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Channel: Cronaca Giudiziaria
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Rapina al supermercato Etè di Ottaviano: chiesto l’ergastolo per i carabinieri-rapinatori

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Ottaviano. Carabinieri-rapinatori: chiesto l’ergastolo per Claudio Vitale e Jacomo Nicchetto, all’epoca in servizio nell’arma dei carabinieri che il 25 marzo scorso rapinarono il supermercato Etè di Ottaviano. I due dopo il colpo partirono a folle velocità sua Statale 268, inseguiti dai titolari del market, originari di Somma Vesuviana, e da alcuni dipendenti. Spararono all’impazzata quando furono raggiunti lungo la Statale ferendo sei persone e colpendo a morte Pasquale Prisco. Uno dei proiettili, infatti, colpì al cuore Pasquale Prisco, 28 anni, uno dei proprietari dell’esercizio commerciale dal quale i due banditi avevano portato via 1.500 euro. L’uomo morì poco dopo il ricovero all’ospedale Villa Martiri di Sarno. Per Claudio Vitale e Jacomo Nicchetto, all’epoca due carabinieri, il pubblico ministero Carlo Bianco, nel corso della requisitoria durata due ore, alla presenza del capo della Procura di Nola, Paolo Mancuso, ha chiesto per entrambi la pena dell’ergastolo. Il pm ha escluso che i Prisco avessero sparato o come aveva sostenuto la difesa ingaggiato una colluttazione con i carabinieri-rapinatori. Prossima udienza, il 24 maggio, quando dovranno discutere gli avvocati di parte civile. La sentenza è prevista per i primi di giugno.


Casalinga di San Tammaro trovata strangolata in casa: rinviato a giudizio il marito

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Il Gup Sergio Enea del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere  ha rinviato a giudizio Emilio Lavoretano, marito di Katia Tondi, la casalinga di 31 anni uccisa il 20 luglio 2013 nella sua abitazione di San Tammaro nel Casertano. Il magistrato ha accolto la ricostruzione del sostituto procuratore Domenico Musto che sia in sede di indagine che durante la discussione di qualche settimana fa ha sostenuto la tesi che solo il 35enne Lavoretano potesse aver ucciso la donna, che fu strangolata con un cordone sulla cui natura però non è stata mai fatta chiarezza. Al momento del delitto, in casa c’era anche il figlio della coppia, che allora aveva sette mesi, e sul cui affidamento è nata una battaglia giudiziaria tra Lavoretano e i nonni materni; il piccolo infatti fu affidato al padre, ma i genitori della Tondi si rivolsero al Tribunale dei Minori di Napoli ottenendo di poter incontrare il bimbo seppur alla presenza del padre. “L’ho trovata che era già morta” raccontò il 34enne agli investigatori della Squadra Mobile della Questura di Caserta intervenuti nell’abitazione della coppia. L’uomo affermò di essere uscito poco prima delle 19, quando la moglie era ancora viva, di essere rincasato intorno alle 20, e di aver rinvenuto il corpo della moglie accasciato vicino alla porta di casa; a conferma del suo alibi consegnò anche uno scontrino della spesa, e fu inizialmente creduto. Ma le discrepanze sull’orario della morte della donna emersero già con la prima perizia eseguita dal medico-legale incaricato dalla Procura, secondo cui la Tondi sarebbe stata uccisa tra la 14 e le 16, orario in cui Lavoretano non era presente in casa in quanto a lavoro (era dipendente presso un’officina di cambio gomme), mentre la 31enne in quell’arco temporale era in compagnia della madre. Determinante per la contestazione della Procura di omicidio volontario a carico dell’uomo e per la successiva richiesta di rinvio a giudizio è stata però la relazione presentata da un secondo consulente nominato dalla Procura, Giovanni Garofalo, ex comandante del Ris di Parma, che tramite intercettazioni telefoniche e nuove analisi medico-scientifiche stabilì che la Tondi sarebbe morta tra le 18 e le 19 del 20 luglio, in un orario in cui, dunque, Lavoretano sarebbe stato a casa. I consulenti della difesa Carmelo Lavorino e Giuseppe De Rosa hanno invece sempre contestato le modalità con cui sono state svolte le indagini affermando che nell’immediatezza del delitto non furono prelevate né la temperatura del corpo della Tondi, né quella dell’abitazione e dell’esterno, rendendo di fatto molto difficile se non impossibile stabilire con precisione l’orario del decesso. Gli stessi legali del 34enne, Raffaele Gaetano Crisileo e Natalina Mastellone, anche oggi in sede di discussione davanti al Gup, hanno ribadito la natura indiziaria degli elementi raccolti. Il delitto aveva rappresentato subito un rompicapo per gli inquirenti, dal momento che nessun testimone aveva visto il presunto assassino entrare nell’abitazione della Tondi, nonostante il delitto fosse avvenuto in un giorno di piena estate ad un orario in cui c’è parecchia gente per strada. Il processo inizierà davanti alla Corte d’Assise – seconda sezione – del tribunale di Santa Maria Capua Vetere il prossimo 11 maggio.

Napoli: inchiesta della Procura sulla morte in ospedale di Giulio Murolo, l’infermiere della “strage dal balcone” a Secondigliano

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La Procura di Napoli ha aperto un’inchiesta sulla morte di Giulio Murolo, il 48enne infermiere autore della famosa “strage dal balcone di Secondigliano” .  Il 15 marzo Murolo è morto dopo aver ingerito, due giorni prima nella sua cella del carcere di Poggioreale dove era detenuto, una dose massiccia di medicinali che gli erano stati somministrati nel corso delle setti-
mane precedenti e che invece non aveva mai preso.Due gioroni prima  era stato ricoverato d’urgenza in “codice rosso” all’ospedale Loreto Mare. Dopo un momentaneo miglioramento delle sue condizioni di salute il 15 marzo fu stroncato da un arresto cardiocircolatorio. Ma secondo il fratello c’è qualcosa che non convince e per questo ha deciso di presentare un esposto-denuncia agli agenti del commissariato Scampia. Il magistrato Stefania Castaldi, il pm che fino a pochi mesi fa era nella Dda di Napoli e che si era occupato proprio delle indagini sulla faida di Scampia, ha bloccato la sepoltura e disposto autopsia ed esami tossicologici. Si vuole fare luce su una serie di circostanze che al momento non sono del tutto chiare. Non è eslcusa l’ipotesi di un avvelenamento. Si vuole capire perché nessuno si è accorto che Murolo non ingerisse i farmaci, visto che già a luglio aveva provato a suicidarsi allo stesso modo? E poi è stato prudente dal punto di vista medico lasciare che il paziente respirasse da solo e senza l’ausilio di macchinari a 24 ore dal tentativo di suicidio? E inoltre la salma del 48enne fu sbloccata dopo 24 ore, prim’ancora che il pm autorizzasse i funerali, cosa alquanto inusuale per un decesso avvenuto dopo un tentativo di suicidio in carcere. Per il momento no ci sono persone iscritte nel registro degli indagati ma ora sarnno i risultati dell’autopsia e dei periti medici a cercare di chiarire quanto meno il perché della morte di Giulio Murolo. E’ quello che chiede il fratello.

Castello di Cisterna: alla sbarra gli assassini di Anatholy, l’ucraino eroe

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Castello di Cisterna. Al via il processo per l’omicidio dell’ucraino ammazzato mentre tentava di sventare una rapina al supermercato. Per l’omicidio dell’ucraino 38enne Anatoliy Korol alla sbarra ci saranno i due assassini Marco di Lorenzo e Gianluca Ianuale e i loro presunti complici Emiliano Esposito e Mario Ischero. I quattro imputati saranno giudicati con rito abbreviato compariranno stamattina dinanzi al giudice per le udienze preliminari, Giuseppe Sepe, del Tribunale di Nola. La Procura aveva chiesto per i quattro imputati il giudizio immediato, tramutato in rito abbreviato dalla difesa. I killer, rispettivamente figliastro e figlio del boss detenuto Vincenzo Ianuale, detto “’o squadrone”, devono rispondere di omicidio, rapina, ricettazione e porto abusivo d’arma. Di Lorenzo la sera del 29 agosto entrò nel supermercato di via Selva impugnando la pistola – un revolver calibro 38 mai ritrovato – ma ad aprire il fuoco fu, invece, Ianuale. Verso le 19,30 di quel giorno l’ucraino finito di fare la spesa e stava uscendo con la figlia nel carrello, quando incrociò i banditi si girò capì che era in corso una rapina e provò a trattenere uno dei banditi tirandolo per la borsa. Uscì, portò al sicuro la piccola e rientrò scagliandosi contro il rapinatore armato. Nel corso della colluttazione Ianuale riuscì a prendere l’arma e, per liberare il fratellastro dalla morsa di Anatoliy, sparò due colpi, il secondo mortale: uno alla coscia sinistra, l’altro all’altezza della milza. Il proiettile raggiunse il cuore. Anatholy morì mentre i banditi scapparono con un bottino di 300 euro, lasciando altri 2900 euro accanto al corpo dell’uomo. Il 5 settembre scorso, a distanza di una settimana, i carabinieri della compagnia di Castello di Cisterna a Scalea, in Calabria, catturarono i banditi. Confessarono e da allora sono in carcere, hanno iniziato a collaborare con la giustizia e le loro dichiarazioni sono al vaglio della Dda. Ad Emiliano Esposito e Mario Ischero, la Procura di Nola contesta il concorso in rapina, ad Esposito, invece, anche l’omicidio, porto d’arma in luogo pubblico e ricettazione. Secondo gli inquirenti Ischero, acquistando un panino pochi minuti prima della rapina, fece un sopralluogo per dare il via libera ai due fratellastri, mentre Esposito fornì arma e scooter per poter eseguire il colpo. Nel procedimento si costituirà parte civile la famiglia Korol, la moglie Nadiya e le due figlie di Anatholy.

(nella foto gli assassini di Anatoliy, Gianluca Ianuale e Marco Di Lorenzo, il giorno dell’arresto)

I fratelli gemelli stabiesi nella banda della rapina del secolo a Verona. Uno degli arrestati dal carcere: “Chiedo scusa all’Italia”

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“Chiedo umilmente perdono a Verona, all’Italia, a tutto il mondo, provo tanta vergogna per quello che ho fatto e sono molto pentito”. Cosi ha scritto al Corriere del Veneto due giorni fa Pasquale Ricciardi Silvestri nativo di Castellammare di Stabia ma da anni residente in Veneto dal carcere di Montorio dove si trova rinchiuso da due settimane per la rapina milionaria che la sera del 19 novembre 2015 ha depredato il museo di Castelvecchio e l’intera città di 17 opere dall’inestimabile pregio storico e culturale. Ed è a “tutti i veronesi” che Pasquale Ricciardi Silvestri, fratello gemello della guardia giurata di Sicuritalia che secondo gli inquirenti avrebbe fatto da basista al saccheggio da 17 milioni di euro, indirizza la sua lettera di scuse e di pentimento. Parole poste nero su bianco a cuore aperto, frasi accorate in cui il 41enne ribadisce la versione resa fin dal primo interrogatorio.

“A settembre del 2015 sono stato avvicinato da alcuni individui moldavi che mi chiedevano aiuto per effettuare dei furti in Italia, mostrandomi anche alcuni quadri di Castelvecchio – sostiene Pasquale Ricciardi Silvestri (il doppio cognome è motivato dall’adozione dopo la nascita) -. Io li avevo allontanati da quell’idea per l’assurdità del furto, e perché non potevo aiutarli in alcun modo. Loro avrebbero voluto delle chiavi per entrare di notte nel museo…». Difeso dall’avvocato Teresa Bruno che venerdì al Riesame ne chiederà l’alleggerimento dell’attuale misura detentiva, finora il fratello del vigilante è l’unico tra i fermati per la rapina che, insieme alla convivente ucraina Svitlana Tkachuck, ha iniziato a collaborare con gli investigatori. Ed entrambi, dal primo momento, hanno rilasciato ai magistrati dichiarazioni pressoché sovrapponibili pur non essendosi mai parlati dopo i provvedimenti di fermo effettuati all’alba del 15 marzo scorso: «Dopo aver appreso dai giornali della rapina, incuriosito li ho contattati e mi hanno confermato di essere stati loro, vantandosi di esserci riusciti senza il mio aiuto, mi hanno promesso un borsone pieno di soldi se fossi stato zitto”.

Secondo il racconto di Pasquale Silvestri, padre di tre figli (di cui una bimba di pochi mesi avuta dalla compagna Svitlana,che proprio per la piccola ha ottenuto dal gip i domiciliari), tra lui e i moldavi i rapporti si sarebbero interrotti fino al colpo, di cui lui avrebbe «appreso dai giornali »: a quel punto li avrebbe ricontattati sperando di ricavarci qualcosa (Svitlana ha parlato agli inquirenti di un «regalino  , lui accenna a un «borsone di soldi»). Nessuna responsabilità diretta nell’organizzazione né nell’effettuazione della rapina al museo: continua a essere questa la tesi di Pasquale Silvestri, che invece ammette di aver sbagliato a non denunciare subito i moldavi: « Io qui chiedo umilmente perdono a Verona, all’Italia, a tutto il mondo. Provo tanta vergogna per quello che ho fatto e sono molto pentito, a sentire che mi avrebbero dato dei soldi sono caduto nella tentazione. Il dolore più forte che sento nel cuore è di non aver avvisato subito le forze dell’ordine, sono molto pentito di quello che ho fatto e spero che un giorno mi perdonerete. Spero che i quadri vengano recuperati, e tornino al loro posto». È l’auspicio di tutti.All’indomani della rapina si era parlato di un colpo milionario messo a segno da tre banditi che avevano immobilizzato la guardia giurata e portato via opere d’arte del valore stimato di oltre quindici milioni di euro. Dalle indagini, però, è emerso che proprio il vigilante sarebbe il basista della banda italo-moldava. Gli arresti sono stati effettuati pochi giorni fa dal Reparto Operativo del Nucleo Tutela Patrimonio Culturale dei carabinieri che ha portato avanti l’inchiesta assieme agli agenti della Squadra mobile della Questura di Verona e del Servizio Centrale Operativo (Sco) della polizia di stato. Secondo gli inquirenti le opere d’arte sarebbero nascoste in Moldavia.

Ponticelli: fine pena mai per il boss Antonio De Luca Bossa, Roberto Schisa, Antonio Ippolito e Ciro Confessore

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aula tribunale

La Corte d’Assise d’Appello ha condannato all’ergastolo quattro capiclan della camorra di Ponticelli: Antonio De Luca Bossa, Roberto Schisa, Antonio Ippolito e Ciro Confessore. Condannati a 30 anni invece, dopo la confessione, Giuseppe Marfella e Antonio Circone, assoluzione per il boss di Sant’Antimo Stefano Ranucci. Sono stati anche condannati i pentiti: 15 anni per i fratelli Ciro e Vincenzo Sarno, 12 anni per Pasquale e Luciano Sarno, Carmine Caniello, Raffaele Cirella, Ferdinando Adamo e Luigi Casella. Sono state le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia a fare luce fu quattro efferati omicidi compiuti negli anni novanta durante la cruenta gurra di camorra in atto in quello che fu ribattezzato “il Triangolo della morte di Barra-Ponticelli e San Giovanni”. Si tratta degli omicidi di Mario Scala, Anna Sodano, Gennaro Busiello e Giuseppe Schisa: tutti torturati nel corso di un “interrogatorio” e poi uccisi. Omicidi violentessimi tanto che il gip che firmò le ordinanze di custodia cautelare per i 15 dei vari clan della zona coinvolti li definì “macellai”. Mario Scala si occupava, prima di avere dei ripensamenti, della vendita di eroina per conto del clan. Il tronco e altre parti del suo corpo furono trovati carbonizzati il 3 dicembre 1994 in contenitori per la raccolta di rifiuti in località Varcaturo di Giugliano in Campania. Il cadavere era talmente irriconoscibile che solo con l’autopsia si stabilì che apparteneva a un maschio e non a una donna, come sembrava inizialmente. L’uomo, prima di essere assassinato, fu sottoposto a terribili torture per svelare i contenuti della sua collaborazione con la giustizia. Anna Sodano scomparve il 29 gen- naio 1998 da un albergo di Napoli mentre era in attesa di esse- re trasferita in località segreta e sotto protezione, in ragione della sua collaborazione. Il suo corpo non è mai stato trovato, ma secondo i pentiti anch’ella fu interrogata brutalmente prima del- l’omicidio. Gennaro Busiello, compagno di Anna Sodano, fu ammazzato il 18 marzo 2000 con 4 colpì di pistola calibro 7,65 per la sua volontà di pentirsi. L’omicidio fu deciso, secondo la procura antimafia, a condizione che la stessa sorte fosse toccata ad al- tri componenti del clan che avevano manifestato analoghi intenti collaborativi. Infine, Giuseppe Schisa, dedito alle estorsioni fin dai tempi della sua appartenenza alla Nco di Raffaele Cutolo, fu assassinato a Ponticelli il 18 marzo 2002 a colpi di pistola dopo che si sparse la voce che era andato in procura per pentirsi.

Giugliano, processo “Puff Village”: assolti tutti i 30 imputati tra ex sindaci, politici, funzionari, imprenditori e camorristi

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Sono stati tutti assolti i 30 imputati tra politici, ex amministratori, imprenditori e camorristi di Giugliano coinvolti nella famosa inchiesta “Puff Village”, la lottizzazione di 98 appartamenti e un albergo realizzati nel Parco l’Obelisco. Sono stati i giudici della VII sezione  collegio IV del Tribunale Penale di Roma ad emettere la sentenza: tutti gli imputati accusati di truffa sono stati assolti perché il fatto non sussiste, mentre per gli altri è stata accertata la prescrizione del reato, tra cui la lottizzazione. Il processo partì nel 2011 in seguito ad una vasta operazione della guardia di finanza che sottopose a sequestro preventivo il parco L’Obelisco composta  da 98 appartamenti e un albergo per un valore complessivo di 20 milioni di euro. Immobili realizzati a mezzo di concessioni edilizie che, secondo la Guardia di Finanza, il comune di Giugliano non avrebbe dovuto rilasciare poiché il complesso da edificare era in contrasto con i piani urbanistici, per questo tra gli indagati ci sono anche tre ex sindaci del comune, due dei quali Pasquale Basile e Giacomo Gerlini hanno amministrato nel ’93 e nel 2003 e un altro, Francesco Taglialatela che all’epoca dei fatti era assessore all’Urbanistica e componente della commissione edilizia, l’ex assessore ai Lavori pubblici Arturo Botta, l’ex ingegnere capo dell’Ufficio Tecnico Vittorio Russo, tecni- ci comunali ed altri. I reati contestati erano lottizzazione abusiva, falsi in atto pubblico e truffa edilizia aggravata dalle fi- nalità dell’agevolazione camorristica dei clan Mallardo e Nuvoletta.

Questi i nomi di tutti gli imputati assolti: Mario Altamura; Eleonora Basso; Pasquale Basile ex sindaco Comune di Giugliano; Arturo Botta ex assessore ai lavori Pubblici; Giuliano Cacciapuoti; Angelo Cirella membro commissione edilizia; Vincenzo D’Alterio membro commissione edilizia; Domenico Ferraro membro commissione edilizia; Sandro Ferraro membro commissione edilizia; Risiede Frascogna; Alfonso Germano membro commissione edilizia; Giacomo Gerlini ex sindaco di Giugliano; Rocco Granata membro commissione edilizia; Giovanni Mallardo membro commissione edilizia; Franz Marchese membro commissione edilizia; Giuliano Morlando membro commissione edilizia; Marina Murolo membro commissione edilizia; Antonio Nugnes membro commissione edilizia; Raffaele Pennacchio membro commissione edilizia; Giuliano Perpetua membro commissione edilizia; Raffaele Pirozzi membro commissione edilizia; Felice Pirozzi membro commissione edilizia; Gioacchino Pirozzi ; Vittorio Russo ingegnere capo ufficio tecnico comune di Giugliano; Francesco Taglialatela componente della commissione edilizia; Domenico Tartaron; Ciro Testa impiegato comune di Giugliano ; Manlio Tomeo ex dirigente ufficio tecnico comune di Giugliano; Alfredo Vitelli tecnico; Luigi Mallardo funzionario comune di Giugliano.

Nuova camorra acerrana, in Appello richiesta la conferma delle condanne di primo grado

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Il Procuratore generale della terza sezione della Corte d’Appello del tribunale di Napoli (presidente dottoressa Giovanna Grasso) ha chiesto la conferme delle condanne di primo grado per i 9 imputati dei clan di Acerra accusati di estorsione. In primo grado erano arrivati 76 anni anni di carcere con pene tra i 14 e i 4 anni per tutti gli imputati con una sola assoluzione. Pena più alta (14 anni)per Domenico Basile, alias o’nir, mentre Gaetano De Rosa, meglio conosciuto come o’ maravizz, fu condannato a 13 anni. Condannati a 10 anni a testa, invece, Pasquale Tortora, o’ stagnaro e Gennaro Pacilio, o’ furnaro. Bruno Avventurato a 8 anni e 10 mesi, suo figlio Domenico, invece, 4 anni e 8 mesi. Alfonso Piscitelli condannato a 8 anni mentre Giacomo Doni e Antonio Fatigati rimediano 4 anni a testa. Assolto l’imprenditore Francesco De Simone, accusato di essere un mediatore. I fatti contestati risalgono al periodo a cavallo tra il gennaio e settembre 2014.L’indagine partì grazie alla denuncia di due imprenditori edili che consentirono di ricostruire le attività criminose di una nuova cosca camorristica, sorta sulle ceneri del clan Crimaldi, capeggiata da personaggi già vicini alle vecchie organizzazioni malavitose locali e già condannati per altri reati di matrice mafiosa. Il nuovo sodalizio aveva avviato un’attività estorsiva contro sei imprese edili impegnate ad Acerra (tra cui una che stava costruendo una palestra a cui veniva ‘chiesto’ se avesse bisogno di una ditta di pulizie), ai quali veniva anche imposto a chi rivolgersi per l’esecuzione dei lavori e la fornitura dei materiali, oltre al pagamento di una percentuale sul valore complessivo dell’appalto. Alcuni indagati, poche settimane prima del blitz del 2014, fermarono una betoniera che aveva appena scaricato materiale in un cantiere edile, malmenando l’autista e appiccando il fuoco al mezzo. A fine settembre, invece la Dda emise altre due ordinanze per estorsione, tentata e consumata, contro imprenditori del territorio, tra cui un noto centro meccanico/collaudi ed una Onlus che gestiva il servizio di ambulanze presso la clinica Villa dei Fiori: a questa, infatti, venne imposta l’assunzione lavorativa del figlio di uno dei capi.

(nella foto il boss domenico basile ‘o nir)


Torre Annunziata: scarcerato il “provetto killer” del Penniniello assoldato dalla mantide di Pompei, Lucia Casciello per uccidere l’ex marito

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 E’ stato scarcerato il giovane mancato killer di Torre Annunziata assoldato dalla 40enne pompeiana Lucia Casciello per uccidere il suo ex marito, Vincenzo Tufano di 42 anni. Ieri il giudice del Tribunale per i minorenni di Napoli, Maurizio Pierantoni, ha accolto la tesi della difesa del minore V. F. del rione Penniniello, e ne ha ordinato la scarcerazione. Troppi i dubbi, sia legati ai presunti dissapori della coppia di Pompei, che alla precisa ricostruzione della dinamica del raid. Il Tribunale ha anche disposto con ordinanza l’ammissione d’ufficio di nuove prove in dibattimento. L’agguato dai motivi passionali, avvenne il 9 agosto 2014 nei pressi di un noto pub della periferia di Pompei, in via Giuliana. Il giovane provetto killer che agì con il volto coperto da un casco integrale, fortunatamente mancò il bersaglio sia per la sua inesperienza sia per la scarsa luce nella zona. Lucia Casciello è già stata condannata ad otto anni in primo grado come mandante.

(nella foto lucia casciello)

I Contaldo di Pagani gestivano e truccavano le scommesse on line in tutto l’Agro: 18 arresti e 64 indagati. Tutti i nomi e le foto

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Su delega della Procura della Repubblica di Salerno – Direzione distrettuale antimafia, nella mattinata odierna militari del Comando Provinciale della Guardia di Finanza di Salerno hanno eseguito 18 ordinanze di custodia cautelare (8 in carcere e 10 agli arresti domiciliari), disposte dall’Ufficio G.I.P. del Tribunale di Salerno, nei confronti di un sodalizio criminale organizzato con sede operativa nell’agro nocerino sarnese, operante sul territorio nazionale ed in particolare, oltre che in Campania, nelle Regioni Basilicata e Calabria, dedito alla gestione e all’ amministrazione in generale dei giochi on-line con piattaforme illegali di siti web esteri abusivamente attive in Italia in assenza della prescritta autorizzazione dell’Amministrazione Autonoma dei Monopoli di Stato.
L’operazione di polizia è stata eseguita a seguito degli sviluppi di un’indagine coordinata e diretta dalla Procura della Repubblica di Salerno – Direzione Distrettuale Antimafia e condotta dal Nucleo di Polizia Tributaria della Guardia di Finanza di Salerno attraverso l’aliquota specializzata del Gruppo di Investigazione sulla Criminalità Organizzata – G.I.C.O..
La complessa ed articolata organizzazione criminale è riconducibile alla famiglia dei Contaldo di Pagani  detti “i caccaviello”.
Il principale promotore, Contaldo Antonio, classe ’66, unitamente ai suoi fratelli, figli e familiari gestiva diverse piattaforme e canali “on-line” per la raccolta delle scommesse clandestine e del poker su internet, creandone anche di proprie. A tal fine si è giovato di collaborazioni con altre organizzazioni operanti sul territorio nazionale quali quelle riconducibili ai fratelli Tancredi di Potenza e con soggetti contigui a cosche della ‘Ndrangheta calabrese, anche costoro raggiunti dai provvedimenti emessi dall’A.G. di Salerno.
Inoltre, per sviluppare e imporre nella provincia di Salerno le proprie piattaforme di gioco si rivolgeva e si associava a personaggi affiliati a clan camorristici del nocerino e della zona della valle dell’Irno, nonché a pluripregiudicati con provata esperienza nel settore dei giochi on-line. I siti di gioco erano alterati in modo da rendere impossibile per il giocatore effettuare vincite apprezzabili.
La rete dei punti gioco nella provincia di Salerno coinvolgeva esercizi commerciali di Pagani, Mercato San Severino, Nocera Inferiore, Nocera Superiore, San Marzano sul Sarno, San Valentino Torio e Sant’Egidio del Monte Albino.
Le operazioni hanno interessato anche soggetti residenti a Potenza, Cirò Marina e Favara, nonché uno già detenuto a Frosinone, con la collaborazione dei Nuclei di polizia tributaria della Guardia di finanza di Potenza, Crotone ed Agrigento.
Le proiezioni internazionali dell’organizzazione spaziavano dal Canada al Regno Unito, da Malta al Montenegro.
Per l’attuazione dei fini illeciti dell’organizzazione i Contaldo hanno ottenuto supporto da diversi esercenti commerciali che “ospitavano” le illeciti piattaforme di gioco e di raccolta delle scommesse al fine di renderle fruibili al pubblico agevolando così il proposito delittuoso dell’organizzazione e assicurando cospicui profitti illeciti.
I Contaldo impiegavano tali profitti, oltre che per continuare ad alimentare il programma delittuoso, anche per investimenti commerciali. In particolare è stato accertata la riconducibilità e la presenza di investimenti illeciti nel disco bar “Jamm Jamm” di San Valentino Torio (SA), oggetto di sequestro da parte del Tribunale di Salerno.
Oltre all’ arresto dei principali componenti dell’organizzazione criminale ed ai sequestri dei beni oggetto di reinvestimento e di quelli con i quali venivano perpetrati i reati contestati, sono state eseguite complessivamente 59 perquisizioni finalizzate alla ricerca di ulteriori elementi investigativi a carico degli altri indagati a piede libero.
In totale gli indagati sono 64, dei quali 57 sono accusati di associazione per delinquere finalizzata all’esercizio abusivo di attività di organizzazione e raccolta a distanza del gioco on line mentre altri rispondono di diversi reati scopo: oltre all’abusiva attività di organizzazione di gioco online sono contestate ipotesi di estorsione, riciclaggio, trasferimento fraudolento di valori, frode informatica, accesso abusivo a sistema informatico, falsità, violenza privata, abusivo esercizio di una professione sanitaria, favoreggiamento personale e rivelazione di segreto d’ufficio.
Nell’ambito dell’operazione sono state sottoposte a sequestro 23 attività commerciali – tra cui uno studio dentistico abusivo – e beni mobili registrati.
Sono stati anche posti sotto sequestro ed oscurati 11 siti internet illegali, avvalendosi degli specialisti del Nucleo speciale frodi tecnologiche della Guardia di finanza, con sede a Roma.
L’ operazione si inserisce nel quadro delle attività di tutela della sicurezza economico-finanziaria del territorio e del contrasto alle fonti di arricchimento illecito delle organizzazioni criminali.

IN CARCERE:
1) CONTALDO Antonio classe 66
2) CONTALDO Vincenzo, classe 90
3) CONTALDO Giuseppe, classe 92
4) CAPUTO Vincenzo classe, 68
5) STANZIONE Carmine, classe 70
6) MARINO Maurizio, classe 72
7) TANCREDI Luigi, classe 65
8) TANCREDI Antonio, classe 66

AI DOMICILIARI:
9) CONTALDO Patrizia, classe 69
10) TAGLIAMONTE Luigi, classe 69
11) SORRENTINO Alfonso, classe 85
12) AVALLONE Mafalda, classe 76
13) PASCALE Antonio, classe 83
14) PEPE Alfonso, classe 89
15) D’ELIA Salvatore, classe 65
16) FERRARA Vincenzo, classe 76
17) DE GIROLAMO DEL MAURO Bruno, classe 61
18) ATTIANESE Salvatore, classe 61.

ELENCO DEI SITI ILLEGALI
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Antonio Contaldo Giuseppe Contaldo Vincenzo Contaldo Giuseppe jr Contaldo Carmine Stanzione , il web master VincenzoCaputo, gestore dei pagamenti

Condannato a sette anni di carcere lo scafatese che con il “branco” ridusse in fin di vita un cittadino rumeno a Boscoreale

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E’ stato condannato a 7 anni di carcere Giuseppe Alfano il 23enne di Scafati che lo scorso anno insieme con “un branco” di complici picchiò riducendolo in fin vita un cittadino rumeno. Era accusato di sequestro di persona, rapina e lesioni gravi. Secondo le accuse Alfano guidò il gruppo di circa 10 persone, che a bordo di una Opel Astra, una Peugeot 206 e una Fiat Punto, portarono a compimento un raid in zona Marra-Cangiani di Boscoreale al confine con Scafati. Era la notte tra il 27 e il 28 febbraio scorsi. Ad avere la peggio fu un giovane rumeno incensurato, sceso in strada in bici col fratello ed altri due concittadini per raccogliere vestiti usati. Il 25enne straniero fu picchiato con una mazza; poi derubato del portafogli, della tv e di un cellulare ‘Samsung S3’. Alfano scappò con la banda nel buio della notte. La vittima perse i sensi, prima di essere soccorso intorno alle 3 da un vicino che chiamò il 112. “Tu sei venuto a rubare in casa mia. E’ quello che ti meriti”, il movente dell’agguato denunciato dalla vittima ai carabinieri. Per la stessa aggressione uno dei complici di Alfano, il 33enne di Poggiomarino Alessandro Avino, è già stato condannato a 5 anni di carcere.

 

 

Pagani: un finanziere e due carabinieri, sospesi dal servizio, davano le “soffiate” ai Contaldo sulle indagini

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contaldo antonio

Sospesi per dodici mesi dal servizio, rispettivamente nell’Arma dei carabinieri e nella Guardia di Finanza. Una misura interdittiva pesante per Raffaele Baglieri e Donato Salerno, maresciallo dei carabinieri in servizio alla tenenza di Pagani il primo, brigadiere della Finanza in servizio presso gli uffici della Procura di Salerno il secondo. Salvo invece dall’ordinanza di custodia cautelare Gaetano Marinelli, maresciallo in passato in servizio presso la tenenza dei carabinieri di Pagani e ora al Servizio centrale di Protezione che veniva coinvolto da Antonio Contaldo, come procacciatore di punti gioco sul territorio in cambio di lauti guadagni. Accuse pesanti per i tre esponenti delle forze dell’ordine che – secondo l’antimafia – venivano coinvolti da Antonio Contaldo nei suoi affari e utilizzati per acquisire notizie riservate su indagini e accertamenti amministrativi a carico delle proprie società e di quelle intestate a prestanome. Il giudice delle indagini preliminari Pietro Indinnimeo ha disposto una misura interdittiva nei confronti di Raffaele Baglieri e il brigadiere della finanza Donato Salerno, mentre ha rigettato la richiesta di arresto, per mancanza delle esigenze cautelari, per Gaetano Marinelli. Quest’ultimo, secondo l’accusa, veniva coinvolto da Contaldo come procacciatore di punti gioco. Mentre Baglieri è accusato di falso ideologico oltre che di violazione del segreto d’ufficio per la storia di un certificato falso, fatto da Antonio Contaldo, spacciatosi per medico chirurgo, a favore della fidanzata del figlio (Maria De Martino, anch’ella indagata) nel 2013 militare dell’esercito a Bari. Baglieri inoltrò quel certificato commettendo una serie di falsi, per nascondere il vero motivo della malattia della ragazza. Inoltre il maresciallo, poi trasferito alla stazione di Angri, rivelò ad Antonio Contaldo l’esistenza di un’indagine della Dda di Salerno condotta dal pm Maurizio Cardea per l’applicazione di una misura di prevenzione patrimoniale nei confronti del “dentista” e dei i fratelli Vincenzo e Giuseppe. La violazione del segreto d’ufficio è contestata anche a Donato Salerno in servizio alla Procura di Salerno, dove pendevano procedimenti a carico dei fratelli Contaldo. Sarebbe invece partecipe dell’associazione “Contaldo” Gaetano Marinielli, anch’egli tra il 2013 e il 2014 in servizio alla Tenenza di Pagani. Faceva il rappresentante per conto di Tonino Contaldo, concordando le percentuali di guadagno dei gestori delle sale gioco ubicate a Cava de Tirreni, Castel San Giorgio, Siano e Bracigliano, gestite da conoscenti del maresciallo. (r.f.)

Resta in carcere il militare di Somma Vesuviana accusato di aver ucciso la coppia di fidanzati a Pordenone. Libera la fidanzata

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Il Tribunale del Riesame di Trieste ha rigettato l’istanza di scarcerazione di Giosuè Ruotolo, il militare campano di 26 anni accusato del duplice omicidio dei fidanzati di Pordenone. I giudici si sono espressi dopo circa tre ore di camera di consiglio, in cui erano entrati dopo un’udienza dibattimentale che si era protratta per quasi dodici ore. Accolta invece l’istanza presentata dalla fidanzata di Ruotolo, Rosaria Patrone, che si trovava ai domiciliari nella propria abitazione di Somma Vesuviana  con l’accusa di favoreggiamento e tornata ora in libertà

Cercola: uccisero il vicino, condanna cancellata per i due Pomatico, padre e figlio

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cercola omicidio sannino

Cercola. Uccisero il vicino di casa: la Cassazione cancella la condanna a 30 anni per Vincenzo e Gennaro Pomatico, padre e figlio. Bisognerà ritornare in Corte d’Assise d’Appello per la rideterminazione della pena e il calcolo delle aggravanti. La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso dei legali, Antonio Abet e Giuseppe Perfetto, annullando parzialmente la sentenza di secondo grado. I due erano stati condannati in primo e secondo grado a 30 anni di reclusione, Vincenzo Pomatico – nel frattempo – ha ottenuto gli arresti domiciliari per motivi di salute. Sono accusati di aver ucciso Giuseppe Sannino, 21enne di Cercola, punito per aver difeso un amico nel corso di una rissa. Sannino fu ammazzato con un colpo di pistola al cuore. I due Pomatico furono poi fermati dai carabinieri di Cercola, fu indagato anche un giovane minorenne per aver accoltellato e tentato di uccidere Mario Noto, colpito alla schiena da numerose coltellate nel corso della rissa avvenuta il 22 giugno del 2012 in via Matilde Serao a Cercola. Il minorenne era amico di Sannino, come pure di Mario Noto. La lite, secondo quanto ricostruito dagli inquirenti, avvenne per colpa di una ragazza. L’aggressione a noto da parte del minorenne fu notata da Sannino che intervenne. Il ragazzo ferito fu ricoverato in ospedale e Giuseppe Sannino lo andò a trovare, poi forse per chiarire Sannino si recò dai Pomatico, con i quali scoppiò una lite, al culmine della quale Gennaro Pomatico, allora 20enne, prese la pistola e la puntò contro Sannino, a quel puntò il padre Vincenzo l’afferrò e sparò. Giuseppe Sannino fu colpito al cuore senza scampo. Poi, la vittima fu caricata in macchina e scaricato fuori al pronto soccorso dell’ospedale di via Argine. Due giorni dopo i due furono arrestati per omicidio volontario aggravato. Avevano tentato la fuga verso il ord ma i carabinieri li raggiunsero e li ammanettarono.

Napoli: Catapano ancora grave, l’agguato di Porta Nolana deciso dai Rinaldi-Reale. Il racconto del pentito Persico

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combo catapano e polizia

E’ ancora in gravi condizioni al Loreto Mare il ras di Porta Capuana, Gennaro Catapano ferito mortalmente ieri in tarda mattinata da due killer al vico Sopramuro. E’ stato sottoposto a due delicati interveti chirurgici e i medici aspettano che trascorra anche questa notte prima di poter esprimersi. Il fatto che sia arrivato in breve tempo in ospedale dopo essere statocentrato da due proiettili alla schiena probabilmente gli ha salvato la vita. Catapano infatti ha avuto la forza di rialzarsi da terra, di balzare dietro lo scooter di un amico e di correre al pronto soccorso in una maschera di sangue ma vivo.Le indagini però seguono una pista ben precisa e porta alla guerra che si è scatenata da un anno tra i Rinaldi-Reale e i Mazzarella-D’Amico per il controllo delle attività illecite da San Giovanni a Teduccio fino a piazza Mercato. Sono già a decina le azioni di fuoco tra le due fazioni in lotta. Questa pista sarebbe avvalorata dalla circostanza che Catapano era amico di Carmine Campanile, il ragazzo che il 1 settembre del 2014 fu ferito in via Brin. Un’altra porterebbe invece a Forcella e ad un riacutizzarsi della guerra tra il clan Mazzarella-Buonerba e la cosca degli Amirante-Sibillo-Giuliano per il controllo delle piazze di droga del Centro. Contro Gennaro Catapano ha parlato anche un pentito della camorra, Giuseppe Persico, uno dei ras dei Mazzarella. Il collaboratore di giustizia indicca in Catapano come l’autore materiale di un raid compiuto nel 2005 contro la famiglia Mauro che era in guerra con i Mazzarella.”…Avvenne di domenica ed ho partecipato sempre con il ruolo di conducente del motorino su cui viaggiava l’esecutore materiale, ovvero Enrico Autiero. Prima che lo ammazzassimo gli avevamo sparato contro le sue finestre, sempre io e Radice. In particolare, dopo qualche tempo dall’omicidio di Ferrone, era sempre il periodo in cui eravamo in guerra con i Mauro, poiché la famiglia Mauro non usciva più di casa temendo agguati da parte nostra, Franco Mazzarella aveva deciso di dare un avvertimento ad alcuni dei Mauro, quelli che provvedevano alle esigenze della famiglia, per evitare che gli stessi fossero costretti ad uscire di casa. Si decise pertanto di sparare alle finestre di Scafaro e contro le finestre di Antonio Mauro. Ci organizzammo un giorno io e Radice e andammo a sparare nelle finestre cinque colpi con una 9×21. Mentre Gennaro Catapano ed Enrico Autiero contro Mauro. Mentre quest’ultimo dopo l’agguato è sparito dalla circolazione, Antonio Scafaro ha continuato a farsi vedere in giro e a fare servizi per la famiglia Mauro. Per tale motivo Franco Mazzarella ci disse che doveva essere ammazzato perché per colpa sua non potevamo colpire la famiglia Mauro che non usciva di casa. Inizialmente l’omicidio di Scafaro doveva essere commesso da Gennaro Catapano ed Enrico Autiero. Poiché però Autiero riferì a Franco Mazzarella che quando era andato con Catapano a sparare nelle finestre di Antonio Mauro erano scivolati con il motorino, lui non si fidava di come portava lo scooter decise dovevo guidare io”.

(nella foto i rilievi della polizia scientifica sul luogo della sparatoria e nel riquadro Gennaro Catapano)


Pozzuoli: Carla per la prima volta parla con i magistrati dopo l’orrendo gesto del fidanzato

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carla caiazzo e il fidanzato

Per la prima volta, da quando il primo febbraio scorso il suo compagno al culmine di una lite le diede fuoco provocandole gravissime ustioni, è stata in grado di rispondere alle domande dei magistrati. Carla Ilenia Caiazzo, 38 anni, ricoverata al reparto di rianimazione del Cardarelli, ha raccontato ai pm Raffaello Falcone e Clelia Mancuso le fasi dell’ aggressione che la ridusse in fin di vita. I magistrati già la settimana scorsa si erano recati in ospedale per ascoltarla, ma in quella circostanza la donna non era in condizioni di parlare. Secondo le poche indiscrezioni trapelate, la donna conserva ricordi abbastanza lucidi sulla aggressione avvenuta nei pressi della sua abitazione a Pozzuoli  ricostruendo i momenti difficili del rapporto con Paolo Pietropolo, il quarantenne in carcere con l’accusa di tentato omicidio premeditato, aggravato dalla crudeltà, e stalking. Poco dopo il ricovero in ospedale, Carla Ilenia diede alla luce una bimba, nata dalla sua relazione con Pietropaolo. L’ incontro con i magistrati è durato circa un’ora. A quanto si è appreso, i pm ritorneranno in ospedale nei prossimi giorni per acquisire altri elementi utili all’inchiesta, dopodiché formuleranno la richiesta di rinvio a giudizio nei confronti di Pietropaolo.

Scommesse truccate nell’Agro: il “falso dentista” Contaldo e i conti conti correnti esteri

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Antonio Contaldo

 Il danaro delle scommesse clandestine on line finiva su conti correnti all’estero, in particolare a Malta e nel Regno Unito. È quello che hanno accertato i finanzieri del Comando provinciale di Salerno, nell’inchiesta “Iamm Iamm” sulla famiglia di Antonio Contaldo “caccaviello”, esaminando i flussi finanziari degli “adepti” del dentista. In particolare è stato individuato un personaggio, coinvolto nell’inchiesta, Paolo Paolillo, al quale viene contestata l’accusa di riciclaggio. Al lui, ufficialmente autotrasportatore, la sorella di Antonio Contaldo e il marito, Luigi Tagliamonte, avrebbero girato ingenti somme di danaro provenienti dalla società Millenium che gestiva l’omonimo bar sala giochi. Secondo l’accusa, vi era un sistema continuo di trasferimento dai Contaldo-Tagliamonte a Paolillo senza alcuna giustificazione. Dai conti dell’uomo, originario di Sant’Egidio del Monte Albino, le provviste di danaro partivano poi per conti esteri. Decine di migliaia di euro sono stati trasferiti dal 2010 al 2014 sui conti stranieri di Londra della Stanley Bet Malta. Somme che i finanzieri hanno stimato in oltre centomila euro. I soldi anche provenienti dallo stesso conto estero transitavano poi sui conti di Patrizia Contaldo e prelevato in contanti, fino a 30mila euro, oppure con assegni circolari. Secondo l’accusa i soldi venivano riciclati e nascosti al fisco dai Contaldo e dai loro prestanome che utilizzavano l’escamotage per sfuggire ai controlli. Paolillo, secondo gli inquirenti, era una testa di legno – consulente di igiene e sicurezza sul lavoro, dipendente di una ditta di trasporti – con un reddito di poco più di 20mila euro l’anno, e dunque non poteva permettersi le cifre che erano transitate sui conti. Oltre al giro vorticoso di danaro proveniente dalle scommesse clandestine on line, il factotum dell’organizzazione, Antonio Contaldo, si avvaleva anche della sua professione “medica” per aumentare il proprio carisma. La Dda contesta al sedicente dentista anche l’esercizio abusivo della professione medico-odontoiatrica. Secondo l’accusa, si sarebbe spacciato falsamente per dentista presentandosi in pubblico come il “dottor Contaldo” ma non avendo il titolo abilitativo, mai conseguito. Nonostante ciò conduceva e gestiva il proprio studio medico, eseguendo prestazioni diagnostiche e terapeutiche. A coadiuvarlo nella professione medica e nella gestione dello studio il figlio Giuseppe, alias Pippo, 24 anni. Antonio Contaldo, tra l’altro, è accusato anche di falso perché chiedendo il rilascio della propria carta d’identità all’ufficio di stato civile del comune di Pagani, avrebbe indotto in errore l’ufficiale addetto al rilascio del documento, sostenendo di avere la laurea in medicina e chirurgia, in realtà mai conseguita. Nell’ambito dell’operazione della Dda di Salerno di giovedì, tra l’altro, è stato sequestrato proprio lo studio odontoiatrico di via Ettore Padovano a Pagani, dove Contaldo svolgeva la sua attività. “Caccaviello” è da giovedì rinchiuso nel carcere di Fuorni, in attesa dell’interrogatorio di garanzia che si terrà lunedì prossimo. Il gip gli contesta una serie di reati che vanno dall’associazione per delinquere finalizzata all’esercizio abusivo di attività e di organizzazione e raccolta a distanza del gioco on line, mentre altri rispondono di diversi reati: oltre all’abusiva attività di organizzazione di gioco on line sono contestate ipotesi di estorsione, riciclaggio, trasferimento fraudolento di valori, frode informatica, accesso abusivo a sistema informatico, falsità, violenza privata, abusivo esercizio di una professione sanitaria, favoreggiamento personale e rivelazione di segreto d’ufficio

Terzigno, false residenze ai cinesi: il Riesame conferma gli arresti domiciliari per Tomassi e i due dipendenti comunali

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Il Tribunale per il Riesame ha confermato gli arresti domiciliari per l’ex consigliere comunale di maggioranza di Terzigno, Giovanni Tomassi, il vigile urbano Francesco Del Giudice e l’ufficiale dell’anagrafe del Comune Anna D’Ambrosio , arrestati tre settimane fa nell’ambito dell’ indagine sulle false residenze ai cinesi denominata “Ombre Cinesi”. Il tribunale del Riesame ha  però disposto la scarcerazione e l’annullamento dell’ordinanza per gli altri cinque verso i quali erano stato adottate misure cautelari: quattro cittadini della Cina e un marocchino. Sulla vicenda il sindaco di Terzigno, Francesco Ranieri riferirà in consiglio comunale proprio stamattina, dopo una serie di accuse da parte dell’opposizione.

Napoli: rinviato a giudizio il neomelodico Raffaello

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Il famoso cantante neomelodico Raffaello è stato rinviato a giudizio con l’accusa di tentato omicidio, porto e detenzione illegale in luogo pubblico di arma comune da sparo. Lo ha deciso ieri il gup del Tribunale di Napoli Nord. Raffaele Migliaccio di Casoria, in arte Raffaello, ha chiesto e ottenuto il giudizio abbreviato.Fu arrestato nella notte tra il 19 e il 20 giugno dello scorso anno, dopo che aveva esploso alcuni colpi di pistola in un ristorante di Teverola durante una lite con il figlio di un boss per motivi di soldi ferendo un cameriere. Secondo la ricostruzione degli agenti del commissariato di Aversa ci fu un litigio tra Raffaello e alcuni clienti.Il neomelodico uscì fuori dal locale, andò nella propria auto, dove custodiva una pistola, rientrò nel ristorante con l’arma e cominciò a sparare. Un proiettile ferì un cameriere del locale al braccio.

Boscoreale, Importavano cocaina dalla Colombia nascoste nelle ananas: 100 anni di carcere a Sergio Fattorusso ‘o biondo e ai 9 complici

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Quasi cento anni di carcere al gruppo di trafficanti di droga dei comuni Vesuviani legati all’imprenditore Sergio Fattorusso, detto, Sergio ‘o biondo. E’ stata la Quarta sezione della Corte di Appello di Napoli ad infliggere la stangata alla banda che importava cocaina dalla Colombia nascosta nelle ananas e nei kiwi e la smerciava tra Boscoreale, Torre Annunziata, Scafati e altri comuni vicini. La condanna più pesante è arrivata per Giuseppe Bastone, 18 anni di carcere, il fratello Antonio invece è stato condannato a 12 anni; 12 anni e otto mesi invece per Umberto Romano; 10 anni e otto mesi per Roberto Ricciardelli; 10 anni per Sergio fattorusso ‘o biondo; 8 anni per salvatore Ursilio, 7 anni per Antonio Aprea e Oscar pecorelli, 5 anni e 8 mesi per Armando D’Avino; 5 anni e 4 mesi per Giovanni Giordano e infine 2 anni e 4 mesi per Giuseppe Musella.

 

(nella foto sergio fattorusso)

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