Quantcast
Channel: Cronaca Giudiziaria
Viewing all 6090 articles
Browse latest View live

“Il boss Giuseppe Gallo non è pazzo” il perito sconfessa la finta schizofrenia nel processo per la truffa all’Asl

$
0
0

giuseppe gallo

Boscotrecase/Torre Annunziata. “Peppe ‘o pazzo non è pazzo”: a stabilirlo lo psichiatra e psicoterapeuta Luca Bartoli che ha effettuato una perizia su Giuseppe Gallo, il boss del clan Gallo-Limelli-Vangone alla sbarra per aver truffato l’Asl incassando un assegno mensile per un’invalidità al 100% attestata – secondo l’accusa – con perizie false e certificati medici compiacenti. Il perito, nominato dal Tribunale, ha testimoniato al processo che si sta celebrando al Tribunale di Torre Annunziata a carico del boss detenuto in regime di 41 bis nel carcere di Parma, proprio per una banale truffa ai danni dello Stato, aggravata dal metodo mafioso. Un finto pazzo per la Procura, tesi avallata da Bartoli nel corso dell’udienza e contestata dalla difesa, rappresentata dall’avvocato Ferdinando Striano. «Giuseppe Gallo non è pazzo. Ha solo un disturbo misto della personalità, aggravato dal carcere. A volte dà risposte bizzarre, ma può stare sotto processo. La sua è una sindrome da prolungata detenzione». Aveva evitato processi e carcere per anni, barricandosi dietro quella sindrome schizofrenica già messa in discussione dalla Dda di Napoli, nel corso dell’inchiesta Pandora che vide coinvolti tra gli altri anche il noto psichiatra Adolfo Ferraro, responsabile della struttura psichiatrica di Aversa. Luca Bartoli, psichiatra e psicoterapeuta presso la ASL di Salerno, ha smentito anni di perizie – forse aggiustate – fatte al 38enne boss di Boscotrecase, noto narcotrafficante e esponente massimo dell’omonimo clan. Secondo l’accusa, Giuseppe Gallo avrebbe simulato patologie e un “disturbo psicotico con base schizofrenica”, curato con farmaci neurolettici, in modo da evitare per anni il carcere e i processi. Percependo anche un assegno di invalidità civile totale e permanente del 100%. Assegno da 747 euro al mese, percepito per cinque anni: dal 2004 al 2009. La presunta sindrome del boss sarebbe stata agevolata anche da noti specialisti, tra i quali Ferraro, il 63enne ex direttore del servizio sanitario dell’ospedale psichiatrico giudiziario di Aversa. La difesa ha ingaggiato una lunga battaglia legale sulla questione, ha contestato le conclusioni di Bartoli che il 13 gennaio scorso ha visitato Giuseppe Gallo nel carcere di Parma e ha annunciato che vi sarebbero certificati medici che smontano la tesi dell’accusa. Per confutare le conclusioni di Bartoli, nella prossima udienza, arriverà lo psichiatra romano Alessandro Meluzzi. Mentre il difensore si è riservato di depositare due certificati medici, frutto di due perizie ordinate dal Tribunale di Napoli e dai giudici de L’Aquila. Giuseppe Gallo si gioca la sua partita della vita e il carcere a vita in un processo per truffa ai danni dell’Asl.


Ercolano, il pentito Capasso rivela: “Non sparai a Ivano Perrone”

$
0
0

tribunale_napoli

Erolano. L’ex boss ora pentito Giuseppe Capasso smentisce di aver fatto parte del commando che sparò in Corso Resina e colpì Ivano Perrone, procurandogli un’emiparesi permanente. Il collaboratore di giustizia ha testimoniato al processo in cui è coinvolto insieme al boss del Canalone, Natale Dantese, per due tentati omicidi: quello di Ivano Perrone e di Nicola Iacomino e Ciro Cozzolino, colpiti perché parenti dei Savino, una famiglia vicina al clan Birra-Iacomino. Per la Dda Capasso e Dantese sono rispettivamente esecutore e mandante dei due agguati ai danni di affiliati ai Birra-Iacomino. Nel mirino dei killer c’era Antonio Uliano, scampato entrambe le volte alla morte. Ma nel primo tentato omicidio rimase colpito Ivano Perrone, un colpo alla testa che lo ha segnato per tutta la vita. Perrone era in un bar di Corso Resina quando fu raggiunto da un proiettile che gli perforò la testa. Capasso ha smentito la sua partecipazione al raid confermando invece di aver fatto parte del commando in cui rimasero feriti Nicola Iacomino e Ciro Cozzolino. In quell’occasione i sicari per non tornare a “mani vuote ed essere additati come scemi”, ferirono due lontani parenti di un affiliato al clan Birra-Iacomino, ma entrambi estranei alle logiche criminali.

Giuseppe Capasso ha deciso di pentirsi dopo l’arresto proprio per il tentato omicidio Perrone e Uliano. Dalle accuse di tentato omicidio è stato assolto nei mesi scorsi, Natale Suarino. Mentre sono rimasti a processo Natale Dantese e Giovanni Di Dato, insieme a Giuseppe Capasso.

Pianura, mitra contro un agente di polizia: arrestato l’ex pentito Nunzio Spina. Due complici ricercati

$
0
0

polizia-arresto650_4

E’ Nunzio Spina, 51 anni ex pentito di Forcella residente ora ad Afragola l’uomo arrestato per aver partecipato l’altro giorno alla “stesa” a Pianura- Spina ora è ritenuto legato ai nuovi boss di Pianura, l’alleanza Romano- Lago-Sorianiello-Giannelli. I complici, altri due, invece sono stati individuati e ora ricercati. Ma il plateale gesto di camorra stava per trasformarsi un una strage perché come è emerso dalla ricostruzione fornita dagli inquirenti c’è stata una vera e prppria sparatoria con tanto di inseguimento tra i componenti della “stesa” in sella alle moto e un’auto civetta della polizia che li aveva intercettati. Uno dei componenti ha addirittura sparato con un mitra contro gli agenti. Tutto è cominciato quando tre uomini, su due scooter, sono stati notati dall’auto civetta della polizia in via Cornelia dei Gracchi.  Non si sono fermati all’alt  ed è cominciato l’inseguimento. Uno dei componenti del commando ha esploso un primo colpo verso la macchina dei poliziotti e poi un secondo indirizzandolo verso l’ispettore, seduto al lato passeggero. Gli agenti  hanno risposto al fuoco e solo un caso ha voluto che i proiettili non abbiano colpiti gli automobilisti che si sono trovati lungo il percorso della sparatoria.  L’inseguimento è durato fino in via Montagna Spaccata, dove  Nunzio Spina,  che era da solo sullo scooter, è caduto, ha cercato anche la fuga a piedi ma è stato raggiunto ed arrestato. Gli altri due invece  hanno concluso la fuga sparando contro il palazzo in cui abita un presunto affiliato ai Pesce-Marfella, in via dell’Avvenire.Gli investigatori ritengono che dietro questa nuova esclation criminale ci sia la guerra in atto tra il clan i Romano-Lago di Pianura, ora alleati con i Sorianiello di Soccavo e i Giannelli di Bagnoli contro il clan Pesce-Marfella. Oltre al pre- dominio degli affari illeciti a Pianura, c’è anche il tentativo di controllare gli altri quartieri dell’area flegrea.

Acerra, omicidio Panico: chiesto l’ergastolo per il boss Tortora

$
0
0

aula tribunalejpg

Acerra. Omicidio Panico: l’antimafia chiede l’ergastolo per Domenico Tortora alias ‘o stagnaro. Il pubblico ministero Francesco Valentini ha ricostruito l’omicidio avvenuto il 17 agosto del 2002 in cui perse la vita Gennaro Panico, ‘o imbizzato, mentre era al telefono in una cabina pubblica in piazza San Pietro ad Acerra. Per lo stesso omicidio sono stati accusati Pasquale Tortora, l’albanese Guri Dunami, ritenuto l’esecutore materiale e il pentito Pasquale Di Fiore. Proprio le dichiarazioni del collaboratore di giustizia hanno permesso alla Dda partenopea di ricostruire quell’omicidio di camorra di 14 anni fa. Di Fiore si auto accusa e riferisce che l’omicidio nacque nell’ambito della guerra contro i Grimaldi. Il pentito racconta di essersi incontrato con Tortora e deciso di uccidere Panico, per dare un segnale a Raffaele D’Urso Caterino che nell’ambito delle spartizioni dei proventi illeciti aveva tenuto fuori Di Fiore e i suoi. Le dichiarazioni del collaboratore dovranno essere incrociate con quelle di altri collaboratori di giustizia tra i quali Antonio Di Buono, alias ‘o gnocco, nipote del boss Cuono Grimaldi  E Roberto Vicale, ‘o chiattone. Il 5 aprile i giudici della Corte d’Assise di Napoli dovranno emettere la sentenza.

Ravello, uccise la scafatese Patrizia Attruia: processo per Enza Dipino

$
0
0

ravello4

E’ stata rinviata a giudizio Vincenza Dipino, la 55enne di Ravello che per gli inquirenti ha ucciso a fine marzo dello scorso anno Patrizia Attruia, nascondendone il corpo in una cassapanca con la complicità del compagno Giuseppe Lima. E’ accusata  di omicidio volontario con l’aggravante della premeditazione. Ieri  il gup Sergio De Luca del Tribubale di Salerno ha accolto la richiesta di rinvioa  giudizio del pm Cristina Giusti fissando il processo per gli inizi di ottobre prossimo. La posizione dle suo presunto complice, imputato per favoreggiamento e occultamento di cadavere, è stata stralciata su richiesta del difensore Luigi Gargiulo, che ha preannunciato richiesta di rito alternativo (abbreviato o patteggiamento). In aula ci saranno anche il padre e la sorella della vittima, che ieri si sono costituiti parte civile tramite l’avvocato Carlo De Martino. La 47enne risiedeva a Scafati, prima di trasferirsi quattro anni fa a Ravello. la donna aveva intrecciato una relazione con Giuseppe Lima, e avevano vissuto  in un fabbricato rurale a servizio di un terreno agricolo prima di andare a casa di Vincenza Dipino, che si era offerta di ospitarli visto che entrambi erano senza lavoro. Proprio da questa convivenza sono sorti i dissidi che hanno portato al delitto. Un omicidio a sfondo passionale, alimentato dalla rivalità tra le due donne e forse da una relazione clandestina che Lima avrebbe intrecciato con la Dipino. Patrizia Attruia sarebbe stata uccisa al culmine di un ennesimo litigio. Nel corso delle indagini è emerso che potrebbe essere stata costretta ad assumere una massiccia dose di tranquillanti, poi è stata strangolata e il suo corpo è stato ritrovato il 27 marzo del 2015 in una cassapanca dell’appartamento diviso con i due imputati. Fu Lima a dare l’allarme, avvisando i carabinieri del ritrovamento del cadavere. Glielo avrebbe mostrato la stessa Dipino, che ha subito confessato. L’uomo continua invece a dichiararsi innocente, ma per gli inquirenti ha avuto un ruolo attivo nel tentativo di inquinare la scena del delitto, finché insieme non hanno deciso di cedere e chiamare i carabinieri. Dagli esami eseguiti dal medico legale è risultato che la morte di Patrizia Attruia era avvenuta quaranta ore prima, e i sopralluoghi degli investigatori hanno consentito di localizzare il luogo del delitto tra la cucina e la camera da letto.

Clan Fezza-D’Auria Petrosino di Pagani, il pentito Califano inguaia i guaglioni della Lamia

$
0
0

tribunale nocera

Pagani. Ha parlato per oltre tre ore snocciolando episodi e ruoli degli uomini del clan Fezza-D’Auria Petrosino nel processo denominato Taurania Revenge: Domenico Califano, ‘camorrista’ per caso e uscito dal clan tra il 2008 e il 2009 ha raccontato prima la sua decisione di sganciarsi dai guaglioni della Lamia e da ‘Tonino D’Auria Petrosino’ e poi il suo ruolo all’interno del gruppo criminale. Califano, ex dipendente di Alfonso Di Lieto l’uomo che gestiva una società per l’installazione di videopoker, arrivò tardi a far parte del clan di Pagani. “Quando mi misi in proprio – ha rivelato il pentito, collegato in videoconferenza – dovetti rivolgermi a Vincenzo Confessore e a quelli della Lamia per chiedere dove potevo installare le macchinette”. Ma ben presto, l’uomo diventò anche il custode e il distributore della droga che arrivava a Pagani, in grosse quantità, veniva tagliata e poi distribuita ai pusher. Califano ha raccontato che cominciò a pensare di uscire dal giro quando scoprì che Vincenzo Confessore faceva il ‘pacco’ con la droga. “Noi prendevano la droga a Torre Annunziata – ha spiegato – da un tale Gennaro, poi la portavano nel deposito (un luogo trovato da Califano per nascondere armi e stupefacenti) e la taglivamo. Mi accorsi che Confessore metteva la sostanza di taglio e prendeva la cocaina pura”. Un fatto gravissimo che poteva mettere in pericolo lo stesso Califano e quindi per evitare di essere accusato ingiustamente di sfare lo ‘sgobbo’ sulla polvere bianca, l’uomo chiamò Francesco Fezza e riferì i suoi sospetti. “Fui portato da Tonino D’Auria Petrosino e dopo avergli raccontato quello che avevo scoperto lui mi disse di stare tranquillo”. Califano ha raccontato che tra il 2008 e il 2009 quando aveva da tempo maturato la decisione di lasciare il gruppo criminale, Francesco Fezza, con Salvatore Attianese e altri giovani armati andarono a casa sua volevano costringerlo a tenere della droga per loro, ma Califano si rifiutò. Gli presero la Smart che aveva per costringerlo a pagare un debito di circa 700 euro. “Capii che sarebbe stato pericoloso continuare – ha spiegato Califano, pentito affidabile e meticoloso – e così decisi di iniziare a collaborare”.

Pozzuoli, pizzo di Natale: confermate le condanne

$
0
0

aula tribunale

Pozzuoli. Clan Longobardi-Beneduce: condannati in Appello i ras Troise e Palumbo. Nove e otto anni di reclusione per Gustavo Troise e Giuliano Palumbo di 39 e 32 anni accusati di estorsione aggravata dal metodo mafioso. I giudici della Corte d’Appello di Napoli hanno avallato la tesi dell’accusa per i due arrestati tra dicembre del 2014 e febbraio 2015. Palumbo, cugino del ras Nicola Palumbo, alias ‘faccia abbuffata’ e il suo complice Troise sono accusati di aver estorto danaro ad un meccanico di Licola. Una tangente di 5000 euro della quale la vittima versò la prima tranche di 1500 euro, poi arrivarono i carabinieri di Pozzuoli a fermare gli estorsori. Palumbo, arrestato il 23 dicembre del 2014, è anche accusato insieme al cugino e ad un altro complice di aver estorso 10mila euro all’assegnatario di un alloggio popolare a Quarto. Gustavo Troise invece, venne arrestato a seguito di un provvedimento di fermo. Oltre alla condanna al carcere, i due sono stati condannati a pagare un’ammenda di 6mila e 5mila euro di multa, con la pena accessoria dell’interdizione perpetua dai pubblici uffici. Nel processo era costituito parte civile il Comune di Pozzuoli,con l’avvocato Alessandro Motta.

Torre del Greco: al il via il processo per evasione fiscale agli armatori Bottiglieri

$
0
0

rdb armatori

Torre del Greco. Sede all’estero per evadere il fisco: al via il processo per gli armatori torresi Bottiglieri, accusati di aver evaso 37 milioni di euro. Secondo l’accusa, la LuxDynamic aveva sede formale a Lussemburgo e fiscale in Italia per sfuggire ai controlli di Consob e Banca Italia per emettere obbligazioni sul mercato. Alla sbarra presso il tribunale di Torre Annunziata i soci della “Rizzo Bottiglieri De Carlini Armatori Spa” (RBD). Oltre ai soci della compagnia di armatori Giuseppe Mauro Rizzo, Roberto Rizzo, Ugo De Carlini, Orsola e Grazia Bottiglieri vi sono anche il legale di fiducia del gruppo, l’avvocato romano Vincenzo Ussani D’Escobar, il manager lussemburghese Federigo Cannizzaro di Belmontino e l’ex presidente di Confitarma Nicola Coccia, già finito nelle maglie della giustizia per il crac Dimaiolines.

Ieri mattina, l’avvio del processo e l’ammissione delle prove, tra i testimoni vi sarà anche l’ex presidente dell’associazione degli armatori Nicola Coccia che, finito sotto inchiesta, rivelò al pm Sergio Raimondi i meccanismi che consentivano alla società di via Olivella di evadere il fisco e sottrarre capitali dalle casse della società attraverso una holding lussemburghese. La “LuxDynamic S.A.” (controllante all’84% della Rbd Spa) avrebbe omesso di dichiarare utili per oltre 37 milioni di euro. Soldi distribuiti, maniera occulta ai cinque soci, attraverso il rimborso di un prestito obbligazionario emesso “con modalità anomale” e “privo di valide ragioni economiche”.

L’indagine portò al sequestro di 11 milioni e mezzo di euro tra danaro e beni situati a Roma, Milano, Capri, Ischia e Torre del Greco. La LuxDynamic era partecipata da cinque società tra cui Intesa San Paolo. Secondo il funzionario delle Entrate che ha testimoniato al processo a detenere una partecipazione diretta della società era Giuseppe Mauro Risso che sottoscriveva il doppio delle obbligazioni rispetto agli altri 4 soci. Nel mirino della Procura torrese finì un prestito emesso dalla “Luxdynamic S.A.”, con delibera del 29 dicembre 2008 e avallato dal consiglio di amministrazione e da Federigo Cannizzaro. Secondo il funzionario era un prestito senza remunerazione: emesso per la cifra pari a 37 milioni di euro, per il periodo 2009- 14, dopo meno di due anni “già risultava rimborsato per 9 milioni”. Secondo l’accusa esisteva un accordo tra chi versava soldi in “LuxDynamic” e chi li riceveva sempre tramite la società lussemburghese. Ad immettere liquidità sui conti “LuxDynamic” era la “Mozyr S.A.” domiciliata a Montevideo in Uruguay. Secondo l’accusa, “Mozyr” era della famiglia Bottiglieri: “chi versava il denaro indicava alla stessa emittente i soggetti ai quali intestare le obbligazioni”. In questo modo, i cinque soci di Rbd avrebbero ottenuto il rimborso del prestito secondo ripartizioni sempre uguali e ripetute nel tempo. Ad avallare questa ipotesi uno scambio epistolare tra i responsabili della Mozir e i legali della LuxDynamic.


Clan Polverino: chiesti due secoli di carcere

$
0
0

giuseppe polverino

Traffico di droga per conto del clan Polverino: chiesti 200 anni di carcere per 19 imputati. Il pm John Woodcock ha tenuto ieri la requisitoria dinanzi ai giudici del Tribunale di Napoli – presidente Albanese – nei confronti di 19 presunti esponenti della cosca di Marano. La pubblica accusa ha chiesto la condanna di Allegro Fabio 6 anni e sei mesi; Cammarota Salvatore 8 anni; Cancellara Paolo 18 anni; Cardamone Antonio richiesta di assoluzione per l’associazione e 5 anni per gli altri capi di imputazione; D’Alterio Angelo 6 anni; Ghidoni Stefano 6 anni e sei mesi; Liccardi Salvatore 8 anni; Manco Ciro 8 anni; Marino 3 anni e sei mesi; Minguerance Simeon 18 anni; Nappi Carlo 6 anni e sei mesi; Perrotta Giuseppe 8 anni; Simioli Giuseppe 8 anni; Simioli Salvatore 6 anni e sei mesi; Tarifa Francisco 18 anni; Verde Domenico 4 anni e sei mesi; Vallefuoco Raffaele 30 anni; Nazazieno Roberto due anni e otto mesi con l’esclusione dell’aggravante del metodo mafioso; Principe Massino due anni e otto mesi. Dal 31 marzo e fino al 18 aprile ci saranno le discussioni del collegio difensivo, poi la sentenza. Il pm ha sottolineato l’egemonia del clan nell’area a nord di Napoli e il fiorente affare della cosca nel mercato degli stupefacenti. Il processo scaturisce da un’operazione che nel giugno del 2013 portò alla decapitazione del clan Polverino, condotta dai carabinieri e dalla Procura antimafia. Il blitz stroncò il traffico di stupefacenti sull’asse Italia-Spagna, fu eseguita un’ordinanza a carico di 130 persone.

I baby pusher della Penisola Sorrentina chiedono di andare ai servizi sociali per evitare il carcere

$
0
0

baby pusher davanti alle scuole

I baby pusher della Penisola Sorrentina hanno chiesto la “messa in prova”, ovvero la sospensione del processo che si sta celebrando davanti al Tribunale per i Minori ed essere inseriti in un programma di attività socialmente utili che possano estinguere il reato scongiurando il carcere. La proposta è stata avanzata dai difensori dei baby pusher alla Corte che si è riservata di decidere. Si tratta di nove ragazzini di Massa Lubrense, tutti di età compresa tra i 15 e i 17 anni, che lo scorso mese di settem bre finirono al centro dell’inchiesta della Guardia di Finanza che mise fine a un fiorente traffico di droga messo in pedi dai giovani davanti a molte scuole della Penisola sorrentina. Le indagini partiro­no dalla denuncia del papà di una delle ragazzine coinvolte nel giro di spaccio. Preoccupato del fatto che la ragazzina avesse iniziato a consumare sostanze stupefacenti, l’uomo decise di rivolgersi ai finanzieri di Massa Lubrense. Grazie a servizi di appostamento e intercettazioni telefoniche le fiamme gialle riuscirono a ricostruire il traffico . I ragazzini, già scaltri, temendo di essere intercettati, utilizzavano  un linguaggio in codice per parlare di droga: magliette, felpe e biglietti erano i nomi utilizzato per fornire i quantitatici  di  hashish o marijuana richiesti. Ma il linguaggio cifrato non servì e i finanzzieri riuscirono a scoprire il traffico.

Giugliano: il clan “delle Paparelle” semina il terrore in città

$
0
0

mallardo e di biase 1

C’è preoccupazione tra le forze dell’ordine a Giugliano e paura tra i cittadini. Un nuovo gruppo criminale di giovani agguerriti sta seminando il terrore in città.  Si fanno chiamare “la banda delle paparelle” perché sarebbero tutti affiliati al boss scomparso Michele Di Biase detto appunto “paparella”. Secondo alcune intercettazioni nella mani degli investigatori Di Biase, rimasto vittima di un agguato a Napoli nel quartiere Vasto nella notte tra il 2 e 3 ottobre scorso sarebbe stato sciolto nell’acido e per questo il suo cadavere non è mai stato ritrovato. Il gruppo sta chiedendo il pizzo a tappeto in tutta la città perché vuole dimostrare la propria potenza ai nemici dichiarati del clan Mallardo responsabili della morte del boss Di Biase con la complicità degli uomini dei clan Contini e dell’Alleanza di Secondigliano. Con il boss Francesco Mallardo, detto Ciccio e Carlantonio in carcere Di Biase avrebbe approfittato per prendere il comando senza dare conto al clan e per questo che avrebbe pagato con la vita lo sgarro. Non a caso in una intercettazione del boss Francesco Mallardo, in esilio nel Molise dopo anni di carcere duro, parlando di Michele De Biase, si legge “…Farà una brutta fine se continua così…”.Ora c’è chi vuole vendicare la sua morte.

 

(nella foto da sinistra il boss Francesco Mallardo e Michele De Biase)

Napoli: omicidio Amendola anche tentativi di depistaggio del clan Formicola. Ieri il baby boss ha fatto scena muta davanti al gip

$
0
0

gaetano formicola

 

C’è stato un tentativo di depistaggio da parte del clan Formicola di san Giovanni a Teduccio per far ricadere su altre persone  la colpa della scomparsa di “Vincenzino” Amendola. E’ quanto sta emergendo dalle indagini condotte dalla squadra Mobile di Napoli e coordinate dalla Procura. Intanto ieri c’è stato l’interrogatorio di garanzia del baby boss Gaetano Formicola “’o chiatto” e il cugino Giovanni Tabasco “birillino” accusati di essere gli autori materiali insieme con il complice pentito Gaetano Nunziato “pampers”. I primi due dopo un mese di latitanza sono stati arrestati tre giorni fa in un casolare nelle campagne di Viterbo. E ieri sono stati interrogati per rogatoria nel carcere laziale ma come era lecito aspettarsi hanno fatto scena muta mentre il loro avvocato ha già presentato richiesta di scarcerazione al Riesame. Si vuole vedere se la Procura ha altri elementi in mano oltre a quelli forniti nell’ordinanza di custodia cautelare. Il silenzio in questo momento delle indagini per i due è “necessario”. Intanto si è scoperto che il 12 febbraio scorso, a 7 giorni dalla scomparsa del 18enne, ai carabinieri della stazione di San Giorgio a Cremano arrivò una “soffiata”, rivelatasi poi falsa. Un confidente dei militari, infatti, si presentò in caserma per raccontare una “storia diversa” per la sparizione di Vincenzino. L’uomo disse di aver “saputo da altre persone che frequentano il bar denominato Chalet Lago, che Vincenzino sarebbe stato fatto “sparire”. perché nella serata del 4 febbraio ( guarda caso proprio poche ore prima di sparire) insieme ad altri suoi amici, tra cui alcuni affiliati al clan Formicola, avrebbe partecipato a una sparatoria contro alcuni appartenenti al clan rivale dei Mazzarella. Poi rientrato a casa nella notte del 5 febbraio, sarebbe stato contattato di nuovo dai suoi amici per un appuntamento urgente per spiegare cosa era accaduto. E dal quel momento si sarebbero perse le tracce. E’ probabile che anche la “fonte confidenziale” era stata tratta in inganno. Sta di fatto che questa pista non fu “battuta” con convinzione, anzi abbandonata quasi subito perché Vincenzo Amendola non era un affiliato al clan Formicola, e non era capace di sparare. Era solo una sorta di “fac totum” usato dalla famiglia di Gaetano Formicola per fare delle commissioni e fare la spesa di tanto in tanto.  Di qui sarebbe nato “il vanto” della povera vittima di avere una relazione con la mamma del baby boss. Cosa non provata e quasi certamente non vera e solo frutto di un improvviso “invaghimento” del giovane nei confronti della donna. Per questo la famiglia avrebbe deciso di “vendicare l’onore” uccidendo e seppellendo il suo corpo. E senza il pentimento di Gaetano Nunziato, per paura di fare la stessa fine di Vincenzino, il suo cadavere non sarebbe mai stato ritrovato.

Clan Contini: Il Riesame scarcera il boss Ettoruccio Esposito e Capozzoli

$
0
0

il boss ettore esposito e capozzoli

Blitz contro il clan Contini: il Riesame scarcere per mancanza di gravi indizi, il boss Ettore Esposito e il ras Vincenzo Capozzoli. Erano finiti in cella il 2 marzo scorso in un’operazione congiunta di carabinieri e Finanza contro la cosca che comanda i quartieri Vasto, Arenaccia, San Carlo Arena e Poggioreale. Associazione per delinquere e traffico di stupefacenti sull’asse Olanda – Italia-Spagna- Colombia, grazie all’alleanza con le cosche della ’ndrangheta: queste le accuse che avevano portato in cella 33 presunti esponenti del clan. Ma nei giorni scorsi, dopo il ricorso al tribunale del Riesame i giudici hanno scarcerato per mancanza i gravi indizi i due personaggi del clan Contini. Il boss Ettore Esposito, detto “Ettoruccio”, nipote del capoclan Patrizio Bosti, e Vincenzo Capozzoli, difesi dagli avvocati Claudio Davino e Enrico Fiore, sono tornati in libertà nelle scorse ore. Ettore Bosti, figlio del capoclan, invece, aveva presentato ricorso al Riesame ma ha rinunciato. Esposito e Capozzoli, in passato, sono stati arrestati e giudicati per omicidio ma poi assolti. Esposito per l’omicidio di Salvatore Rinaldi, avvenuto nell’agosto del 1995 nel rione delle “case nuove”, e Capozzoli, assieme a Bosti jr come mandante, per quello del 17enne rapinatore Ciro Fontanorosa, ammazzato al Borgo di Sant’Antonio Abate il 25 aprile 2009. Il 2 marzo finirono in cella 33 persone: a capo della holding, secondo gli inquirenti della Dda di Napoli, c’erano Antonio Aieta “’o piccolino”, cognato contemporaneamente del padrino detenuto Eduardo Contini “’o romano, di Patrizio Bosti e di Francesco Mallardo “’e Carlantonio”, Ettore Bosti “’o russo, e Vincenzo Tolomelli, pregiudicato di lungo corso originario dei Quartieri Spagnoli. La Guardia di finanza, nel corso dell’operazione, aveva anche sequestrato beni per 20 milioni di euro ad alcuni indagati. Le indagini partite nel 2011 avevano permesso di scoprire il giro organizzato dal clan, con base all’Arenaccia e ramificazione a Secondigliano e Giugliano. L’inchiesta ha anche confermato il patto di ferro in nome della droga tra i Contini e i Piccirillo della Torretta, tra l’altro imparentati con i Licciardi dell’Alleanza di Secondigliano.

(nella foto da sinistra il boss Ettoruccio Esposito e Vincenzo Capozzoli)

Nola, scandalo cimitero, i dipendenti si difendono: “Nessuna mazzetta erano solo offerte”

$
0
0

cimitero di nola

Nola. Mazzette a cimitero, i dipendenti comunali indagati si difendono dinanzi al Gip, Paola Borrelli. Respingono tutte le accuse, i quattro impiegati comunali indagati per truffa: Emiddio Sicondolfi, 57enne di Nola (custode del cimitero); Innocenzo Velotto, 63enne di Cicciano (dipendente comunale addetto al cimitero); Vincenzo Parisi, 57enne di Nola (dipendente comunale addetto al cimitero); Onofrio Aruta, 54enne di Nola (dipendente amministrativo del Comune di Nola – Ufficio Cimitero), sottoposti al divieto di dimora nella città di Nola e con obbligo di presentazione alla Polizia Giudiziaria. «Non abbiamo preso mazzette – hanno detto gli accusati – i soldi che abbiamo intascato erano regalini dei parenti dei defunti per ricompensare il lavaggio delle ossa».

Secondo la Procura che ha coordinato un’indagine del Commissariato di Nola, invece, i dipendenti comunali avrebbero lucrato sui servizi offerti nel cimitero cittadino, chiedendo compensi extra a fronte di un servizio pubblico e gratuito. Anzi, gli utenti invece di versare la tassa per esumazioni, tumulazioni e inumazioni, nelle casse del Comune avrebbero pagato direttamente i dipendenti addetti ai servizi cimiteriali. La Procura di Nola contesta ad alcuni dei dipendenti pubblici coinvolti anche episodi di assenteismo. Ma i quattro indagati, interrogati dopo la notifica dell’ordinanza cautelare con divieto di dimora hanno respinto gli addebiti. Hanno sostenuto che i soldi intascati sarebbero stati solo ricompense percepite per servizi extra inerenti le esumazioni, nello specifico il lavaggio delle ossa, una pratica molto in uso in tutto il Sud, ma che di fatto non rientra a far parte del servizio stesso, anche perchè pulire le ossa dai resti, lavandole sotto l’acqua, oltretutto, non è una pratica autorizzata. Questo tipo di servizio deve essere effettuato da personale e ditte specializzate.

Il Comune di Castellammare si costituisce parte civile contro i D’alessandro

$
0
0

1_19

Castellammare. Processo Sigfrido bis: il Comune di Castellammare si costituisce parte civile contro il clan D’Alessandro. Venti anni dopo l’inizio dell’inchiesta e i primi arresti e dopo un annullamento delle condanne da parte della Cassazione, il processo torna ai nastri di partenza dinanzi ai giudizi del Tribunale di Torre Annunziata, presidente Anastasio. A sostenere l’accusa il pm della Dda Claudio Siragusa che ha chiesto e ottenuto il rinvio a giudizio per Ciro Avella, Raffaele Di Somma alias ‘o ninnillo boss di Santa Caterina detenuto da anni, Ugo Lucchese, detenuto, Antonio Nocerino, Carmine Caruso alias Meniello, Maurizio Del Sorbo e Giovanni Imparato. L’antimafia nel corso della prima udienza ha chiesto che il procedimento venga riunito a quello nei confronti di Francesco d’Assisi Apadula, Antonino Esposito Sansone, Luigi Vitale, Antonio Rossetti, Alfonso Sicignano e Ciro Castellano. Sulla costituzione di parte civile e sulla riunione per motivi di economia processuale dovranno esprimersi i giudici che scioglieranno la riserva nel corso della prossima udienza. Per le stesse accuse scelsero il rito abbreviato nella fase preliminare del processo due big della camorra stabiese Luigi D’Alessandro junior, secondogeni­to del defunto Michele, e Antonio Elefante alias muzzarella che furono condannati a 12 anni di reclusione. Per tutti l’accusa è a vario titoo di associazione camorristica finalizzata ad estorsioni, armi e droga. Già nel primo processo avviato nel 1999 il Comune di Castellammare di Stabia si costituì parte civile contro i boss di Scanzano, ma la Cassazione nel 2010 spazzò via undici anni di udienze per un problema procedurale di competenza territoriale per la celebrazione dell’udienza preliminare, tenutasi presso il tribunale oplontino anzichè a Napoli, sede della Distrettuale antimafia. Ora la giustizia ci riprova.


Qualiano in manette il genero di lady camorra, Raffaella D’Alterio ‘a miciona

$
0
0

giuseppe marra

Qualiano. In manette Giuseppe Marra, genero di Raffaella D’Alterio ‘a miciona, ex reggente dell’omonimo clan ora in carcere. E’ stato sorpreso in casa con altri tre pregiudicati. Un summit interrotto dai carabinieri che nel corso della perquisizione hanno rinvenuto in tasca a Marra, sposato con Costanza Pianese, mille euro di dubbia provenienza.  Il 25enne era sottoposto agli arresti domiciliari per droga, con divieto di frequentazione con persone estranee al nucleo familiare. Tanto è bastato per i carabinieri della stazione di Qualiano, coordinati dal maresciallo Pasquale Bilancio, per ammanettare Giuseppe Marra e condurlo in carcere. Il ragazzo è noto alle cronache per spaccio di droga. Pregiudicato di piccolo cabotaggio, al contrario della moglie, Costanza Pianese, figlia di Nicola detto o mussuto, ucciso in un agguato che, secondo le indagini e i collaboratori di giustizia fu organizzato dalla stessa ‘miciona’. Costanza fu arrestata nel 2012 insieme alla madre proprio per il reato di associazione a delinquere. Nelle ordinanze emerge la figura di una donna pienamente attiva nell’organizzazione criminale e soprattutto molto generosa con uno storico fidanzato. Dai documenti infatti emerge che Costanza accecata dall’amore per il compagno dell’epoca era solita riempirlo di regali molto costosi: vestiti firmati e monili. Ma Costanza Pianese un giorno regalò al suo amato fidanzato anche una Ferrari con targa d’oro, fu questa eccessiva generosità a farla scontrare con il fratello. Oggi Costanza Pianese è in regime di sorveglianza speciale ed è obbligata a restare in casa. La figlia del boss insieme alla madre era diventata reggente del clan di Qualiano. Il gruppo era solito gestire soprattutto le estorsioni e oggi anche lo spaccio di droga. Ora invece i carabinieri dovranno capire perché uno dei pregiudicati presenti al summit a casa di Giuseppe Marra e Costanza Pianese, portasse con sé mille euro in contanti. Il 25enne soprannominato barbetta è imparentato ai clan napoletani degli Abete-Abbinante ed è probabile che insieme a quei gruppi stesse mettendo su delle piazze di spaccio propio a Qualiano. Ed è infatti questa la pista più accreditata dai militari dell’arma. Un particolare nuovo nella storia criminale di Qualiano, paese vissuto sotto l’egida del clan Mallardo che ha sempre proibito lo spaccio di droga sul territorio.

Napoli: gli investigatori vogliono fermare il superclan Romano-Lago-Sorianiello-Giannelli

$
0
0

14983363_small

C’è stato di allerta a Pianura tra gli investigatori dopo gli ultimi episodi criminali. Gli esperti detectives della squadra mobile di Napoli, coordinati dalla Dda, sono alla ricerca dei riscontri per incastrare gli elementi del nuovo clan e soprattutto evitare altro spargimento di sangue. C’è attenzione soprattutto sulla nuova alleanza i Romano-Lago-Sorianiello- Giannelli che sta cercando di prendere il controllo lungo l’asse Soccavo, Bagnoli e appunto Pianura. Un controllo che determinerebbe nuovi scenari criminali oltre che nuove alleanze. I fari sono puntati sul nuovo cartello criminale e sui fatti delittuosi avvenuti nell’ultimo mese. A partire dall’omicidio di Giuseppe Perna, reggente del clan Pesce-Marfella, la cosca che fino ad alcuni mesi controllava la zona. L’agguato del 5 marzo scorso contro Giuseppe Perna e il fallito il duplice omicidio contro il boss Vincenzo Foglia e figlio Alfredo oltre che “le stese” che si sono susseguite in questi giorni non fanno altro che confermare come il livello dello scontro sia alto. In pratica si è riaperta la guerra di camorra a Pianura e nell’area flegrea. Ma questa volta gli attori ovvero i clan giocano con quadre diverse rispetto agli anni scorsi. Gli investigatori che hanno già il quadro della situazione e delle alleanze  sono partiti quindi dall’omicidio di Giuseppe Perna, 40enne reggente del clan Pesce-Marfella, sorpreso da due sicari con il volto coperto mentre comprava dei panini nel pub“La taverna dello zio Ernesto”. di via Torricelli. La vittima non era uno qualsiasi del clan: dopo l’arresto del ras Pasquale Pesce “e’ Bianchina”, era diventato il numero uno sul territorio circondato da fedelissimi. Poi è arrivato il mancato agguato ai Foglia. Un segnale forte per far capire a tutti nella zona che la nuova alleanza fa sul serio. E il lavoro per gli investigatori è davvero tanto.

(nella foto il boss alessandro giannelli dopo il suo arresto del 9 febbraio scorso)

Napoli: a Ponticelli altre due famiglie hanno accettato il trasferimento. Caccia ai due sicari. Il racconto del pentito Cirella su Tarantino

$
0
0

LaPresse07-12-2011 Casapesenna, ItaliaCronacaArrestato il boss Michele ZagariaNella foto: la polizia porta fuori Zagaria

Altre due famiglie legate al clan Sarno di Ponticelli hanno lasciato il quartiere negli ultimi due giorni. Dopo l’attentato alla 73enne madre del collaboratore di giustizia Raffaele Cirella, le forze dell’ordine hanno ulteriormente accelerato le procedure per il ripristino del programma di protezione per i parenti dei collaboratori di giustizia. Così, altre 10 persone collegabili ai pentiti Sarno, loro familiari diretti o di affiliati al clan, hanno lasciato il quartiere per una località segreta. E’ salito complessivamente a 34 il numero delle famiglie che hanno lasciato Ponticelli sulle 40 contattate dalle forze dell’ordine. Mentre continua il coprifuoco nel quartiere per timore di altri attebtati le forze dell’ordine hanno intensificato la loro presenza in zona e a ricerca di tutti gli lementi utili alle indagini per risalire agli autori e mandanti degli ultimi fatti di sangue compreso l’attentato alla mamma di Cirella. Dalla ricostruzione fatta fino ad ora sarebbero stati in due. Erano arrivati in sella a una motorino. Sono saliti al secondo piano della palazzina di via De Meis dove abita la donna e con freddezza e velocità hanno piazzato l’ordigno e appiccato il fuoco alla porta d’ingresso prima di fuggire. Gli investigatori stanno cercando ripassando tutti i verbali del pentito per cercaredi ricostruire e mettere insieme tutti gli elementi utili alle indagini. E si è scoperto che fu il clan De Luca Bossa il 25 novembre 2009 a uccidere, attraverso uno o più fedelissimi, il ras Salvatore Tarantino, allora reggente del gruppo che voleva sostituirsi ai Sarno. Il pentito Raffaele Cirella nel luglio del 2009 quaindi quattro mesi prim aveva spiegato ai magistrati della Dda: “…Ho saputo che attualmente Salvatore Tarantino è colui che si è messo a gestire il “rione” affiancandosi a Ciro Minichini. Tarantino era stato allontanato dal clan Sarno per dei disguidi interni e in particolare si era allontanato dal clan Sarno perché litigò con “’o mussillo”.

Clan Contini, Barra ai domiciliari e Piccirillo in cella

$
0
0

felice barra e rosario piccirillo

Clan Contini: resta in carcere Rosario Piccirillo, ‘o biondo, finito in cella insieme ai suoi presunti affiliati a marzo scorso per traffico di droga. Ottiene, invece, i domiciliari Felice Barra. Il Tribunale del Riesame di Napoli ha confermato, dunque, il carcere per il boss della Torretta coinvolto nell’inchiesta della Dda di Napoli, con Ettore Bosti, ‘o russo, che gestiva l’affare droga nei quartieri di Napoli e in particolare all’Arenaccia. La scorsa settimana c’era stata – nell’ambito dlela stessa inchiesta – la clamorosa scarcerazione del boss Ettoruccio Esposito e di Vincenzo Capozzoli, per mancanza dei gravi indizi di colpevolezza. In 33 erano finiti in manette all’inizio di marzo per associazione per delinquere finalizzata al traffico di stupefacenti. L’alleanza tra i boss dei quartieri aveva permesso al clan di costituire una potente holding per importare ingenti quantitativi di droga, con agganci sia nella mala abbruzzese sia nella ‘ndrangheta calabrese. Nelle intercettazioni è emerso il ruolo di Rosario Piccirillo, il boss della Torretta parlando prima con Vincenzo Tolomelli e poi con Antonio Aieta, faceva riferimento a un affare di droga con Antonio Muscerino detto “Tonino ’o biondo”, elemento di spicco dei Contini del Vasto. Per gli inquirenti la conversazione basta come prova del traffico di sostanze stupefacenti. In particolare, ci sarebbe la certezza di una fornitura di droga ad Antonio Muscerino, pagata solo in parte. Perciò, secondo quanto è stato raccontato a Vincenzo Tolomelli senza immaginare di essere sotto controllo, Rosario Piccirillo ha dovuto versare 13mila euro in contatti al posto dell’altro. “Questa cosa comunque stava andando….fino a quando non nasce questo problema”.

(nella foto da sinistra Felice Barra e Rosario Piccirillo)

Violentarono una turista americana in una discoteca di Sorrento, chiedono lo sconto di pena l’ex calciatore del Gladiator e il rampollo della Caserta bene

$
0
0

francesco franchini

 Avevano violentato una turista amerciana in vacanza a Sorrento. E stamattina i due accusati dello strupro sono comparsi davanti al  gup Emma Aufieri del tribunale di Torre Annunziata. Attraverso i difensori hanno chiesto di essere giudicati con il rito abbreviato per ottenere eventualemnte lo sconto di un terzo sulla condanna. Si tratta di Riccardo Capece, studente 20enne residente a Caserta e Francesco Franchini, 22enne di San Nicola la Strada, ex calciatore del Gladiator, la squadra di  calcio di Santa Maria Capua Vetere che milita nel campionato dell’Eccellenza Campania. La donna violentata è una newyorkese e i fatti si sarebbero verificati all’interno di una toilette di una discoteca di Sorrento nella notte tra il 27 e 28 luglio scorsi. Il giorno dopo la squallida bravata i due si fecero anche un selfie con il segno della vittoria mentre bevevano un drink sulla terrazza di uno stabilimento balneare di Nerano. Riccardo è figlio del titolare di una nota catena di ristoranti. Francesco, che ha giocato da centrocampista per il Sora e il Gladiator. E proprio in Ciociaria era stato protagonista di una vicenda simile. I due furono rintracciati grazie alla descirizone della vittima e grazie alle riprese delle telecamere di sorveglianza del locale.  Franchini fu incastrato dal tatuaggio che gli copre quasi per intero il braccio destro. A rappresentare la vittima  stamattina in aula c’era l’avvocato Gennaro Ausiello, forte di una procura speciale firmata dalla turista newyorkese attraverso il consolato americano. La ragazza sarà parte civile solo contro Franchini, poiché con Capece le parti si sono accordate in virtù di un risarcimento già versato alla donna. A maggio si tornerà nuovamente in aula quando la pm Mariangela Magariello della Procura di Torre Annunziata formulerà le sue richieste di condanna per i due giovani, riconosciuti dalla vittima anche durante l’incidente probatorio dello scorso ottobre.I due stamattina erano presenti in aula dopo essere tornati in libertaà da qualche mese dopo  una lunga custodia agli arresti domiciliari.

 

(nella foto in primo piano a sinistra Francesco Franchini)

Viewing all 6090 articles
Browse latest View live


<script src="https://jsc.adskeeper.com/r/s/rssing.com.1596347.js" async> </script>