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Napoli: martedì il Riesame decide sulla scarcerazione dei due killer di Vincenzino Amendola

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i tre killer di amendola

E’ stata fissata per martedì 4 aprile la discussione davanti al Tribunale del Riesame di Napoli per la scarcerazione dei due killer di Vincenzino Amendola. Per il baby boss Gaetano Formicola “’o chiatto” e il cugino Giovanni Tabasco “birillino” accusati di essere gli autori materiali insieme con il complice pentito Gaetano Nunziato “pampers”, di aver assassinato e poi aver sotterrato il corpo del 18enne, sarà il Tribuanle della Libertà a decidere tra tre giorni sulla base degli elementi raccolti fin qui dagli investigatori e sulle memorie difensive del loro avvocato. sono accusati di omicidio volontario, porto e detenzione di armi e occultamento di cadavere aggravata dal vincolo mafioso. I due sono in carcere da 10 giorni dopo oltre un mese di latitanza Furono arrestati in un casolare di campagna a Viterbo dalla squadra mobile di Napoli seguendo le due nonne. La tesi difensiva dei due cercherà di trovare le falle nel racconto del “pentito” e i punti oscuri della vicenda. Quando furono ascoltati dal gip in fase di udienza di convalida il 24 marzo scorso si avvalsero della facoltà di non rispondere.C’è stato un tentativo di depistaggio da parte del clan Formicola di San Giovanni a Teduccio per far ricadere su altre persone  la colpa della scomparsa di “Vincenzino” Amendola.Ora la parola passa ai giudici del Riesame.

Renato Pagano

(nella foto i tre accusati di essere i killer di vincenzino amendola)


Ercolano: ferirono tre innocenti, chiesta la condanna per il boss Dantese e il pentito Capasso

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natale dantese

Ercolano. Faida e ferimenti a tre innocenti chiesti 26 anni di carcere per tre esponenti del clan Ascione-Papale. Il pm Sergio Ferrigno ha chiesto la condanna per il collaboratore di giustizia Giuseppe Capasso (8 anni di reclusione), il boss Natale Dantese (14 anni) e Giovanni Di Dato (3 anni e 9 mesi). Le accuse contestate vanno dall’associazione per delinquere al tentato omicidio. Gli episodi contestati ai tre imputati riguardano il ferimento di Ivano Perrone, Nicola Iacomino e Ciro Cozzolino: vittime innocenti della faida tra i clan di Ercolano. I tre furono feriti in due distinti agguati, Ivano Perrone in maniera molto grave. Nel corso del processo aveva fatto scalpore la dichiarazione di Giuseppe Capazzo che aveva ammesso di aver partecipato al ferimento di Iacomino e Cozzolino, persone estranee al clan ma parenti di alcuni affiliati del clan Birra-Iacomino, ma aveva negato gli addebiti in ordine al ferimento di Perrone, ferito durante l’agguato ad Antonio Uliano, fratello di Ciro. Mano pesante della Dda nei confronti di Natale Dantese, ritenuto il mandante dei due agguati, mentre per Di Dato – accusato di favoreggiamento aggravato dall’articolo 7 – è stata proposta la pena più lieve. Di Dato si sarebbe adoperato per aiutare Capasso e Fausto Scudo, ‘altro pentito che partecipò ai raid nascondendo i due killer nella sua abitazione dopo l’agguato a Iacomino e Cozzolino. Le due vittime innocenti furono colpiti perchè lontani parenti di alcuni affiliati a Birra-Iacomino.

Giugliano, racket e sequestro di persona: assolti i Maisto

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aula tribunalejpg

Giugliano. Assolti i Maisto accusati di estorsione e sequestro di persona. Ribaltata la sentenza di primo grado dai giudici della Corte d’Appello di Napoli nei confronti di Giuseppe Maisto e dei figli Giuliano, Luigi e Giovanni, tutti condannati a 7 anni e sei mesi di reclusione in primo grado. I giudici dell’Appello hanno assolto i quattro imputati perchè il fatto non sussiste, ma hanno anche disposto il trasferimento degli atti del processo in procura per verificare se sussiste l’accusa di calunnia a carico dell’accusatore dei Maisto, Giovanni Turco, ex dipendente di una tabaccheria di proprietà della famiglia Maisto. Nel 2012 Turco accusò i componenti della famiglia Maisto di averlo minacciato e sequestrato. L’uomo sostenne di essere stato costretto a vendere un’abitazione per pagare un debito contratto nella tabaccheria di circa 500mila euro. I Maisto, in virtù di quelle accuse, furono arrestati ai domiciliari. Nel corso del processo d’Appello è emerso che il dipendente della tabaccheria aveva effettuato giocate presso il punto Sisal della tabaccheria per un totale di 467mila euro a fronte di una vincita di 330mila. Puntate effettuate nell’arco di sette ore nel marzo del 2011. Secondo l’accusa, gli imputati avevano minacciato l’indagato costringendolo a scrivere una procura a vendere di un’immobile di proprietà della madre che in realtà fu acquistato da un parente della famiglia Maisto per 50mila euro. In Appello la difesa è riuscita a dimostrare che la vendita fu fatta di comune accordo per saldare quel debito di gioco. Già in primo grado era caduta l’aggravante dell’articolo 7.

Giugliano, il pentito Pirozzi ha spiegato: “Ecco come funzionava la Holding Mallardo”

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pirozzi

Il pentito Giuliano Pirozzi del clan Mallardo di Giugliano l’altro giorno rispondendo in aula alle domande del pm Maria Cristina Ribera, ha ricostruito l’assetto economico della cosca giuglianese. “C’era una casa comune che veniva quantificata e rendicontata alla fine dell’anno, c’erano le varie entrate e ognuno aveva un certo budget da gestire….ad esempio via Cumana aveva un’entrata, la stessa cosa Lago Patria ed il Selcione… A fine anno venivano fatti i conteggi generali e rendicontati tutti i soldi, le “mesate” che venivano date mese per mese insieme alle doppie che prendevano a Natale, Pasqua e Ferragosto. In più c’era la divisione tra i quotisti del clan Mallardo. Insomma era come se fosse una vera e propria società pubblica, con una società madre e le partecipate incluse che stabiliva le priorità ovvero i soggetti da pagare subito, come i familiari delle persone arrestate che ne avevano più bisogno”. Poi Pirozzi ha spiegato che “i quotisti erano coloro che avevano diritto, in virtù della loro forza, a prendersi oltre alla mesata e ai doppi nelle festività, anche un 20% dell’introito generale della cassa del clan. I quotisti erano Feliciano Mallardo, Raffaele Mallardo, Giuseppe e Ciccio Mallardo, Giuseppe dell’Aquila ed in piccola quota Francesco Napolitano. Ognuno di questi aveva un suo pupillo di fiducia che gli riconosceva un benefit dal proprio incasso oppure da un’estorsione che non veniva rendicontata, ma solo avvisato il clan. Tra questi ultimi c’erano Giuliano Amicone e Biagio Micillo”. E infine il collaboratore di giustizia ha parlato dei “colletti bianchi”, spiegando: “Oltre agli affiliati c’erano i colletti bianchi, i professionisti e gli imprenditori che decidevano di entrare a far parte di operazioni al 50% in cambio di determinate cose. L’importan- te è che lo scopo era quello di portare linfa economica al clan Mallardo”.

 

Scommesse truccate nell’Agro: Antonio Contaldo confessa tutto

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contaldo antonio

Una confessione piena quella di Antonio Contaldo. Ha spiegato i meccanismi del gioco d’azzardo che aveva ideato, test per copiare le piattaforme già collaudate per il gioco del poker on line, ma ha anche aggiunto che quel progetto non era mai decollato. I test non avevano convinto, c’erano problemi. Ammette parte degli addebiti, contesta di aver fatto parte di un’organizzazione, per giunta criminale e chiede di poter essere scarcerato. Lungo interrogatorio quello di “Caccaviello”, assistito dall’avvocato Vincenzo Calabrese. Ammissioni parziali e giustificazioni anche da parte dei due figli del sedicente dentista paganese, Giuseppe e Vincenzo di 24 e 26 anni, assistiti dallo stesso avvocato. Fitta giornata di interrogatori di garanzia del Gip Pietro Indinnimeo, iniziata alle 11,30 nel carcere di Fuorni. Ad ammettere di aver lavorato per conto di Antonio Contaldo nella programmazione e nell’ideazione della piattaforma per i giochi on line, anche il web master nocerino, Carmine Stanzione – difeso dall’avvocato Antonio Sarno – che ha ribadito la stessa tesi difensiva di Contaldo. Quei siti non sono mai partiti. Sono stati ideati per copiare piattaforme per il gioco d’azzardo, ma erano stati solo testati. Stanzione ha negato di aver spartito proventi del gioco on line con Contaldo ed ha spiegato tecnicamente come ha funzionato il suo lavoro. Anche per Stanzione è stata presentata istanza per i domiciliari che dovrà essere valutata dal Gip Indinnimeo. È stato interrogato per rogatoria dal Gip Fiore del Tribunale di Avellino, anche Vincenzo Caputo, 48enne, paganese, accusato di aver fatto parte della gang di Contaldo con il ruolo di esattore dei proventi dei giochi illegali. Caputo, difeso dall’avvocato Matteo Feccia, ha fatto ammissioni parziali e ha sostenuto di conoscere bene Antonio Contaldo. Il 48enne ha sostenuto che oltre alle scommesse legali e autorizzate aveva nel suo esercizio commerciale anche delle piattaforme per il poker illegale. Ma Caputo ha negato di aver posseduto somme di danaro per conto di Contaldo o di aver trasferito all’estero del danaro su conti che non ha mai posseduto. Anche per Caputo è stata presentata istanza di scarcerazione. Nel carcere di Fuorni è stato interrogato anche Maurizio Marino, ’o maresciallo, 44enne di Campagna finito in carcere per associazione per delinquere, finalizzata al gioco d’azzardo. Gli altri indagati finiti in carcere, Luigi Tancredi di Potenza, 49 anni; Antonio Tancredi, potentino 50enne e Francesco Airò, 37 anni di Agrigento sono stati arrestati per rogatoria nei luoghi dove sono stati arrestati. Domani inizieranno gli interrogatori degli indagati finiti agli arresti domiciliari. (r.f.)

Il trasportatore pentito, Alessandro Montella: “Ecco come portavo la droga per i Licciardi, i Gallo-Cavalieri e i De Tommaso”

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droga nei camion

Era il trasportatore “preferito” della droga per i clan Gallo-Cavalieri di Torre annunziata e i Licciardi di Secondigliano e ora che è diventato collaboratore di giustizia  sta vuotando il sacco su come funzionava il “sistema dei trasporti” della droga dall’estero all’Italia. Alessandro Montella, 46 anni, ex titolare di una ditta di trasporti  condannato a 12 anni di reclusione per traffico internazionale di stupefacenti e detenzione di armi, è considerato uno dei pentiti più attendibili legati ai due clan. Grazie a lui ci fu il blitz Hama’l nell’agosto del 2013 con 34 arresti tra Torre annunziata e Secondigliano. E ieri nel processo che si celebrando davanti al Tribunale di Torer annuziata  ha spiegato come funzionava il sistema: “…I Gallo-Cavalieri raccoglievano le puntate dai vari clan, mi davano i soldi e io li portavo ai loro referenti ad Amsterdam e Madrid. Lì compravano la droga, me la riportavano e tornavo indietro con i carichi. Portavo droga ai De Tommaso di Forcella e ai Licciardi di Secondigliano. Facevo il camionista, poi i troppi debiti mi hanno fatto finire sotto usura, quindi mi pagavo gli interessi facendo il corriere. Per quali clan? Praticamente per tutti: per i Gallo-Cavalieri di Torre Annunziata, i Contini di Napoli, per l’Alleanza di Secondigliano…un carico anche per i fratelli Giuseppe e Rosario De Tommaso di Forcella” ( sono gli zii di Genny la carogna, il famoso capo ultras del Napoli arrestati in u blitz a Foreclla lo scorsoanno).  Montella ha spiegato ancora in aula: “…Il mio referente era Pasquale Scarpa, uno che chiamavano capa liscia, ma anche Vincenzo Scarpa e suo nipote Natalino.Erano i referenti di Assunta Licciardi, ho fatto diversi viaggi con loro.I clan raccoglievano anche 2 milioni di euro alla volta.li impacchettavano con divisioni specifiche e io li portavo a destinazione. A volte mi seguivano, mi controllavano, ma io trasportavo i soldi con onestà. Sul posto venivo raggiunto dai referenti di zona che prendevano quel denaro e compravano la droga. Dopo due giorni rientravo con i carichi di stupefacenti e i vari referenti venivano a ritirare le proprie parti”. Nella prossima udienza sarà ascoltato un altro pentito, Michele Luppo.

Lo scandalo dell’ospedale Ruggi di Salerno: fino a 60mila euro di donazioni per essere operati da Fukushima

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Takanori-Fukushima

Fino a 60mila euro di donazioni al “Fukushima Brain Institute” per essere operati direttamente dal neurochirurgo Takanori Fukushima, neurochirurgo giapponese accostato nel 2015 a Papa Francesco per presunte visite mediche. Secondo quanto emerso dalle indagini della Procura di Salerno, che hanno portato all’esecuzione di 4 misure cautelari, Takanori Fukushima, direttore del Fukushima Brain Institute di San Rossore (Pisa), avrebbe instaurato rapporti di collaborazione con il primario di Neurochirurgia dell’ospedale Ruggi d’Aragona Luciano Brigante e Gaetano Liberti, suo “allievo”; quest’ultimo avrebbe esercitato una pressione sui pazienti alludendo, talvolta in maniera implicita, altre volte in modo più esplicito, alla possibilità dell’aumento del “rischio operazione” qualora gli stessi non fossero stati sottoposti a tempestivi e professionali interventi chirurgici, inducendoli così a corrispondere rilevanti somme di denaro.  In due circostanze, le investigazioni hanno consentito di accertare che Brigante e Fukushima si sarebbero accordati affinché Brigante prospettasse a due pazienti la necessità di immediati e complessi interventi neurochirurgici, da effettuare a Salerno, dove Fukushima avrebbe personalmente operato, nonostante non fosse autorizzato dalla direzione ospedaliera, al di fuori delle regolari liste di attesa e solo previo versamento di un bonifico di 5mila dollari a titolo di donazione in favore di una fondazione americana, la “International Neurosurgery Education & Research” diretta dallo stesso luminare giapponese.

Sant’Egidio del Monte Albino: documenti falsi, indagato l’ex vice sindaco Antonio La Mura

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Tribunale-Nocera-Inferiore

 Visura urbanistica fai da te per evitare la chiusura della sede del Patronato Enac: concluse le indagini per Antonio La Mura, già assessore e vicesindaco a Sant’Egidio del Monte Albino, consigliere comunale della lista Carpentieri Sindaco, e per il geometra Angelo Ferraioli. Il pm Lenza ha inviato ai due indagati l’avviso di conclusione delle indagini contestando ai due l’accusa di falso in atto pubblico e contraffazione di documenti. Il fascicolo scaturisce dall’indagine Mastrolindo su presunte truffe all’Inps. Nell’ambito delle indagini i carabinieri della Pg del tribunale insieme agli uomini dell’ispettorato del Lavoro di Salerno effettuarono una perquisizione all’interno dell’ufficio del patronato Enac gestito da Antonio La Mura. In quell’occasione, era il 5 maggio del 2014, gli inquirenti chiesero a La Mura anche la documentazione relativa all’idoneità della sede e la destinazione urbanistica. Poche ore e l’allora assessore e vicesindaco, chiamò il suo geometra per far preparare i documenti e così in pochissimo tempo i due decisero di preparare la visura urbanistica “pezzotta”. Cancellarono alcune diciture contraffacendo così la visura storica dell’immobile situato in via Michelangelo Buonarroti a Sant’Egidio . Poi prepararono una fotocopia, incorrendo in un grossolano errore, apponendo il logo dell’Agenzia delle Entrate sul documento anziché quello dell’ufficio del territorio. Altra pacchiana contraffazione fu la data di invio del documento all’ufficio preposto. L’ufficio altro non era che un deposito, la cui destinazione urbanistica era mutata solo due anni dopo l’apertura. I due, secondo l’accusa, avrebbero falsamente anticipato i tempi della richiesta di cambio della destinazione urbanistica, facendo risultare la mutazione a partire dal 2010. Durante la perquisizione domiciliare, fu trovato a casa di La Mura, il contratto di locazione dell’immobile, depositato all’Agenzia delle Entrate nel 2007. In quel contratto vi era la visura contraffatta. I carabinieri della Pg del Tribunale analizzando la documentazione intuirono che qualcosa non andava per il verso giusto e incrociando i dati ufficiali depositati presso l’ufficio del territorio hanno scoperto che la documentazione approntata dal La Mura, in combutta con il suo geometra di fiducia era falsa. Da qui l’accusa contestata ai due. Ieri a La Mura e Ferraioli è stato notificato l’avviso di conclusione delle indagini, preludio – qualora gli indagati lo volessero – di un interrogatorio difensivo, oppure di una richiesta di rinvio a giudizio da parte del pm della Procura di Nocera Inferiore, Roberto Lenza.(r.f.)


Napoli: si è pentito anche il boss Mario Lo Russo

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RIONE TRAIANO ( NAPOLI ) 22 AGOSTO 2013
SPACCIATORI BLINDANO PALAZZINA PER VENDERE LA DROGA E GLI ABITANTI COSTRETTI A CITOFONARE AI VENDITORI DI MORTE PER TORNARE A CASA 
NELLA FOTO CARABINIERI FUORI ALLA PALAZZINA NEL RIONE TRAIANO
FOTO AGNFOTO2 / INFOPHOTO

Ha deciso di pentirsi anche Mario Lo Russo, un altro dei “capitoni” di Miano. Dopo il fratello Salvatore, collaboratore di giustzia già da due anni, la decisione di passare dalla parte dello stato anche di Mario. Troppe tensioni in giro con i clan Vastarella e Tolomelli alla Sanità. Troppi avvertimenti, troppe “stese” nel quartiere oltre a due omicidi e un ferimento. La dichiarazione di guerra del clan avversari è stata forte in questo periodo e allora meglio “togliere il disturbo”. E ora si spiega anche il gesto incosulto dell’altro fratello Carlo. Un boss del suo calibro che si scaglia contro gli agenti di polizia “per farsi arrestare”. Era sembrato strano fin dall’inizio l’atteggiamento del capoclan uscito lo scorso anno dal carcere dopo 12 anni tra cui alcuni passati al 41 bis. E invece dietro tutto e probabilmente anche dietro i colpi di pistola sparati contro le abitazioni a poca distanza dalle loro abitazioni alla Don Guanella erano in segnale inequivocabile che i clan avversari avevano dichiarato guerra e che probabilmente già sapevano della sua decisione. alla luce di ciò si rilegge tutto quello che sta accadendo in questi ultimi mesi nella zona. La posizione di Mario Lo Russo in questo momento è di “collaborante”: ha chiesto di parlare, di rispondere alle domande dei pm e ora la sua posizione è al vaglio degli investigatori.Ci vorranno i riscontri e le prove che dovrà fornire prima che diventi “pentito effettivo” e che venga insertio nel programma di protezione. Ma nel suo quartiere e tra i suoi familiari ora c’è tanta tensione e paura.

 

Ercolano, per la Cassazione il boss Pietro Papale deve restare in carcere

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La Cassazione ha stabilito che il boss Pietro Papale deve restare in carcere. E’ accusato di essere uno dei due mandanti dell’omicidio di Giuseppe Serra, “Peppe ’o svizzero”, ex boss della Nco di Cutolo negli anni settanta e ucciso a Torre del Greco il 6 giugno del 2007 dopo ben 25 anni di carcere. E’ stato il racconto del pentito Raffaele Di Matteo, alias“Lelluccio ’o pistone” ad inchiodare il boss Papale e gli altri complici. Ovvero Bartolomeo Palomba, Sebastiano Tutti, Pasquale Grazioli e Francesco De Blasio anch’egli oggi collaboratore di giustizia. Il clan di Gioia-Papale temeva che Serra una volta uscito dal carcere dopo 25 anni potesse rimettere le mani sulla gestione degli affari illeciti nella zona, spodestandoli. E così si decise di convocarlo nel fortino dei Di Gioia di corso Garibaldi e ucciderlo. ecco cosa ha racontato il pentito Di Matteo agli investigatori: “…di tale omicidio  ne seppi già prima che venisse consumato. All’epoca ero vicino a Sebastiano Tutti, a sua volta vicino a Pietro Papale. Sebastiano Tutti e Pietro Papale ne decretarono quindi la morte. Bartolo Palomba in carcere mi raccontò che il giorno dell’omicidio la vittima venne convocata da Titore per una finta riunione sulle palazzine di San Gennariello con Sebastiano Tutti e Francesco De Blasio. Quando la riunione terminò vi erano ad attenderli Bartolo Palomba, che sollecitò la fine della riunione per far scendere la vittima”. E quando Serra si mise in sella alla sua moto per andare via fu inseguito e ucciso con cinque colpi di pistola esplosi con un’arma da guerra.

Napoli: i fratelli Mariano a giudizio con altri 4 per un omicidio di 26 anni fa

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Il capo clan Ciro Mariano

I fratelli Ciro e Marco Mariano  capi indiscussi dei famigerati “Picuozzi” dei Quartieri Spagnoli sono stati rinviati a giudizio per un omicidio compiuto ben 26 anni fa, quello di Giuseppe Campagna. Affronterà il processo anche Paolo Pesce mentre hanno scelto il rito abbreviato Salvatore Cardillo, Gennaro Oliva e Salvatore Terracciano detto “’o nirone” . Secondo le indagini della Dda anche quell’omicidio è da ascriversi alla cruenta lotta di quegli anni contro i Di Biasi “Faiano”  che ha lasciato sul selciato decine di vittime , alcune anche innocenti.  Il 19 ottobre scorso il pm Michele Del Prete aveva chiesto al gip Andrea Rovida del Tribunale di Napoli l’emissione di un’ordinanza di custodia cautelare per sei persone, tutte  del clan Mariano. Oltre ai fratelli Ciro e Marco Mariano, c’erano Gennaro Oliva, boss del gruppo delle “Teste Matte”, da tempo disciolto. Paolo Pesce, Salvatore Cardillo, ex ras scissionista dei Mariano e Salvatore Terracciano detto “’o nirone”. Ma il gip negò gli arresti e così la Dda dopo alcuni mesi ha chiesto e ottenuto ieri il rinvio a giudizio per i sei indagati.

(nella foto il boss ciro mariano)

Napoli: il clan dei “Capelloni” di Forcella chiede lo sconto di pena

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gennaro buonerba

Il clan dei “capelloni” di Forcella vuole lo sconto di pena e per questo che tutti gli imputati hanno chiesto di essere processati con il rito abbreviato. Il gup del Tribunale di Napoli deciderà il 4 maggio prossimo. Alla sbarra ci sono Antonio Amoroso, Gennaro Buonerba, il giovane capo del clan, Salvatore Mazio, Luigi Criscuolo, Assunta Buonerba e Luca Mazzone. Sono tutti accusati di associazione per delinquere di stampo mafioso, di omicidio e tentato omicidio. L’omicidio di cui sono accusati è quello di Salvatore D’Alpino avvenuto il 30 luglio scorso in via Mancini, in quella circostanza rimase ferito anche Salvatore Caldarelli. L’altro ferimento di cui risponde il clan è quello di Giuseppe Memoli avvenuto il 9 agosto. Si tratta di episodi riconducibili alla sanguionosa guerra che i “capelloni” hanno combattuto contro i ribelli dei Giuliano-Sibillo per il controllo degli affari illeciti dei vicoli del centro di Napoli.Secondo gli investigatori il 23enne Gennaro Buonerba, alleato con i Mazzarella e con i Sequino del rione Sanità, dirigeva il gruppo  con base in via Oronzo Costa e proprio grazie al ruolo di reggente avrebbe ordinato l’omicidio di Salvatore D’Alpino, un pregiudicato della vecchia guardia avvicinatosi agli odiati Sibillo. Al clan fu data la spallata defintiva nell’ottobre scorso con il blitz della squadra Mobile di Napoli con 11 fermi.

(nella foto il giovane boss Gennaro Buonerba)

Sant’Anastasia: tre medici della clinica Trusso di Ottaviano indagati per morte di Francesca Esposito

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funerale esposito combo

 Ci sono tre medici iscritti nel registro degli indagati della Procura di Nola per la morte di Francesca Esposito, la donna di Sant’Anastasia morta a cinque giorni di distanza da un intervemto chirurgico per dimagrire effettuato nella clinica Trusso di Ottaviano. Si tratta dei due chirurghi e dell’ anestesista, ossia tutta l’equipe che si è occupata di posizionare il palloncino intragastrico nello stomaco  della sfortunata Francesca. Sono indagati per omicidio colposo. Uno dei tre, il primario è accusato anche di aver causato, per imperizia e negligenza, la morte della donna. Ieri è stata effettuata l’autopsia sul corpo della donna e nel pomeriggio anche i funerali nella chiesa di Maria SS Immacolata nel quartiere Ponte di Ferro a Sant’Anastasia. Bara bianca, palloncini bianchi e tanta gente e tanta commazione nel corso della cerimonia funebre. Si resta ora in attesa dei risultati dell’autopsia che dovrebbero arrivare entro 90 giorni. Il pm Carla Bianco della Procura di Nola, titolare delle indagini, aspetta anche le consulenze dei periti medici per andare avanti nelle indagini. Nei prossimi giorni ci saranno gli interrogatori dei tre indagati.

 

Giovane mamma di Gragnano residente ad Angri morì dopo il parto all’Umberto I di Nocera: processo per il ginecologo

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maria cariello

Morì dopo un intervento di interruzione di gravidanza effettuato all’ospedale “Umberto I” di Nocera Inferiore: rinviato a giudizio il medico, Franco Petrone. Il gup Alfonso Scermino ha accolto la richiesta di rinvio a giudizio del pubblico ministero Valeria Vinci nei confronti di Petrone, unico indagato nel processo per la morte di Maria Cariello, 35 anni, angrese morta il 17 marzo del 2014 all’ospedale nocerino. La donna, originaria di Gragnano e residente ad Angri, era stata operata tre giorni prima e due giorni dopo era ritornata in ospedale accusando dolori lancinanti all’addome. Una gravissima emorragia interna le costò la vita. Mari Cariello lasciò il marito Domenico e una figlia piccolissima. Il coniuge si è costituito parte civile al processo insieme ai familiari. Franco Petrone, difeso dagli avvocati Michele Alfano e Filippo Dinacci, dovrà comparire dinanzi al giudice monocratico Franco Russo Guarro, il prossimo 5 ottobre per rispondere dell’accusa di omicidio colposo. A ricostruire il caso è stato il pm Valeria Vinci della Procura della Repubblica di Nocera Inferiore, che dopo la morte ordinò il sequestro della cartella clinica della donna. Maria Cariello aveva subìto un’interruzione di gravidanza quando era all’ottava settimana. Sembrava un intervento di routine, ma ritornata a casa – in via Pontone ad Angri – aveva cominciato ad accusare i primi malori, aggravatisi con il passare delle ore. La signora, in preda a crampi lancinanti all’addome fu riportata all’“Umberto I” dal marito, ma poche ore dopo morì per una emorragia interna e per le complicazioni dovute all’intervento chirurgico al quale era stata sottoposta appena due giorni prima. I medici tentarono in extremis di salvarle la vita, ma l’emorragia era devastante e Maria Cariello morì tra le braccia del marito. La denuncia alla Procura della Repubblica di Nocera Inferiore bloccò i funerali che erano stati già disposti. Le indagini hanno permesso di individuare il ginecologo Franco Petrone come unico indagato. La perizia medico-legale disposta dalla Procura nocerina ha sostenuto che vi sarebbero i presupposti per una colpa medica. A sostenere la difesa con una perizia di parte sono gli avvocati Alfano e Dinacci, che assisteranno il professionista dinanzi al giudice monocratico Russo Guarro. Martedì il gup Scermino ha accolto la richiesta di rinvio a giudizio ed ha anche ammesso la costituzione di parte civile dei familiari con l’avvocato Gabriele Di Maio. Il dibattimento chiarirà se vi sono responsabilità da parte dell’unico imputato.(r.f.)

Scommese truccate nell’Agro, il carabiniere e il finanziere indagati si difendono: “Mai dato soffiate ai Contaldo”

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Antonio Contaldo

I due esponenti delle forze dell’ordine sospesi dal servizio per 12 mesi e finiti ai domiciliari perché accusati, nell’ambito dell’operazione denominata “Iamm-Iamm”, di rivelazione del segreto istruttorio e di essere complici di Antonio Contaldo, si sono difesi ieri mattina davanti al gip Pietro Indinnimeo. Donato Salerno, maresciallo della Finanza in servizio al Tribunale salernitano, difeso dall’avvocato Michele Sarno, e Raffaele Baglieri, vicecomandante della stazione dei carabinieri di Angri, assistito dall’avvocato Guido Sciacca. Salerno ha negato di aver mai passato informazioni riservate a Luigi Tagliamonte – cognato di Tonino Contaldo, alias Caccaviello, ideatore della piattaforma on line per il poker illegale -. Il gip Indinnimeo, nel giro di poche ore ha confrontato la sua versione con quella proprio di Tagliamonte, interrogato ieri mattina, assistito dall’avvocato Silvio Calabrese. Difesa strenua anche per Baglieri, che, in servizio presso la Tenenza di Pagani all’epoca dei fatti, avrebbe rivelato – secondo l’accusa – che era in corso un procedimento penale nei confronti di Antonio Contaldo e del fratello Vincenzo. A testimoniarlo un’intercettazione telefonica. Ma Baglieri ha negato di aver fatto la spiata al sedicente dentista con il quale aveva un rapporto amicale. Ieri mattina hanno risposto alle domande anche gli altri indagati, in particolare i gestori dei punti scommesse. Salvatore Attianese, difeso dall’avvocato Maria Cammarano, ha spiegato come venivano ripartiti i proventi sulle giocate illegali ed ha riferito di non avere avuto rapporti con Contaldo nel caso di problemi informatici. Hanno brevemente risposto anche la compagna di Contaldo, Mafalda Avallone, la sorella Patrizia, Alfonso Sorrentino, Antonio Pascale, Alfonso Pepe, Salvatore D’Elia, Vincenzo Ferrara e Bruno De Girolamo Del Mauro.(r. f.)


Acerra: la Cassazione conferma: 27 anni al boss Crimaldi

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cuono-crimaldi

Acerra. Risiko: confermate le condanne per il boss Cuono Crimaldi e i suoi adepti. Associazione per delinuere finalizzata alle estorsioni e alla ricettazione, il tutto aggravato dall’articolo 7: questi reati per i quali Cuniello ‘e capass dovrà scontare 27 anni di reclusione, confermata la sentenza di appello anche per il nipote di Crimaldi, Francesco Di Lorenzo e Gennaro Castiello, alias Gennaro ‘ cantante (8 anni), Maria Giovanna D’Iorio 2 anni e 8 mesi. I cinque imputati erano finiti nell’inchiesta della Dda di Napoli sul clan Crimaldi di Acerra per una serie di estorsioni messe a segno ai danni di commercianti e imprenditori. La Cassazione ha ratificato la sentenza emessa dalla corte di appello di Napoli, che aveva anche condannato gli imputati a risarcire i danni alle parti civili: Comune di Acerra, Coordinamento delle associazioni antiracket e Provincia di Napoli. L’operazione “Risiko” risale a settembre 2010 quando vennero arrestate 43 persone. L’indagine prese in esame le dinamiche criminali dell’area di Acerra, tra il 2006 ed il 2008, all’indomani della morte di Ciro De Falco (’o ciomm), che rappresentò una sorta di spartiacque, uno snodo cruciale che diede origine ad una catena di reazioni determinando una rimodulazione delle forze malavitose in campo.

Droga per la Calabria, condannati Valentino jr e i Savino. Sei anni anche a Guarro e Immola

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valentino gionta junior

Torre Annunziata. Traffico di droga con la Calabria: mite condanna per Valentino Gionta jr, il Gup esclude l’aggravante. Un anno e 4 mesi di reclusione per il 23enne, rampollo di Aldo Gionta, il poeta, due anni e 4 mesi per Felice Savino e un anno e sei mesi per il figlio Pasquale. I tre torresi erano finiti in un’inchiesta della Dda di Napoli su un traffico di droga dalle falde del Vesuvio fino alla Calabria, in particolare a Scalea. Il Gup Rosario Fiorentino ha escluso per i tre l’aggravante di allestito il traffico nell’ambito della criminalità organizzata. Per Valentino jr, difeso dall’avvocato Roberto Cuomo, il pm Claudio Siragusa aveva chiesto 4 anni di reclusione.  Anche per i Savino è stata esclusa l’appartenenza ad un’organizzazione criminale autonoma che ‘esportava’ marijuana fuori dalla Campania. Condannato a due anni e 6 mesi anche il pusher siciliano Ivan Sestito, con Simona Manzi di Scalea condannata a un anno di reclusione.  Per il filone delle estorsioni, il Gup ha inflitto sei anni a Michele Guarro e Aristide Immola accusati di aver estorto danaro al titolare di un franchising di abbigliamento a Torre Annunziata. Secondo l’accusa, Immola, nel dicembre del 2012 si presentò dal commerciante per chiedergli un regalo per i carcerati. L’indagine dell’antimafia emersa lo scorso anno con gli arresti è fondata su una serie di intercettazioni ambientali registrate in via D’Alagno, nei pressi di Palazzo Fienga, e sulle dichiarazioni dei collabori di giustizia, tra i quali Giuseppe Di Nocera.

Napoli, raid contro il nipote del ras Rinaldi: condannati Donadeo e Bonavolta

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Napoli. I Mazzarella contro i Rinaldi per la puzza in un garage: condannati i due uomini che ferirono il nipote del ras del Rione Villa. Il Gup Taglialatela ha inglitto 4 anni a Luigi Bonavolta e 5 anni e 8 mesi a Salvatore Donadeo per lesioni volontarie ai danni di Giovanni Rinaldi. Alla base del raid punitivo la puzza in un garage che la sera del 17 settembre scorso fece scattare la vendetta dei Mazzarella. L’episodio era inserito nel decreto di fermo emesso nei confronti di Salvatore Donadeo ‘o pozzolento, arrestato il 3 ottobre scorso, ritenuto il mandante del raid, e Luigi Bonavolta, 22 anni, pregiudicato che sparò a Rinaldi. L’agguato contro Rinaldi, così come hanno ricostruito i carabinieri della compagnia di Poggioreale, guidati dal capitano Golino, si consumò alle 21.45 circa, mentre si trovava in via Pazzigno assieme ad un altro ragazzo. I due stavano commentando il litigio per futili che c’era stato qualche ora prima tra Marco M. e l’esponente della famiglia Reale. Un litigio in ‘due tempi’, nella seconda fase il giovane vicino ai Mazzarella, imparentato con Bonavolta, aveva minacciato Rinaldi di fargli sparare. Giovanni Rinaldi fu avvicinato da Donadeo e Bonavolta in sella ad una Honda SH scura. Il Passeggero, Bonavolta, scese impugnando la pistola e aveva esploso numerosi colpi. Poi i due si erano dileguati in direzione Corso San Giovanni a Teduccio. L’episodio ha decretato la condanna dei due uomini vicini ai Mazzarella. 

Pozzuoli, pizzo sulle case popolari: condannato a 6 anni Canale del clan Longobardi-Beneduce

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giovanni canale

Pozzuoli. Pizzo su un locale Iacp, una vittima costretta a pagare un fitto mensile per vent’anni nonostante versasse il canone all’istituto autonomo case popolari. E’ stato condannato a sei anni e due mesi di reclusione Giovanni Canale, 65 anni, vicino al clan Longobardi-Beneduce. Il Gup ha accolto la richiesta di condanna del pm Gloria Sanseverino nei confronti di Canale accusato di estorsione aggravata dal metodo mafioso.Canale, residente a Pozzuoli in via Gugliemo Oberdan alle “Palazzine”, sorvegliato speciale con obbligo di soggiorno e ritenuto vicino al clan Longobardi-Beneduce, aveva preso sin dal lontano 1990 ad estorcere denaro, prima 500mila lire al mese, e poi 500 euro, al titolare di una sala – giochi ed internet point, sita in un locale dell’Istituto Autonomo Case Popolari, al Rione Toiano. Al 65enne è stata applicata la pena accessoria di tre anni di Casa lavoro dopo aver scontato la condanna. Risarcite le parti civili: il Comune di Pozzuoli e l’associazione antiracket ‘Sos Impresa’.

Napoli, saccheggio della biblioteca dei Girolamini: chiuse le indagini su Dell’Utri

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Girolamini

La procura della Repubblica di Napoli ha emesso un avviso di conclusione delle indagini preliminari nei confronti dell’ex senatore di Forza Italia Marcello Dell’Utri, nell’ambito dell’inchiesta-stralcio sul saccheggio della biblioteca dei Girolamini, nel centro storico di Napoli. Dell’Utri è indagato per peculato in concorso con l’ex direttore della Biblioteca e consulente del ministero dei Beni culturali Marino Massimo De Caro, già sotto processo per questa vicenda (condannato in appello a sette anni di reclusione in quanto ritenuto il principale responsabile della sottrazione di libri antichi). L’avviso è stato firmato dai pm titolari dell’inchiesta, i sostituti Ilaria Sasso del Verme, Antonella Serio e Michele Fini, coordinati dal procuratore aggiunto Vincenzo Piscitelli. Dell’Utri aveva ricevuto da De Caro diversi volumi antichi, quasi tutti restituiti dopo l’apertura dell’inchiesta, ad eccezione di una copia rara dell’Utopia di Tommaso Moro che finora non si è riusciti a ritrovare. Il primo marzo scorso il Senato aveva concesso ai magistrati l’autorizzazione a utilizzare le telefonate intercettate. Secondo gli inquirenti, Dell’Utri – noto collezionista di libri antichi – non solo era consapevole della provenienza illecita, ma si era accordato con il direttore della biblioteca che gli avrebbe poi consegnato i libri: di qui l’ipotesi di peculato. I magistrati dovranno chiedere ora alla autorità del Libano l’estensione dell’estradizione in riferimento al reato per cui stanno procedendo (era stata infatti concessa dal paese mediorientale per il procedimento riguardante il processo per presunti rapporti con esponenti mafiosi).

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