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Bimba morta: la Procura affida una nuova consulenza medico-legale

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La Procura della Repubblica di Benevento ha affidato al professore Franco Introna l’incarico di procedere ad una nuova consulenza medico-legale sulla documentazione relativa a Maria, la bimba romena di nove anni, che nel giugno dello scorso anno era stata trovata senza vita, morta annegata, nella piscina di un casale a San Salvatore Telesino, in provincia di Benevento. La nuova perizia richiesta fa seguito ai recenti rilevamenti, sempre disposti dagli inquirenti, dei carabinieri del Ris di Roma e dei carabinieri del Reparto operativo di Benevento. Al momento gli unici indagati a vario titolo per omicidio e violenza sessuale sono Daniel e Cristina Ciocan, i due fratelli romeni. 

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Napoli, femmincidio di Stefania, il marito assassino chiede lo sconto di pena

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Ha scelto di essere processato con il rito abbreviato per avere uno sconto di pena e ha annunciato che nella prossima udienza rendera’ dichiarazioni spontanee. Accade nella prima udienza davanti al gip del tribunale di Napoli Nord per Carmine D’Aponte, il 32enne accusato di aver ucciso la moglie Stefania Formica, 28 anni, con un colpo di pistola all’addome all’alba del 19 ottobre 2016 a Sant’Antimo, nel Napoletano. Un femminicidio dovuto alla gelosia di D’Aponte verso la moglie, tale che la donna aveva intenzione di separarsi da lui e lo aveva confidato ai suoi familiari. Mentre si svolgeva l’udienza preliminare, all’esterno del del palazzo di giustizia ad Aversa un gruppo di parentii della 28enne uccisa ha protestato per chiedere giustizia per Stefania, indossando una maglia con il volto sorridente della donna che ha lasciato due figli piccoli da accudire. 

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Giugliano, il gip conferma il carcere per l’anziano assassino del vigile del fuoco

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Rimane in carcere Pasquale Palma, il 78enne ritenuto responsabile dell’omicidio di un vigile del fuoco nel Napoletano per una vecchia ruggine di vicinato. I carabinieri hanno eseguito il provvedimento cautelare per omicidio emesso dal gip di Napoli Nord. L’anziano ha sparato contro Giuseppe Palma, 41 anni, suo lontano parente, mentre questi lavorava nel terreno di localita’ Ponte Riccio a Giugliano che era al centro delle tensioni tra i due lo scorso 9 settembre. Pasquale Palma era stato arrestato poche ore dopo il delitto, anche grazie alla testimonianza di Salvatore, fratello della vittima, che aveva assistito alla scena. 

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Tragedia alla Solfatara, sentiti i primi testimoni e il piccolo Alessio

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Napoli. Tragedia alla Solfatara di Napoli, ascoltati i primi testimoni e il bimbo che ha visto morire la sua famiglia. Il procuratore Giovanni Melillo ha affidato ai magistrati della sesta sezione il caso per accertare quanto è accaduto alla Solfatara di Pozzuoli, martedì scorso, quando hanno perso la vita, padre, madre e figlio di 11 anni per una voragine che si è aperta nella zona della ‘fangaia’. Geologi e vulcanologi sono al lavoro per comprendere il motivo per il quale la crosta abbia ceduto proprio in quel punto e quali siano le cause determinanti. I magistrati napoletani, con l’ausilio di psicologi, hanno ascoltato l’unico sopravvissuto alla tragedia, l’altro figlioletto di Massimo e Tiziana Carrer, Alessio, un bimbo di 7 anni testimone oculare della morte della sua famiglia. Il bambino è insieme ai nonni e a uno zio che oggi ha dovuto spiegargli quanto è accaduto due giorni fa. Era stato affidato ai servizi sociali e agli psicologi del comune di Pozzuoli e in questi giorni ha continuato a chiedere di vedere i genitori e il fratellino. La famiglia Carrer, originaria di Torino ma che viveva a Meolo, in Veneto, è assistita da un avvocato che ha già preso contatti con i pubblici ministeri. Ancora non sono stati fissati gli esami autoptici nè c’è stato il formale riconoscimento delle salme da parte dei familiari. La polizia di Pozzuoli, delegata alla indagini, ha già ascoltato diversi testimoni per cercare di comprendere le modalità con le quali veniva attuata la sicurezza all’interno del sito che ha anche un campeggio con diverse centinaia di postazioni in estate sempre affollate da turisti che arrivano da ogni parte del mondo. Titolari del fascicolo, aperto ieri per l’ipotesi di omicidio colposo plurimo, sono i sostituti procuratori Giuliana Giuliano e Anna Frasca, Gli inquirenti hanno acquisito documenti presso la struttura, intendono accertare l’eventuale violazione delle norme di sicurezza a tutela dei lavoratori e dei visitatori del sito e stanno verificando se vi fossero indicazioni sulle zone a rischio del sito. I pm nomineranno alcuni consulenti tecnici, tra cui un geologo e il medico legale che dovrà eseguire le autopiste, ma si attende che il Tribunale per i minori di Venezia nomini un tutore del bambino sopravvissuto al quale notificare l’avviso come persona offesa. Al momento non sono stati emessi avvisi di garanzia.

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Truffe agli anziani: tredici condannati della banda dei fratelli Varriale

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Si e’ concluso con 13 condanne ed un’assoluzione, al tribunale di Santa Maria Capua Vetere , il processo con rito abbreviato a carico dei componenti dell’organizzazione ritenuta responsabile di decine di truffe ai danni di persone anziane. L’inchiesta della Procura della Repubblica di Santa Maria Capua Vetere – indagini del procuratore aggiunto Antonio D’Amato e del sostituto Antonella Cantiello – porto’ nel giugno scorso a 15 arresti da parte dei carabinieri della Compagnia di Caserta. Oggi la sentenza conferma quanto accertato dagli inquirenti. La banda, e’ emerso, era specializzata in truffe ai danni di anziani che spesso vivevano da soli. Le vittime venivano seguite dai membri del gruppo che ne studiavano cosi’ le abitudini e le relazioni con parenti e vicini; la fase successiva consisteva nel mettersi in contatto con la vittima designata. Il truffatore si spacciava per nipote dell’anziano, cui chiedeva di preparare dei soldi perche’ di li’ a poco sarebbe arrivato un corriere per la consegna di un prodotto da pagare.

A capo del gruppo, hanno accertato gli inquirenti, c’erano i fratelli Vincenzo e Gennaro Varriale, cui vengono contestate in totale 39 truffe (rispettivamente 33 il primo, 6 il secondo), Vincenzo Giannetti (13 truffe) e Ciro Ruggiero (26 truffe). Collaudato il modus operandi, emerso negli ultimi mesi in seguito ai cinque arresti in flagranza effettuati dai carabinieri, che sono riusciti ad evitare che alcuni raggiri venissero consumati. Le vittime venivano seguite dai membri del gruppo che ne studiavano cosi’ le abitudini e le relazioni con parenti e vicini; la fase successiva consisteva nel mettersi in contatto con la vittima designata. Il truffatore si spacciava per nipote dell’anziano, cui chiedeva di preparare dei soldi perche’ di li’ a poco sarebbe arrivato un corriere per la consegna di un prodotto da pagare. Emblematica una telefonata intercettata dai carabinieri guidati dal capitano Andrea Cinus. “Nonna – diceva il truffatore – preparami 1500 euro, quindici volte 100” specificava l’uomo visto che l’anziana non aveva sentito bene. “Non ce li hai? Allora prendi tutti gli oggetti d’oro che quelli vengono a prenderseli; poi oggi passo io, do i soldi e mi riprendo i gioielli”, aggiungeva. Dopo questa prima telefonata, arrivava poco dopo quella del falso corriere espresso, ovvero un altro componente del gruppo che carpiva in tal modo l’indirizzo preciso e si presentava a casa della vittima consegnando un pacco contenente solitamente bagnoschiuma, calzini, o prodotti informatici come il mouse. In altre circostanze alle vittime sono state fatte richieste di denaro fino a 3000 euro; e’ inoltre emerso che gli indagati sono stati in grado di sospendere temporaneamente il traffico telefonico delle vittime per evitare che avvertissero altri parenti. Nei mesi scorsi, a gennaio, rimase vittime della truffa anche la 79enne vedova dell’ex sindaco di Pagani, Marcello Torre, ucciso dalla camorra nel lontano 1980.

I 15 indagati sono  i capi dell’organizzazione Vincenzo Varriale (33 truffe), Gennaro Varriale (6 truffe) e Vincenzo Giannetti (13 truffe), oltre a Ciro Ruggiero, Nunzia Esposito, Giovanni Magarlo, Giuseppe Turco, Alessandro Frascogna, Antonio Perrotta, Giovanni Mauro, Salvatore Panaro, Antonio Esposito, Giuseppe Cardillo, Pasquale Abbatiello e Giuseppe Rocco.

 

 

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Camorra, Ciro Mauriello chiese a Rosaria Pagano di ”cacciare” Pietro Caiazza da Melito. LE INTERCETTAZIONI

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Le frizioni interne al clan Amato Pagano sono note agli investigatori che da qualche anno stavano controllando il gruppo dei “melitesi” legati alla zia Rosaria Pagano e ai suoi fiduciari Ciro Mauriello e Pietro Caiazza. E proprio tra questi due che nell’ultimo anno erano sorti dei forti dissapori. Tra le intercettazioni in mano agli inquirenti ci sono quelle a casa di Ciro Mauriello a Melito e contenute nell’ordinanza di custodia cautelare che nel luglio scorso ha portato in carcere D.A.A., il quasi diciassettenne figlio di Rosaria Pagano accusato di avere ucciso il 20 giugno nelle palazzione di Melito i due ribelli del clan Alessandro Laperuta e Muhamed Nuvo entrambi legati a Pietro Caiazza. Tra le intercettazioni c’è quella in cui Mauriello chiede conto della contabilità del clan e ne parla con Claudio Cristiano detto ‘ o bisio e Giuseppe Cipressa detto “Peppaccio”.
sul territorio.

Ciro: O Bì m o mi devi fare un solo piacere …. però devi essere preciso …. ”
Claudio: e perchè che sono?
Ciro: mi puoi rintracciare Linuccio (ndr Pietro Caiazza)
Claudio: ehm …..
Ciro:  digli di chiudere tutto
Giuseppe: ci deve fare le chiusure ..
Claudio: ‘e già le ha fatte le chiusure stanno i fogli qua
Ciro: ah …
Claudio dice che Peppe il pazzo ha i blocchetti {ndr verosimilmente parla della contabilità delle piazze dispaccio) una persona gli dice “shhhhhhhhhh” {( per dirgli di non urlare) Si sentono parlare Ciro, Peppaccio e gli altri astanti, nominano delle cifre di denaro facendo dei conteggi, si sentono nominare 200 mila euro poi 195 mila e poi 188, una persona dice ”sette chili”.
Claudio  continua a parlare di conteggi facendo degli esempi e citando somme di denaro, Ciro dice che la prossima volta si deve chiudere prima {ndr riferito ai conteggi ed alla contabilità) Ciro Mauriello continua rappresentando ai presenti il suo disprezzo nei confronti di Pietro Caiazza
che, come già esternato in altre conversazioni, se dipendesse da lui, estrometterebbe subito da Melito e Mugnano, costringendo a relegarsi, con le sue attività illecite, in Afragola, sua terra d’origine. Ciro parla di Pierino (ndr Pietro Caiazza) dicendo che lo toglierà ”Pierino io lo tolgo… così ho deciso”. Questa conversazione intercettata è datat 23 maggio 2016 intorno alle 19  e dopo poco arrivano tale Totore,  Rosaria Pagano, il figlio minorenne,  Giuseppe Cipressa alias “Peppaccio”, Claudio Cristiano detto ‘ bisio e Raffaele Mauriello ‘o chiatto, figlio di Ciro. La “Zia Rosaria”, il figlio e i presenti vengono fatti accomodare nel salotto delle decisioni ed è li che poi affronteranno i vari argomenti, tra i quali Pietro Caiazza, da Ciro considerato un problema per la famiglia a causa delle sue manie di grandezza:

Ciro:Rosaria … Peppe mi ha spiegato … dobbiamo fare una cosa .. ..io davanti a voi …. gli do la parola mia
Peppe: davanti a te e davanti a  …0missis (il minorenne ndr)
Ciro:  davanti a voi e davanti a 0missis (il minorenne ndr) …. vi do la parola mia che non succede un guaio …. ma lui deve fare la stesso cosa!!!
Rosaria: è logico!
Ciro:  deve fare la stessa cosa davanti a voi e a 0missis (il minorenne ndr) … poi omissis…. poi lui prende … come stavamo una volta .. cosi (inc.)
Rosaria: O Pe ‘a questo punto, perchè . ..inc …
Ciro: stiamo vedendo per sigarette …. .inc … però visto che è della famiglia … Pierino (ndr riferito a Pietro Caiazza). . .io ti dò la parola mio .. .inc …
Rosaria: eh ….
Ciro: io .. .io .. .io parlo personalmente di me .. .io sto appicciato .. .io sto bruciato … a me mi dispiace che .. .inc … non esiste .. .io è una cosa personale mia … dopo … che Pierino non se ne vorrebbe andare … ma come faccio a campare con Pierino . ..inc ….. Pierino prendi la famiglia tua e vattene od Afragola … … .io ti do la parola mia che se è per me
Rosaria: ..inc … Ciro tu ci dai la parola davanti a me e a Mimmo
Sono chiari i forti rancori ed i contrasti che Ciro ha con Pierino e che rappresenta a zia Rosaria Pagano ed al figlio.
Ciro: no ma già l’ha dimostrato Rosaria (si rivolge a Rosaria riferendosi a Pietro Caiazza) che lui è solo per interessi: .. che lui è solo perchè deve essere Pierino deve essere come dico io … devo comandare di qua devo comandare di là (ndr spiega a Rosaria che Pietro Caiazza avrebbe manie di protagonismo volendo affermare una sua leadership sul territorio) perchè poi mano mano stanno uscendo cose che … è meglio che non ve le dico proprio … Rosario il discorso è uno solo … sentitemi a me … però dovete essere d ‘accordo pure voi perchè io …. voi decidete .. .io non decido
niente…
Rosaria: eh…
Ciro: allora … secondo me si deve fare così.. Pierino io ti do la parola mia … davanti voi e davanti a 0missis (il minorenne ndr) … che se è per me tu campi cento anni … a prescindere .. sono stato o non sono stato io .. .inc … se è per me tu campi cento anni … tu da Melito te ne devi andare … te ne devi andare ad Afragola pigliati le bancarella delle sigarette … prenditi a questi quattro … non si può convivere come fai a convivere con questi qua … Rosaria perchè se succede … che …. tra un mese e mezzo stiamo punto e a capa…
Ciro Mauriello evidenzia la sete di potere di  Pietro Caiazza, contestando anche il comportamento degli uomini che a lui sono più vicini come proprio  Giuseppe Santangelo. Ciro contesta il fatto che in più occasioni uomini dell’organizzazione. chiamati per “un’imbasciata”. si muovevano solo qualora Pierino li “autorizzasse”. Ciro condanna i comportamenti di Pierino e dei “suoi uomini” sottolineando che non esistono gli uomini dei gruppi ma dell’organizzazione. Mauriello, come in altre conversazioni, sottolinea ancora quella che è la costituzione del gruppo criminale degli Amato- Pagano e le regole interne che prevedono la famiglia e Zia Rosaria a capo ed i gruppi satelliti a servizio degli interessi del clan e non del
gruppo. Ciro dimostra apertamente l’intolleranza che ha verso la famiglia Caiazza, ma allo stesso tempo, proprio in forza del suo ruolo  nell’organizzazione ed il rispetto che nutre per Zia Rosaria e, di conseguenza, per gli eredi quel casato, è pronto anche ad accettare che Pierino continui a controllare i suoi traffici su Melito e Mugnano, purché si porti proprio lì da lui e, davanti a Zia Rosaria e al figlio, si chiarisca e comprenda quello che è il suo ruolo e assicuri di ridimensionarsi ai suoi compiti, non entrando in competenze che non lo riguardano, anzi. screditando finanche il figlio Raffaele accusandolo di aver messo su un suo gruppo i cui componenti sarebbero favoriti rispetto agli altri uomini della “famiglia” ricevendo delle “belle mesate”, ovvero uno “stipendio” più alto degli altri.

 Rosaria Federico

1.continua

@riproduzione riservata

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Camorra, si è pentito il killer di Scampia, Gennaro Notturno ‘o sarracino

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Si è pentito Gennaro Notturno ‘o sarracino, boss di Secondigliano legato agli scissionisti degli Amato-Pagano e autore dell’omicidio della vittima innocente Antonio Landieri. Notturno, come riporta in anteprima Il Roma, ha deciso di passare dalla parte dello Stato da una quindicina  di giorni. E lo ha fatto dando una novità importante e un nuovo impulso all’inchiesta sull’omicidio del giovane innocente ma anche su tantissimi altri. Ha fatto il nome per la prima volta di Raffaele Amato ‘a vicchiarella ” fu lui ad ordinare il raid contro i fratelli Meola, fedelissimi dei Di Lauro che gestivano una piazza di spaccio ai Sette Palazzi”. Non a caso la Dda, dopo la batosta subita dal Riesame nel marzo scorso che annullò tutte le ordinanze du custodia cautelare del blitz del 23 gennaio, ha chiuso le indagini e ha chiesto al gip di fissare  l’udienza preliminare indicando i nomi di Cesare Pagano e Raffaele Amato come mandanti, e poi Davide Francescone, Ciro Caiazza, Giovanni Esposito, Pasquale Riccio, Giovanni Piana  come esecutori materiali di quel raid e quindi dell’omicidio Landieri.

Tutti tranne Raffaele Amato ‘a vicchiarella erano stati arrestati nel blitz del 23 gennaio con un’ordinanza di custodia cautelare firmata dal gip Federica Colucci per l’omicidio di Antonio Landieri, il giovane disabile ucciso il 6 novembre del 2004 ai Sette Palazzi di Scampia all’inizio della prima sanguinosa faida tra i Di lauro e gli Scissionisti. Le ordinanze erano state notificate al boss Cesare Pagano (indicato come il mandante) a Gennaro Notturno ‘o saraccino (il killer che rimase ferito dal fuoco amico), Giovanni Esposito (altro killer), Davide Francescone (il terzo killer ) e Pietro Caiazza ‘o frauelese, armiere del clan e padre dei tre pentiti Michele, Antonio e Paolo. Il gip respinse la richiesta di arresto formulata dalla Dda nei confronti di altre sei persone, ovvero Giovanni Piana, Pasquale Riccio, il boss Raffaele Amato ‘ a vicchiarella, Arcangelo Abete, Gennaro Marino ‘o mekkei ed Enzo Notturno. L’agguato era stato deciso per punire i fratelli Meola, fedelissimi dei Di Lauro che gestivano una piazza di spaccio ai Sette Palazzi.

Secondo i giudici del collegio C della Dodicesima sezione del Riesame (presidente Areniello, relatore Ianuario a latere Brunetti Pierri): “Non è stato possibile comprendere da chi fu deciso l’agguato e da chi provenne l’ordine e perché; da dove partì il commando, da chi era composto, neppure quali auto vennero utilizzate”. Una clamorosa bocciatura di anni di indagini e di racconti di una decina di collaboratori di giustizia quattro dei quali divergono nelle loro dichiarazioni. I giudici della libertà avevano scritto nel loro provvedimento che c’è “una grave lacuna a livello indiziario” anche perché “Dal tg locale il pentito Antonio Caiazza dichiara di aver appreso anche il nome della vittima, c’è dunque il forte sospetto che le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia risentano di una evidente influenza mediatica”. Mentre il fratello Michele: “afferma anche di aver più volte rivisto il filmato che ricostruisce e illustra la storia del povero Landieri, circostanza che induce ancora di più a sospettare in merito alla genuinità delle dichiarazioni del collaboratore e in verità di tutti i collaboratori di giustizia, visto che costoro – mentre sulla generale ricostruzione del fatto rendono dichiarazioni perfettamente concordi e convergenti – quando si tratta di approfondire con puntualità aspetti non noti al pubblico fanno registrare macroscopiche dissonanze”.  Ora il pentimento di Notturno scrive in nuovo capitolo forse definitivo per dare giustizia a una delle tante vittime innocenti delle tre sanguionose faide di Scampia-Secondigliano.

(nella foto grande la giovane vittima innocente Antonio Landieri e nei riquadri da sinistra in alto Cesare Pagano,Gennaro Notturno, Pietro Caiazza, Raffaele Amato, Davide Francescone e Giovanni Esposito )

 

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”E’ una bomba, arriviamo a Renzi”: il procuratore di Modena sostiene di aver ricevuto pressioni dal Noe

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Roma. “Scafarto e Ultimo erano particolarmente spregiudicati come presi da un delirio di onnipotenza”: sono le parole del Procuratore di Modena Lucia Musti che sono agli atti del Csm nell’ambito del procedimento aperto nei confronti dei pm napoletani per il caso Consip. Stralci dell’audizione fatta dal magistrato, il 17 luglio scorso, sono stati pubblicati stamattina da Repubblica, Corriere della Sera e Messaggero ed hanno scatenato l’ennesimo putiferio che travolge la Procura di Napoli e i carabinieri del Noe che hanno seguito l’indagine a partire da quella sulla Cpl Concordia, il colosso delle cooperativa che opera nell’energia alternativa, indagine ‘madre’ di Consip per l’appalto milionario affidato all’imprenditore Alfredo Romeo.

Le parole del Procuratore di Modena Musti, risuonano come un potente atto di accusa nei confronti dei due militari delegati alle indagini che attraverso l’inchiesta sarebbero voluti arrivare al coinvolgimento di Matteo Renzi, allora premier nella mega indagine che poi è sfumata in un’assoluzione nelle fase delle indagini preliminari dei vertici della Cpl Concordia.

“Se vuole, ha una bomba in mano. Lei può far esplodere la bomba. Scoppierà un casino. Arriviamo a Renzi”. Queste le parole che, in più di un incontro tra Modena e Roma, il capitano del Noe Gianpaolo Scafarto, indagato per falso nell’ambito dell’indagine sul caso Consip, e il colonnello Ultimo Sergio De Caprio, avrebbero rivolto alla procuratrice di Modena Lucia Musti. Sono le frasi riferite dalla magistrata durante l’audizione tenuta il 17 luglio scorso al Csm. I colloqui, riferisce Repubblica, risalgono alla primavera del 2015: ad aprile di quell’anno, la Procura di Modena aveva appena ricevuto gli atti dell’inchiesta sugli affari della coop Cpl Concordia, aperta dalla Procura di Napoli e poi trasmessa per competenza territoriale nella città emiliana. E’ la stessa procuratrice a ricostruire i retroscena durante la seduta di oltre due ore e mezza davanti alla prima commissione del Csm. Nel corso dell’audizione, riferisce il quotidiano, “racconta di aver visto Scafarto e Ultimo particolarmente ‘spregiudicati’ e come ‘presi da un delirio di onnipotenza'”. Un’anticipazione sugli sviluppi di un lavoro investigativo che Musti non avrebbe gradito e lo avrebbe raccontato due anni dopo ai colleghi della Prima commissione del Csm. Inoltre, dopo che a Modena era stato trasmesso dai Pm di Napoli Henry John Woodcock, Celeste Carrano e Giuseppina Loreto uno stralcio dell’inchiesta su Cpl-Concordia, con allegata un’informativa in cui erano inserite intercettazioni tra il generale della Gdf Michele Adinolfi e l’allora premier Matteo Renzi, De Caprio le avrebbe detto: “Lei ha una bomba in mano, se vuole la puo’ far esplodere”. Secondo quanto riportato da Repubblica la magistrata si sarebbe sentita quasi messa sotto pressione, come se la sua libertà e le sue prerogative di capo di una Procura potessero in qualche misura essere coartate. Il verbale di Musti al Csm, che rientra in un accertamento avviato per far luce sulla fuga di notizie del luglio 2015 riguardante proprio le telefonate tra Renzi e Adinolfi, è stato inviato ai Pm di Roma per approfondimenti.

La pm Lucia Musti è stata ascoltata nell’ambito del procedimento per incompatibilità nei confronti del pm Henry John Woodcock, di cui sono relatori i togati Luca Palamara e Aldo Morgigni. Nel corso dell’audizione, la procuratrice Musti viene più volte incalzata dai consiglieri, che chiedono maggiori dettagli. Al Csm, la procuratrice Musti “ha raccontato – riferisce Repubblica – di aver avuto un primo incontro a Modena con Scafarto e un secondo con lo stesso Scafarto e l’allora vicecomdandante del Noe, Sergio De Caprio, conosciuto come il colonnello Ultimo a Roma. Colloqui sempre finalizzati esclusivamente a discutere dell’indagine”. Gli ufficiali dei carabinieri le avrebbero parlato di due “bombe”: una era rappresentata proprio dall’inchiesta sulla Cpl Concordia, ritenuta dagli investigatori in grado di aprire squarci sul sistema delle cooperative; l’altra era indicata nel caso Consip.

Nessun commento è arrivato dal Procuratore di Modena Musti dopo la pubblicazione dei verbali di stamane, ma le parole riferite dal magistrato hanno generato reazioni ‘indispettite’ di numerosi esponenti del Pd che parlano di ‘complotto’ e ‘colpo di Stato’. Il deputato del Partito Democratico Michele Anzaldi, annunciando la presentazione di un’interrogazione al ministro della Difesa, Roberta Pinotti, dice: “Le parole del procuratore di Modena Lucia Musti sul caso Consip, pronunciate in sede ufficiale di audizione di fronte all’organo di autogoverno della magistratura ovvero il Csm, mostrano uno scenario decisamente inquietante e allarmante, ai limiti del colpo di Stato: il ministero della Difesa, da cui dipendono gli ufficiali dei carabinieri accusati dalla magistrata Musti, ha richiesto l’acquisizione delle carte per valutare eventuali provvedimenti da prendere? Ha avviato un’indagine interna? Ha valutato se e quali interventi vadano assunti per tutelare l’onorabilità e il buon nome dell’Arma dei Carabinieri?”.

“Secondo quanto riferito dalla magistrata Musti – prosegue Anzaldi – l’ex vicecomandante del Noe Sergio de Caprio e il capitano del Noe Gianpaolo Scafarto, entrambi in forza all’Arma dei Carabinieri, in più occasioni avrebbero tentato di indirizzarla su presunte indagini che miravano a coinvolgere l’allora premier Matteo Renzi, attraverso informative di polizia giudiziaria ‘fatte coi piedi’, come avrebbe dichiarato la pm. Si tratta di un ulteriore elemento gravissimo che si aggiunge a quanto già emerso in un’inchiesta dove ci sono ufficiali dei carabinieri accusati di aver manomesso ordinanze, inventato intercettazioni e taroccato frasi ed elementi di indagine. Un contesto, insomma, in cui pubblici ufficiali delle forze dell’ordine sono coinvolti in presunti depistaggi, fughe di notizie, rivelazione del segreto istruttorio, tanto che la Procura di Roma ha dovuto escludere il Noe dalle indagini sul caso Consip a seguito di reiterati atteggiamenti sospetti e oggetto ora di indagine”.

“Di fronte ad uno scenario del genere – dichiara ancora Anzaldi – sul quale dal lato giudiziario stanno già indagando sia la Procura di Roma, sia il Csm, ora che sono emersi i contenuti gravissimi della deposizione di un giudice di fronte al massimo organo della magistratura quale è appunto il Csm, è opportuno che il ministero della Difesa valuti se e in che modo debba intervenire per verificare se alcuni carabinieri hanno tramato contro i vertici democratici del nostro Paese e per evitare che questa vicenda diventi peraltro un grave danno di immagine per l’Arma dei Carabinieri, anche nel rapporto dei cittadini con l’Arma”.

Sulla vicenda si sono espressi anche altri esponenti del Pd: “Carabinieri che vogliono arrivare a Renzi, indagini costruite a tavolino? Serve la verità rapidamente”. Scrive su Twitter il senatore del Pd Stefano Esposito commentando le notizie sul caso Cpl Concordia. “Sta emergendo un quadro inquietante dalle indagini Consip. Emerge che si sarebbe voluto colpire Renzi attraverso il padre. Va fatta piena luce, presto”. Afferma il deputato del Pd, Edoardo Patriarca. “La gravità assoluta di un’indagine che sembra pilotata per colpire Matteo Renzi. Serve arrivare alla verità”. Scrive sempre su Twitter il senatore Pd Andrea Marcucci. Medesimo commento quello del deputato Pd Emanuele Fiano.

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Listopoli a Napoli, Madonna accusa Mola

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Ha parlato come testimone e come possibile parte lesa nell’inchiesta denominata Listopoli, Valeria Valente, candidata del Pd alla carica di sindaco di Napoli nella scorsa tornata elettorale. La parlamentare ha spiegato al pm Stefania Buda, che non era suo compito occuparsi delle liste e che i nominativi non venivano sottoposti direttamente alla sua attenzione ma a quella del comitato preposto. Dopo diversi “non so, non ricordo”, ha anche detto di “non conoscere il numero dei candidati che componevano ciascuna lista”, di “non conoscere il modo in cui i candidati venivano materialmente inseriti nella lista” e di “non essere a conoscenza di chi fosse il presentatore della lista stessa”; inoltre  di “non conoscere il ruolo di Francesco Morra, uno dei due delegati a presentare la lista”. Era invece a conoscenza, in maniera diretta, del sostegno economico ricevuto per la sua discesa in campo, in quota Pd nel duello contro De Magistris. Ha spiegato la Valente: “Tutta la rendicontazione del costo della mia campagna elettorale è intorno ai trecento mila euro e cento mila euro arrivarono dal Pd”. L’inchiesta, coordinata dal pool mani pulite sotto il coordinamento dell’aggiunto Alfonso D’Avino, è di ipotesi di brogli elettorali e la Procura si prepara a chiedere il giudizio a carico di Gennaro Mola, ex capo dello staff elettorale e compagno della Valente nonché del suo braccio destro Renato Vardaro; di Salvatore Madonna – Consigliere comunale e autenticatore delle liste -, Antonio Borriello, ex leader del Pd a San Giovanni a Teduccio; Aniello Esposito, Consigliere comunale e certificatore delle liste. Tutti i verbali sono agli atti. Salvatore Madonna, difeso dall’avvocato penalista Carlo Di Casola, ha duramente perso le distanze dal lavoro dello staff elettorale che aveva in Gennaro Mola il proprio punto di riferimento: “Riconosco solo la mia firma e disconosco tutto il resto. Non riesco a capire come sia possibile che tutti i candidati falsi siano stati a me sottoposti per l’autentica”. Alla domanda se avesse provato a contattare Mola, dopo aver appreso dello scandalo Listopoli, Salvatore Madonna risponde: “volutamente non ho contattato Mola avendo avuto paura di una mia incontenibile reazione violenta”. Dopo mesi di indagine però pare che nessuno dei coinvolti sia stato in grado di fornire una spiegazione sensata sulla composizione delle liste. Ha spiegato Gennaro Mola, difeso dall’avvocato penalista Bruno Von Arx: “Il mio unico assillo era mettere nella lista di Valeria quante più persone che potevano avere voti. La lista Napoli Vale ha portato oltre seimila voti”. Madonna ricorda il caos negli uffici del comitato in quella notte tra il 6 e il 7 maggio 2016, tanto da protestare per quelle sessanta-settanta persone che attendevano l’autentica della firma: “Mola venne nella stanza con i modelli di accettazione che lei mi mostra, già compilati, voltando ciascuna pagina sul tavolo, notai solo che erano compilati”. La stessa scena viene resa da Vardaro e da Francesco Morra, uno dei delegati a presentare la lista Napoli Vale. Renato Verardo dichiara: “quella notte constatai dei momenti di concitazione in quanto si era raggiunto solo la candidatura di 25/26 candidati”. Poi arrivò nella stanza lo stesso Mola che portò altri moduli di accettazione delle candidature prive del certificato iscrizione alle liste elettorali”. Il processo ruota intorno l’episodio riportato da Verardo e riferito allo stesso Mola.

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Maltrattava la moglie e violentava una delle figlie: arrestato 65enne in provincia di Caserta

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Caserta. Maltrattava la compagna e le figlie: arrestato un uomo di 65 anni ad Alvignano, in provincia di Caserta. I carabinieri della stazione hanno eseguito oggi l’ordinanza del Gi del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere nei confronti di P. F..

Le indagini, dirette dalla Procura di Santa Maria Capua Vetere, hanno consentito di accertare la condotta della persona arrestata, ritenuta responsabile del delitto di maltrattamenti in famiglia, lesioni aggravate, minacce gravi, violenza privata, reati ripetutamente commessi nei confronti della compagna e delle figlie.

Era acclarato che l’uomo agiva, in ambito familiare, comportandosi con modalità da “padre padrone”, umiliando, sopraffacendo ed annullando la libera determinazione delle persone offese, alle quali erano proibite anche le più naturali e comuni iniziative della vita di relazione.
In particolare, F.P. era addirittura arrivato ad impedire alle vittime di accedere all’assistenza medica di base, al punto che, nel 2008, gli assistenti sociali erano dovuti intervenire e, solo in seguito alla segnalazione della ASL e degli assistenti sociali, i familiari si erano iscritti all’assistenza sanitaria di base.

L’indagato è anche accusato di violenza sessuale ai danni di una delle figlie, vittima di attenzioni morbose già da minorenne, alla quale il padre aveva tentato di far credere che fosse “normale” la consumazione di rapporti sessuali.

Le indagini sono state svolte a seguito di denuncia della compagna del F.P. e sono state arricchite dalle testimonianze delle altre componenti del nucleo familiare, chiare nel delineare il grave quadro indiziario.

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Con un amico sequestrò e violentò una ragazza: ai domiciliari 22enne di Casal di Principe

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Casal di Principe. Violenza di gruppo: ordinanza cautelare nei confronti di due persone un 22enne e un 32enne residenti a Casal di Principe. Il personale della Squadra Mobile di Caserta ha eseguito un’ordinanza del Gip di Napoli nord. I due sono, uno ai domiciliari, l’altro destinatario di un obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria. Sono accusati di violenza di gruppo aggravata e sequestro di persona.

L’episodio risale a settembre del 2016, una giovane presentò una denuncia per violenza sessuale. Raccontò di essere stata portata in una villetta nelle campagne di Casal di Principe di uno dei due indagati e costretta ad avere un rapporto sessuale con uno dei due che, per indurla al silenzio le tappava la bocca e le spegneva delle sigarette sul corpo. L’altro, il 32enne, che aveva difficoltà di deambulazione e costretto su una sedia a rotelle era un amico della vittima e si limitò a guardare la scena e a compiere atti di libidine nei suoi confronti. La ragazza venne poi lasciata nei pressi della stazione ferroviaria di San Cipriano d’Aversa da dove riuscì a contattare le forze dell’ordine.

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L’autopsia sulla giovane uccisa a Lecce: ”Noemi non è morta per un colpo alla testa”

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Lecce. La tac sul corpo della ragazza non lascia dubbi: Noemi Durini non è morta a causa di un colpo di pietra alla testa. E’ quanto emerge dal primo esame radiologico effettuato dal medico legale Roberto Vaglio sul corpo della sedicenne. Dalla Tac eseguita nella camera mortuaria dell’ospedale Vito Fazzi di Lecce, non emergerebbero infatti segni di fratture scheletriche, tantomeno al cranio. Questo fa quindi escludere che la giovane, come invece era stato detto in un primo momento, sia deceduta per i colpi inferti con una pietra in testa.

Le prime risultanze dell’autopsia cambiano le prospettive sia dell’indagine penale che di quella medico legale. L’ex fidanzato aveva raccontato di averla uccisa con un coltello che la stessa Noemi aveva portato con sè il giorno in cui uscì di casa a notte fonda per incontrarsi con lui. Sul corpo della vittima sono presenti lesioni sul collo e segni riconducibili a dei tagli. Il piano, secondo il racconto del giovane, sarebbe stato quello quello di sterminare la famiglia di lui che ostacolava il loro rapporto.

Oggi pesanti accuse, invece, arrivano dal padre della giovane: “Il ragazzo sta nascondendo suo padre, lo protegge, ma quello non si salverà, ha fatto tutto lui”. Il padre di Noemi, la sedicenne uccisa a Specchia dal fidanzato reo confesso, accusa il genitore di quest’ultimo sostenendo che ha un ruolo fondamentale nell’omicidio della figlia. L’uomo ha fatto un lungo sfogo con i giornalisti proprio davanti all’abitazione di Alessano dove abitano i genitori del presunto omicida, sostenendo di voler perdonare il giovane per quello che ha fatto. Era andato lì per cercare di incontrare il padre del ragazzo e solo l’intervento dei carabinieri ha evitato che la situazione degenerasse. “Me l’ha uccisa, vieni fuori bastardo” ha urlato più volte l’uomo cercando di arrivare alla casa.

Intanto non è stato ancora disposto l’interrogatorio di garanzia a carico del diciassettenne reo confesso dell’omicidio. I legali difensori del giovane, Luigi Rella e Paolo Pepe stanno attendendo di essere avvisati dalla Procura per i minori di Lecce. Il termine di 48 ore entro cui deve avvenire la convalida del fermo, scade domani. Il giovane si trova in una casa protetta di un comune dell’hinterland di Lecce, tenuto sotto stretta osservazione per timore che possa compiere gesti di autolesionismo.

Il Ministro Andrea Orlando spiega perchè ha avviato un’indagine sulla condotta dei magistrati nella vicenda di Noemi. “Abbiamo ritenuto opportuno intervenire perchè a una prima valutazione sono emerse delle condotte nelle attività dei magistrati che possono far supporre delle abnormità. E quindi come facoltà del ministro abbiamo attivato le procedure per la verifica ispettiva”. “Naturalmente – ha aggiunto – questo non cancellerà il dolore dei familiari ai quali vogliamo rivolgere tutto il nostro cordoglio, esprimere la nostra vicinanza. Però credo sia nostro dovere andare a vedere se qualcosa non ha funzionato in questa vicenda e se tutto quello che si poteva fare è stato effettivamente fatto”.

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Camorra: revocato il programma protezione all’ex boss pentito dei Casalesi, Salvatore Belforte

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La commissione centrale del ministero dell’Interno ha revocato il piano di protezione a Salvatore Belforte, boss dell’omonimo gruppo di Marcianise. Il provvedimento e’ stato sollecitato dalla Dda di Napoli per ‘comportamenti non correnti agli obblighi imposti dalla legge’ ai pentiti. Salvatore Belforte ha reso nel corso della sua collaborazione, alcune dichiarazioni che sono successivamente risultate reticenti e false, in particolare sul coinvolgimento di alcuni suoi familiari, ancora pienamente inseriti in contesti criminali. Aveva in particolare coperto parenti stretti, non accusandoli dell’omicidio di Angela Gentile, avvenuto a Caserta il 28 ottobre 1991, compagna di Domenico Belforte, suo fratello, il cui cadavere non e’ mai stato trovato. 

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Caso Consip, Ultimo: ”Nessun golpe, il pm Musti è stata supportata in quello che ci ha chiesto”

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Roma. E’ ormai uno scontro ‘vis à vis’. Il caso Consip e Cpl Concordia è una resa dei conti tra Magistratura e Politica da un lato e coloro che hanno seguito le indagini, dall’altra. Le rivelazioni delle dichiarazioni del procuratore Lucia Musti al Csm, apparse stamane su alcuni quotidiani, e che riguardano presunte pressioni del vice comandante del Noe, Sergio De Caprio, e del maggiore Gianpaolo Scafarto per indirizzare le indagini sul premier Matteo Renzi, sono state dirompenti tanto da generare la reazione di De Caprio, il Capitano Ultimo, e una sequela di reazioni. Presentata anche un’interrogazione parlamentare da parte del Pd. L’unica che non ha commentato è stata proprio il Procuratore di Modena, Lucia Musti. Il colonnello De Caprio risponde ai politici del Pd che hanno urlato al complotto e al golpe contro lo Stato: “Leggo che illustri esponenti politici – tra cui il Ministri Dario Franceschini, Luigi Zanda, Michele Anzaldi, Pino Pisicchio – paventano colpi di stato e azioni eversive da parte del Capitano Ultimo e di pochi disperati carabinieri che lavorano per un tozzo di pane. Stiano sereni tutti, perchè mai abbiamo voluto contrastare Matteo Renzi o altri politici, mai abbiamo voluto alcun potere, mai abbiamo falsificato alcunchè”. Ha detto all’Ansa, il colonnello Sergio De Caprio, a proposito della vicenda Consip. “L’unico golpe che vediamo – ha detto il Capitano Ultimo – è quello perpetrato contro i cittadini della Repubblica, quelli che non hanno una casa, quelli che non hanno un lavoro e quel golpe non lo hanno fatto e non lo fanno i carabinieri”. Poi il colonnello è entrato nel merito della vicenda e alle accuse lanciate da Musti nel corso dell’audizione alla Prima commissione del Csm: “La dottoressa Musti è stata supportata in tutto quello che ci ha liberamente richiesto, compresa la presenza del capitano Scafarto a Modena, compreso il fatto di non informare delle indagini il comandante provinciale dei carabinieri di Modena e la Prefettura perchè li considerava collusi con le cooperative rosse su cui da tempo indagava autonomamente”. Ha affermato il colonnello De Caprio. E proprio a proposito di queste dichiarazioni il Procuratore capo di Modena ha rotto il silenzio durato l’intera mattinata e si è trincerata dietro un “Non commento le dichiarazioni del colonnello Sergio De Caprio. Risponderò solo alle domande dei magistrati della Procura della Repubblica di Roma”.

Sulla vicenda è intervenuta anche il Ministro della Difesa, Roberta Pinotti, a margine di una visita allo stabilimento Leonardo di Genova. Il Ministro giudica le dichiarazioni del colonnello come uno sfogo personale, da non attribuire all’Arma dei Carabinieri e lo isola chiedendo l’intervento del Comando generale: “Ho letto le dichiarazioni del colonnello De Caprio che sono da attribuire a lui personalmente e basta, non certo all’Arma dei Carabinieri che ha sempre e continua a dimostrare grande fedeltà a quello che è il proprio ruolo. Credo che dovranno anche essere valutate dal Comando generale”.

Mentre il Pd e il deputato Michele Anzaldi hanno presentato un’interrogazione ai ministri dell’Interno e Difesa per sapere se De Caprio era autorizzato a parlare. L’interrogazione è stata presentata oggi pomeriggio e si chiede ai ministri Marco Minniti e Roberta Pinotti ‘Se non ritengano necessario valutare se e in che modo si debba intervenire per verificare se alcuni Carabinieri abbiano realmente tramato contro i vertici democratici del Paese’. Si chiede inoltre ‘se le dichiarazioni alla stampa del comandante De Caprio siano state autorizzate o meno dai vertici dell’Arma’.

Anzaldi ci va giù pesante e continua a sostenere la tesi del complotto per rovesciare il ‘vertice democratico del paese’. “Se quanto emerso fosse confermato, saremmo di fronte ad atteggiamenti di pubblici ufficiali dell’Arma dei Carabinieri – scrive il deputato del Pd – anche con incarichi di rilievo, che avrebbero tramato per rovesciare il vertice democratico del Paese, in uno scenario ai limiti del colpo di Stato”. E ancora: “Di fronte alle accuse rese in sede ufficiale dalla pm Musti, il comandante De Caprio ha risposto con dichiarazioni alla stampa, invece che nelle sedi preposte, che inquietano ancora di più, con repliche dirette a magistrati, ministri, parlamentari della Repubblica, mettendo ancor più in imbarazzo l’Arma dei Carabinieri”. Di conseguenza “si chiede di sapere se i Ministri interessati non ritengano opportuno quanto necessario, di fronte ad uno scenario del genere, nel rispetto del lavoro della magistratura, considerato che dal lato giudiziario stanno già indagando sia la Procura di Roma sia il Csm, ora che sono emersi i contenuti gravissimi della deposizione di un giudice di fronte al massimo organo della magistratura quale è appunto il Csm, valutare se e in che modo si debba intervenire per verificare se alcuni carabinieri abbiano realmente tramato contro i vertici democratici del nostro Paese, anche per scongiurare il rischio che questa vicenda arrechi un grave vulnus all’immagine dell’Arma dei Carabinieri, anche per salvaguardare il fondamentale rapporto dei cittadini italiani con la medesima”. Inoltre si chiede “se i ministri interessati non ritengano opportuno quanto necessario chiedere di acquisire le carte riguardante la deposizione della pm Musti che coinvolge componenti dell’Arma dei Carabinieri, ancora in servizio e addirittura oggetto di promozioni”.

Intanto non comincerà prima della prossima settimana l’esame degli atti inviati dal Csm alla Procura di Roma riguardanti la vicenda Consip. In particolare da palazzo Marescialli sono stati inviati i verbali inerenti le dichiarazioni rese dalla procuratrice di Modena, Lucia Musti. Gli atti sarebbero stati trasmessi dal Consiglio superiore della magistratura da diversi giorni, ma la Pec sarebbe arrivata – secondo quanto si è appreso a piazzale Clodio – solo ieri pomeriggio. Inoltre, complice alcuni impegni istituzionali sia il procuratore capo Giuseppe Pignatone che l’aggiunto Paolo Ielo sono fuori Roma almeno fino a lunedì. Secondo quanto si è appreso comunque dopo l’esame del dossier gli inquirenti decideranno se inserirlo nel fascicolo relativo alla vicenda della centrale di acquisti della pubblica amministrazione oppure aprire un fascicolo apposito ed avviare specifici accertamenti.

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Inchiesta Consip, i carabinieri indagano su ”Ultimo” e Renzi tuona: ”Chi ha sbagliato paghi”

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Il Comando generale dell’Arma dei carabinieri valutera’ il contenuto delle parole attribuite al colonnello Sergio De Caprio – ‘il capitano Ultimo’ all’epoca delle inchieste che portarono alla cattura di Toto’ Riina – in merito alla vicenda Consip.  Dagli stessi ambienti dell’Arma si apprende inoltre che ci si allinea alle parole dette oggi dal ministro della Difesa Roberta Pinotti, a margine di un evento a Genova, a commento proprio delle parole del colonnello. “Dichiarazioni – ha detto Pinotti – non da attribuire all’Arma dei Carabinieri che ha sempre e continua a dimostrare grande fedelta’ a quello che e’ il proprio ruolo”.

Secondo quanto attribuitogli e che ora sara’ oggetto della valutazione interna del Comando generale dell’Arma, l’ufficiale avrebbe parlato di linciaggio mediatico che organi di disinformazione legati a lobby, con obiettivo sfruttare il Paese, stanno conducendo nei suoi confronti. De Caprio ha anche respinto l’accusa di aver indagato oltre i fatti che riguardavano le sole persone oggette di indagini disposte dall’autorita’ giudiziaria. De Caprio, nelle dichiarazioni a lui attribuite, nega anche di aver forzato – come invece riportato oggi da alcuni organi di informazione – il magistrato che indagava sulla vicenda Consip a compiere atti illegali, sostenendo invece di aver sempre condotto con lealta’ le indagini ordinate a lui e agli altri investigatori. L’ufficiale dei carabinieri ha quindi negato di aver mai parlato dell’allora premier Renzi con il magistrato o con altri.

E’ un “tentativo eversivo”, un “complotto”, quello che emerge tra le pieghe dell’inchiesta Consip. Il Pd rilancia a gran voce la pesantissima accusa, dopo la pubblicazione della testimonianza resa al Csm dalla pm di Modena Lucia Musti. Nel 2015, riferisce la procuratrice, il capitano del Noe Gianpaolo Scafarto e il colonnello Sergio Di Caprio (il capitano Ultimo) le prospettarono la possibilita’ di “far esplodere una bomba” giudiziaria per “arrivare a Matteo Renzi“. La pistola fumante, secondo i Dem, di un tentativo di incastrare l’ex premier, anche attraverso l’indagine sul padre. “Pretendo la verita’ – commenta Renzi – Hanno provato a colpire me ma verra’ colpito chi ha tradito il senso dello Stato”. E’ l’alba, raccontano parlamentari Dem, quando il segretario del Pd legge sui giornali le nuove rivelazioni che sembrano avvalorare la tesi secondo cui Consip fosse uno “scandalo” costruito per colpirlo. E fin dal primo mattino i dirigenti Dem intervengono per denunciare quanto grave sia quel che emerge. Il ministro della Giustizia Andrea Orlando, per non sovrapporsi al lavoro della magistratura, tace, cosi’ come il premier Gentiloni. Ma il ministro Dario Franceschini, che mette da parte rapporti non proprio distesi con il segretario per scandire: “Una cosa e’ il dibattito interno o esterno al Pd, una cosa gli attacchi a Renzi, ma questo e’ un fatto di una gravita’ istituzionale enorme: azioni e parole di chiarezza e solidarieta’ dovrebbero arrivare da tutti”, dichiara. Dai contorni della vicenda, rincara la dose il capogruppo Pd al Senato Luigi Zanda, emergono i tratti di quella che “un tempo sarebbe stata definita eversione, se non di peggio”. Il quotidiano di partito Democratica apre con un titolo inequivocabile: “Il complotto”. Serve chiarezza subito, scrivono, “alla vigilia di una stagione elettorale decisiva”. Ecco i fatti. La pm di Modena riferisce un colloquio relativo all’inchiesta del 2015 sugli affari della coop Cpl Concordia. E al Csm descrive come “esagitati” i due Carabinieri che, sostiene, le si rivolsero indicando come possibile bersaglio grosso Matteo Renzi. Scafarto, che e’ gia’ indagato per falso nell’indagine sul caso Consip che coinvolge Tiziano Renzi, tace. Di Caprio si difende e contrattacca: “Non ho mai svolto indagini per motivi politici e mai citato Renzi. E’ linciaggio mediatico”. Ma le parole del capitano Ultimo (fu lui ad arrestare Toto’ Riina), che aprono uno scontro tra il colonnello dei Carabinieri e la procuratrice di Modena, indignano ancor di piu’ i Dem. E spingono il ministro della Difesa Roberta Pinotti a intervenire, chiedendo all’Arma, che “ha sempre dimostrato grande fedelta’ al proprio ruolo”, a “valutarne l’opportunita'”. Renzi da Milano si rifiuta di parlare di “complotto” e dichiara “stima” per i Carabinieri, i Servizi segreti, la magistratura e le istituzioni tutte. Ma ricorda il dolore personale della sua famiglia per l’inchiesta Consip (oggi il padre Tiziano sceglie di tacere, come il ministro Luca Lotti). E dichiara: “Quei politici che volevano usare Consip per gettarmi fango addosso, vedranno quel fango ritorcersi contro di loro. C’e’ un giudice a Roma” che indaga sull’intera vicenda “e ci fidiamo: sono tranquillo, la verita’ arrivera'”, aggiunge il leader Pd, che invoca giustizia. E, mentre dichiara fiducia nei magistrati, dice no a una politica “subalterna” delle inchieste. I renziani ora confidano che la prossima campagna elettorale inizi libera dalle scorie di Consip. Percio’ rilanciano l’offensiva anche in Parlamento. Michele Anzaldi presenta un’interrogazione per chiedere ai ministri dell’Interno e della Difesa se non reputino di dover intraprendere iniziative per verificare se i Carabinieri abbiano “tramato” contro le istituzioni. Il deputato David Ermini domanda se ci siano “mandanti” dietro la vicenda. E anche Mdp, con Gianni Melilla, denuncia: “Sembra di tornare alle vecchie stagioni in cui si tramava contro lo Stato. “Va chiarito tutto e al piu’ presto”.

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”Guarente voleva uccidere anche Heven”, la confessione del complice dell’assassino di Vincenzo Ruggiero

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“Due anni fa Ciro Guarente mi confessò di voler uccidere la sua fidanzata Heven. Mi chiese se conoscessi qualcuno al quale commissionare il delitto. Io gli dissi che occorrevano 40mila euro, ma lui non accettò perché era un importo che non poteva sostenere”. E’ la confessione choc di Francesco De Turris, il pregiudicato di Ponticelli, arrestato il 10 agosto scorso perchè accusato di aver fornito al dipendente della Marina Militare la pistola calibro 7,65 con la quale il”Grinder boy” avrebbe ammazzato Vincenzo Ruggiero primo di farlo a pezzi e sotterrarlo in un garage vicino all’abitazione dei suoi genitori a Ponticelli. La notizia è contenuta nell’ordinanza di custodia cautelare a carico di De Turris ed è riportata dall’edizione di Caserta de Il Mattino in edicola. Nella sua confessione ai magistrati De Turris ha anche affermato: “A luglio di quest’anno, mi disse: tutto a posto, l’ho fatto, l’ho ucciso  successivamente mi confidò che aveva comprato da Scaramuzza, un grosso ferramenta che si trova a Poggioreale, una sega e un’ascia perché doveva tagliare il cadavere”. A proposito delle armi utilizzate da Guarente per uccidere e martoriare il corpo dello sfortunato 24enne di Parete gli investigatori non le hanno ancora trovate. Come non sono state ancora trovate la testa e parte di un braccio del commesso “colpevole” solo di avere una profonda amicizia con la fidanzata trans di Guarente che accecato dalla gelosia la sera del 7 luglio uccise il ragazzo in via Boccaccio ad Aversa, nell’abitazione di Heven Grimaldi, in quei giorni assente. Gli investigatori stanno continuando le indagini soprattutto rivolgendosi agli altri due complici di Guarente accusati di favoreggiamento in occultamento e distruzione di cadavere. Si tratta di altre due persone sempre di Ponticelli che avrebbero appunto aiutato Ciro Guarente a disfarsi in maniera macabra e inumana del cadavere di Vincenzo Ruggiero. Nel frattelpo Ciro Guarente è stato “cacciato” dal carcere di Poggioreale dove era arrivato un mese fa dopo un primo passaggio per Santa Maria Capua Vetere. E’ stato trasferito a Matera perché a Poggioreale è detenuto il padre di Vincenzo e anche se in padiglioni diversi la situazione stava diventando insostenibile.

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Inchiesta Consip, Woodcock indagato per falso dalla Procura di Roma

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Il pm di Napoli Henry John Woodcock è indagato dalla Procura di Roma anche per per falso, in concorso con l’ex capitano del Noe Gianpaolo Scafarto. L’accusa si aggiunge a quella di violazione di segreto, a quanto riferiscono il ‘Corriere della Sera’ e il ‘Messaggero’. Woodcock avrebbe fatto trapelare notizie relative a un’auto dei servizi segreti che avrebbe spiato le mosse dei carabinieri impegnati negli accertamenti sull’imprenditore Alfredo Romeo. Secondo l’accusa, quando Scafarto scrisse questo dato nell’informativa trasmessa agli inquirenti, in realtà già sapeva che i servizi segreti non c’entravano, ma da quanto ha fatto mettere a verbale, quella scelta era stata “indotta” dal pm napoletano. Versione che l’ufficiale ha fornito agli inquirenti in u interrogatorio, prima di trincerarsi nel silenzio.

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Camorra: ”Così decidemmo la guerra a Scampia”, le prime confessioni del boss pentito Gennaro Notturno ‘o sarracino

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Fu l’omicidio di Luigi Aliberti, un affiliato ai Di Lauro avvenuto il 29 settembre del 2004, in via Ghisleri ad aprire la prima sanguinosa “Faida di Scampia”, Lo ha precisato il boss  killer neo pentito Gennaro Notturno ‘o sarracino in uno dei suoi prima verbali sottoscritto davanti ai magistrati della Dda di Napoli che lo hanno preso in carico. “Volevamo mandare un messaggio a Cosimo Di Lauro, fargli capire che eravamo pronti a tutto se non ci dava i soldi che ci spettavano, ma lui non capì o finse di non capire. E così ci fu poi il duplice omicidio a Scampia al quale ho partecipato direttamente”. (il duplice omicidio di Fulvio Montanino, braccio destro di Cosimo Di Lauro, e Claudio Salierno, avvenuto il 28 ottobre del 2004 e al quale storicamente fino ad oggi si è sempre fatto riferimento per dare una data di inizio alla spietata  guerra di camorra). Mette un punto fermo e riscrive la storia della camorra di Scampia e Secondigliano, il neo collaboratore di giustizia Gennaro Notturno che sta svelando retroscena, i nomi di  mandanti, killer, fiancheggiatori di decine di omicidi della tre faide ma anche i legami con gli altri clan, i gestori del traffico di droga, gli insospettabili colletti bianche al servizio della varie famiglie malavitose. Un vero e proprio fiume in piena ‘o sarracino che spiega che decidere a tavolino della faida furono Cesare Pagano, Raffaele Amato, Arcangelo Abete, Ciro Mauriello, oltre a lui e suo fratello Vincenzo nel corso di un summit  in un anonimo appartamento al settimo piano del Lotto T/B di via Fratelli Cervi a Secondigliano. Notturno che è in carcere dal 2005 nell’ambito dell’operazione Alba dello Stato con centinaia di arresti ha già confermato di essere l’autore dell’omicidio della vittima innocente Antonio Landieri ucciso il 6novembre del 2004 nel corso di un assalto a un circolo ricreativo ai “Sette palazzi” in cui doveva morire i fratelli Meola, legati a Di Lauro.

 

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Camorra, omicidio Esposito: il boss Formicola evita l’ergastolo

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Il Pubblico Ministero aveva richiesto il carcere a vita: l’ergastolo perché oltre al contestato omicidio c’erano anche dei reati “salienti”. Invece il boss di Ponticelli, Ciro Formicola, ha ottenuto l’esclusione del massimo della pena e dovrà scontare una condanna a trent’anni. Come lui anche il boss Luigi Piscopo coimputato nello stesso processo. La DDA nei confronti di Piscopo aveva chiesto una condanna all’ ergastolo. Il movente dell’ omicidio di Guglielmo Esposito, freddato nel settembre 1996, sta nella volontà dei capi di camorra di Ponticelli e San Giovanni a Teduccio di eliminare un proprio affiliato diventato scomodo e perché sospettato di avere contatti con le forze di polizia. Esposito, infatti, sarebbe stato in più occasioni notato nei pressi dei bunker nei minuti immediatamente precedenti ad alcuni blitz della polizia. L’uomo non era ai vertici dell’ Organizzazione, gestiva le piazze di droga e le frequentava in maniera assidua.

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Camorra, le indagini della Dda sulla scomparsa di Angela Gentile e il coinvolgimento dei familiari di Belforte

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Gli inquirenti mantengono lo stretto riserbo sullo stato delle indagini relative all’omicidio di Angela Gentile e sul coinvolgimento di familiari dell’ex boss pentito Salvatore Belforte a cui ieri la Commissione centrale presso il ministero dell’Interno ha revocato il piano provvisorio di protezione. La donna, il cui cadavere non e’ mai stato trovato, scomparve nel nulla 26 anni fa, dopo aver accompagnato a scuola la figlia di 13 anni, nei pressi della centrale piazza Sant’Anna di Caserta. La figlia della vittima e’ poi cresciuta a casa di Domenico Belforte e della moglie Maria Buttone; non e’ un caso che quest’ultima, piu’ volte arrestata e ristretta anche al 41bis perche’ avrebbe retto il clan in assenza del marito, abbia trascorso un periodo di arresti domiciliari a Rimini, a casa della figlia di Gentile. Salvatore Belforte inizio’ a collaborare con la Dda di Napoli due anni fa, e la sua scelta, dirompente per un clan attivo nel Casertano per oltre 30 anni, prima a fianco della Nco di Raffaele Cutolo, poi in alleanza con il clan dei Casalesi, sembro’ epocale, specie per le indagini sugli intrecci tra camorra e mondo politico-imprenditoriale; peraltro, gia’ prima del pentimento di Belforte, qualche colletto bianco era stato arrestato grazie ai numerosi collaboratori del clan ed era emerso il condizionamento della cosca nel sistema di appalti dell’Asl di Caserta. Le dichiarazioni dell’ex boss non hanno pero’ portato ad ulteriori e importanti sviluppi, ne’ ad arresti clamorosi. Alla fine la Dda ha tirato le somme chiedendo alla Commissione Centrale del Viminale di revocare ogni misura di protezione a Belforte. “Lo Stato ha mantenuto i suoi impegni, lui no” conclude Borrelli. 

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