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Duplice omicidio, il boss Bidognetti non fu il mandante: assolto in Appello 31 anni dopo

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Duplice omicidio, il boss Bidognetti non fu il mandante: assolto in Appello 31 anni dopo

Assolto a trentun anni dall’agguato che costò la vita a Francesco De Chiara, detto ‘o peccatore, e al geometra, assassinato per errore, Tobia Andreozzi. Il boss Francesco Bidognetti ha ottenuto, ieri, dai giudici della III sezione della Corte d’Assise d’Appello di Napoli, la conferma del verdetto assolutorio emesso nel 2010 contro cui si era appellata la Procura generale.

La Corte, presieduta dal giudice Eugenia Del Balzo (a latere Barbara Grasso), ha invece accolto la richiesta del pg Ilda Iadanza in merito alla posizione di Raffaele Cantone, condannandolo all’ergastolo in quanto esecutore materiale del delitto. Bidognetti fu accusato di esserne il mandante

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Cronache della Campania@2015-2021


Napoli, fine del culto dei Sibillo. TUTTI I NOMI DEI 29 INDAGATI

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Pizzerie, commercianti ma anche titolari di piazze di spaccio e parcheggiatori abusivi.

Tra tutti i commercianti presi di mira anche una nota pizzeria, quella di Salvatore Vesi, nel centro storico. E’ quanto emerge dalle oltre 550 pagine dell’ordinanza di custodia cautelare che ha portato in carcere 16 persone, mentre a 4 e’ stato riconosciuto il beneficio dei domiciliari, una e’ destinataria di un divieto di dimora. Altre 7 persone sono indagate a piede libero. Il gip Luana Romano, accogliendo le richieste della Dda di Napoli, ha ricostruito la storia criminale del clan Sibillo, satellite dei Contini che sono anche nel cartello dell’Alleanza di Secondigliano. E tra i loro maggiori introiti ci sono quelli delle estorsioni.

Le intercettazioni danno la dimensione del clima di violenza attraverso il quale costringevano i commercianti a pagare il ‘pizzo’. “O mi date 50mila euro o mi date la casa. E se pensate di andare a denunciare, dopo di noi ci sono dieci persone che possono uccidere”, intimavano gli affiliati a un commerciante all’ingrosso di scarpe nel febbraio del 2018. E ancora: “Tu domani non apri il negozio, perche’ te lo incendiamo”; o “a Pasqua dovete consegnare 500 euro per i carcerati”. Stesso trattamento a Salvatore Vesi, caso di estorsione per il quale sono stati arrestati Giovanni Matteo e Maria Sabatelli, mentre e’ indagato per favoreggiamento un dipendente del pizzaiuolo. “Mi dissero che i ‘nostri amici’ erano venuti a chiederci un regalo’. Io ho capito che era una richiesta di matrice camorristica e autorizzavo a pagare per non esporre me e i miei dipendenti a rappresaglie”, ha detto il 9 maggio 2019 Vesi ai carabinieri, denunciando dopo che le telecamere avevano ripreso uno dei dipendenti, quello indagato, consegnare un pacco al boss. Taglieggiati dal clan anche i parcheggiatori abusivi: “Dobbiamo andare a San Gaetano a prendere i soldi e basta. Duecento cinquanta a te e trecento a te”, diceva il portavoce del clan al telefono.

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Rappresentava il sacro piegato alla piu’ becera delle manifestazioni profane quell’edicola votiva della Madonna che nel cuore di Napoli accoglieva anche i simboli del potere della camorra. I carabinieri del comando provinciale di Napoli, insieme con la Direzione Distrettuale Antimafia, all’alba di oggi, contestualmente all’arresto di 21 persone, “eredi” del defunto baby boss Emanuele Sibillo, hanno anche assestato un duro colpo all’iconografia criminale e restituito l’opera religiosa all’esclusivo culto mariano. Davanti a quell’altare eretto nella Napoli delle vestigia greche i commercianti dovevano inginocchiarsi, non per rendere omaggio alla madre di Gesu’ ma al baby boss, ucciso nel 2015, le cui ceneri riposavano li’ ai piedi della Madonna, in un’urna funeraria. Stamattina sotto gli occhi degli alunni dell’Istituto Comprensivo Statale Teresa Confalonieri che stavano facendo ingresso in classe, i militari dell’arma hanno “ripulito” l’altare e riconsegnato alla famiglia vetrate, tendaggi, fioriere, un busto raffigurante il baby boss, una serie di sue foto e anche l’urna con le sue ceneri.

I Sibillo si erano anche appropriati di una residenza per anziani

La capacita’ del micro-clan Sibillo (in passato componente della “paranza dei bambini” ancora legata ai Contini dell’Alleanza di Secondigliano) di intimorire le proprie vittime, come anche il consenso che in certi strati della societa’ e’ riuscito a guadagnarsi tra il 2013 e il 2015, e’ ancora visibile sulle mura dei vicoli attraverso gli slogan (“Sibillo Regna”) e la sigla “ES17”, il marchio di Emanuele, ucciso a soli 19 anni, nell’estate del 2015, in un agguato a colpi di arma da fuoco scattato durante la guerra con i rivali della famiglia Buonerba. Un giovane “intelligente” definito dal gip di Napoli nella sentenza emessa il 15 giugno 2016 un “eroe eterno dei vicoli… venerato quasi come San Gennaro…”. I Sibillo si erano anche appropriati di una residenza per anziani che gestivano a loro piacimento. Impressionanti le minacce subi’te il 26 febbraio 2018 da un negoziante, a cui alcuni il clan e’ arrivato a chiedere un pizzo di 50mila euro o, in alternativa, una casa: “‘o zi’, se pensate di andare dalle guardie, dopo di noi ci sono altre 10 persone che ti possono uccidere”. Un parcheggiatore abusivo, invece, veniva costretto a versare ben 400 euro alla settimana nelle casse della malavita.

ai tre capi in carcere la fornitura dei telefonini

Antonio Napoletano, Giovanni Matteo e Giuseppe Gambardella, i tre a capo del clan Sibillo tra i 21 arrestati dai carabinieri a Napoli, dovevano a tutti i costi mantenere i rapporti con i propri affiliati dal carcere. E sono tantissime le intercettazioni telefoniche e ambientali dove si comprende la loro frenetica attivita’ per far entrare telefoni cellulari all’interno degli istituti penitenziari in cui erano. “Ho preso i telefoni e le schede stanno dentro, domani te li mando”, dice un affiliato alla moglie di Matteo, che doveva andare a colloquio. “Io me lo metto nelle parti intime”, spiega la donna. E ancora la conversazione della madre di Gambardella con un affiliato che le consegna i telefoni che erano stati ‘ordinati’ direttamente dal carcere. E’ lei a raccontare come inconsapevolmente ai pm: “Lui mi ha visto per strada, mi ha fermato e mi ha detto ‘siete voi la signora Carmela? Vi devo dare i telefoni’. E me li ha dati”. E c’e’ anche il prezzo: “Quello me l’ha venduto per 30 euro con tutta la scheda”. Dal carcere arrivano poi anche le indicazioni su come farli entrare: “Mettili in una busta trasparente e attaccali alla borsa. Quella dei panni, uno a destra e l’altro a sinistra”. Oppure: “Quando entri mettilo nella manica del giubbotto, dove tiene le mani la piccolina. Quella poi si alza per abbracciarmi, se lo leva dalla manica e lo mette da dietro nella mia mutanda”.

TUTTI I 29 INDAGATI E LE POSIZIONI

1) ALTOMARE DAVIDE, nato a Napoli il 14.05.1990,    INDAGATO
2) D’ANIELLO CIRO, nato a Napoli il 1.4.95, INDAGATO
3) CALIANO VINCENZO, alias “Mniell”, nato a Napoli il 06.01.1963, ivi residente   IN CARCERE
4) CARRESE VINCENZA, alias “Nancy”, nata a Napoli 01.06.1990, INDAGATA
5) DEL GAVIO MILENA, nata a Napoli 24.02.1972, INDAGATA
6) DE MAGISTRIS ROBERTO, nato a Napoli 03.01.1968, INDAGATO;
7) DE ROSA EMANUELE, alias “o’ Chiatt”, nato a Napoli il 20.11.1995, DIVIETO DI DIMORA A NAPOLI
8) GAMBARDELLA GIUSEPPE, alias “Pepp a Pign”, nato a Capua il  21.12.1991 IN CARCERE
9) INGENITO ANNA, nata Napoli il22.10.1971, INDAGATA;
10) INGENITO ANNUNZIATA, alias “Nunziatina”, nata Napoli 29.03.1969, ARRESTI DOMICILIARI
11) INGENITO GIOVANNI, alias “Barba lunga”, nato a Napoli 11.11.1994,  IN CARCERE
12) IODICE ANTONIO, alias “o’ Chiov”, nato a Napoli il 25.02.1999,  IN CARCERE
13) IROLLO EMANUELE, nato a Napoli 24.09.1992, IN CARCERE
14) MANZO ASSUNTA, alias “Susetta”, nata a Napoli 25.12.1973, ARRESTI DOMICILIARI
15) MATTEI VALENTINA, nata a Napoli 29.11.1992, ARRESTI DOMICILIARI
16) MATTEO CARMELA BRUNA, nata a Napoli il 12.05.1997, INDAGATA;
17) MATTEO GIOVANNI, alias “o’ Pinguin”, nato a Napoli il 25.02.1991, IN CARCERE
18) MONTANINO SIMEONE, nato a Napoli il 27.6.99, IN CARCERE
19) MONTI CARMINE, alias “Carminiello”, nato a Napoli 30.12.1992, IN CARCERE
20) NAPOLETANO GIOSUÈ, alias “o’ Nannon”, nato a Napoli 02.05.1972, IN CARCERE
21) NAPOLETANO CARMELA, nata a Napoli 18.07.1996, ARRESTI DOMICILIARI
22) PEREZ PIETRO, alias “Pierpaolo”, nato a Napoli il 27.07.1980, IN CARCERE
23) PORTANOVA GAETANO, nato a Napoli il 1.3.71 IN CARCERE
24) RIVIECCIO FABIO, alias “Cocò”, nato a Napoli 29.07.1991 IN CARCERE;
25) ROMANO EMANUELE, nato a Napoli il22.06.1992, IN CARCERE;
26) ROSSI GIUSEPPE, alias “Boxer”, nato a Napoli 05.02.1994, IN CARCERE;
27) SABATELLI MARIA, alias “Miriana”, nata a Napoli 05.02.1995,IN CARCERE
28) SOMMA MASSIMO, nato a Napoli il 30.05.1991, INDAGATO
29) VOLPE ALBERTO, alias “o’Schiattamuort”, nato a Napoli il 11.08.1979, IN CARCERE

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Cronache della Campania@2015-2021

Napoli, marche da bollo contraffatte: 27 avvocati a giudizio

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Il Gup del Tribunale di Napoli Nord, Antonello Terzi ha rinviato a giudizio 27 avvocati residenti tra le province di Napoli e Caserta.

Sono accusati di aver utilizzato marche da bollo contraffatte, provocando un danno allo Stato di oltre 52mila euro. Il dibattimento e’ stato fissato per il 21 ottobre prossimo. L’indagine della Procura di Napoli Nord ha portato alla luce, nel novembre 2018, un sistema illecito di utilizzo su atti giudiziari e altre pratiche di marche da bollo false, che coinvolgeva avvocati soprattutto civilisti, ma anche titolari di agenzie di pratiche d’auto.

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Oltre 100 gli indagati, ma per 74 di loro la Procura di Napoli Nord ha chiesto l’archiviazione riconoscendo la buona fede nell’utilizzo delle marche poi risultate contraffatte, mentre per 27 professionisti, tutti avvocati civilisti, l’ufficio inquirente ha chiesto e ottenuto il rinvio a giudizio.

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Fisco, sequestro per 600mila euro ad una società di Sant’Antonio Abate

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Guardia di finanza cmmare di stabia

Sant’Antonio Abate. Sequestro preventivo per 600mila euro ad una società ortofrutticola.

Il gruppo della guardia di finanza di Torre Annunziata ha dato esecuzione ad un decreto di sequestro preventivo finalizzato alla confisca, per un importo di oltre 600mila euro, emesso dal Gip del Tribunale di Torre Annunziata su richiesta della locale Procura della Repubblica, nei confronti di una societa’ operante nel settore della lavorazione di frutta e ortaggi, con sede a Sant’Antonio Abate, in provincia di Napoli. A carico della societa’ e del suo rappresentante legale pro tempore sono stati sequestrati 406.000 euro di somme liquide giacenti su diversi conti correnti e quote societarie per circa 200.000 euro.

Il provvedimento scaturisce dagli accertamenti di natura economico-finanziaria svolti dalla guardia di finanza di Castellammare di Stabia su delega della Procura della Repubblica di Torre Annunziata, avviati a seguito di un’attivita’ ispettiva di carattere fiscale che ha permesso di accertare che la societa’ destinataria del sequestro ha omesso il versamento di ritenute operate nei confronti dei propri dipendenti per un ammontare pari allo stesso importo sequestrato, commettendo il reato previsto dall’articolo 10-bis del Decreto legislativo 10 marzo 2000, numero 74.

La condotta illecita, oltre all’indebito risparmio d’imposta, ha consentito alla societa’ di collocarsi sul mercato in una posizione di assoluto rilievo e di privilegio nello specifico settore commerciale provocando effetti distorsivi sulla concorrenza, particolarmente dannosi nell’attuale periodo di crisi economica.

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Accuse a Cosentino, Schiavone jr si contraddice: ‘Forse ero stressato’

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Accuse a Cosentino, Schiavone jr si contraddice: ‘Forse ero stressato’

“Forse ero sotto stress quando ho reso quelle dichiarazioni”: tra risposte evasive e alcune contraddizioni, si e’ concluso l’esame del collaboratore di giustizia Nicola Schiavone, figlio primogenito del capo del clan dei Casalesi Francesco “Sandokan” Schiavone, al processo che vede imputato alla Corte di Appello di Napoli l’ex sottosegretario all’Economia Nicola Cosentino, accusato di concorso esterno in camorra. Escusso in controesame dagli avvocati di Cosentino (Stefano Montone, Agostino De Caro ed Elena Lepre), Schiavone jr non ha saputo indicare alcun favore che l’ex coordinatore campano di Forza Italia avrebbe fatto al clan dei Casalesi in quasi trent’anni di politica attiva; ha citato l’affaire Eco4, che e’ poi il “cuore” del processo, che verte infatti proprio sul controllo politico-mafioso di Eco4, societa’ mista pubblico-privata che si e’ occupata nei primi anni duemila del ciclo dei rifiuti in venti comuni del Casertano e che e’ risultata infiltrata dal clan dei Casalesi e fortemente condizionata dalla politica, con le due parti che gestivano insieme la societa’.

Ma al di la’ del riferimento ad Eco4, l’ex reggente del clan non ha fornito altri elementi rilevanti. La contraddizione piu’ evidente si e’ consumata invece sulle elezioni provinciali del 2005 a Caserta, perse da Cosentino e vinte invece da Sandro De Franciscis, candidato dell’Udeur, partito fondato da Mastella e che nel Casertano era allora rappresentato dall’imprenditore dei rifiuti Nicola Ferraro, anch’egli di Casal di Principe come Cosentino, condannato per concorso esterno in camorra e ritenuto socio proprio di Sandokan. Alla scorsa udienza, alle domande del sostituto della Procura generale di Napoli Luigi Musto, Schiavone aveva risposto che “nel 2005, alle Provinciali di Caserta, il clan voto’ compatto per Cosentino, almeno a Casal di Principe e nei comuni limitrofi”, e anche ieri, ha confermato che il clan voto’ per Marcello Schiavone (non fu eletto, ndr), candidato nella lista di Cosentino, spiegando che quest’ultimo non gli aveva mai chiesto il voto esplicitamente; i legali dell’ex politico hanno pero’ fatto notare che nei verbali di interrogatorio reso alla Direzione Distrettuale Antimafia di Napoli, lo stesso Schiavone aveva affermato che sia lui che il clan avevano votato per De Franciscis. Di fronte alla differente tenuta delle dichiarazioni, Schiavone jr si e’ lasciato andare: “forse ero sotto stress quando ho reso quelle dichiarazioni” ha detto.

In ogni caso i legali di Cosentino hanno prodotto una settantina di documenti che, a loro dire, confuterebbero in toto le dichiarazioni di Schiavone, di cui sostengono la completa inattendibilita’; si tratta di documenti relativi alle elezioni del 2005, alla discarica di Ferrandelle, alla centrale termoelettrica di Sparanise, su cui, secondo Schiavone, c’era l’interesse imprenditoriale di Cosentino, ad alcuni terreni di Cosentino che, secondo il pentito, il Comune di Casal di Principe avrebbe trasformato da agricoli in edificabili. Dai documenti cio’ non emergerebbe. La Corte decidera’ se acquisire la documentazione nell’udienza del 12 maggio prossimo, quando dovrebbero ripartire le arringhe dei difensori dell’ex politico, interrotte oltre un mese fa per sentire Nicola Schiavone. In primo grado Cosentino e’ stato condannato a nove anni, mentre in questo processo d’appello, la Procura generale ha chiesto 12 anni.

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Cronache della Campania@2015-2021

Uccisa ad 8 mesi in provincia di Salerno: ergastolo per il padre, 24 anni alla madre

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Uccisa ad 8 mesi in provincia di Salerno: ergastolo per il padre, 24 anni alla madre

La Corte d’Assise di Salerno ha condannato i genitori della piccola Jolanda, la bimba di 8 mesi che, nella notte tra il 21 e il 22 giugno 2019, fu trovata senza vita nella sua abitazione di Sant’Egidio del Monte Albino. La sentenza di primo grado ha disposto l’ergastolo per il padre Giuseppe Passariello e una condanna a 24 anni di reclusione per la mamma Immacolata Monti. Il pm della Procura di Nocera Inferiore, Roberto Lenza aveva chiesto il fine pena mai per entrambi i genitori, ritenuti responsabili dell’omicidio della neonata.

“E’ una sconfitta della comunita’ perche’ sono fatti che non si devono verificare e se si verificano esprimono un disagio sociale gravissimo”, ha detto all’ANSA l’avvocato Vincenzo Calabrese, legale di Immacolata Monti. “Poi le responsabilita’ personali, se esistono, sono responsabilita’ personali. La Corte, eventualmente, le ha ritenute. Attendiamo di leggere la sentenza”. Decisive, ai fini investigativi, erano risultate le intercettazioni ambientali acquisite nel commissariato di Polizia di Nocera Inferiore nelle ore immediatamente successive alla morte della piccola.

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I fidanzati assassini di Avellino puntano al Riesame

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Puntano al Riesame i legali dei due fidanzati assassini di Avellino. Ognuno con le sue strategie difensive e nel frattempo gli investigatori hanno rintracciato e interrogato le persone che hanno accompagnato Giovanni Limata a casa dopo l’omicidio di Aldo Gioia.

Si tratta di madre e figlia, di Cervinara. Agli inquirenti hanno riferito che il giovane avrebbe contattato la figlia per farsi raggiungere ad Avellino. La ragazza, coetanea di Limata a sua volta ha chiesto a sua madre di accompagnarla ad Avellino e insieme avrebbero poi incontrato Giovanni, che non indossava il giubbotto e non aveva i vestiti sporchi di sangue. Il giovane e’ apparso loro stravolto e avrebbe detto subito di aver aggredito il padre di Elena, ma non sapeva che fosse morto. La posizione delle due donne e’ al vaglio degli inquirenti. Potrebbero aver in qualche modo favorito la fuga del giovane.

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Intanto chiusi in carcere da venerdi’ scorso, in isolamento, Giovanni Limata ed Elena Gioia, i due fidanzati che hanno pianificato la strage della famiglia di lei, uccidendo poi il padre, Aldo Gioia, possono incontrare ora i loro legali. Il primo e’ stato Giovanni, il 23enne di Cervinara che ha sferrato 14 coltellate al potenziale suocero, che si era addormentato sul divano di casa. Il legale, Mario Villani, e’ stato a lungo a colloquio con il giovane che lo ha nominato nella mattinata di lunedi’ scorso, durante l’udienza di convalida. Quel giorno i due avevano potuto scambiare solo poche parole. Naturalmente la sua linea difensiva si preannuncia in contrasto con quella che terra’ Elena Gioia, il cui legale, l’avvocato Vanni Cerino, sara’ a colloquio con lei stamane. Giovanni, infatti, subito dopo essere stato arrestato ha attribuito a Elena la pianificazione della strage. Per la famiglia di lei, la ragazzina avrebbe cambiato completamente carattere dal momento in cui ha cominciato a frequentare il ragazzo piu’ grande di lei di quasi cinque anni e gia’ con un passato fatto di problemi con la droga, di un tentativo di suicidio e di vari episodi di violenza, anche nei confronti di suo padre.

Il legale di Elena Gioia sta preparando anche l’istanza al tribunale del Riesame per ottenere la scarcerazione della ragazza.  Nell’appartamento di corso Vittorio Emanuele ad Avellino sono invece tornati ieri gli agenti della polizia scientifica, su disposizione della procura. Un sopralluogo in tutta la casa dove venerdi’ scorso si e’ consumato il delitto per ricercare tracce biologiche e ricostruire tutti i passaggi, per cercare riscontri alle testimonianze di Giovanni Limata, di Elena Gioia ma anche della moglie e dell’altra figlia della vittima.

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Faida Ascione-Birra, torna libero il genero del boss di Ercolano

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Ercolano. Faida Ascione-Birra: torna il libertà Giorgio Di Bartolomeo, accusato dell’omicidio di Carlo Polese.

Pochi giorni fa la Corte di Cassazione aveva annullato, riconoscendo il principio della ‘legittima difesa’ la condanna a 20 anni di reclusione per Di Bartolomeo, accusato di aver ucciso Carlo Polese. Oggi l’uomo torna in libertà dopo un’istanza del suo avvocato Dario Vannetiello, in attesa che venga celebrato nuovamente in processo in Appello.

La Corte di assise di appello di Napoli – terza sezione – ha emesso, dunque, un ulteriore provvedimento favorevole alla difesa.
Infatti, l’accusato è stato rimesso in libertà, in accoglimento dell’articolata istanza del legale, ove mediante un meticoloso richiamo ai precedenti di legittimità assunti sul tema, era stata invocata la decorrenza dei termini di custodia cautelare.
Di Bartolomeo era stato condannato per l’omicidio di Carlo Polese, maturato nella faida tra il clan Ascione e Birra, il 14 dicembre del 2016 dal Giudice dell’udienza preliminare presso il Tribunale di Napoli, dott.ssa Francesca Ferri. Oggi li giudici hanno preso atto dei rilievi mossi dal penalista.

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“Nei processi per omicidio sono molto rari i casi di scarcerazione per decorrenza dei termini di custodia di riferimento; ma, nel caso di cui si discorre si è giunti a superare il termine di durata del procedimento previsto dalla legge in quanto la Corte di Cassazione già in precedenza aveva annullato la sentenza di condanna emessa da altra sezione della Corte di assise di appello” ha detto l’avvocato Vannetiello in una nota.
“Cavilli e finezze giuridiche condivise dai giudici di legittimità hanno prodotto e creato una situazione eccezionale, mai verificatasi: si dovrà procedere addirittura per la terza volta al processo di appello, onde stabilire se sono attendibili quei tredici collaboratori di giustizia che hanno riferito che a sparare e uccidere Carlo Polese fu proprio Di Bartolomeo” sostiene il legale.
Di Bartolomeo lascia il carcere dopo anni di detenzione, sarà sottoposto, all’obbligo di dimora, avendo l’Autorità Giudiziaria rilevato sia la efferatezza dell’omicidio, sia la elevata pena inflitta in primo grado, sia che l’associazione criminale di appartenenza, il clan Ascione, che è ancora attiva sul territorio di Ercolano e zone limitrofe.

La Cassazione accogliendo il ricorso dei legali di Di Bartolomeo aveva annullato la sentenza di Appello. Gli avvocati Dario Vannetiello e Luigi Palomba avevano sostenuto che la legittima difesa è invocabile anche da un camorrista, aspetto questo pertinente al caso di specie atteso che l’esecuzione ai danni di Polese Carlo sarebbe avvenuta allorquando costui, insieme ad altri quattro soggetti, era in procinto di scavalcare il muro di cinta dell’abitazione di Di Bartolomeo per compiere un agguato ai suoi danni.
I giudici capitolini, condividendo le diffuse ed articolate ragioni giuridiche illustrate nei ricorsi hanno annullato la sentenza di condanna ad anni 20 di reclusione imponendo un nuovo giudizio innanzi a diversa sezione della Corte di Assise di Appello di Napoli.

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Napoli, la Procura chiede l’ergastolo per i tre assassini dell’agente Apicella

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Tre ergastoli, ciascuno con l’isolamento diurno di un anno.

E’ questa la richiesta formulata dalla Procura di Napoli alla terza Corte di Assise (presidente Lucia La Posta) davanti alla quale si sta celebrando il processo per la morte del poliziotto Pasquale Apicella, l’agente scelto morto all’eta’ di 37 anni nel tentativo di bloccare gli autori di un tentativo di furto al bancomat di una banca a Napoli. I tre ladri la notte del 27 aprile 2020, usarono la loro potente Audi come un’arma scagliandosi a fortissima velocita’ contro la “pantera” a bordo della quale c’era Apicella che ostruiva loro il passaggio.

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Un quarto componente della banda, che prese parte al furto ma non all’omicidio, e’ stato gia’ giudicato e condannato con il rito abbreviato a sei anni di reclusione per reati minori. Sul banco degli imputati figurano Fabricio Hadzovic, 40 anni, l’autista dell’Audi A6 che si e’ scontrata a tutta velocita’ contro la “volante” della polizia sulla quale si trovata Pasquale Apicella, Admir Hadzovic, 27 anni, e il 39enne Igor Adzovic.

L’ultimo componente la banda e’ Renato Adzovic, 23 anni. Le richieste sono state formulate al termine della requisitoria dai sostituti procuratori Cristina Curatoli e Valentino Battiloro, che hanno coordinato le indagini insieme con il procuratore aggiunto Rosa Volpe. Giuliana Ghidotti, la moglie di Apicella, e’ di recente entrata in Polizia dopo avere frequentato un corso riservato ai familiari delle vittime del dovere presso la Scuola Allievi di Caserta. Oggi, in udienza, hanno anche discusso gli avvocati delle parti civili che si sono costituite al processo tra cui figura anche Gennaro Razzino, avvocato di parte civile della signora Ghidotti.

 

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I fidanzati assassini restano in carcere: la difesa rinuncia al Riesame

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Avellino. Fidanzati assassini: nessun ricorso al Riesame per chiedere la scarcerazione.

Nessuna speranza per ottenere la libertà o gli arresti domiciliari e dunque la difesa, per il momento, rinuncia al ricorso dinanzi al Tribunale per la Libertà per Giovanni Limata e Elena Gioia, i due fidanzati che il 23 aprile scorso hanno ucciso il padre di lei, Aldo Gioia, 53 anni, mentre era assopito sul divano di casa, in corso Vittorio Emanuele ad Avellino.

Era prevista per ieri l’udienza al tribunale del Riesame per ottenere l’annullamento o l’attenuazione della misura cautelare, ma gli avvocati, Vanni Cerino per lei e Mario Villani per lui, hanno ritirato il ricorso. Una scelta tecnica per prendere visione degli atti in possesso della procura che sta coordinando le indagini, e cominciare a costruire una linea difensiva. I due ragazzi hanno confessato entrambi il delitto per cui e’ stato utilizzato un coltello da caccia impugnato dal 23enne.

Giovanni Limata attribuisce alla 18enne la pianificazione della strage dell’intera famiglia Gioia. A sostegno della versione del giovane, numerosi messaggi scambiati in chat con Elena e ora anche una conversazione con un’amica, nella quale qualche giorno prima il 23enne ha rivelato il piano. Sulla scorta delle altre conversazioni acquisite, la Squadra mobile di Avellino interroghera’ alcuni amici della coppia che potrebbero aiutare a ricostruire non soltanto i giorni precedenti il delitto ma anche la complessa personalita’ dei due ragazzi.

Resteranno quindi in carcere i due ragazzi, che la notte dell’omicidio hanno entrambi confessato il delitto.

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Uccise l’amico per l’eredità della casa: 14 anni di carcere

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Nonostante la sua veneranda età di 86 anni è stato condannato a 14 anni di carcere per aver ucciso un amico al culmine di una lite.

Francesco Pernice è riconosciuto dalla Corte d’Assise di Napoli come responsabile della morte dell’anziano amico di 93 anni Pantaleo Di Pilato, ucciso con un taglierino nella sua abitazione in via Marechiaro a Mondragone  il 21 ottobre 2019. La vittima fu colpita molte volte al collo e al volto, e fu trovata dai carabinieri in una pozza di sangue. Poche ore dopo, Pernice fu fermato e confesso’ dopo un lungo interrogatorio, finendo ai domiciliari.

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Dal processo e’ emerso che l’omicida si scaglio’ contro l’amico al termine di una violenta lite relativa – secondo quanto riferito dallo stesso imputato – ad una casa di proprieta’ di Di Pilato che Pernice pensava di poter ereditare alla morte dell’amico; quando capi’ che non era cosi’, Pernice fu preso da un raptus di rabbia e colpi’ il 93enne piu’ volte fino ad ucciderlo. La Corte d’Assise ha confermato la ricostruzione della Procura di Santa Maria Capua Vetere ma non ha accolto la severa richiesta di pena del pm, che era di 21 anni, riconoscendo a Pernice le attenuanti generiche vista probabilmente l’eta’ molto avanzata e le non perfette condizioni di salute.

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Poggiormarino, il Riesame scarcera Michele Iervolino arrestato nel blitz contro il nuovo clan

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Poggiormarino, il Riesame scarcera Michele Iervolino arrestato nel blitz contro il nuovo clan

Il Tribunale del Riesame di Napoli ha accolto l’istanza di scarcerazione presentata dai legali di Michele Iervolino, 32 anni, arrestato lo scorso 19 aprile, insieme con altre 25 persone, nell’ambito del blitz contro la camorra di Poggiomarino, nel Napoletano, tutte gravemente indiziate, a vario titolo, di aver fatto parte di due distinte organizzazioni criminali.

L’istanza di scarcerazione, accolta dai giudici, e’ stata presentata dagli avvocati Luca Capasso e Antonio Tomeo i quali hanno sostenuto l’insussistenza delle contestazioni a carico del loro assistito.

Per la Direzione Distrettuale Antimafia il 32enne faceva parte di un’organizzazione camorristica dedita al traffico di stupefacenti riconducibile a Rosario Giugliano, detto ”o’ minorenne”, storico sicario del clan Galasso, tornato a Poggiomarino, nel 2016, prima grazie ad alcuni permessi premio e poi dopo la scarcerazione per fine pena. Il Riesame ha anche concesso i domiciliari ad altri tre indagati per i quali il gip aveva disposto il carcere.

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Violenta la moglie, la maltratta e le uccide i cani: ai domiciliari

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Torre Annunziata. Ha violentato e maltrattato la moglie e le ha ucciso i suoi cani perchè erano ‘diavoli’: finito ai domiciliari un 37enne di Torre Annunziata.

Il gip di Torre Annunziata ha emesso una misura cautelare nei confronti di T. U., 37 anni, per maltrattamenti in famiglia, violenza sessuale, lesioni personali aggravate e uccisione di animali.

L’uomo ha ottenuto il beneficio dei domiciliari a casa dalla madre anche se con l’applicazione del braccialetto elettronico. Le indagini della polizia sono nate dopo l’ennesima violenta lite familiare, e hanno messo in luce come l’uomo impediva alla moglie di avere una normale vita.

Spesso, sotto l’effetto di droga, in presenza dei figli minori, la insultava, la minacciava di morte, la aggrediva in preda alla gelosia, arrivando a usare contro di lei oggetti presenti in casa. Durante le aggressioni la donna veniva minacciata anche di morte.

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L’uomo poi costringeva la moglie anche a subire atti sessuali contro la sua volonta’, approfittando della difficolta’ della donna ad opporsi, sia a causa dell’aggressivita’ del marito, sia per evitare che ai fatti potessero assistere i figli minori che dormivano nella stessa stanza della coppia.Il marito e’ arrivato anche a massacrare i due cani della donna perche’ diceva che in loro si era “incarnato un diavolo”. T.U. ha precedenti per resistenza a pubblico ufficiale, rissa, lesioni e spaccio di droga e ora e’ a casa della madre.

Ad eseguire l’ordinanza gli agenti del commissariato di polizia di Castellammare di Stabia.

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Caserta, falsificava procure speciali per incassare soldi: arrestato avvocato

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Arresti domiciliari e sequestro di 210mila euro per un avvocato della provincia di Caserta, L.R., accusato dei reati di falso in atto pubblico, induzione e truffa.

Le indagini della Procura di Santa Maria Capua Vetere, culminate oggi nell’esecuzione di un’ordinanza da parte dei Carabinieri della stazione di Maddaloni, sono state avviate nel 2019 a seguito della segnalazione ricevuta da un notaio di Maddaloni.

Il professionista denunciava la falsità di una procura speciale a favore dell’avvocato apparentemente rilasciata da un uomo in realtà risultato deceduto nel 2013, in vista del successivo incasso di una somma di denaro liquidata da una compagnia assicurativa, a seguito di un presunto incidente stradale. Alla Procura è poi arrivata la denuncia da parte di un secondo notaio di Maddaloni.

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Dalle indagini è emerso che L.R., tra il 2016 e il 2019, si è reso responsabile di una pluralità di reati, inducendo nella sua qualità di avvocato i notaio ad autenticare almeno 60 procure speciali falsamente rilasciate in suo favore da persone in realtà decedute o del tutto inconsapevoli, riuscendo a incassare la somma di 210mila euro liquidato di volta in volta dalle compagnie assicurative con riferimento a falsi sinistri stradali.

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Violenza sessuale sulla 18enne di Portici: gip convalida arresto del 24enne di Ercolano

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Violenza sessuale sulla 18enne di Portici: gip convalida arresto del 24enne di Ercolano

Il gip del Tribunale di Napoli Linda D’Ancona ha convalidato l’arresto di Claudio Ciotola, il 24enne di Ercolano accusato di violenza sessuale ai danni di una 18enne. L’episodio e’ avvenuto nella notte tra sabato e domenica a Portici.

Al termine dell’udienza di convalida, il gip ne ha disposto la custodia cautelare in carcere. Il 24enne, con precedenti, si trova nel carcere di Poggioreale a Napoli. Intorno alle due della notte tra sabato e domenica scorsi, la mamma della giovane donna si e’ recata al Commissariato di Polizia di Portici-Ercolano raccontando che, poco prima, stava parlando al telefono con la figlia la quale improvvisamente aveva cominciato ad urlare per poi interrompere la comunicazione.

Sulla base della descrizione fornita dalla donna, gli agenti hanno rintracciato in poco tempo in strada la giovane e hanno bloccato un uomo che la stava strattonando. Agli investigatori la vittima ha raccontato di non conoscere l’uomo e che, poco prima, lui l’aveva aggredita e costretta a subire abusi sessuali.

Gli agenti del Commissariato locale con il supporto della Quarta Sezione della Squadra Mobile hanno arrestato il 24enne con l’accusa di violenza sessuale.

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Omicidio Cerciello Rega: ergastolo ai due americani

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Condannati all’ergastolo Finnegan Lee Elder e Christian Gabriel Natale Hjorth.

E’ quanto hanno deciso i giudici della prima corte d’Assise di Roma, presieduta da Marina Finiti, nel processo sull’omicidio del vicebrigadiere dei carabinieri Mario Cerciello Rega ucciso con undici coltellate il 26 luglio del 2019.

La sentenza e’ arrivata dopo oltre tredici ore di camera di consiglio. Per i due imputati, accusati di concorso in omicidio, il pm Maria Sabina Calabretta aveva chiesto la condanna all’ergastolo. Nell’aula bunker di Rebibbia alla lettura del dispositivo sono presenti i familiari del vicebrigadiere e la vedova Rosa Maria Esilio.

Alla lettura del dispositivo della sentenza della corte d’assise che ha condannato all’ergastolo i due americani, Rosa Maria Esilio, vedova del carabiniere Mario Cerciello Rega, e’ scoppiata in lacrime e ha stretto in un abbraccio intenso Paolo, il fratello della vittima.

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“E’ stata una sentenza severa ma corrispondente al delitto atroce che e’ stato commesso. Si tratta di una pena adeguata alla gravita’ del fatto, compiuto da due imputati che non hanno dato alcun segno di pentimento”. Cosi’ l’avvocato Franco Coppi, difensore di parte civile della famiglia Cerciello, commenta gli ergastoli inflitti dalla corte d’assise di Roma nei confronti degli americani.

“Questa sentenza rappresenta una vergogna per l’Italia. Con dei giudici che non vogliono vedere quello che è emerso durante le indagini e il processo. Non ho mai vista una cosa così indegna. Qui c’è un ragazzo di 19 anni che è stato aggredito. Abbiamo assistito al solito tandem procure della Repubblica e giudici. Faremo appello”. Così l’avvocato Renato Borzone, difensore di Finnegan Lee Elder.

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La vedova di Cerciello Rega: ‘Nessuno mi ridarà Mario’

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“E’ stato un lungo e doloroso processo. Questo non mi riportera’ Mario. Non lo riportera’ in vita, non ci ridara’ la nostra vita insieme. Oggi e’ stata messa la prima pietra per una giustizia nuova.

L’integrita’ di Mario e’ stata dimostrata nonostante da morto abbia dovuto subire tante insinuazioni”. Cosi’ Rosa Maria Esilio, vedova di Mario Cerciello Rega, ha commentato in lacrime la sentenza che ha condannato all’ergastolo Finnegan Lee Elder e Gabriel Natale Hjorth.

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“Arrivare qui oggi è stato come arrivare in quell’ospedale. Non possiamo che ringraziare il complicato lavoro dei giudici, degli avvocati e di tutte le persone che sono state vicine a Mario perché lo conoscevano, perché era figlio e carabiniere di tutti. Ringrazio tutte le persone che hanno creduto nel suo essere un marito e un uomo meraviglioso e un servitore dello Stato che merita soltanto rispetto e onore che lui stesso da martire ha dimostrato”, ha concluso.

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‘Housing sociale’ di Sant’Agnello: indagati il sindaco e altri 14. TUTTI I NOMI

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Il sindaco di Sant’Agnello, Piergiorgio Sagristani insieme con altre 14 persone tra cui i componenti della giunta in carica e alcuni professionisti sono indagati per abuso di ufficio, lottizzazione abusiva e falso nell’inchiesta sull’housing sociale dei 53 appartamenti in via Gargiulo.

Il pm Andreana Ambrosino della Procura di Torre Annunziata ha firmato la chiusura delle indagini per 15 persone. Oltre al primo cittadino Piergiorgio Sagristani ci sono Chiara Accardi, Pasquale Esposito, Giuseppe Gargiulo, Antonino Castellano, Pietro Iaccarino, Paola Di Maio, Attilio Massa, Maria De Martino, Raffaele Palomba, Francesco Ambrosio, Antonio Elefante, Massimiliano Zurlo, Danilo Esposito, Francesco Gargiulo.

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L’inchiesta sulla cementificazione di un vasto agrumeto parte da una vecchia denuncia di Wwf ed Italia Nostra. La lottizzazione riguarda 53 appartamenti a destinazione residenziale di superficie utile ognuno di circa 76,65 mq, 67 parcheggi pertinenziali interrati, una palestra, una serra didattica e svariati volumi pertinenziali. La procura di Torre Annunziata nel febbraio scorso ha sequestrato tutto il cantiere.

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Napoli, rinviati a giudizio i due medici coinvolti nella vicenda di Raffaele Arcella

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Napoli, rinviati a giudizio i due medici coinvolti nella vicenda di Raffaele Arcella, morto dopo un intervento di bypass gastrico

Si è arrivati ad una svolta per il caso di Raffaele Arcella, ragazzo di 29 anni di Caivano morto dopo un intervento di bypass gastrico eseguito alla clinica Trusso di Ottaviano. Durante l’intervento fu lesionata l’arteria retrostante lo stomaco del giovane che così fu trasportato in condizioni critiche al Policlinico di Napoli, dove, però non fu possibile salvargli la vita.

Nella giornata del 4 maggio, durante la prima udienza preliminare presso il Tribunale di Nola, i due medici indagati, Cristiano e Casillo, sono stati rinviati a giudizio il prossimo 22 settembre. I capi di accusa sono di “imperizia, negligenza, imprudenza durante l’intervento di bypass gastrico disattendendo le linee guida SI.C.OB”. (Società Italiana di Chirurgia dell’Obesità e delle malattie metaboliche).

” Finalmente si è fatto un passo importante verso la giustizia, ora chiederemo pene durissime per i due medici che hanno distrutto un’intera famiglia facendo morire un ragazzo. Anche gli esami autoptici hanno confermato che quell’intervento non doveva essere eseguito, si è trattato di imperizia e di superficialità. Non gli si dovrebbe più consentire di esercitare la professione. “ – sono state le parole di Antonio Arcella, padre di Raffaele.

“Non si può far morire un ragazzo così giovane per un’operazione di questo genere, assolutamente inaccettabile. Ora ci aspettiamo giustizia. Noi saremo sempre a fianco delle vittime di mala Sanità. ” – ha commentato il Consigliere Regionale dei Verdi Francesco Emilio Borrelli che segue la vicenda sin dall’inizio.

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Pizzo a Torre Annunziata: 85 anni di carcere per il clan Gionta

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La Cassazione ha confermato le condanne a 85 anni di carcere per esponenti di spicco del clan Gionta di Torre Annunziata.

Secondo le accuse la cosca aveva organizzato estorsioni a tappeto in città e chiedevano il pizzo anche sulle sepolture al cimitero. Le accuse hanno retto anche in terzo grado con le uniche eccezioni di Ferraro Salvatore, detto O’ capitano, e Vatore Luigi.

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Per entrambi è intervenuta la sentenza di annullamento con rinvio che apre la strada ad una revisione della sentenza e ad un giudizio assolutorio. Sia Ferraro, (annullamento totale) difeso dall’avvoccato  Elio D’Aquino, che Vatore( annullamento dall’accusa di essere partecipe dell’associazione), difeso dall’avvocato Francesco Matrone, erano stati condannati a 10 anni di reclusione.
Arrivata, invece, la stangata definitiva per tutti gli altri imputati.
Ecco le condanne:

Luigi Della Grotta, 18 anni di reclusione
Pietro Izzo, 10 anni e 4mila euro
Oreste Palmieri, 16 anni
Raffaele Passeggia, 16 anni
Luigi Caglione, 10 anni
Raffaele Abbellito, 5 anni e 2mila euro
Leonardo Amoruso, 6 anni e 3mila euro
Antonio Palumbo, 4 anni e 3mila euro

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