di medicina alternativa: medico condannato a 5 anni di carcere

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Praticava dei veri e propri abusi sessuali camuffandoli con pseudo “sedute mediche e di psicoterapia”. A distanza di tre anni è stato condannato a cinque anni e sei mesi un medico di 66 anni L.C. di Ogliastro Cilento accusato di abusi sessuali. A portarlo in Tribunale è stato una giovane donna che oggi ha 25 anni. I fatti risalgono al 2014. La vittima residente a Milano era in vacanza nel Cilento a casa di parenti e si rivolse al medico molto noto nel Cilento per risolvere problemi ai reni e al colon. Ma in nome della medicina alternativa, secondo quanto ricostruito dall’inchiesta che ha portato alla condanna del medico, la donna fu costretta a subire dei veri abusi sessuali. Sarebbe infatti stata costretta a sdraiarsi, in biancheria intima, a terra su un materassino: all’interno di quello studio, con musica rilassante in sottofondo e luci basse con il  medico che, a torso nudo, si stendeva al fianco della ragazza palpeggiandola e leccandola per tutta la durata della pseudo terapia nelle parti intime. In una delle sedute la giovane avrebbe accusato anche un malore e il medico per farla riprendere, l’avrebbe palpeggiata in maniera più insistente. Il professionista in aula ha contestato le accuse spiegando che si trattava solo di test bioenergetici volti a valutare i flussi energetici della paziente. Quella terapia sarebbe cioè servita ad allineare i sette chakra, i centri di energia presenti secondo alcune filosofie orientali nel corpo umano, e a riequilibrare lo yin. Ma i giudici non gli hanno creduto e lo hanno condannato.

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Torre Annunziata, pizzo per i nuovi Gionta: il Riesame ne scarcera solo due

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Torre Annunziata. Tornano in libertà alcuni dei 12 arrestati dai carabinieri due settimane fa perché accusati di essere i nuovi “signori del pizzo” per conto del clan Gionta in città. Il tribunale del Riesame infatti  dopo Salvatore Ferraro ‘o capitano (difeso dall’avvocato Elio D’Aquino), già scarcerato per motivi di salute, e per il quale è stata confermata la misura degli arresti domiciliari; ha rimesso in libertà anche Raffaele Abbellito (difeso dall’avvocato Ciro Ottobre) e Catello Nappo (difeso dall’avvocato Giovanni Tortora), 24enne fratello minore di Ciro “capa e auciello”, ritenuto l’ultimo reggente del clan Gionta e arrestato da latitante un anno fa. Annullata l’ordinanza su alcuni capi d’imputazione per Oreste Palmieri, Leonardo Amoruso e proprio Ciro Nappo (già detenuto per altro), ma restano tutti in carcere, insieme agli attuali presunti capi ovvero Luigi Della Grotta e Vincenzo Amoruso.

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Camorra, assolti i fratelli Attanasio e in aula scoppia ‘la festa’

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Sono stati assolti dopo cinque anni di processo e dopo una condanna all’ergastolo in primo grado annullata con rinvio dalla Cassazione e nell’aula del Tribunale scoppia la festa dei familiari. Si tratta di Giuseppe Attanasio, (difeso dagli avvocati Antonio Abet e Leopoldo Perone) e il fratello Andrea Attanasio (difeso da Salvatore Impradice e Mauro Valentin). Entrambi nipoti del boss di San Giovanni a Teduccio e cognati del boss di san Giorgio a Cremano, Vincenzo Troia. I due fratelli erano accusati di essere gli autori dell’omicidio di Agostino Ascione ucciso il 10 gennaio del 2009. Accusati dal pentito Giovanni Gallo, che aveva riferito agli investigatori di aver aver da “specchiettista” per i due fratelli il giorno dell’omicidio. Ma la difesa dei due imputati, con una lunghissima battaglia in aula è riuscita a dimostrare e convicenre la Corte che il pentito è credibile solo quando accusa se stesso. Gallo aveva raccontato agli investigatori che Ascione sarebbe stato ucciso, da Andrea Attanasio su indicazione del fratello Giuseppe Attanasio per una fatto di famiglia. Per liti sorti con alcuni camorristi di San Giovanni a Teduccio. I due fratelli Attanasio sono imparentati da parte di madre con i più potenti Formicola di Taverna del Ferro. Secondo Gallo sarebbe stato lo stesso gallo a raccontargli tutti i dettagli dell’omicidio. la difesa dei due fratelli ha smontato il racconto del pentito, anni di indagini con intercettazioni, appostamenti e interrogatori. E ora comincia la ricerca di killer e mandati.

 

(nella foto Giuseppe Attanasio)

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Camorra, il clan Sibillo dietro omicidio del figlio del boss del rione Sanità. LE INTERCETTAZIONI

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Ci sono due spunti investigativi nuovi per l’omicidio di Ciro Esposito ‘o spagnuolo rampollo del clan Esposito-Genidoni-Spina meglio noti come i “barbudos” del rione sanità e che portano entrambi al clan Sibillo. Li hanno forniti agli investigatori, che stanno cercando i riscontri, gli amici di Genny Cesarano, il 17enne vittima innocente della camorra ucciso in piazza San Vincenzo  la notte del 6 settembre 2015 da una stesa di camorra ordinata dal clan lo Russo contro i “barbudos”. Intercettati nel corso delle indagini sull’omicidio di Genny i ragazzi parlano a ruota libera dei fatti di camorra del rione Sanità e dei personaggi coinvolti.  Ciro esposito ‘o spagnuolo, figlio del boss del rione Sanità, Pierino Esposito e Addolorata Spina fu ucciso la sera del 7 gennaio del 2015. Quell’omicidio segnò l’inizio della guerra di camorra  che da allora ha lasciato sul selciato una dozzina di morti e tantissimi feriti coinvolgendo i clan Vastarella, Lo Russo, i “barbudos”, i Mallo e i Sequino. Tra i colloqui  intercettati tra gli amici di Genny Cesarano, contenuti nell’ordinanza di custodia cautelare firmata dal gip Francesca Ferri contro gli assassini del giovani innocente,  c’è quello della notte del 29 settembre 2015 durante i quali Antonio, Mattia, Giuseppe e Davide parlano e scherzando raccontano dell’episodio della discoteca e del fatto che o nannone  (Antonio Napoletano recentemente posto ai domiciliari dopo due anni di carcere ndr) si è preso il loro tavolo, cacciandoli dalla discoteca. Uno dei presenti dice che lui capì subito che era una brutta serata.

Qualcuno chiede se o nannone ha la borsetta (drenaggio) e Antonio gli risponde che non l’ha perchè quando lui l’ha visto non aveva niente. Parlano del ferimento del nannone e del fatto che è duro a morire.Antonio dice che o nannone è un morto che nessuno lo paga (nessuno va in galera) e che anche la Polizia lo vuole vedere morto. Continua dicendo che ha ucciso solo bravi ragazzi. Qualcun altro di ce che Emanuele Sibillo non ha mai ucciso nessuno. E’ solo un mandante.

Uomo:              io so il fatto del figlio di Pierino… (omicidio Ciro Esposito) … fu lui…lui…Emanuele ed un altro….scesero.

Altro:                ma quando mai….non ci stava proprio questo Emanuele….

uomo:               ah…non ci stava lui…stava…lui e poi..altri due ragazzi…io so..di 15/16 anni…incomp…

Antonio:            va bene tu lo sai bene proprio

 Dicono che non si sa una verità e che le persone dicono le stronzate.

Un presente:       però l’ha sparato con la pistola…incomp…

Antonio:            a volto scoperto…eh

Un presente:                   il figlio di puttana…andò sotto e sotto…andò fino e….fino a Napoli…a sparare…gli diede due…tre botte nelle gambe…poi dopo andò vicino e lo sparò….pure in testa…

Poi dicono che Pierino sta dormendo a piedi del letto e che rompe il cazzo a loro e basta che si fa… Parlano degli atteggiamenti di Pierino che a loro dire sono poco seri. Litiga per delle sciocchezze con brave persone.

Uno dei presenti dice:

uomo:               al posto di pensare i cazzi più importanti…che questo nannone se ne va a ballare…e ha ucciso il figlio

uomo1: ma quello sai cos’è…che quello si mette paura di farsi la galera….

Qualcuno dice che deve uscire il fratello di Ciro. Ed Antonio continua dicendo che se esce Antonio (GENIDONI) se la vede lui.

Si chiedono se o nannone è latitante ed Antonio gli risponde di no. Poi uno dei presenti dice che quello che era presente in discoteca era il fratello di Emanuele Sibillo. A ciò tutti i presenti rispondono che non è vero.

Fanno commenti sulla latitanza di Lino Sibillo.

Uomo:   o guagliù…lo sapete chi si faceva la cartella se non lo arrestavano?…Pasquale Pica…Pasquale se la faceva la cartella

Uno dei presenti dice di no.

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Imprenditore salernitano morto per un trapianto di organi infetti: 18 medici indagati

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Anestesisti, radiologi, oncologi, neurologi e chirurghi. Diciotto in tutto i medici specialisti indagati dalla Procura di Mantova per la morte di tre persone uccise da tumore, dopo essere state sottoposte a un trapianto di organi, espiantati a un donatore suicida. Espianto che fu eseguito all’ospedale Carlo Poma di Mantova. Dalle indagini è emerso che gli organi prelevati a Mantova e destinati ai tre riceventi fossero tutti già malati (sono stati prelevati da un suicida) e che quindi non siano state eseguite le opportune verifiche, come ad esempio le biopsie che potevano rivelare la presenza di cellule malate nel pancreas e nei due reni.Il gip Matteo Grimaldi ha riaperto le indagini sul decesso di Giuseppe Pellegrino, il 63enne di Vallo della Lucania e su altri due morti uccisi da tumore, affidandole ad un nuovo sostituto procuratore, dovrà valutare la richiesta d’incidente probatorio avanzata dal pm inquirente. L’incidente si terrà alla presenza di vari consulenti ed esperti nominati dalla Procura mantovana, nei confronti dei 18 sanitari tra medici e infermieri, per accertare ulteriori responsabilità.

Tutti e diciotto sono accusati di presunto omicidio colposo in concorso. Ecco i loro nomi: Giampaolo Bertoloni, 54 anni, chirurgo, Emanuele Catena, 48 anni, ex primario della Rianimazione di Mantova, Claudio Pognani, 58 anni, anestesista, Luca Bottura, 56 anni, chirurgo, Andrea Smurra, 54 anni, chirurgo, Marianna Lorenzoni, 40 anni, dirigente medico, Francesca Girolami, 40 anni, neurologa, Gabriella Clementi, 46 anni, chirurgo, Daniela Rastelli, 43 anni, dirigente medico, Marco Perani, 53 anni, chirurgo, Carlo Martinelli, 59 anni, radiologo, Cheti Gentili, 58 anni, medico, Maria Tullia De Feo, 57 anni, medico del Coordinamento operativo dei prelievi e dei trapianti, Francesca Marangoni, 53 anni, del Centro prelievi e conservazione organi, Carlo Ferruccio Esposito, 39 anni, oncologo, Gisella Setti, 60 anni, nefrologa, Francesco Colpani, 55 anni, anatomopatologo e infine Claudio Bnà, 49 anni, radiologo.

 

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Agerola, il pizzaiolo non premeditò l’omicidio del suo rivale in amore

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Agerola. Non ci fu premeditazione nell’omicidio del geometra Rino Medaglia ucciso dal pizzaiolo di Agerola, Antonio Acampora suo rivale in amore. Lo aveva detto il Gip nel novembre scorso che dopo l’interrogatorio del pizzaiolo emise un’ordinanza di custodia cautelare in carcere per Acampora e lo ha ripetuto in Tribunale il perito di parte nominato dall’accusa. Acampora è vero che non frenò, ma non accelerò neanche e non cambiò direzione. E quindi secondo il perito, che attraverso i filmati del bar di via Antonio Coppola ad Agerola dove avvenne la tragedia, e allo studio della traiettoria dell’auto guidata dal pizzaiolo, non ci fu premeditazione. Cade quindi l’aggravante di omicidio volontario. Un colpo importante per la difesa che ha chiesto e ottenuto il processo con giudizio abbreviato che prevede lo sconto di pena.

 

Il perito tecnico, l’ingegnere Gennaro Pezzella, incaricato dal pm Mariangela Magariello della Procura di Torre Annunziata, ha ricostruito la dinamica dell’incidente, studiando le immagini. In modo particolare quelle della telecamera che si trova in via Antonio Coppola davan­ti il bar Jeko. Un solo secondo: tra le 8.48 e 4 secondi e le 8.48 e 5 secondi del 25 ottobre costò la vita a Gennaro Medaglia. Dalle immagini si vede spuntare a destra la Golf bianca guidata da Acampora, Medaglia è al centro della strada, il perito ha calcolato che per arrivare lì, dopo avere parcheggiato la sua auto e fatto cenno a un negoziante di volerlo raggiungere, aveva fatto sette passi. Poi l’impatto: Medaglia nean­che si gira, non si è accorto di nulla. Il  suo corpo viene sbalzato in avanti di diversi metri. Il pizzaiolo si fermò dopo alcuni metri. E come ha raccontato agli inquirenti un testimoni esclamò: “Cosa ho combinato!” e poi si allontanò. Medaglia fu portato all’ospedale di Castellammare dopo morì dopo alcune ore. Gli investigatori scoprirono che il pizzaiolo assassino riteneva il geometra Medaglia il responsabile della separazione dalla sua ex moglie poichè i due in passato avevano avuto una relazione.

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Rapporti sessuali con una sua alunna: arrestato professore

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Avrebbe avuto rapporti sessuali con una sua alunna. Per questo i carabinieri di Partinico, in provincia di Palermo, hanno arrestato un 47enne docente presso un istituto superiore del paese. L’indagine, scattata a seguito dell’allontanamento volontario da casa della ragazzina, è stata diretta pool “fasce deboli” della Procura di Palermo. L’insegnante aveva allacciato una relazione sentimentale con la giovane. Un rapporto documentato, oltre che dalle dichiarazioni rese dalla minore, dalle conversazioni intercorse tra lei e l’indagato tramite l’applicazione messanger collegata al social network Facebook dove il docente era attivo con uno pseudonimo. L’arrestato è stato sottoposto ai domiciliari.

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Prestò l’identità al boss Messina Denaro, condannato per traffico di droga con la Campania

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Palermo. E’ stato condannato a 19 anni di reclusione per traffico di droga, l’uomo che era stato accusato di aver prestato la sua identità al boss latitante Matteo Messina Denaro che era andato in giro con i suoi documenti. Matteo Cracolici è stato condannato a 19 anni in abbreviato per traffico di droga. L’accusa in giudizio era sostenuta dalla pm Caterina Malagoli. Oltre a Cracolici erano imputati davanti al gup Guglielmo Nicastro, Francesco Failla 7 anni e 4 mesi, Antonino Marino 7 anni e 10 mesi, i napoletani Giuliano Marano a 13 anni Francesco Greco 14 anni e 4 mesi e Francesco Battinelli 7 anni e 8 mesi. Il processo nasce da una indagine dei carabinieri che, nel 2016, portò alla scoperta di un traffico di droga fra Napoli e Palermo. Nel corso della operazione furono sequestrati 130 chili di hashish, nascosti nel doppiofondo di una macchina. Cugino della moglie di Francesco Nangano, mafioso del quartiere palermitano di Brancaccio assassinato nel 2013, Cracolici sarebbe stato tra i capi dell’organizzazione di narcos. Di lui aveva parlato il collaboratore di giustizia Salvatore Grigoli. Lo aveva indicato come uomo di fiducia del capomafia trapanese che a Bagheria e dintorni ha trascorso una parte della sua latitanza, all’inizio degli anni Novanta. Cracolici aveva denunciato alla stazione dei carabinieri di Brancaccio, nel marzo del 1994, lo smarrimento della carta d’identita’. Pochi mesi dopo Messina Denaro con il documento riuscì a imbarcarsi per la Grecia.

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Camorra, 27 anni di carcere per i quattro Casalesi denunciati da un imprenditore-coraggio

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Il coraggio di un imprenditore che si era rifiutato di pagare il pizzo a quattro pericolosi esponenti del clan dei Casalesi fazione Bidognetti ha fatto arrivare a una condanna a 27 anni anni di carcere. Una pena severa considerato che si trattava di una tentata estorsione e di un processo che si è svolto con il rito abbreviato con lo sconto di pena di un terzo.Il Gip del Tribunale di Napoli Francesca Ferri ha condannato i quattro emissari del clan Bidognetti di Casal di Principe  denunciati per tentata estorsione da un imprenditore edile di Parete, che per il suo rifiuto di pagare il pizzo ha subito anche un attentato dinamitardo.Oggi, nel corso dell’udienza tenutasi con rito abbreviato, l’uomo, un trentenne, si e’ costituito parte civile insieme al Comune di Parete il giudice ha condannato a sette anni di reclusione  Ernesto De Felice, di Villaricca,  Luigi Cilindro, 47 anni e Domenico Gargiulo, 44 anni, entrambi di Parete; per loro il pm della Dda di Napoli Sandro D’Alessio aveva richiesto una pena di otto anni. Il più giovane tra gli imputati, il 23enne Gianni junior Buonocore, di Marano, è stato invece condannato a sei anni di carcere. I quattro non rispondevano dell’attentato subito dall’imprenditore. Il Gip ha disposto anche il risarcimento del danno che sarà quantificato in sede civile e una provvisionale di 10mila euro per gli imputati. I fatti risalgono a poco meno di un anno fa, quando il 30enne imprenditore di Parete, titolare di un’impresa di materiale edile, si trovo’ gli estorsori in azienda. “Devi fare un regalo per i carcerati” gli intimarono i quattro, per poi essere via via piu’ espliciti. “Bidognetti ti vuole parlare”. L’imprenditore si rifiuto’ di pagare e denuncio’ il fatto i carabinieri; intanto il clan piazzo’ una bomba carta al cancello dell’azienda. Il 30enne si rivolse all’amministrazione comunale di Parete e alla locale associazione antiracket, che fa parte della rete che compone la Fai (Federazione associazioni antiracket). Dopo l’attentato, gli emissari del clan sono ritornati, senza sapere che intanto l’imprenditore aveva concordato con i carabinieri il modo per incastrarli; finse infatti di voler trattare per il pagamento della tangente. “Vi do 500 euro” la sua offerta; “ehh, ci compriamo la droga con 500 euro”, la risposta quasi offesa. Probabilmente sarebbero anche ritornati, ma é poi scattato l’arresto da parte dei carabinieri del Reparto Territoriale di Aversa. 

 

 

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Prete pedofilo evade in taxi da una casa di cura per evitare il carcere

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Roma. Doveva andare in carcere per scontare una condanna a 11 anni di reclusione per violenza su minori, ma prima che arrivassero i carabinieri ha preso un taxi e si è dileguato dalla casa di cura di Genzano ai Castelli Romani dove era agli arresti domiciliari per motivi di salute. Deve scontare 11 anni di reclusione dei 14 anni e due mesi che gli erano stati inflitti per violenza sessuale su minori, reati commessi quando era parroco nella parrocchia romana di Selva Candida. Ma Don Ruggero Conti, questo il suo nome, è evaso. I carabinieri, infatti, erano in procinto di notificargli un provvedimento di revoca dei domiciliari. Martedì scorso l’ex parroco nel pomeriggio si è infilato in un taxi ed ha fatto perdere le sue tracce. E’ una storia infinita quella di Don Ruggero Conti ed è anche uno dei casi di pedofilia più gravi tra quelli che hanno coinvolto uomini della Chiesa italiana. Il prete, 64 anni, venne arrestato il 30 giugno del 2008 mentre era in procinto di partire alla volta di Sydney per partecipare, con alcuni ragazzi, alla Giornata mondiale della Gioventù. Era accusato di aver compiuto molestie per dieci anni, tra il 1998 e il maggio 2008, quando era parroco della chiesa della Natività di Maria Santissima a Selva Candida nei confronti di sette bambini affidati alle sue cure in oratorio e nei campi estivi. Nel corso delle indagini emersero, però, altri casi di abusi compiuti in Lombardia e risalenti a 25 anni prima, ma caduti in prescrizione. La Procura non potette procedere ma fece testimoniare le vittime nel primo processo contro di lui: erano altre tre persone, che sarebbero state molestate da don Ruggero quando ancora non aveva preso i voti e lavorava nell’oratorio San Magno a Legnano. “Non sono un mostro, sono innocente, lo dico umilmente. Se fossi colpevole confesserei” disse l’ex parroco nell’aula giudiziaria, dove oltre le vittime, si presentarono centinaia di giovani in sua difesa, alcuni con t-shirt bianche con la scritta “Don Ruggero, ti vogliamo bene” e furono molte anche le mamme dei ragazzini schierate col prete: “Per i nostri figli è stato come un padre” dissero. In primo grado il parroco, che nel 2011 fu sospeso dal sacerdozio, fu condannato a 15 anni e 4 mesi, ridotti a 14 anni e 2 mesi in appello e confermati nel 2015 dalla Cassazione. Fino ad agosto Don Ruggero stava scontando i domiciliari a Viterbo, poi aveva fatto richiesta ed ottenuto il trasferimento in clinica a Genzano per motivi di salute. E’ stato proprio il personale della casa di cura a dare l’allarme ed ora i carabinieri lo stanno cercando.

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Camorra, Rosaria Pagano evitò che Mauriello uccidesse Pietro Caiazza. LE INTERCETTAZIONI

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E’ stata la mediazione di zia Rosaria Pagano ad evitare un ulteriore bagno di sangue e la clamorosa scissione all’interno del clan Amato-Pagano a Melito lo scorso anno prima del suo arresto (16 gennaio 2017) e di quello successivo del figlio minorenne (24 maggio 2017). Nell’estate del 2016 infatti Ciro Mauriello, numero due della cosca dopo la Pagano, era entrato in netto contrasto con il suo fedelissmo Pierino Caiazza. Aveva deciso di eliminarlo come emerge dagli atti dell’ordinanza di custodia cautelare emessa del gip del tribunale dei Minorenni nei confronti di D.A.A. figlio minore della Pagano e accusato del duplice omicidio di Alessandro Laperuta e Achir Muhamed Nuvo ucciso in un appartamento di Melito il 20 giugno del 2016. Il mese precedente prima che la situazione precipitasse con il duplice omicidio Laperuta-Nuvo e il ferimento del figlio minore della Pagano ci cu un simmit a casa di Ciro Mauriello a Melito a cui parteciparono Rosaria Pagano, il figlio, Giuseppe Cipressa detto “Peppaccio” Claudio Cristiano detto “Bisio”, tale Totore e Raffaele Mauriello figlio di Ciro. Quest’ultimo aveva chiesto alla Pagano di cacciare Pietro Caiazza. Ecco il resoconto delle intercettazioni più imporanti.

Lello Mauriello: non comprensibile
Ciro: na stiamo punto e a capo perchè … a me prima … io prendeva a malo modo a lui invece lui aveva ragione … perchè il gruppo … dentro il gruppo non è lui
Rosaria:ha detto però .. .inc … nel gruppo … ha detto così? ha dett0 … no ….. .inc … dice che i guagliuni di… Lelluccio prendono tutti belle mesate … come ha detto?
Ciro:  i ragazzi di Lelluccio prendono belle mesate!?!…  e chi sono … chi sono?
Minorenne: ha detto …. ha detto …
Ciro: ma Pasquale ‘o scognato (ndr Palma Pasquale) vi risulta che i mille e cinque .. .inc … e glieli dava a Pasquale o scognat io non sapevo niente di questi mille e cinque ….
Minorenne: …’inc
Ciro: no…il padre…noi sapevamo che andavano alla mamma di coso … come si chiama ….
Claudio: Ciccio la .. .inc … (ndr ne cita il soprannome)
Ciro: la mamma di Ciccio la .. .inc … (ndr ne cita il soprannome) … quattro mesi non ha mai avuto una lira questa signora …. questi mille e cinque al mese dove andavano !?!? ora abbiamo saputo stamattina che glieli dava a ….
Mnorenne:  no ha detto che le paranze le avete fatte voi: .. perchè ….
Ciro: le paranze le abbiamo fatte noi???
Minorenne: aspetta come ha detto … ha detto se è … inc … che non mi porta le mesate …
Ciro: e chi prende come è fammi capire tu la lista la tieni tu
Claudio: inc…
Ciro: fagliela vedere … tu la tieni là …
Claudio: .. .inc … diciamo come dice lui la paranza di .. .inc … diciamo và
Rosaria: eh eh bravo
Ciro: la malavita la facciamo noi
Claudio:  la facciamo noi eh …
Ciro:  voi andavate a parlare con gli altri clan … voi stavate .. voi state contro i fratelli
Claudio: ‘qualsiasi coso si muoveva o Peppe o .. .inc .. .

Ad avvalorare la tesi del padre si aggiunge Lello che fa menzione di una partita di hashish motivo di altri dissapori con la famiglia. Ciro ribadisce che l’unico rimedio sarebbe un confronto con Pierino alla presenza di  Rosaria Pagano ed il figlio verso i quali Ciro, nelle sue parole, mostra, almeno alla loro presenza, tutta la riverenza riservata ai capi.
Ciro: ehm … senza offesa … ma .. .io non mi vergogno di dirlo io … io mi sono fatto prestare i soldi … Rosaria ma … inc … perchè … perchè già lo so come andava a finire me li davate e non ve li riprendevate e o me non mi piace questa cosa. La conversazione si sviluppa sempre sullo stesso argomento facendo riferimento ai vari contesti dove Pietro Caiazza ha dimostrato la sua propensione ad uscire dai ranghi e preferire i suoi interessi a quelli della famiglia. Rosaria sembra convenire alle parole di Ciro ma con Ciro non si scompone facendo intendere che la sua linea è quella della conciliazione.
Rosaria: eh io l’ho detto … Peppe stavi pure tu davanti … ho detto “Antonio prendi a tuo padre … andiamo io e tuo padre, tuo fratello sopra da inc … e andiamo a parlare
Ciro: Pietro vieni pure tu (ndr Ciro riferisce una qualcosa da riferire a Pietro Caiazza)
Rosaria: Peppe stavi pure tu? io gliel’ho detto… “io e tuo padre, io e tuo padre andiamo sopra da Ciro … ” (ndr
Rosaria riferisce un ‘esclamazione riportata verosimilmente al figlio di Pietro Caiazza)
Ciro: però si deve togliere dalla testa che si prende Melito e Mugnano … se lo deve togliere dalla testa!!!
Claudio:  gliel’ha detto
Ciro: questo se lo deve togliere dal cervello
Rosaria: gliel’ho detto … glie l’ho detto io …. e …
Ciro: ma noi non glielo dobbiamo dire al figlio … noi glielo dobbiamo dire a lui, Rosaria …
Rosaria: ha detto io …. viene interrotta
Ciro: si deve togliere da testa che mio figlio ha il gruppo suo … .lui ha il gruppo suo … si deve togliere da testa che i “guagliuni” suoi non si muovono … senza !permesso
Lello: io … zia (ndr appellativo utilizzato a dimostrazione di rispetto da Lello rivolgendosi a Rosaria Pagano) .. zia mandai a chiamare a Rosario … a Rosario … comunque lui mi disse “se Pierino non dice vai là io non vado!” (ndr Claudio, a conferma del fatto che Pierino pretende il controllo assoluto sugli uomini del suo gruppo, cita un episodio nel quale chiese a tale Rosario di recarsi in un posto ma questi negò la disponibilità se non comandato da Pietro Caiazzo, nomina anche Peppe ‘o Casalese}
Minorenne: no io non mi presento sopra le case se non mi manda Pierino
Ciro: … senza che mi manda lo zio Pierino” . .inc … (ndr Ciro riporta anch’egli quanto riferito da tale Rosario nella circostanza sopra citata)
Rosaria Pagano ribadisce che solo la conciliazione potrà sanare le fratture che comunque non fanno che danneggiare gli interessi dell’organizzazione e far salire le attenzioni delle Forze dell’Ordine:
Ciro: Totore mi ha domandato ha detto ” Ciro io non posso mai pensare .. .inc .. ” … gli ho detto “e hai detto bene … non lo devi mai pensare!” perchè nemmeno io … alla fine mi fanno schifo queste cose … quindi cosa ti ha fatto capire questo … cioè .. .la cosa
migliore … .però dovete decidere voi Rosaria!
Rosaria: no ma io voglio …. voglio … hai capito Peppe cosa dico … togliamo questa tarantella …
Ciro:  io glielo dico … io glielo dico io
Giuseppe:  la migliore soluzione per togliere la tarantella e per stare in grazia di Dio ….
Rosaria: bravo… perch è pure queste guardie … Peppe . .la stanno facendo troppo nera (ndr Rosaria Pagano si riferisce al fatto che queste fibrillazioni attirano a suo dire ulteriormente le attenzioni delle forze dell’ordine). .. troppo a mettere di nuovo tutte queste cose …
Ciro: Rosaria solo questo … dobbiamo fare così … io lo dico davanti a voi:… fate parlare me, poi se … io dico “Pierino, tutto quello che è successo, tutto quello che hai detto ….lasciamo stare .. .lasciamo perdere…. tu sei sicuro che s1amo stati noi a fare questa cosa? ma se vogliamo parloae di questa cosa… se non vogliamo parlare delle cattiverie che hai fatto … ”
Rosaria: va bene, quello ha detto … inc …

Ciro fa riferimento ad armi e dimostra la facilità di approvvigionamento che l’organizzazione ha di armi per soddisfare le esigenze del gruppo criminale. Nello specifico. rivolgendosi al rampollo di casa Amato, gli parla proprio di una borsa di armi, obiettivo di Pierino che bramava di impossessarsene.
Ciro: quello ha in testa una sola cosa … inc … carcerato per questa cosa … “la borsa delle armi… la borsa delle armi., la borsa delle armi … ” (ndr riporta un qualcosa come se fosse già stato riferito a terza persona) . ..inc …
Minorenne: no ha detto .. .inc … a casa di Veronica
Claudio: no ha detto l’hanno prese … da Michele
Ciro: da Michele?
Minorenne: con le pale in mano …
Ciro: si può sapere… Linuccio dice che le hanno sequestrate .. . Linuccio… le hanno sequestrate …
Claudio: ma quelle davvero sono state sequestrate .. .però qualcosa …. sono cose vecchie …
Rosaria: allora no …
Poi la discussione continua facendo riferimento al duplice omicidio di Alessandro Laperuta e Achir Mohamed Nuvo uccisi secondo le accuse dal figlio minore di Rosaria Pagano il 20 giugno della scorso anno a Melito.

Rosaria Federico

2.continua

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Lite nel seggio, processo per il vice presidente della Regione Campania

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Una lite all’ interno del seggio elettorale finisce in tribunale. I protagonisti sono un agente di polizia penitenziaria e Fulvio Bonavitacola Vice Presidente della Regione Campania e all’ epoca dei fatti Parlamentare. L’agente, in servizio di vigilanza elettorale, ostacolò Bonavitacola all’ interno della sezione: “come si permette di entrare nel seggio?” L’allora parlamentare democratico non digerì quella espressione e ribadì il ruolo istituzionale e di controllo che possono assumere i Parlamentari. L’agente dal canto suo, invece, si sentì offeso e lo ha querelato. Il Giudice per le indagini preliminari ha accolto l’istanza ed ha rinviato a giudizio il politico. Ieri si è tenuta la prima udienza, il processo, però, rischia di diventare un caso giurisprudenziale. L’avvocato di Bonavitacola si è appellato all’ articolo 68 comma 1 della Costituzione: “I membri del Parlamento non possono essere chiamati a rispondere delle opinioni espresse e dei voti dati nell’esercizio delle loro funzioni”. In quella circostanza il politico aveva anche poteri di controllo e vigilanza. Infatti il parlamentare democratico era andato al seggio in veste di ispettore perchè si erano creati dei disguidi da parte di un presidente che non stava facendo votare alcuni elettori che, seppure iscritti alla sezione 140 avevano la tessera elettorale che riportava invece il numero 150. Quindi lui voleva accertarsi la realtà dei fatti e se, effettivamente come è stato poi dimostrato, la sezione 150 era stata accorpata alla 140. La prossima udienza è fissata per luglio. O ci sarà un proscioglimento immediato oppure l’invio del fascicolo alla Camera dei Deputati per accertare se l’azione contestata integri o meno “opinione espressa nell’esercizio delle sue attribuzioni”.

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Camorra, il pentito e il tatuaggio per ricordare la vittima innocente Gelsomina Verde. IL RACCONTO

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Gennaro Notturno  ‘o saraccino è uno di quei pentiti che probabilmente possono dare la spallata definitiva al clan Amato-Pagano e a tutti le famiglie malavitose satelliti che da anni orbitano sotto l’egida degli “scissionisti” di Secondigliano. I suoi racconti da pentito stanno facendo luce su decine di omicidi, ma anche sui rapporti con gli altri clan, le persone insospettabili che sono state e sono ancora al servizio dei clan, i fornitori, e gli spacciatori di droga. La Dda si sta concentrando in particolare in questa prima fase sull’omicidio dell’ennesima vittima innocente, il giovane disabile Antonio Landieri ucciso ai Sette Palazzi, perchè nel marzo scorso il Riesame ha annullato tutto le ordinanze di custodia cautelare che avevano colpito mandanti e killer, tra cui lo stesso Gennaro Notturno, arrestati nel mese di gennaio. Il pentimento di ‘o sarracino svela particolari inediti e di prima mano visto che come egli stesso ha raccontato è stato colui che ha ucciso con una raffica di mitra Uzi il giovane disabile. Nel suo racconto, come riporta Il Roma, viene svelato il particolare del tatuaggio che si  è fatto incidere sul polso ferito con un cuore a metà e due rose per ricordare Gelsomina Verde, la sua fidanzata uccisa dal clan Di Lauro  durante la faida.

“Ci trovavamo a Varcaturo nella villa dove ci riunivamo di solito noi dopo la scissione avvenuta con il duplice omicidio di Montanino e Salierno e dove prendevamo le decisioni per fronteggiare la reazione dei Di Lauro. Presenti eravamo io, mio cugino Arcangelo Abete, Raffaele Amato, Carmine Cerrato, Carmine Pagano, Rito Calzone, Ciro Caiazza, Antonio Caiazza, Lucio Carriola, Elio Amato, Giacomo Migliaccio, Gennaro Marino, Ciro Mauriello ed affrontammo il problema dei sette palazzi. Dovevamo infatti liberare i sette palazzi dagli affiliati ai Di Lauro. In particolare in quella riunione si decise di uccidere Salvatore Meola detto Vittorio, gestore della piazza per conto dei Di Lauro. Tommaso Prestieri aveva una piazza più avanti, mentre Meola l’aveva nei pressi del salumaio. Ai Meola, noi Amato-Pagano avevamo mandato a chiedere tramite Patrizio Grandelli e Francesco Irace di girarsi con noi, ma Meola aveva rifiutato. Fu Raffaele Amato a prendere la decisione di far uccidere Meola e tutti noi presenti concordammo. Si concordò che l’omicidio dovevano prendere parte i cafoni, ovvero gli Abbinante, che dovevano dare un contributo, che così avrebbe dimostrato che prendevano parte alla scissione con noi. Lì presente non vi era nessuno del gruppo Abbinante e così fu deciso che io avrei preso parte all’organizzazione e all’esecuzione materiale dell’attacco ai Sette palazzi in ragione del fatto che noi Notturno, in virtù del matrimonio di mia sorella con Massimiliano De Felice, eravamo imparentati con gli Abbinante. De Felice venne ucciso in quella stessa faida. Quindi dovevo far conoscere l’ordine al gruppo di fuoco degli Abbinante che si trovava al Monterosa. Il giorno successivo a questa deliberazione io incontro Giovanni Esposito a casa di mia sorella a Qualiano e costui era il referente degli Abbinante.Gli comunico la decisione di uccidere Meola e di attaccare i Sette Palazzi. Giovanni Esposito si mette a disposizione. Ciro Caiazza il giorno dopo mi consegnò uno zaino con all’interno una mitraglietta usata per il duplice omicidio di Montanino-Salierno e poi tre calibro 7,65 tutte fornite da Raffaele Imperiale. Il giorno dopo partimmo da Varcaturo. Venne poi a prendermi Francescone Davide che all’epoca era il fidanzato della nipote di Cesare Pagano. Mi porta con la Punto Bianca a casa di Pasquale Riccio e lì c’erano Pasquale, Giovanni Moccia, Giuseppe Carputo, Giovanni Esposito. Erano tutti pronti. Venne deciso di fare ingresso nei sette palazzi con la Fiat Punto e lo scooter. La punto venne guidata da Francescone, io stavo avanti armato con la mitraglietta, dietro vi erano Carputo e Moccia ed Esposito era con lo scooter guidato da Riccio. Il progetto era quello che io dall’auto ed Esposito dallo scooter doveva scendere ed uccidere Meola. Moccia e Carputo dovevano fare da copertura. Ci avviamo alle 19,30. La Punto avanti e la moto dietro. Arrivammo nei pressi del biliardino che stava sotto una piccola tettoia e vide Meola. Aprii la porta scendendo dall’auto che Francescone fermò. Non riuscii nemmeno a fare tre metri che Moccia fece fuoco contravvenendo agli accordi e un proiettile colpì il mio polso sinistro e per il dolore feci partire una sventagliata con la destra. Sull’avambraccio sinistro ho poi tatuato un cuore a metà con due rose e le iniziali, una è per Gelsomina Verde. Successivamente non si è capito nulla. Sparai un’unica raffica Esposito, Moccia e Carputo correvano sotto i porticati e facevano fuoco. Non so dire se la mia raffica ha colpito qualcuno ma ebbi moto di notare che c’erano ragazzi che non appartenevano a Meola. Dopo l’omicidio tornati a porto della Punto andammo verso Varcaturo. Io lì fui curato da un medico che era amico di Raffaele Amato e a nostra disposizione”.

(nella foto da sinistra il pentito Gennaro Notturno ‘o sarracino, Gelsomina Verde e Antonio Landieri)

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Arzano: mancati controlli edilizi, distruzione di atti e ingerenza della politica. LE INTERCETTAZIONI CHOC

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Arzano. Mancati controlli edilizi, distruzione di atti e ingerenza della politica: ecco il quadro che emerge nell’inchiesta condotta dai carabinieri di Arzano che ha colpito una decina degli agenti della Polizia municipale. Miglia di pagine di intercettazioni, pedinamenti, sopralluoghi a partire dal 2006 e che vede finire nel mirino degli 007 quasi l’intero comando. Uno spaccato inquietante, fatto di veri e propri gruppi di pressione dediti alla sparizione fraudolenta di sopralluoghi contro l’abusivismo edilizio, pressioni su alcuni dirigenti all’urbanistica per decretarne le dimissioni e finanche un viaggio pagato da un tecnico ed un imprenditore ad un dirigente della Polizia municipale. Chi si ribella  – scrivono gli inquirenti -, viene indicato come “nemico da abbattere”. Ovviamente, e bene dirlo, si tratta di atti facente parte integrante dei provvedimenti cautelari dei mesi scorsi che i magistrati hanno voluto aggiungere alle già corpose indagini per certificare  cosa avvenisse già dal 2006 all’interno del comando di via Ferrara. L’indagine, menzionata nelle recenti ordinanze denominata “Lavori in corso “ , ha avuto inizio nel febbraio 2005 allorquando veniva pubblicato un articolo dal titolo  “Concessioni edilizie a valanga: Ufficio tecnico nella bufera”. Nei mesi successivi  diverse furono le pratiche esaminate e altrettanti i sequestri operati. “L’impressione ricavata  dall’esame della documentazione acquisita oltre che dalle successive indagini tecniche disposte – fanno emergere gli investigatori – , è stata quella della esistenza di un gruppo che ha potuto, forte sia del proprio ruolo istituzionale quanto di una totale mancanza di altrui controllo, gestire il grande business delle opere edilizie spesso poste in essere in violazione delle leggi e degli strumenti urbanistici vigenti sul territorio. I cardini di questo sistema sono stati individuati oltre che nei  tecnici privati ed in alcuni  componenti l’ufficio Urbanistico comunale anche in personaggi deviati del locale Comando di Polizia Municipale. Il radicato sistema di illegalità che al pari di un cancro ha attaccato strutture comunali quali la Polizia Municipale e l’Ufficio Urbanistica  emerge dalla telefonata n.515 registrata, alle ore 10:02, in entrata sull’utenza telefonica n.081/7313040 in uso al Comando di Polizia Municipale del Comune di Arzano. Nella conversazione l’avv. civilista omissis, non esita a chiedere prima al vigile omissis e poi al Maresciallo omissis di annullare un sequestro effettuato per violazione alle norme urbanistiche. Dalla Lunga conversazione emerge chiaramente che quanto richiesto dal noto avvocato era stato anche nel recente passato un fatto che rientrava pressoché nella normalità. Ciò si evidenzia allorquando l’avvocato davanti ai tentennamenti del Maresciallo omissis gli ricorda un favoritismo fatto al figlio di tale Omissis in relazione ad un esercizio commerciale di Via A. Pecchia. Legenda – Avv:- Maresciallo:-

 

Avv:- In tanti altri casi, cose del genere che hanno raggiunto l’obiettivo, anchè di fronte .. diciamo..

Maresciallo:- Avv omissis..in altri.. mi senti..scusa.. mi fai parlare.. te lo posso dire io perché mi costa a me, in altri casi fatti in questo modo è quando l’architetto cioè l’architetto o il tecnico comunale o chi per esso ha .. ha eseguito la situazione quindi mi ha cambiato la relazione tecnica dal momento che quello mi cambia la relazione tecnica io sto a posto… come ufficio e come persona.. ma se quello non mi cambia la relazione tecnica io non posso fare niente..

Avv:- lo stesso episodio è capitato di sabato mattina con il figlio di omissis a via Pecchia eh .. eh..e pure lì si aspettò il lunedì il martedì..

Maresciallo:- ma la era una cosa amministrativa era diversa..era il fatto della vetrina

Avv:-no.. no.. li parlavano addirittura ..

Maresciallo:-la vetrina.. era vetrina..vabbò quello ..(ndr non si comprende)..sequestro perchè comunque era una vetrina che bene o male era un abusivismo di una cosa esistente che poi lui l’ha ampliata fa fatto e quell’altro, ma era una vetrina non era una costruzione..

Avv:-no.. no…

Maresciallo:- la.. la in quel caso si è potuto sorv..ovviare.

Avv:-si quello la si voleva.. si voleva sequestrare eh.. eh.. si disse.. aspettiamo il lunedì mattina perché questo ripristina …

Maresciallo:-ma scusa Avv.. se io al magistrato gli mando una relazione per una vetrina il magistrato non me la convalida a me , a me perchè ..è arrivata oltre i termini .. ma la convalida d’ufficio .. ma è per la vetrina tiene considerazione che è la vetrina.. ma una costruzione di quella come fai tu..perchè poi ( le due voci si accavallano)..scusa eh

Avv:-risulta evidente dalla relazione”. Il chiaro riferimento all’abuso commesso dai Vigili Urbani in favore di tale omissis.

“Il coinvolgimento dei Vigili oltre che dalla telefonata intercorsa tra l’avv ed il Maresciallo emerge anche dalle spontanee  dichiarazioni rese dallo stesso omissis. Ma l’avvocato non si era solo limitato a chiedere la sparizione del sopralluogo, cambiare relazioni, annullare protocolli, sopprimere atti, annullare sequestri già compiuti”. In questo sistema – scrivono nero su bianco gli investigatori – chi si oppone è indicato come principale “nemico da annullare”:- è questo il caso dell’Arch. Omissis sul conto della quale l’avv. e il maresciallo si intrattengono a dialogare con giudizi nello stralcio della già telefonata n.515:-

Maresciallo:-ma teniamo la dirigente Omissis.. quella non gli passa per la testa nessuno, quella non fa un favore nemmeno al padre e la madre se vengono, figurati un po

Avv:-Abbiamo fatto interrogazioni in consiglio di continuo ..

Maresciallo:- eh vedi un poco in che situazione stiamo noi

Avv:- L’ho fatta una “chiavica” da vicino insomma, non è che.. dopo averglielo detto in consiglio comunale.

Maresciallo:- Quella omissis con i problemi che stanno avendo all’Ufficio Tecnico ha quattro occhi aperti .. indubbiamente… per questo dico

Avv:-vabbò .. il problema

Maresciallo:-Io sto parlando con te. Se tu mi garantisci che lunedì mi cambia la cosa non ci stanno problemi… però me lo devi garantire

Avv:-questa è una persona che io non conosco.. (le due voci si accavallano)

Maresciallo:-e figurati un pò

Avv:- quindi non so nemmeno se è una persona animata da buon senso che gli interessa l’obiettivo e non la forma

Maresciallo:- noo..quella vuole la forma, questi sono di passaggio per Arzano allora praticamente ..arch omissis non tiene problemi..

Avv:- se questa mi dice no.. con tutta la buona volontà i dati sono questi io ho fatto anche gli atti  eccetera eccetera… comunque c’è di fatto che questa cosa non ha venti anni

Maresciallo:- Avv il fatto è che l’arch. sta creando problemi perché se ne vuole andare da Arzano per i problemi sul comune e quindi sta creando problemi appresso appresso ma giustamente non è che è quello il problema

Avv:- il problema è di convincere il .. chi ha fatto il verbale

Maresciallo :- e per questo ti dico.. se tu mi garantisci che il tecnico lunedì mi cambia la relazione per me non ci stanno problemi.. però devo essere coperto pure io. Nella loro conversazione il Maresciallo e l’Avv., fanno esplicito riferimento in modi non certo lusinghieri, all’arch. Le indagini intanto vanno avanti spedite, e nel breve potrebbero esserci ulteriori risolti. Anche se i soggetto citati, sono tutti da dichiararsi innocenti fino ad una eventuale sentenza definitiva. Intanto, ancora un nulla di fatto dal comune per la nomina di un avvocato per la costituzione di parte civile nel procedimento contro i furbetto del cartellino. Vicenda già finita  al vaglio della commissiona Antimafia.

Salvatore Baldini

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Camorra, il boss pentito: ”Brunetti ci tagliò dalle estorsioni alla Maddalena e nacque la rottura”

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“Ho fatto parte del gruppo criminale inizialmente costituito dai Sibillo, dai Giuliano e da mio figlio Salvatore Amirante. Prima ero ai margini, poi sono entrato a farne parte. Manuel Brunetti detto o’ chicco” entrò nel gruppo in un secondo momento, uscito dal carcere. Brunetti all’inizio contattò i Caldarelli, poi si rese conto che ormai il nuovo clan dei giovani stava prevalendo ed entrò anche lui nell’organizzazione. L’elemento comune era la contrapposizione ai Mazzarella”. Così il boss della zona dei Tribunali, Vincenzo Amirante, pentito dal mese scorso ha parlato del clan della “Paranza dei Bimbi” e dell’allenza di Forcella e centro storico tra le famiglie malavitose degli Amirante-Brunetti-Giuliano-Sibillo. Il verbale, come riporta in anteprima Il Roma, è datato 8 agosto e Vincenzo Amirante continua il suo racconto: “Mio figlio Salvatore Amirante tramite Vincenzo Garofalo entrò in rapporti con i Rinaldi di San Giovanni a Teduccio, anch’essi ostili ai Mazzarella. Posso riferire sui rapporti del nostro gruppo con i Rinaldi e in par- ticolare con Ciro Rinaldi detto “Maué, Sergio Grassia, il fratello “Bizzeffe” (Salvatore Rinaldi, ndr), ed altri. Eravamo spesso a casa loro, inizialmente quasi ogni giorno…La questione principale per la quale spingevano i Sibillo era il controllo degli affari illeciti della Maddalena, che fruttavano 14mila euro a settimana. Finché mio figlio Salvatore è stato libero, questa somma era da lui distribuita solo tra gli appartenenti al gruppo Amirante. Eravamo io e……….(omissis), quando Salvatore si trovava ai domiciliari a Ladispoli, a gestire gli incassi della Maddalena, la distribuzione dei capi d’abbigliamento con marchi contraffatti, la distribuzione agli ambulanti delle buste per contenerli. Io provvedevo al mantenimento delle famiglie dei detenuti. Mille euro a settimana andavano ai Rinaldi.
Quando fu arrestato mio figlio Salvatore, Ciro Brunetti e Alessandro Riccio andarono direttamente alla Maddalena a riscuotere i soldi. Li sottrassero a (omissis), che era il nostro incaricato alla riscossione delle estorsioni, servendosi di altri affiliati di cui riferirò. Successivamente, dopo l’arresto di mio figlio Salvatore, Ciro Brunetti tornò alla carica con l’accordo dei Rinaldi, Sibillo e Giuliano. Per cui il clan stabilì che al nostro gruppo andassero 4000 euro mentre la parte restante Emanuele e Pasquale Sibillo l’avrebbero divisa tra gli altri gruppi. Prima della rottura percepivo 1000 euro a settimana”.

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Uccise il ‘re delle mele’ pena dimezzata in Appello per Savanelli

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Pena ridotta in Appello per Pasquale Savanelli, accusato di aver ucciso Gennaro Galdiero (il re delle mele), con sei colpi di pistola. La pena all’imprenditore-killer e socio della vittima è stata quasi dimezzata, da 30 anni, infatti, è scesa a 17 anni e 4 mesi.
L’omicidio avvenne a Caianello nel maggio del 2014. Il socio e amico della vittima, Savanelli, si consegnò poco dopo alle forze dell’ordine confessando quanto accaduto. Non è mai stato reso noto il movente che avrebbe spinto l’omicida ad uccidere Galdiero dopo aver pranzato insieme in un ristorante nel Casertano. Dopo due anni trascorsi in galera, lo scorso maggio Savanelli ha beneficiato degli arresti domiciliari a Giugliano.
I difensori dell’imprenditore killer, gli avvocati Enrico Tuccillo e Domenico Fontanella, come ricorda Il Roma, avevano impugnato la sentenza. Ieri mattina è arrivata la condanna in secondo grado. Esclusa la premeditazione ed i futili motivi, per questo motivo Savanelli dovrà scontare 17 anni e 4 mesi. Da un anno è ai domiciliari per incompatibiltà col carcere.

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Sarno blitz dei carabinieri: arrestato 53enne

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Gli uomini della locale stazione dei carabinieri, agli ordini del comandante Toni Vitale, durante un servizio di controllo sul territorio finalizzato alla prevenzione e repressione dello spaccio di sostanze stupefacenti, hanno tratto in arresto G.C. 53 anni. Durante una perquisizione nell’abitazione dell’uomo, già noto alle forze dell’ordine, i militari hanno rinvenuto

in cucina 40 grammi di hashish, bilancini, taglierini e bustine. Materiale solitamente usato per il confezionamento della droga. Accusato di detenzione ai fini di spaccio, il 53enne sarà giudicato per direttissima nei prossimi giorni.

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