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NapolI: la Dda chiede l’ergastolo per il boss Francesco Mazzarella e tre affiliati. Sono accuati di 4 omicidi. Il racconto del pentito Giuseppe Persico

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Omicidio Secondigliano ( Via Montenero ) 
Omicidio Carlo Alberto Cipolletta
PH: AGNFOTO

Il pm della Dda di Napoli, Antonella Fratello, ha chiesto 4 ergastoli per il boss Francesco Mazzarella e tre dei suoi fedelissimi Alfonso Criscuolo, Giuseppe Di Vaio e Carlo Radice. I tre sono accusati di aver ucciso due fratelli Rom del campo nomadi di Secondigliano .Mirko e Goran Radosavljevic, avvenuto nel 2004.Ma la dda ha ricostruita grazie ai pentiti Giuseppe Persico ed Errico Autiero( per il primo sono stati chiesti 18 anni e sei mesi di carcere, per il secondo 1o anni e 5 mesi) altri due omicidi riconducibili agli attacchi dei “mazzarelliani” ai Mauro, imprenditori di piazza Mercato. Quelli di Francesco Ferrone, cognato dei Mauro ucciso il 3 febbraio 2004 nell’ufficio del garage che gestiva in piazza Mercato e di Antonio Scafaro  massacrato il 6 marzo 2005 in piazza Largo al Mercato. E’ stato il pentito Giuseppe Persico a spiegare agli investigatori gli omicidi dei due rom. Ecco cosa dice in un verbale: “…non riuscivamo a trovare gli autori del furto a casa del nostro boss e perciò decidemmo di uccidere altri due Rom, così da dare loro una lezione per il futuro. Eravamo io, Alfonso Criscuolo e Carlo Radice. Francesco Mazzarella non ci aveva detto di ammazzare chiunque avessimo trovato al campo Rom e non ne sapeva nulla: fu una decisione solo nostra e improvvisa”.. Mirko e Goran Radosavljevic furono sorpresi dai killer mentre tornavano alla baraccopoli dopo aver acquistato delle pizze da mangiare con familiari e amici. Con loro in macchina c’era un fratello 12enne, che era seduto dietro e fu graziato dagli assassini. Alcuni giorni prima mentre Francesco Mazzarella dormiva di pomeriggio insieme con i familiari, in due erano entrati in casa rubando denaro e oggetti di valore. I ladri però furono visti. Da quel momento scattò la caccia all’uomo e non è escluso che i due lasciarono l’Italia per timore di conseguenze, avendo capito che l’avevano fatta grossa. Poi arrivo la vendetta” trasversale da esempio” decisa dagli affiliati per far un piacre al boss.

Francesco Mazzarella Alfonso Criscuolo Carlo Radice Giuseppe Di Vaio

Piano di Sorrento, la testimonianza dei dirigenti comunali ‘salva’ alcuni dei ‘fannulloni’

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Piano di Sorrento. Potevano lasciare il luogo di lavoro, una ‘mobilità’ che potrebbe salvare i comunali ‘fannulloni’ sotto processo al Tribunale di Torre Annunziata. I dirigenti comunali alleviano la posizione di sette degli otto dipendenti comunali imputati nel processo che si sta celebrando dinanzi al giudice. In aula hanno testimoniato Luigi Maresca, Giacomo Giuliano e Vincenzo Limauro. “Quasi tutti avevano ruoli che permettevano loro di muoversi dal posto di lavoro, escluso il centralinista” hanno detto i funzionari al pm. Otto le persone finite dinanzi ai giudici per truffa allo Stato perchè assenteisti: Salvatore Pollio, istruttore dell’ufficio scuo- a; Immacolata Di Nota, moglie dell’autista del Comune Luigi Carotenuto, anche lui a giudizio; Rosario De Luca, centralinista; Antonino Aversa, istruttore dell’ufficio Stato civile; Antonino Valcaccia, esecutore; Carlo Pepe, dirigente dell’ufficio Cultura e Michele Esposito, messo notificatore. A portare gli otto dinanzi al giudice un’indagine dei carabinieri del 2012 che nel 2013 spinse il Gip ad accogliere un’ordinanza di custodia cautelare nei confronti di 5 persone: Aversa, Carotenuto, Valcaccia, Pepe ed Esposito furono destinatari di un obbligo di firma alla polizia giudiziaria, Pollio, Di Nota e De Luca, furono solo indagati. Nel corso delle indagini i carabinieri verificaro attraverso l’incrocio dei dati del cartellino e alcuni appostamenti come gli otto dipendenti pubblici si allontanavano dal luogo di lavoro senza avere alcuna autorizzazione.Cento ore di assenza ingiustificata dal posto di lavoro, furono registrate nell’arco di sei mesi. Nella prossima udienza sarà chiamato a testimoniare l’allora sindaco Giovanni Ruggiero, tra l’altro il Comune di Piano di Sorrento non si è costituito parte civile.

Fabbrica di limoncello abusiva a Piano di Sorrento: ecco chi sono i sei indagati

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Ecco chi sono i sei indagati eccellenti per la fabbrica abusiva di limoncello a Piano di Sorrento. Si tratta di Michele Amodio (tecnico comunale), Antonino Arpino (titolare della ditta edile) Gaetano Arpino (l’altro titolare di una ditta edile), Antonio Eelefante (progettista e direttore dei lavori), Giovanni Russo (presidente del consiglio di amministrazione della società), Gian Mario Russo ( amministratore della società). L’inchiesta coordinata dl pm Marco La Rovere della Procura di Torre Annunziata ieri ha portato al sequestro dell’opificio industriale sito in via Gennaro Maresca dove si producevano liquori e il famoso limocello. I sei indagati sono accusati di falso e abusivismo edilizio. Secondo le indagini la fabbrica sarebbe stata realizzata a partire ” da una struttura preesistente sprovvista dei titoli abitativi e in area non edificabile perché sottoposta a vincolo paesaggistico”. L’inchiesta dovrà fare luce sull’iter che ha consentito la costruzione dell’immobile tra l’altro ubicato nei pressi del cimitero cittadino e risalante agli anni Settanata. Si tratta di un fabbricato del vaolre di un milione di euro e di circa 750 metri quadrati che è stato oggetto di una importante opera di ristrutturazione.

Salvo il processo contro i falsi ciechi di Castellammare, Penisola Sorrentina e Comuni vesuviani. Tutti i nomi. IL VIDEO

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Nonostante sia cambiato il presidente del collegio giudicante il processo contro i falsi ciechi di castellammare, penisola sorrentina e Comuni vesuviani è salvo e va avanti con tutte le prove a carico portate in dibattimento dal pm Emilio Prisco grazie al lavoro investigatorivo della guardia di Finanza. Il blit scattò nel settembre del 2013 e portò a 21  ordinanze a carico di altrettanti “falsi ciechi”. Si accertò una truffa all’Inps di un milione e 700mila euro. Non solo molti di questi  ci vedevano benissimo, facevano shopping guardavano la tv, andava alla posta in fila  apagare le bollette e conducevano una vita normalissima. Ma nonostante ciò avevano percepito assegni di invalidità con cifre da capogiro: dai 52.808 ai 73.732 euro. A smascherarli le indagini congiunte dei carabinieri e della guardia di finanza che bussavano alla porta dei ‘sospetti’ travestiti con le classiche tute bian- che della ‘Gori’. I finanzieri travestiti mostravano la bolletta dell’acqua. I “falsi ciechi” stringevano mani, firmavano carte, preparavano  anche il caff come hanno dimostrato i filmati raccolti dagli investigatori con microcamere nascoste.Uno degli ufficiali ha raccontato nel corso di un idenza del processo :” Un giorno chi per l’Inps era cieco ci accolse sdraiato sul divano davanti alla tv. A Castel-lammare pedinammo a lungo una signora che va sempre in giro con occhiali scuri. Si affacciava dal balcone e guardava in alto. Si lamentava per il bucato steso da chi stava al piano di sopra. Una volta, la trovammo addirittura a prendere il sole su una panchina del lungomare. Un’altra, invece, a fare shopping per il centro col marito. Erano tutti e due dal fornaio. Lei non entrò, ma da fuori guardava la vetrina e indicava le rosette da comprare”.

ECCO I NOMI DEI FALSI CIECHI SOTTO PROCESSO

CIRO UMBERTO VITO – POMPEI 08/08/50

FILOMENA MANZI – POMPEI 01/08/35

FILOMENA VIGILIA – VICO EQUENSE 03/04/83

EMMA CONTENTO – CASTELLAMARE 03/09/53

LUIGI SCHETTINO – POMPEI 11/01/47

GIOVANNI SCOGNAMIGLIO – NAPOLI 06/01/46

ANTONIETTA GRAZIOSO – NOCERA 08/02/67

ANTONINO D’ESPOSITO – SORRENTO 17/03/43

MARIA VANACORE – VICO EQUENSE 24/11/50

UMBERTO REFORZO – CAIRO 07/08/36

BIANCA AIELLO – SORRENTO 01/09/40

ELIO RISO – NAPOLI 18/08/51

FRANCESCO CASO – BOSCOREALE 15/11/65

GIOVANNI DE FALCO – BOSCOREALE 21/03/39

ANNA AQUINO – BOSCOREALE 28/04/60

EMILIA MARIA DE LUCA – BOSCOREALE 25/08/42

MARIA GAROFALO – TORRE DEL GRECO 02/01/51

NUNZIO AVITAIA – TORRE ANNUNZIATA 27/08/71

Ex imprenditore di Scafati nell’elenco dei primi 100 italiani di Panama Papers

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Panama papers anche Ercole Astarita, imprenditore napoletano in affari con una nota famiglia di conservieri scafatesi e ex titolare della Italconserve di via S. Maria la Carità a Scafati, nella lista dello studio legale Mossack Fonseca che nascondevano soldi nei Paradisi fiscali e creavano società offshore. Astarita dichiarato fallito nel 2006 con Italconserve, un’impresa che commercializzava prodotti ortofrutticoli già pronti, venne condannato nel 2014 a otto mesi di reclusione per bancarotta fraudolenta, con la pena accessoria dell’inabilità dall’esercizio di impresa per dieci anni. Il noto industriale conserviero rimasto in affari a Scafati per molti anni, chiuse l’attività per un’improvvisa difficoltà finanziaria che poi portò la spa, trasformata in società a responsabilità limitata al fallimento nel 2006. Astarita figura nella lista dei 100 nomi pubblicata stamane da L’Espresso, una lista estrapolata dagli archivi degli avvocati Jurgen Mossack e Ramon Fonseca che hanno gestito la creazione di milioni di società in quarant’anni di attività. Nell’elenco molti nomi e volti noti nazionali dell’imprenditoria, ma anche del spettacolo, tra questi anche Carlo Verdone e Barbara D’urso, oltre a Luca Cordero di Montezemolo.

Anche Gianfranco Morgano del Quisisana di Capri nei 100 dei Panama Papers. La difesa: “E’ una società senza valore nata nel 2015”

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Quello di Gianfranco Morgano è il nome più noto tra i cinque napoletani che compaiono nell’elenco dei primi 100 dei Panama Papers pubblicati oggi dal settimanale l’ Espresso.  Gianfranco Morgano è quello della famosa famiglia di albergatori capresi propritari tra l’altro di uno degli alberghi più famosi al mondo ovvero il Quisisana. Fino a due anni fa era il direttore generale dell’albergo , poi decise di lasciare e trasferirsi a Napoli uscendo dalla società di famiglia. “È stato in quella occasione che ho aperto una società con la Mossack Fonseca a Panama —ha spiegato stamattina alla stampa — e ora finirò nel tritacarne mediatico per una società che non vale più di cento euro. La società non ha conti correnti collegati ed è stata aperta nel 2015, dunque io devo denunciarla solo sulla prossima dichiarazione dei redditi. Cosa che farò puntualmente”.

Salerno, appalti pilotati all’Università: otto indagati, c’è anche il rettore

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Appalto alla società interinale per a ricerca di personale all’Unisa: indagati gli otto responsabili del procedimento amministrativo per l’affidamento negoziato alla Lavorint spa di Milano. Oltre al rettore Aurelio Tommasetti, al direttore generale Attilio Bianchi e al sindacalista Pasquale Passamano, rappresentante della Cisl che diede l’ok alla procedura della gara d’appalto, sono indagati anche il pro rettore Antonio Piccolo, 67 anni; Pasquale Talarico, 59 anni, funzionario di Unisa e presidente della commissione per la scelta della società; Vincenzo Addesso, 45 anni, componente della Commissione; Mirella Pecoraro, 43 anni, addetto amministrativo che avrebbe mantenuto i contatti con la società milanese; Monica D’Auria, 45 anni, componente della commissione aggiudicatrice. Tutti sono accusati di abuso d’ufficio e falso in concorso. Sono gli otto nomi iscritti come indagati nel procedimento numero 1036/16 in carico alla Procura di Nocera Inferiore e al pm Amedeo Sessa: il primo dei filoni d’indagine sull’Università di Salerno, che riguarda la gara d’appalto indetta nel 2014 per la scelta di una società per la somministrazione di lavoro interinale. La Lavorint spa, scelta dalla commissione aggiudicatrice, ebbe il compito di scegliere quindici addetti-amministrativi con mansioni di bibliotecari per tenere aperte gli uffici nelle ore pomeridiane. Sulla gara d’appalto – per un valore di 660mila euro – da dicembre scorsi si sono concentrate le indagini dei carabinieri del nucleo investigativo del comando provinciale di Salerno, diretti dal maggiore Alessandro Di Vico, e degli uomini della sezione di polizia giudiziaria del Tribunale nocerino, diretti dal luogotenente Massimo Santaniello. Oltre un mese fa la svolta, dopo l’acquisizione dei documenti amministrativi presso la direzione generale dell’Unisa, e l’iscrizione nel registro degli indagati di quanti fecero parte della commissione propedeutica per l’aggiudicazione dell’appalto. Il sì dei sindacati e in particolare della Cisl, avallato dal sindacalista Passamano, e la procedura negoziata avviata dall’Università per la scelta della società interinale, secondo l’ipotesi investigativa, avrebbero condotto ad una scelta pilotata sia della Lavorint che dei 15 addetti poi scelti dalla società milanese. Nel corso dell’ultimo mese sono stati ascoltati proprio i beneficiari del contratto di due anni, prorogabile di altri due. Tra i prescelti vi sarebbero parenti e amici dei vertici dell’Università e di sindacalisti interni all’ateneo. Un’ipotesi che dovrà essere avvalorata dalle indagini che in questi giorni proseguono senza sosta con nuove acquisizioni e controlli incrociati. Tra i quindici addetti scelti vi sono numerose persone sia dell’Agro nocerino sarnese, in particolare di Pagani, che del Napoletano. Gli assunti avrebbero avuto segnalazioni preventive ad iscriversi presso la società interinale di Milano per poter accedere alle selezioni. Insomma, per la Procura nocerina si tratterebbe di assunzioni pilotate. A pesare sull’inchiesta in corso sono i numerosi esposti anonimi sui vertici di Unisa, ma anche le testimonianze di persone informate che hanno già denunciato tutto agli inquirenti.

Rosaria Federico

La Cassazione conferma la condanna a 17 anni per il boss Giuseppe Polverino. Tutte le decisioni

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Giuseppe Polverino, 53 years old, boss of the clan of camorra of the same name, has been extradited to Italy from Spain. The boss, who is escorted by the Interpol, has arrived at the Fiumicino aiport (Rome) with an Alitalia aircraft from Madrid, today 4 MAY 2012 .
ANSA/TELENEWS

Confermata dalla Cassazione la condanna a 17 anni di carcere per il boss Giuseppe Polverino, coinvolto nel blitz “Polvere” del maggio 2011 che portò in carcere 39 persone tra affiliati, imprenditori e politici dei comuni di Marano e dei comuni dell’area flegrea. Il boss fu arrestato in Spagna l’anno dopo. In primo grado era stato condannato a 20 anni di carcere. Confermate le condanne anche per Salvatore Camerlingo, cugino del boss Salvatore Licciardi e candidato al comune di Quarto nel 2011 nelle fila del centro destra, a 5 anni di carcere; Luigi Carandente 10 anni; Alessio Fruttaldo 6 anni; Gennaro Libro 6 anni; Antonio Schiano 4 anni; Salvatore Simioli 15 anni; Antonio Sommella 10 anni; Vincenzo Vaccaro 5 anni. La suprema Corte ha  anche diposto il dissequestro dei beni per Armando Chiaro (al momento dell’arresto, nel maggio del 2011, era coordinatore locale del Pdl, nonché consigliere comunale uscente e si era ricandidato) e per  Amalia Gallotti, Gaetano Paternoster, Anna Mauriello, Giuseppe Ruggiero (classe 1973), nonché nei confronti di Vito Carotenuto, Carmine Carputo,Agostino Carputo, Maria Di Giorgio, Sabatino Cerullo e Luigi Mele. All’imprenditore Carputo erano stati sequestrati beni mobili ed immobili per un valore di circa 10 milioni di euro. In primo grado era stato condannato a 9 anni, ridotti a sette in Appello.


Giugliano: restano in cella i fratelli del boss Dell’Aquila

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giuseppe dellaquila

La Corte d’Assise d’Appello di Napoli ha rigettato la richiesta di scarcerazione per decorrenza dei termini dei fratelli Giovanni e Domenico Del- l’Aquila che, per il momento, restano in cella. Fratelli del più noto Giuseppe (alias Peppe o ciuccio, da sempre ritenuto braccio destro del boss Francesco Mallardo “ciccio ‘e carlantonio”). I due erano stati condannati in primo grado nel gennaio scorso. Per Giovanni Dell’Aquila l’accusa aveva chiesto 16 anni e invece ne aveva avuti 14; sconto anche per Domenico che incassò 13 anni e sei mesi rispetto ai 14 invocati dal pubblico ministero. Ventuno gli anni di carcere rispetto ai venti chiesti dal pm per Giuseppe Dell’Aquila, ritenuto a capo della cosca.Per il pm Maria Cristina Ribera  della Dda di Napoli i tre fratelli Giovanni, Domenico e Giuseppe sarebbero a capo di un vero e proprio clan, costola dei Mallardo di Giugliano.

Usura, estorsione, false fatturazioni e truffa: indagati 28 imprenditori di Solofra, Montoro e dell’Irno

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tribunale avellino

Mercato San Severino. Usura, estorsione, false fatturazioni e truffa indagati 28 imprenditori di Solofra, Montoro e dell’Irno. I Carabinieri di Avellino nei giorni scorsi hanno provveduto ad effettuare perquisizioni e sequestri in abitazioni e aziende conciarie dell’Irno, acquisendo documenti presso studi di professionisti, nell’ambito di un’indagine della Procura di Avellino, coordinata dal pm Vincenzo D’Onofrio. Nel mirino degli inquirenti sono finite sessanta fatture false per un importo di circa quindici milioni. Imprenditori e professionisti sono sospettati di aver escogitato fittizi artifici contabili con lo scopo di truccare i bilanci ed evadere in parte il pagamento dell’Iva. Nel mirino degli inquirenti sono finite le fatture emesse durante le annate 2012-2013-2014, recanti importi variabili da 20mila e due milioni di euro, per un totale di quindici milioni contestato nel decreto di perquisizione a firma di D’Onofrio ed eseguito da carabinieri e uomini della Guardia di Finanza.
Le volanti dei carabinieri sono entrate l’altro ieri all’alba nel nucleo industriale della cittadina conciaria di Solofra per notificare ai proprietari di azienda gli avvisi di garanzia e per svolgere le perquisizioni ovunque potesse nascondersi la documentazione d’interesse dell’autorità giudiziaria. Ventotto in tutto i destinatari dei provvedimenti. Delle aziende perquisite la metà sono solofrane per lo più operanti nel settore della lavorazione della pelle, mentre quattro sono dislocate in Montoro. Delle rimanenti due sono di Bellizzi, due di Napoli, una di Salerno e due di Pontecagnano.
Nell’avviso di garanzia si ipotizzano reati di usura, estorsione e associazione a delinquere. Soldi prestati da imprenditori a colleghi in difficoltà in cambio di tassi da strozzini che raggiungevano anche il 240 per cento. Tra gli imprenditori finiti nei guai alcuni erano già gravati da precedenti penali, ma sui nomi c’è ancora il massimo riserbo. Probabilmente non sono mancati episodi di minacce e violenze su chi era in ritardo con i pagamenti, per cui il pm ipotizza anche il reato di estorsione. Dopo gli avvisi di garanzia finalizzati alle perquisizioni e ai sequestri di documentazione, gli inquirenti analizzeranno il materiale acquisito per proseguire le indagini. L’inchiesta pare sia partita da alcune vittime che – stanche delle vessazioni – hanno deciso di denunciare il losco giro d’affari tra la provincia di Avellino e quella di Salerno. (ro.fe.)

Salerno, bufera sull’Inps: la Procura di Nocera chiede il sequestro di oltre 4 milioni per cinque alti funzionari infedeli

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generiche Inps

Salerno/Roma. L’inps non ha bloccato per due anni le indennità destinate a falsi lavoratori, assunti da imprese inesistenti, erogando prestazioni assistenziali per 4milioni e 73mila euro. A tanto ammonta il danno prodotto da cinque alti funzionari dell’Istituto di previdenza sociale alle casse dello Stato per la mancata cancellazione dagli archivi informatici dell’Istituto delle matricole di lavorati e imprese. Il sostituto procuratore Roberto Lenza ha chiesto il sequestro di immobili, conti correnti e quote societarie in possesso dei dirigenti Inps accusati di truffa aggravata. Un sequestro per equivalente rigettato dal Gip Paolo Valiante e che ora è approdato dinanzi ai giudici del Riesame di Salerno dopo l’appello della Procura. Nel mirino degli inquirenti di Nocera Inferiore cinque persone alle quai si contesta di aver prodotto un danno erariale rilevante con la propria condotta omissiva. In particolare, la richiesta di sequestro è stata effettuata nei confronti di Gabriella Zaccaria, 61 anni di Salerno, direttore provinciale dell’Inps di Salerno; Angela Santopietro, 50 anni, di Salerno, responsabile dell’ufficio ispettivo provinciale Inps Salerno; Antonello Crudo, 47 anni, di Roma, oggi direttore per la previdenza dell’Inps che ha rivestito il ruolo di direttore generale dell’Istituto nel 2015, succedendo a Mauro Nori. Indagato per truffa aggravata anche Dario Dolce, 65 anni di Treviso, residente a Roma, dirigente della direzione centrale entrate dell’Inps e Antonello Lilla, 52 anni, originario di Napoli, dirigente della direzione centrale sistemi informatici e tecnologici dell’Inps di Roma. Per due anni hanno omesso di adottare i provvedimenti per cancellare dagli archivi informatici le ditte che l’ufficio ispettivo di Salerno aveva segnalato il 17 maggio del 2012 per le assunzioni fittizie di lavoratori. Imprese coinvolte nell’inchiesta denominata Mastrolindo della Procura di Nocera Inferiore e per le quali sono state emesse dal Tribunale numerose ordinanze di custodia cautelare per associazione per delinquere finalizzata alla truffa ai danni dello stato. Le due dirigenti salernitane, Zaccaria e Santopietro, responsabili della trasmissione dei verbali ispettivi che bloccavano le ditte dell’Agro nocerino e del salernitano sospette, e nei quali si disconoscevano i rapporti di lavoro, sono accusate di aver indotto in errore l’ufficio prestazioni a sostegno del reddito che ha continuato ad erogare le indennità per due anni, fino al novembre del 2014. Alle due dirigenti viene addebitato un danno di un milione e 633mila euro circa. Centinaia di finti lavoratori di La Marianna di Carmine Toscano – uno dei principali indagati nell’inchiesta Mastrolindo – di Man at Work service, Fm Service, Futura (sono solo alcune delle 19 imprese finite nel mirino degli ispettori) l’Inps ha continuato ad erogare le prestazioni previdenziali. A chiedere in più occasioni l’oscuramento dagli archivi informatici nazionali dell’Istituto era stata la responsabile della direzione regionale dell’Inps Campania, Maria Grazia Sampietro, sentita dai carabinieri della sezione della Pg del Tribunale nocerino – coordinati dal luogotenente Massimo Santaniello e dall’appuntato scelto Nicola Montone – il 4 febbraio scorso. La dirigente campana nel suo lungo interrogatorio ha prodotto le mail con l’allora responsabile della direzione generale dell’Inps Antonello Crudo, nelle quali si chiedeva il blocco delle matricole aziendali corrispondenti alle ditte inquisite. Con Crudo, ai vertici dell’istituto di previdenza sociale, rispondono di truffa aggravata ai danni dello stato anche Dolce e Lilla. La Procura contesta ai tre vertici nazionali l’indebito pagamento di 2milioni e 439mila euro circa. Hanno volutamente ignorato, secondo la Procura, cinque segnalazioni inoltrate dalla responsabile della direzione regionale Inps Campania. Dalle indagini è emerso che la procedura adottata dai cinque indagati è stata del tutto anomala, visto che in altri casi dopo il deposito dei verbali ispettivi delle aziende coinvolte nelle inchieste per false assunzioni si era provveduto immediatamente al blocco dei pagamenti. I verbali ispettivi andavano lavorati con priorità assoluta cosa che né la sede provinciale di Salerno, né la direzione generale di Roma ha fatto per le ditte coinvolte nell’indagine Mastrolindo. Ora la parola passa al Riesame per la richiesta di sequestro per equivalente reiterata dal pm della Procura nocerina. (ro.fe)

Torre Annunziata: usura, condannati a 26 anni di carcere i 6 della famiglia Carotenuto

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Condanna complessiva a 25 anni di carcere ai 6 membri della famiglia Carotenuto di Torre Annunziata. Tutti accusati di usura e riciclaggio gli storici panificatori oplontini. Ieri il tribunale di Rorre Annunziata presidente Antonio Pepe ha inflitto una condanna a 6 anni e sette mesi per Francesco Carotenuto, conosciuto come “pacchiotto”, e per sua moglie Teresa Manzillo,  “’a cazettara”.  Le quattro figlie della coppia, Anna, Carmela, Maria e Filomena sono state condannate a 3 anni di reclusione a testa, con multa da 2mila euro. Secondo le accuse praticavano alle loro vittime prestiti usurai con tassi mensili fino al 5%.  Era stata la denuncia di una donna con affari nell’import-export di quadri ed altre opere di valore, a sua volta con precedenti per appropriazione indebita, a far scoprire il vorticoso giro di usura della famiglia Carotenuto. Non a caso dalle indagini bancarie, condotte dalla Guardia di Finanza, era emerso che sui loro conti correnti vi erano state entrate per 3 milioni di euro negli anni 2003-08. E i Carotenuto avevano intestato alle quattro figlie quasi 4 milioni di euro tra immobili, polizze assicurative sulla vita, conti bancari, rapporti postali e investimenti in titoli finanziari. Tutto sequestrato dai giudici.

Ercolano, omicidio Esposito: resta in carcere Ciro Montella

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Ercolano. Ciro Montella ‘o lione, resta in carcere per l’omicidio di Gaetano Esposito, alias ‘o pastore. Il Tribunale del Riesame ha rigettato la richiesta di libertà dell’esponente del clan Ascione Papale, già detenuto in regime di 41bis. Il 17 marzo scorso, Montella fu raggiunto da una nuova ordinanza di custodia cautelare perché ritenuto il mandante e l’organizzatore dell’omicidio di Gaetano Esposito, ucciso il 29 marzo del 2009, tra Ercolano e Torre del Greco, dinanzi all’ingresso di una sala scommesse. Esposito venne colpito da sei proiettili mentre si avvicinava alla sua auto. Ad incastrare Montella alcuni collaboratori di giustizia. L’omicidio, secondo la ricostruzione dell’accusa, si inserirebbe nell’ambito della faida tra gli Ascione-Papale e i Birra-Iacomino. Ad accusare Montella i collaboratori di giustizia Vincenzo Esposito, Giuseppe Capasso, Ciro Gaudino, Fusto Scu- do e Mario, tutti ex uomini del clan Ascione-Papale, vicini al boss Natale Dantese. La vittima era zio di Vincenzo Esposito – oggi pentito-, ed era ritenuto tra tra i responsabili dell’omicidio di Vincenzo e Gennaro Montella, padre e fratello di Ciro Montella. I Montella erano stati uccisi due anni prima, il 15 gennaio del 2007 dinanzi Palazzo La calle, sede del Municipio torrese. Il duplice omicidio ha prodotto la condanna dei vertici del clan Birra-Iacomino e Lo Russo con l’ergastolo a Raffaele Perfetto, ritenuto uno dei boss della cosca dei “capitoni”, Stefano Zeno braccio destro del capo clan Giovanni Birra, Ciro Uliano e l’ex killer della Cuparella, Salvatore Viola.

Scommesse truccate nell’Agro: domiciliari per i Contaldo e Stanzione

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 Operazione “Jamm-Jamm”: ai domiciliari quattro dei principali indagati. Ieri pomeriggio sono stati scarcerati Antonio Contaldo, detto “caccaviello”, con i figli Giuseppe e Vincenzo, insieme a loro il web master nocerino Carmine Stanzione. Sono i primi dei diciotto arrestati nell’ambito dell’operazione della Dda contro il gioco d’azzardo a lasciare il carcere. Ieri, su disposizione del gip Pietro Indinnimeo, il sedicente dentista paganese, con i due figli e il quarantaseienne nocerino, arrestati dieci giorni fa sono ritornati nelle rispettive abitazioni a Pagani e Nocera Inferiore. Il gip che aveva emesso l’ordinanza di custodia cautelare in carcere ha recepito positivamente le istanze di scarcerazione degli avvocati Antonio Sarno per Stanzione e di Vincenzo Calabrese per i tre Contaldo. Stanzione avrebbe messo a punto la piattaforma digitale, ideata da Antonio Contaldo per il poker illegale on line. L’esperto informatico – secondo l’accusa – farebbe parte dell’associazione per delinquere capeggiata dai “caccaviello”. Una circostanza che è stata esclusa da Stanzione che nel corso dell’interrogatorio ha spiegato qual era stato il suo ruolo e che rapporti c’erano con il sedicente dentista paganese. Nelle intercettazioni telefoniche ci sono numerose conversazioni in cui gli indagati danno indicazioni al tecnico su come operare sul sistema per abbassare le percentuali di vincita. Secondo la Dda, Antonio Contaldo – accusato insieme ai familiari e alcuni presunti sodali di associazione per delinquere finalizzata al gioco d’azzardo, oltre al trasferimento di capitali all’estero – avrebbe ideato questo sistema di gioco on line, attraverso una piattaforma simile a quelle nazionali o estere utilizzate per i giochi virtuali. Attraverso una serie di amicizie anche nell’ambito della criminalità organizzata aveva poi diffuso il sito in numerosi punti gioco della Campania, della Basilicata e della Calabria. A coordinare le indagini della Finanza è stato il pm della Dda, Giancarlo Russo. (r.f.)

Lo scandalo Inps di Salerno, premi fino a 200mila euro. Indagati 80 funzionari e dirigenti

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Le casse dell’Inps come il forziere di Paperon de Paperoni al quale potevano attingere, incassando fior di milioni di euro, dirigenti e funzionari dell’istituto di Previdenza sociale nazionale. Sono 80 i dipendenti campani iscritti nel registro degli indagati per aver incassato, fraudolentemente, premi di produttività sui dati – fasulli – immessi nel sistema informatico centrale dell’istituto previdienziale. Dirigenti e funzionari che accedevano al forziere dell’Inps, attraverso un meccanismo semplicissimo, e riuscivano ad incassare anche 200mila euro l’anno di premi di produttività. Ottanta le persone, dislocate nei vari uffici provinciali e regionali, ma anche nella sede centrale di Roma che circa un mese fa sono state iscritte nel registro degli indagati, per falso ideologico e truffa aggravata, dal sostituto procuratore Roberto Lenza che sta coordinando le indagini nell’inchiesta Mastrolindo. A ottobre scorso erano scattate le perquisizioni in tutta Italia, al vaglio dei carabinieri del Reparto Territoriale di Nocera Inferiore e della sezione di Pg della Procura la posizione di centinaia di funzionari, ispettori e dirigenti centrali e locali che avrebbero lucrato indebitamente somme erogate a titolo di incentivo e produttività. Da nord a sud della Penisola, un sistema collaudato per il quale tra il 2012 e il 2013, l’Inps avrebbe erogato 400 milioni di euro ai suoi dipendenti. Il sistema era semplice gli addetti inserivano nel sistema informatico dell’Ente dati falsi circa il numero di disconoscimenti di rapporti di lavoro alle dipendenze delle aziende controllate. In questo modo i funzionari dimostravano di aver raggiunto gli obiettivi di produttività imposti dall’Inps, ottenendo le somme. Più disconoscimenti, più incentivi e per anni i furbetti hanno raddoppiato o triplicato i propri stipendi annui. Nell’informativa redatta dagli inquirenti e al vaglio del sostituto procuratore Roberto Lenza vi sono cifre da capogiro e nomi altisonanti che potrebbero causare un terremoto giudiziario capace di scuotere le fondamenta dell’istituto di previdenza sociale nazionale. A giorni il nuovo filone di indagine avviato dalla procura nocerina, nell’ambito dell’operazione Mastrolindo che ha esaminato migliaia di falsi lavoratori e ditte fantasma che hanno depredato le casse dell’Inps, arriverà ad una svolta. Tremano i vertici romani dell’Istituto ma anche i funzionari e i dirigenti dislocati in tutta la Campania negli uffici decentrati. Intanto, si attende la fissazione dell’udienza dinanzi al Tribunale del Riesame per l’Appello proposto dal Pm contro il mancato sequestro di quattro milioni di euro a carico di cinque alti funzionari dell’Ente, accusati di truffa aggravata per non aver segnalato le imprese fasulle e per aver consentito che finti lavoratori incassassero erogazioni previdenziali e assistenziali. In questa tranche dell’inchiesta Mastrolindo sono indagati Gabriella Zaccaria, 61 anni salernitana, direttore provinciale dell’Inps di Salerno; Angela Santopietro, 50 anni, di Salerno, responsabile dell’ufficio ispettivo provinciale Inps Salerno all’epoca dei fatti; Antonello Crudo, 47 anni, di Roma, oggi direttore per la previdenza dell’Inps che ha rivestito il ruolo di direttore generale dell’Istituto nel 2015, succedendo a Mauro Nori; Dario Dolce, 65 anni di Treviso, residente a Roma, dirigente della direzione centrale entrate dell’Inps e Antonello Lilla, 52 anni, originario di Napoli, dirigente della direzione centrale sistemi informatici e tecnologici dell’Inps di Roma.(r.f.)


Faida ad Ercolano: 18 imputati tra i clan Birra-Iacomino e i Lo Russo di Napoli a processo per quattro omicidi

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stefano zeno

Ercolano. Quattro omicidi: alla sbarra il gotha del clan Birra-Iacomimo. Dovranno comparire dinanzi al Gup Paola Russo del Tribunale di Ercolano, 18 presunti esponenti del clan di Pugliano insieme a sodali della cosca Lo Russo di Napoli. Il pm della Dda, contesta loro a vario titolo quattro omicidi avvenuti tra Ercolano e Quarto tra il 1997 e il 2001, nell’ambito della gurra di camorra tra i Birra-Iacomino e gli Ascione-Papale. La richiesta di rinvio a giudizio porterà davanti al giudice, a maggio prossimo i boss detenuti in regime di 41 bis: Stefano Zeno, Raffaele Perfetto, Salvatore Viola, Giacomo Zeno, insieme a loro Giovanni Birra, Antonio Birra, Vincenzo Bonavolta, Lorenzo Fioto. Felice Saccone, Andrea Sannino, Ciro Savino, Giovanni Savino, Carlo Serrano, Pasquale Genovese, Costantino Iacomino, Gerardo Sannino, Giuseppe Savino, Franco Sannino. Pesanti i capi di accusa. In primis l’omicidio di Giuseppe Borrelli ucciso a colpi di pistola calibro 9 il 30 agosto del 1997 in Corso Italia a Ercolano. La vittima era su un ciclomotore Gilera, nei pressi della Chiesa del Rosario, quando venne avvicinato dai killer che gli esplosero 9 proiettili al volto e all’addome. Gravemente ferito Borrelli tentò di rialzarsi. Tra i primi ad accorrere, sul luogo della sparatoria il parroco della chiesa che aveva appena terminato una cerimonia di battesimo. Il prete, fermato un conoscente, fece trasportare Borrelli all’ospedale Maresca di Torre del Greco. I medici fecero l’estremo tentativo di salvarlo con un intervento chirurgico, ma l’uomo morì in serata. La nonna della vittima avvicinandosi ai poliziotti disse ‘Deve morire schiattato Giovanni Birra’. Quasi venti anni dopo i mandanti di quell’omicidio furono arrestati e per loro inizierà il processo. Borrelli, secondo la ricostruzione di inquirenti e pentiti, era ritenuto vicino al clan Ascione, in particolare era coinvolto nel traffico di stupefacenti. Nella lista delle accuse anche il duplice omicidio Di Giovanni-Di Grazia, avvenuto a Ercolano il 6 febbraio del 2000. Mandanti dell’esecuzione di morte, Giovanni Birra e Stefano Zeno, con Ciro Savino e Raffaele Perfetto del clan Lo Russo che parteciparono all’esecuzione, gli altri affiliati ebbero compiti di preparare l’agguato e di coprire i killer nella fuga. Lucio Di Giovanni e Raffaele Di Grazia furono raggiunti da decine di colpi di pistola calibro 9×21. Il quarto omicidio nella lista delle accuse è quello di Giuliano Cioffi, ucciso a Quarto dove era andato a passare una serata in un locale, l’8 settembre del 2001. Tra i mandanti del delitto anche Costantino Iacomino, oggi collaboratore di giustizia. Per questo omicidio la Dda contesta agli imputati anche l’aggravante dei motivi abietti e di aver agito in circostanze tali da terrorizzare la popolazione con azioni eclatanti. Anche in questa azione di fuoco, i Birra Iacomino agirono con l’aiuto dei Lo Russo.

(nella foto il boss Stefano Zeno)

Nocera, processo agli assassini di Dario “Millebolle”: il racconto choc della mamma in aula

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dario ferraro

“Millebolle” morì dopo ore di agonia: al via il processo a carico di Francesco Paolo Ferraro, il giovane nocerino accusato di omicidio volontario. Ammesse le prove e le testimonianze dai giudici della Corte d’Assise del Tribunale di Salerno – presidente Palumbo, a latere D’Avino -, il pm Giuseppe Cacciapuoti della Procura di Nocera Inferiore ha depositato i tabulati del telefono dell’imputato – difeso dall’avvocato Vincenzo Calabrese – chiedendo la trascrizione degli sms. Nel corso dell’udienza di ieri mattina, i giudici hanno dato mandato ad un perito per le trascrizioni delle telefonate. Un processo che è entrato nel vivo già ieri, con la testimonianza della madre di Dario Ferraro, Annamaria Sarno, e quella del sovrintendente di polizia, Michele Fortino, uno degli inquirenti che ha fatto le indagini, cugino della madre della vittima. Concitate le fasi successive al ricovero di Dario “Millebolle” in ospedale, il 25 aprile dello scorso anno. La madre, Annamaria Sarno, ha riferito di essere stata chiamata da Martino Battipaglia, amico di Dario e di Ciccio Paolo Ferraro. Il giovane le riferì che Dario era ricoverato all’Umberto I perché aveva avuto un incidente con la moto. Quando la donna cominciò a chiedere i particolari dell’incidente e cioè se correva con la moto, l’amico le riferì che era caduto da fermo. Fu solo molte ore dopo, nella notte successiva al ricovero che la donna apprende la versione dei fatti che poi ha portato Francesco Paolo Ferrara a processo. Annamaria Sarno – costituita parte civile insieme ai familiari con gli avvocati Michele Alfano e Giovanni Castaldi – ha riferito ai giudici che dinanzi all’ospedale si radunarono molti giovani, forse un migliaio e parlando con alcuni di loro di cui non ha saputo riferire le generalità, seppe che “Martino ha fatto il piattino a Dario, Ciccio Paolo ha colpito Dario con 2 colpi di casco”. Ed è quest’ultima versione quella presa in considerazione dal sovrintendente Fortino durante le indagini. Il poliziotto ha raccontato che fu la cugina ad allertarlo e sempre la mamma di Dario le riferì che non si era trattato di un incidente con il motorino ma che Ferrara aveva colpito il figlio con un casco. Il sovrintendente attiva le prime indagini con l’individuazione dei testimoni e le loro testimonianze. I poliziotti rilevano delle tracce ematiche, il teste poi non ha saputo riferire da quale fonte – oltre la cugina – aveva appreso che Dario era stato colpito con un casco. (ro.fe.)

(nella foto la vittima Dario Ferraro “Millebolle” conosciutissimo tifoso della Nocerina)

Politica & camorra a Pagani: chiesti 9 anni per il consigliere regionale Gambino

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Pagani. Politica e camorra: pesante richiesta di condanna per l’ex sindaco Alberico Gambino, oggi consigliere regionale, nel processo di Appello Linea d’Ombra. Il procuratore generale, Vincenzo Montemurro, ha riproposto le richieste di pena fatte in primo grado con le accuse di voto di scambio politico-mafioso per Gambino e i fratelli, detenuti in regime di 41 bis, Antonio e Michele D’Auria Petrosino. Per i tre è stata chiesta una condanna a nove anni di reclusione. Sei anni e mezzo invece la richiesta per Giovanni Pandolfi Elettrico e Giuseppe Santilli. Cinque anni sono stati chiesti per l’architetto comunale Giovanni De Palma, l’imprenditore della Torretta cave, Francesco Marrazzo e il pregiudicato Antonio Fisichella. Per la Procura nel corso del dibattimento del processo d’Appello sono state rinvigorite le accuse e le prove nei confronti degli otto imputati per i quali, in primo grado, erano state escluse le accuse più gravi e il 416 ter. Nelle prossime udienze inizieranno le discussioni degli avvocati difensori, la sentenza è prevista per maggio. I giudici della Corte d’Appello di Salerno – presidente Claudio Tringali – dovranno valutare le nuove acquisizioni dibattimentali, con la richiesta di condanna della Procura generale e decidere se confermare la sentenza ‘soft’ di primo grado oppure avallare la tesi dell’accusa.

Scafati: estorsione al bar Dodo chiesti 13 anni di carcere per Alfano e Adini

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Estorsione e bomba al bar Dodo: chiesta la condanna per Carmine Alfano e Marcello Adini. Tredici anni di reclusione per i due pregiudicati arrestati per tentata estorsione aggravata dal metodo mafioso e per l’attentato al bar del centro Plaza avvenuto l’estate scorsa. Dinanzi al giudice per le udienze preliminari, Ubaldo Perrotta, si è celebrato il processo con rito abbreviato per i due difesi dall’avvocato Francesco Matrone. La difesa ha annunciato che i due hanno effettuato un risarcimento del danno alla parte offesa, il titolare dell’attività commerciale, di 3500 euro per la tentata estorsione l’estorsione da 20 euro contestata a Marcello Adini. In attesa che si formalizzi il pagamento che non equivale ad un’ammissione di responsabilità, il pm Russo ha rassegnato le sue conclusioni dinanzi al giudice. Il pm ha chiesto una condanna a sette anni di reclusione per Alfano e sei anni per Adini, oltre una multa di mille euro. Il risarcimento del danno dovrebbe essere valutato dal giudice per un ulteriore sconto di pena. Il processo è stato rinviato a fine aprile per attendere il riscontro dell’avvenuto pagamento e per la discussione dell’avvocato difensore dei due imputati. Carmine Alfano e Marcello Adini furono arrestati a settembre scorso dai carabinieri del Reparto Territoriale di Nocera Inferiore, prima per la detenzione di una pistola con matricola abrasa e successivamente per il tentativo di estorsione e la bomba messa al bar Dodo nei mesi precedenti. L’ordinanza di custodia cautelare in carcere ha determinato una richiesta di giudizio immediato della Dda con successiva decisione di accedere al rito abbreviato. I due, secondo l’accusa, avevano più volte chiesto il pizzo al titolare del bar del Centro Plaza di San Pietro, avvicinando la vittima e i suoi collaboratori e consegnando ad uno dei dipendenti del locale un biglietto con la richiesta estorsiva. Vista la reticenza a pagare del proprietario, i due pregiudicati avrebbero posizionato una bomba carta sotto la porta d’ingresso del bar, facendo esplodere la vetrata. In un’altra occasione, i due avevano avvicinato il titolare a bordo della sua auto chiedendogli di mettersi a disposizione e di pagare. Un’estate di terrore per i dipendenti e il proprietario dell’esercizio commerciale che aveva prolungato il periodo di chiusura per ferie inaspettatamente forse per paura di ritorsioni.(ro.fe.)

Scafati-Castellammare: clan Loreto-Ridosso: quindici affiliati dinanzi al Gup

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loreto e i due ridosso

Clan RidossoLoreto: processo per 15 presunti affiliati alla cosca accusati di associazione per delinquere, usura e estorsione. I pm della Dda, Maurizio Cardea e Giancarlo Russo, hanno chiesto il rinvio a giudizio per 15 dei 18 indagati accusati di associazione per delinquere, usura e estorsione. Con l’accusa a vario titolo di associazione per delinquere, finalizzata agli omicidi, alle estorsioni e all’usura sono stati inviati gli avvisi di conclusione indagini a 15 persone che avranno la facoltà di sottoporsi ad interrogatorio per difendersi dalle accuse. Compariranno dinanzi al Gup Emiliana Ascoli l’ex pentito Pasquale Loreto e il figlio no collaboratore di giustizia, Alfonso, 30 anni; Alfonso Morello di Torre Annunziata, alias ’o balanzone, il fratello di questi, Giuseppe; Romolo Ridosso, 56 anni, di Scafati con i figli Salvatore, Gennaro e Luigi; Luigi Ridosso (fu Salvatore), Antonio Palma di Boscoreale; Francesco Sorrentino, alias Ciccio ’o campagnuolo, di Scafati; Antonio Romano di Pompei; Michele Imparato di Boscoreale; Carmine Di Vuolo di Castellammare di Stabia; Massimiliano De Iulio di Castellammare di Stabia. A settembre scorso il Gip Pietro Indinnimeo emise un’ordinanza di custodia cautelare in carcere a carico di 4 dei 18 indagati. Al via dunque il processo per gli organizzatori della cosca, in primis il pentito Pasquale Loreto, ritenuto – nonostante fosse in una località protetta – uno dei promotori del clan insieme a Romolo Ridosso e ai rispettivi figli. Un’organizzazione che per oltre un decennio si è occupata di estorsioni, usura e di attentati su tutto il territorio di Scafati. Il nome di Pasquale Loreto, nonostante non fosse più presente a Scafati, faceva ancora paura tanto da indurre commercianti e usurati a sottostare alle sue volontà. Braccio armato del collaboratore di giustizia, il figlio Alfonso con Luigi Ridosso, figlio di Salvatore – ucciso nel 2002 – e nipote di Romolo. Il processo ha preso una svolta determinante con la decisione di pentirsi di Alfonso Loreto che a febbraio scorso ha iniziato a rendere le prime dichiarazioni collaborative. Segue un iter a parte il processo relativo a due omicidi e al tentato omicidio di Generoso Di Lauro.(ro.fe.)

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