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Scandalo appalti coop migranti: chiesto il processo per 23 indagati

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Scandalo appalti coop migranti: chiesto il processo per 23 indagati

Tra il 2015 e il 2017 gestirono centri di accoglienza per immigrati tra le province di Benevento e Avellino con gravi inadempienze e senza garantire gli standard minimi di igiene e salubrita’ degli ambienti. Sono 23 gli indagati per i quali la procura di Benevento ha chiesto il rinvio a giudizio per abuso in atti d’ufficio, frode nelle pubbliche forniture, truffa aggravata, falso ideologico e materiale, rivelazione di segreto d’ufficio e malversazione ai danni dello Stato.

Il 15 giugno prossimo l’udienza preliminare e il 29 giugno il rito abbreviato per due funzionari della prefettura di Avellino. L’indagine, condotta dalla Squadra mobile della questura di Avellino e dalla Guardia di finanza, svelo’ un intreccio tra imprenditori che gestivano cooperative del terzo settore, funzionari prefettizi e fornitori per aggiudicare gli appalti per l’accoglienza degli immigrati sempre alle stesse cooperative.

Un blitz dei carabinieri del Nas di Salerno fece emergere come in molte strutture destinate all’accoglienza il cibo era di pessima qualita’ rispetto a quello descritto nel capitolato d’appalto e mal conservato. Le condizioni generali dei centri di accoglienza erano pessime, con migranti ammassati in stanze piccole, spesso prive di servizi igienici adeguati.

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Cronache della Campania@2015-2021


Il figlio del boss Sandokan: ‘Nel 2005 il clan votò per Cosentino’

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Ha parlato per oltre tre ore l’ex boss dei Casalesi oggi collaboratore di giustizia Nicola Schiavone, al processo d’appello in corso a Napoli che vede imputato per concorso esterno in camorra l’ex sottosegretario all’Economia Nicola Cosentino (in primo grado è stato condannato a nove anni).

Schiavone, figlio primogenito del padrino dei Casalesi Francesco Schiavone, noto come “Sandokan”, ha in sostanza ribadito, seppur con qualche differenza, quanto detto durante i vari interrogatori resi alla Dda e nei processi, affermando che nel 2005, alle Provinciali di Caserta, il clan votò compatto per Cosentino, almeno a Casal di Principe e nei comuni limitrofi.

Quelle elezioni furono vinte dall’allora candidato dell’Udeur Sandro De Franciscis; lo stesso Schiavone in passato aveva affermato che il clan aveva votato tanto per Cosentino quanto per l’altro imprenditore di Casal di Principe Nicola Ferraro, che pure si presentava per l’Udeur a sostegno di De Franciscis, e fu poi eletto. Ferraro, che si è sempre occupato di raccolta e trasporto di rifiuti, è stato condannato per concorso esterno in camorra perché ritenuto un imprenditore legato al clan dei Casalesi. Oggi, di fronte ai giudici d’appello e al sostituto della Procura Generale di Napoli Musto, Schiavone jr ha corretto quanto dichiarato, sebbene si sia poi mantenuto vago sul sostegno dato all’Udeur avversario del partito di Cosentino (Forza Italia).

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L’ex boss ha poi confermato le accuse già lanciate in un altro processo a carico di Cosentino, quello cosiddetto “Il Principe”, in cui l’ex sottosegretario è uscito assolto in Appello. “Cosentino aveva interesse al centro commerciale voluto dal clan” ha ribadito Schiavone, riferendosi al centro “Il Principe”, mai edificato, che secondo l’accusa i Casalesi volevano realizzare tanto da chiedere aiuto proprio a Cosentino. Schiavone ha infine confermato quanto già detto in passato, ovvero che lo zio Francesco Schiavone detto Cicciariello, voleva uccidere Cosentino perché non si era presentato ad un appuntamento.

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Cronache della Campania@2015-2021

Napoli, carcere sospeso per il marito assassino di Fortuna Bellisario

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E’ ancora libero, tra le polemiche il marito assassino di Fortuna Bellisario.

L’ottava sezione, collegio E, del Tribunale del Riesame di Napoli ha infatti disposto il ripristino della custodia cautelare in carcere per Vincenzo Lo Presto, 43 anni, condannato a dieci anni di reclusione, con rito abbreviato, per l’omicidio preterintenzionale della moglie, Fortuna Bellisario, avvenuto a Napoli, nel 2019. Ma allo stesso tempo i giudici hanno anche disposto che il provvedimento resti sospeso fino a quando il pronunciamento non sara’ diventato definitivo, quindi, dopo la decisione della Corte di Cassazione, annunciato dal legale del 43enne. Il Riesame ha accolto l’istanza di appello presentata lo scorso 15 marzo con la quale la Procura di Napoli ha chiesto il riconoscimento, nei confronti di Lo Presto, del reato di omicidio doloso e non di omicidio preterintenzionale e, di conseguenza, anche una pena maggiormente afflittiva, commisurata al reato.

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“Confido nella suprema Corte di Cassazione, il tempio del Diritto, dove non possono trovare ragione le interferenze mediatiche”, ha detto l’avvocato Sergio Simpatico, legale di Lo Presto, che annuncia il ricorso in Cassazione. Il processo di primo grado prese il via ipotizzando nei confronti dell’imputato il reato di omicidio doloso. Successivamente venne chiesta l’attenuazione in omicidio preterintenzionale, per il quale il gup emise una condanna a dieci anni di reclusione. Lo scorso 23 febbraio il 43enne, che per problemi di deambulazione e’ costretto stare su una sedia a rotelle, e’ stato scarcerato e messo ai domiciliari nell’abitazione della mamma, a Napoli, dal Tribunale, dopo due anni di detenzione. Una decisione che ha suscitato forte disapprovazione nell’opinione pubblica.

“L’assenza del dolo e’ ineccepibile, – ha aggiunto l’avvocato di Vincenzo Lo Presto – anzi, il mio assistito ha subìto un torto in quanto aveva diritto alla scarcerazione un anno prima. Sottolineo – ricorda l’avvocato – che non e’ possibile generare un ematoma subdurale con percosse incapaci di provocare danni alla scatola cranica”.

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Cronache della Campania@2015-2021

Banda dell’Audi, 4 condanne: usavano il lampeggiante come quello della polizia

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Banda dell’Audi, 4 condanne: usavano il lampeggiante come quello della polizia

Erano stati fermati a Marzano Appio, dopo un rocambolesco inseguimento sull’A1, tra San Vittore e Caianello. Arriva la condanna a 3 anni e mezzo di reclusione a testa per i 4 componenti della “banda dell’Audi”, così era stata ribattezzata, che aveva messo a segno decine di furti tra la provincia di Frosinone e l’alto casertano.

Ieri il gup Ivana Salvatore, al termine del processo con rito abbreviato, ha pronunciato la sua sentenza: condanna a 3 anni e 6 mesi per 4 i componenti della banda, tutti di origine serba e residenti al campo rom di Secondigliano. Erano accusati di resistenza, lesioni, ricettazione, tentato furto e possesso di segni contraffatti in quanto per agevolarsi le fughe dopo i colpi erano soliti utilizzare un lampeggiante (come quello in uso alle forze dell’ordine) sulla loro auto con targa rubata.

Il pm aveva richiesto per tutti la pena a 5 anni di carcere ma i difensori sono riusciti ad ottenere una riduzione di pena.
La banda, lo scorso mese di ottobre, venne intercettata al casello di San Vittore dalla polizia stradale di Cassino. Gli agenti capirono che qualcosa non andava e provarono a fermare i malfattori. Ne nacque un lungo inseguimento protrattosi per circa 20 km al termine del quale, a Marzano Appio, i quattro vennero fermati.

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Cronache della Campania@2015-2021

Omicidio di Katia Tondi: chiesti 27 anni di carcere per il marito

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Il sostituto procuratore generale di Napoli, Raffaele Marino ha chiesto 27 anni di carcere in appello per Emilio Lavoretano, accusato dell’omicidio della moglie Katia Tondi, avvenuto al parco Laurus di San Tammaro il 20 luglio 2013.

Lavoretano era stato condannato in primo grado, dalla Corte d’Assise del tribunale di Santa Maria Capua Vetere, alla stessa pena richiesta dal sostituto della Procura Generale. Nel corso della requisitoria, durata un’ora e mezza, Marino ha parlato di prove schiaccianti contro Lavoretano. “Se io fossi in lui confesserei” ha detto il magistrato, riferendosi alla circostanza che l’imputato – in carcere dalla sentenza di primo grado – si e’ sempre professato innocente.

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Il processo proseguira’ il 12 maggio con l’arringa del difensore di parte civile Gianluca Giordano e la settimana dopo con quella dei legali di Lavoretano, Carlo De Stavola ed Elisabetta Carfora. La Tondi fu uccisa in casa, strangolata con un oggetto mai trovato, mentre il figlio che allora aveva pochi mesi era nella culla. Per l’accusa Lavoretano avrebbe ucciso la moglie tra le 18 e le 19 del 20 luglio 2013, mentre l’uomo ha sempre detto che era fuori a fare la spesa.

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Strage di Bologna, alla scoperta dei mandanti tra servizi deviati, P2, terroristi e Br

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Bologna. Strage di Bologna: al via il nuovo processo che cercherà di far luce sui rapporti tra estrema destra, Servizi deviati e criminalita’ comune, la morte del presidente del Banco Ambrosiano, Roberto Calvi, e i covi in via Gradoli usati sia dalle Brigate rosse che dai terroristi neofascisti.

Ieri mattina prima udienza dinanzi ai giudici della Corte d’Assise del tribunale di Bologna che 41 anni dopo la strage prova a ricostruire un pezzo di storia del nostro paese. Attraverso i testimoni che le parti ascolteranno, si cercherà di individuare i nomi dei mandanti e dei finanziatori della strage del 2 agosto 1980 alla stazione di Bologna. Sul banco degli imputati Paolo Bellini, ex esponente di Avanguardia nazionale, accusato di concorso nell’attentato, l’ex carabiniere Piergiorgio Segatel accusato di depistaggio e Domenico Catracchia, amministratore di alcuni immobili di via Gradoli a Roma, per false informazioni al pubblico ministero.

I testimoni. Nelle liste stilate da Procura generale, parti civili e difese, che combaciano in piu’ punti, compaio quindi nomi come quelli di Massimo Carminati, di recente condannato a 10 anni nell’appello-bis di Mafia Capitale e sorta di collegamento tra l’estrema destra e la banda della Magliana, e Maurizio Abbatino, uno dei boss della stessa banda della Magliana, poi diventato collaboratore di giustizia. Quest’ultimo, spiega il legale di parte civile Roberto Nasci, potrebbe aiutare a fare luce non solo sui legami tra criminalità romana ed estrema destra, ma anche sulle vicende relative a Calvi e al Banco Ambrosiano, visto che fu proprio un componente della banda della Magliana, Danilo Abbruciati, a cercare di uccidere il vice di Calvi, Roberto Rosone. Sul fronte del Banco Ambrosiano, a cui secondo l’accusa Gelli e la P2 avrebbero sottratto i soldi con cui fu finanziata la strage di Bologna, dovrebbe poi essere sentito anche il figlio di Calvi. Chiesta anche la deposizione dei familiari di Bellini, allo scopo di smontare l’alibi fornito dall’imputato per il 2 agosto, degli ex Nar gia’ condannati per l’attentato e di altri estremisti di destra come Roberto Fiore e, per approfondire gli aspetti legati alla P2, dell’ex magistrato Gherardo Colombo, uno degli inquirenti che scoprirono la lista degli iscritti alla loggia nella villa di Licio Gelli a Castiglion Fibocchi. Chiesta anche la testimonianza dell’ex brigatista Adriana Faranda, che occupo’ uno degli appartamenti di via Gradoli amministrati da Catracchia. Non mancheranno, infine, ex funzionari dei Servizi come Mario Grillandini. Le parti civili, inoltre, intendono citare come consulenti i docenti Lino Rossi e Cinzia Venturoli, per “deporre su ogni profilo afferente il danno patrimoniale ed extrapatrimoniale patito da ciascuna delle parti civili costituite” a causa della strage. Per sapere quali prove e quali testimonianze saranno ammesse bisognera’ attendere le 15.30 di lunedi’ 26 aprile, quando la Corte d’Assise presieduta da Francesco Caruso comunichera’ le proprie decisioni in merito, poi, a partire da mercoledi’ 28, il dibattimento si mettera’ in moto al ritmo di due udienze a settimana, previste tutti i mercoledi’ e i venerdi’.

Le accuse. La strage di Bologna, secondo il sostituto procuratore generale di Bologna, Umberto Palma, “fu finanziata dalla P2 e compiuta da elementi di estrema destra, manovrati dai Servizi deviati, non solo dei Nar ma anche di Terza posizione e Avanguardia nazionale, diretta da Stefano Delle Chiaie e di cui aveva fatto parte Paolo Bellini. Delle Chiaie era manovrato, a sua volta, da Federico Umberto D’Amato, un servitore dello stato molto infedele, perché abbiamo scoperto i soldi che ha preso in nero da Gelli”. Per finanziare la strage, ha detto ancora Palma, furono utilizzati “fondi sottratti al Banco Ambrosiano di Roberto Calvi”. “Noi intendiamo dimostrare che la Strage di Bologna fu un’azione terroristica finanziata dalla P2 e manovrata dai servizi deviati. Inoltre che non fu compiuta solo dai Nar come hanno supposto le prime sentenze, ma anche da Terza Posizione. Non solo, c’e’ anche Avanguardia nazionale nello scenario della Strage” ha sintetizzato Palma.

La difesa di Bellini. Prima dell’esposizione della Procura generale, hanno parlato i difensori di Bellini, Manfredo Fiormonti e Antonio Capitella, per chiedere la nullità del decreto di rinvio a giudizio nei suoi confronti perché, secondo i legali, “nel capo di imputazione non ci sono specifici richiami della sua condotta legata alla strage”. Anche Anna Colubriale, legale dell’ex carabiniere Piergiorgio Segatel, imputato per depistaggio, ha avanzato la stessa richiesta per “genericità e indeterminatezza del capo di imputazione”, ma la Corte, presieduta dal presidente del Tribunale bolognese Francesco Caruso, ha respinto entrambe le eccezioni.

La difesa di Paolo Bellini, ha inoltre chiesto una perizia immediata sul video amatoriale girato da un turista in stazione la mattina del 2 agosto 1980, nel quale, secondo l’accusa appare un uomo che ha le fattezze dell’ex esponente di Avanguardia Nazionale, principale imputato nel nuovo processo sulla Strage. Per la difesa, infatti, quell’uomo non e’ Bellini e quindi chiedono che la perizia venga discussa subito, derogando all’ordine con cui di solito vengono prodotte le prove in dibattimento, perche’, sostengono i due avvocati, se dovesse emergere che l’uomo ripreso nel video non e’ Bellini allora il processo prenderebbe da subito “un’altra piega”. “Il nostro processo e’ incentrato su un fatto, che Paolo Bellini il 2 agosto 1980 non era in stazione. I nostri consulenti – ha detto l’avvocato Capitella – hanno paragonato quel fotogramma con le foto di Bellini dell’epoca, e da una perizia antropometrica risulta che sono assolutamente differenti, quell’uomo non e’ Bellini”. La mossa della difesa ha accesso subito lo scontro con la Procura generale, che si e’ opposta alla richiesta e ha sottolineato come il filmato non e’ l’unico elemento di prova a carico di Bellini. Inoltre i Pg hanno detto che la consulenza di cui hanno parlato Fiormonti e Capitella non e’ stata depositata, e quindi le altre parti non hanno potuto leggerla. La Corte d’assise decidera’ sulla perizia, cosi’ come sui testimoni e sulle prove da acquisire nel corso della prossima udienza del 26 aprile. Botta e risposta tra difesa e accusa, anche quando i legali di Bellini hanno detto che “c’e’ un teste indicato dalla Procura che nel 2019 ha fatto un rapporto, inviato a tutte le Digos d’Italia, chiedendo se c’era qualcuno che riconosceva nel video Bellini, e nessuno lo ha riconosciuto”. A questa affermazione il pg Umberto Palma ha replicato che il rapporto “riguardava un’altra persona, non il soggetto che riteniamo fosse Bellini”.

In aula, ieri mattina, 16 aprile 2021 erano presenti due imputati, Paolo Bellini, accusato di essere il quinto esecutore materiale dell’attentato, in concorso con i tre Nar gia’ condannati in via definitiva, Fioravanti, Ciavardini e Mambro e con Gilberto Cavallini, condannato all’ergastolo un anno fa in primo grado; e Piergiorgio Segatel, ex carabiniere imputato di depistaggio. Il terzo imputato e’ Domenico Catracchia, amministratore di condominio di immobili in via Gradoli, a Roma, che risponde di false informazioni al pm. Tanti anche i familiari delle vittime arrivati per assistere a questo nuovo capitolo giudiziario. In aula per la prima udienza anche il sindaco di Bologna Virginio Merola, in fascia tricolore e la vicepresidente della Regione Emilia-Romagna Elly Schlein. Merola e Schlein erano in rappresentanza delle Istituzioni, costituite parte civile.

Le dichiarazioni dell’ex Nar. “Come Sacco e Vanzetti” ha detto Paolo Bellini. Il paragone utilizzato da Bellini rimanda alla vicenda di Ferdinando Nicola Sacco e Bartolomeo Vanzetti, attivisti e anarchici italiani che furono arrestati, processati e condannati a morte con l’accusa di omicidio di un contabile e di una guardia del calzaturificio Slater and Morrill di South Braintree, negli Stati Uniti, nel 1927. Solo cinquant’anni dopo la morte furono riconosciuti gli errori giudiziari commessi nel processo e la loro memoria venne riabilitata.

Processo in diretta streaming. Tutte le udienze del nuovo processo sulla strage del 2 agosto saranno trasmesse in diretta streaming sul canale Youtube del Tribunale di Bologna. I posti in aula sono infatti limitati e riservati alle parti in causa, date le restrizioni imposte dalla pandemia. Per i giornalisti accreditati e i familiari delle vittime, invece, e’ stata predisposta una sala apposita all’interno del Tribunale dove possono seguire il processo su due schermi. Il dibattimento, si prevede, durerà una decina di mesi. (r.f.)

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Cronache della Campania@2015-2021

Due medici del Ruggi d’Aragona di Salerno rinviati a giudizio per la morte di Lucia Ferrara

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Due medici del Ruggi d’Aragona di Salerno rinviati a giudizio per la morte di Lucia Ferrara

Enrico Coscioni (consulente della Sanità del governatore Vincenzo De Luca) insieme ad un collega chirurgo sono stati rinviati a giudizio per concorso in omicidio per colpa medica. I due medici del reparto di Cardiochirurgia dell’ospedale Ruggi d’Aragona di Salerno sono accusati dalla Procura della morte di Lucia Ferrara, la ragazza di 17enne originaria di Caserta ma residente a Cava de’ Tirreni, deceduta nel settembre del 2019, presso l’azienda ospedaliera universitaria di Salerno, dopo un intervento chirurgico. Nei giorni scorsi il gip Scermino, al termine dell’udienza preliminare, ha accolto la richiesta del pm Cincada rinviando a giudizio i due medici ed anche il Ruggi per l’eventuale risarcimento dei danni. La prima udienza è in programma il prossimo 15 giugno.

La tragedia si è materializzata il 28 agosto 2019, quando la ragazza fu accompagnata dal padre in ospedale a Cava. La giovane doveva essere visitata al cuore, con una serie di accertamenti disposti nei tre giorni di ricovero nell’ospedale metelliano. Poi il trasferimento a Salerno. In sala operatoria la ragazza entrò il 29 agosto.

Dopo l’operazione era previsto il trasferimento in Terapia intensiva, ma la ragazza restò nel precedente reparto per più ore, fino alle 20, quando le sue condizioni si aggravarono. Nei giorni successivi le condizioni, secondo le indagini, si sarebbero stabilizzate, poi il 3 settembre la corsa nuovamente in sala operatoria. Fino al decesso, comunicato ai genitori, che decisero di sporgere denuncia, sottolineando che più volte erano stati rassicurati dai medici, in particolare dal primario che operò la ragazza.

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No all’ergastolo ostativo, in lizza per i ‘premi’ i capiclan Cesarano, Gallo, Schiavone e Di Lauro

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Gli ergastolani non collaboranti potranno accedere ai benefici penitenziari: permessi premio e domiciliari.

Lo stop all’ergastolo ostativo, dichiarato dalla consulta della Corte Costituzionale – su orientamento della Corte Europea – ha già aperto lo scontro istituzionale sull’attenuazione delle misure carcerarie, in particolare il 41bis, per boss e brigatisti mai pentiti. Il Parlamento italiano dovrà dirimere il conflitto costituzionale senza abbassare la guardia contro la criminalità organizzata.

Stragisti, camorristi, ‘ndranghetisti, mafiosi, brigatisti detenuti da anni e con all’attivo ergastoli plurimi potranno beneficiare di permessi e magari degli arresti domiciliari se riusciranno a dimostrare che dopo anni non sono più pericolosi. Sarebbero circa 1000 in Italia gli ergastolani ostativi.

Era in cima all’elenco di coloro che, in previsione, avrebbero potuto beneficiare della anti-costituzionalità dell’ergastolo ostativo, anche Raffaele Cutolo, il boss Nco morto in carcere a Parma a febbraio scorso, dopo aver trascorso 59 anni in carcere, con lui Leoluca Bagarella, 79enne boss mafioso dei corleonesi.

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Il 15 aprile scorso si è riaperta la discussione sulle scarcerazioni degli irriducibili. Tanti anche i boss della camorra, da anni in carcere, che non hanno mai deciso di collaborare con la giustizia. Tra questi il boss di Pompei-Castellammare di Stabia, già affiliato al clan Alfieri, Ferdinando Cesarano. Boss scaltro, detenuto da anni in regime di carcere duro, passato agli annali della storia criminale campana anche per la clamorosa fuga dall’aula bunker del carcere di Fuorni a Salerno, il 21 giugno del 1998. Insieme al boss Giuseppe Autorino si calò in un cunicolo davanti agli occhi di giudici, guardie carcerarie e avvocati. In carcere Cesarano si è anche diplomato e laureato.
Per rimanere nell’ambito di quello che fu il clan Alfieri tra coloro che potrebbero lasciare temporaneamente il carcere ci sono i fratelli Salvatore e Pasquale Russo, capiclan dell’area vesuviana.

Ma la lista dei boss sottoposti al 41bis che potrebbero lasciare anche temporaneamente la cella è lunga. Molti hanno già trascorso il limite dei 27 anni di reclusione dopo il quale si potrebbero allentare le misure. 

E’ il caso del capo dell’omonimo clan di Torre Annunziata e dei paesi vesuviani, Pasquale Gallo, 64 anni, un tempo in guerra con la cosca rivale dei Gionta. Ha trascorso 30 anni in carcere dove si è anche laureato, da tempo chiede di avere dei permessi premio nonostante il regime del carcere duro.

In tutto, secondo recenti stime sono 266 gli affiliati alla camorra condannati all’ergastolo e sottoposti al 41bis, su un totale di 759 condannati per associazione mafiosa.

GLI IRRIDUCIBILI DEI CASALESI
Lo squadrone degli irriducibili della provincia di Caserta è quello più corposo: c’è il capoclan dei Casalesi, Francesco Schiavone, alias Sandokan (13 ergastoli definitivi), ma anche Francesco Bidognetti,  Michele Zagaria e lo spietato killer Giuseppe Setola e poi Vincenzo Zagaria, omonimo ma non parente di Michele, al 41-bis a Sassari.

I CAMORRISTI NAPOLETANI.
Anche Paolo Di Lauro, uno dei capi dei gruppi camorristici artefice della guerra di Scampia nel 2004, potrebbe beneficiare della non costituzionalità dell’ergastolo ostativo. E’ da quindici anni è al 41-bis, insieme al figlio Cosimo. Tra i nomi di spicco anche l’irriducibile Edoardo Contini, artefice dell’Alleanza di Secondigliano insieme ai Mallardo di Giugliano e ai Licciardi di Secondigliano.
In lizza per un permesso premio anche gli autori dell’omicidio del giornalista Giancarlo Siani: Pasquale Cappuccio, Gaetano Del Core, Luigi Baccante. La loro detenzione ha superato i 20 anni.

LA SENTENZA DELLA CONSULTA. Secondo i giudici della Corte costituzionale l’ergastolo ostativo è “incompatibile” con i principi di uguaglianza e di funzione rieducativa della pena, dettati dagli articoli 3 e 27 della Costituzione, e con il divieto di pene degradanti sancito dalla Convenzione europea dei diritti umani. Secondo i giudici che si sono uniformati alle disposizioni della Corte Europea dei diritti umani l’ergastolo ostativo “preclude in modo assoluto”, per chi e’ condannato all’ergastolo per delitti di mafia e “non abbia utilmente collaborato con la giustizia la possibilita’ di accedere al procedimento per chiedere la liberazione condizionale, anche quando il suo ravvedimento risulti sicuro”. La Consulta, pero’, rileva che l'”accoglimento immediato” delle questioni di legittimita’ sollevate dalla Cassazione “rischierebbe di inserirsi in modo inadeguato nell’attuale sistema di contrasto alla criminalita’ organizzata” e per questo da’ un anno di tempo al Parlamento per intervenire: la Corte tornera’ a pronunciarsi sul tema nel maggio del prossimo anno, per consentire al legislatore gli interventi “che tengano conto sia della peculiare natura dei reati connessi alla criminalita’ organizzata di stampo mafioso, e delle relative regole penitenziarie, sia della necessita’ di preservare il valore della collaborazione con la giustizia in questi casi”. E’ la terza volta – dopo il caso Dj Fabo-Cappato e la questione del carcere per i giornalisti – che Palazzo della Consulta sceglie questa strada: non un semplice monito al Parlamento, ma una scadenza temporale. L’ordinanza della Corte sarà depositata nelle prossime settimane e spieghera’ nei dettagli i rilievi dei giudici. A sollevare la questione era stata la Cassazione, citando le sentenze dei giudici di Strasburgo e della stessa Corte costituzionale del 2019 (quest’ultima relativa ai permessi premio): nell’udienza pubblica del 23 marzo scorso, vi era stata, sul tema, anche l”apertura’ da parte dell’Avvocatura generale dello Stato, intervenuta per conto del Governo davanti alla Consulta, la quale aveva chiesto di non bocciare le norme sull’Ergastolo ostativo, considerando la possibilità di “far decantare ogni forma di automatismo e consentire al giudice di sorveglianza di verificare le motivazioni per cui il condannato non può assicurare una condizione di collaborazione” con la giustizia.
Immediate erano state le reazioni politiche, giovedì 15 aprile, alla decisione dei giudici costituzionali: “Occorrera’ leggere con attenzione l’ordinanza della Corte, e poi rapidamente intervenire in modo puntuale, chirurgico e calibrato, per rendere la speciale disciplina dell’Ergastolo applicabile agli appartenenti alla criminalita’ organizzata coerente con i principi costituzionali richiamati dalla Corte”, afferma il capogruppo Pd in commissione Giustizia alla Camera, Alfredo Bazoli, mentre si dicono “perplessi” i parlamentari M5s della Commissione Antimafia: “Interverremo subito a livello parlamentare, con l’obiettivo di non fare mai un passo indietro e per la tenuta dell’ergastolo ostativo”, sottolineano in una nota. “Per mafiosi e assassini l’ergastolo non si tocca, dicano quello che vogliono. E basta”, dichiara il segretario leghista Matteo Salvini, mentre il deputato Andrea Delmastro, responsabile giustizia di Fratelli d’Italia, parla di “catastrofico ma scontato esito della Corte Costituzionale sull’abolizione dell’Ergastolo ostativo per i mafiosi. Non poteva che finire drammaticamente cosi’ alla luce della sterzata del Governo dei migliori e dell’avvocatura dello Stato che hanno rinunciato a insistere nella difesa dell’Ergastolo ostativo”.

La decisione era stata accolta invece in maniera favorevole dal presidente di Antigone, Patrizio Gonnella: “L’incostituzionalità è accertata (per violazione degli artt. 3 e 27 Cost.) e non si potrà tornare indietro. Ora la palla è al Parlamento che entro un anno dovrà deliberare. Ovviamente avremmo sperato in un intervento della Corte che dichiarasse l’illegittimità incostituzionale immediata della disciplina vigente. Noi eravamo nel procedimento con un nostro atto di intervento a sostegno dell’incostituzionalità dell’ergastolo ostativo. Ragioni esplicite di politica criminale hanno indotto la Consulta a rinviare la decisione di un anno qualora il legislatore non intervenga prima. Faremo da pungolo affinché questo accada e ricorderemo in modo costante alle forze politiche e al Parlamento la data del maggio 2022”.

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Bombe, droga e agguati ai rivali: il ritorno del boss Rosario ‘o minorenne nel regno del padrino

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Bombe, droga, estorsioni, e agguati per punire gli infedeli o i rivali: per Rosario Giugliano, ‘o minorenne, il killer prediletto dell’ex boss Pasquale Galasso, figlioccio di Angelo Visciano, ‘o craparo il tempo in carcere è trascorso invano.

Non sono serviti 227 anni di carcere comminati dai giudici della Campania: è bastata una dissociazione e la propensione a delinquere.

Stamane nel corso delle perquisizioni i carabinieri hanno ritrovato 62 bombe. Materiale esplosivo peraltro particolarmente pericoloso destinato a episodi di intimidazione: agli imprenditori.

Oggi è l’epilogo, si spera, di una storia criminale quella di un boss che dopo sei anni di indagini è tornato in cella, insieme a 25 suoi affiliati. Insieme ai guardaspalle che hanno coperto i suoi summit, che hanno eseguito i suoi ordini anche quando tornava nel carcere di Milano – Opera per scontare la sua pena da camorrista.

I primi summit di camorra li ebbe a fare proprio a Milano quando nei pochi giorni di permesso premio incontrava familiari e fedelissimi ai quali chiedeva quali erano gli imprenditori da mettere sotto torchio e chi erano i nemici da eliminare per riappropriarsi del suo territorio criminale.

Ed è proprio per riaffermare il suo potere criminale che Rosario Giugliano decise di colpire al cuore il rivale Antonio Giugliano, alias ‘o suvariello, solo omonimo di ‘o minorenne e esponente del potente clan Fabbrocino. Giuseppe, il giovane figlio di ‘o suvariello, doveva morire. La progettazione dell’agguato fu ascoltato in diretta dagli inquirenti che da alcuni mesi avevano intuito che il ritorno di ‘o minorenne era imminente, qualcuno a Poggiomarino, aveva raccontato di strane convocazioni a imprenditori danarosi che avrebbe dovuto pagare il pizzo al nuovo capozona. La progettazione dell’agguato a Giuseppe Giugliano fu ascoltata in diretta dagli investigatori che stavano intercettando i boss della zona di Poggiomarino. Era un momento ‘caldo’ nello scontro tra i Fabbrocino e i Giugliano.

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Le intercettazioni ambientali all’interno della Lancia Ypsilon di Cristian Sorrentino del 6 marzo 2017, quattro giorni prima degli spari contro il bar riconducibile a Giuseppe Giugliano, sono inequivocabili. Si parla di punizioni di ‘sparare fuori al bar’ del rivale. O proprio a lui: Giuseppe Giugliano. “Dopo ci dobbiamo aspettare qualsiasi cosa” si sente dire. “Ci chiudiamo nelle case”, ribatte il suo interlocutore. Dopo l’attentato le reazioni dalla fazione colpita. Giuseppe Giugliano, che regge il cosca, invita i sodali alla calma, ma vuole verificare di persona di chi siano le responsabilità. Chiama degli imprenditori, come ricostruisce il gip, per visionare le immagini delle telecamere di sorveglianza e identificare la Lancia Y della quale parlano tutti e dalla quale hanno fatto fuoco i sicari.

Quell’episodio spartiacque che avrebbe dovuto accendere la faida tra le opposte fazioni invece viene risolto diplomaticamente in una sorta di pax camorristica che permetterà a Rosario Giugliano ‘o minorenne di tornare nel suo piccolo regno di provincia e intessere rapporti con le ‘ndrine, smerciare droga nel centro e nord Italia e tenere sotto scacco imprenditori impauriti che sono rimpiombati in un sol colpo venti anni indietro quando il nome da temere era quello del boss Pasquale Galasso e Rosario ‘o minorenne era il suo spietato e spregiudicato killer.

Rosaria Federico

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Napoli, estorsioni a San Giovanni: ordinanza per il boss D’Amico e 5 affiliati

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Napoli. Estorsioni a San Giovanni a Teduccio: arrestate sei persone del clan Mazzarella, c’è anche una donna.

Blitz dei carabinieri del Nucleo Investigativo del Comando Provinciale di Napoli che hanno eseguito un’ordinanza di custodia cautelare in carcere a carico di sei persone – due già detenute per altra causa e quattro, tra cui una donna, libere – emessa dalla Sezione G.I.P. presso il Tribunale di Napoli su richiesta della Direzione Distrettuale Antimafia.

La vicenda che ha portato all’emissione del provvedimento cautelare trae origine dalla denuncia sporta nel mese di ottobre 2017 da una persona di origini napoletane, già titolare di attività commerciale, stanziatosi in provincia di Varese. Le attività investigative, coordinate dalla DDA, hanno permesso di contestare agli indagati il reato di estorsione, aggravato dalle modalità mafiose.

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Tra gli indagati ci sono Salvatore D’Amico, alias o’ Pirata, noto esponete dell’omonima famiglia malavitosa, operante nel quartiere S. Giovanni a Teduccio del Comune di Napoli, articolazione del più importante clan Mazzarella, nonché Massimiliano Baldassarre, alias o’ Serpente, soggetto ritenuto legato a contesti di camorra del Comune di S. Anastasia.
La vittima, nel 2017, trovatosi in gravi difficoltà economiche, si era rivolto ad un suo ex cognato, per avere un prestito in danaro dell’importo di euro 4.700 con la promessa di restituire il capitale unitamente 1.000 euro a titolo di interessi.
Per la restituzione del capitale e degli interessi, il denunciante aveva incaricato il fratello che, nell’eseguire il pagamento per l’estinzione del debito, veniva tratto in inganno da uno dei soggetti, colpiti dal provvedimento, e invece di consegnare la somma di danaro ai soggetti che avevano erogato l capitale ossia Massimiliano Baldassare, li consegnava a Salvatore D’Amico, fino all’ammontare di euro 3.900. Per farsi consegnare il danaro D’Amico minacciò il fratello del denunciante intimandogli anche che, se non avesse consegnato la somma di danaro richiesta, avrebbe portato via tutte le autovetture dei suoi parenti su Napoli.
I soggetti, a questo punto, usarono violenze e minacce per riavere il prestito concesso in precedenza, oltre la somma ulteriori euro 1.000 da corrispondere a titolo di interesse.

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Camorra: il Riesame annulla l’arresto del boss del nuovo clan Partenio

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Camorra: il Riesame annulla l’arresto del boss del nuovo clan Partenio

Fatti gia’ contestati in altre occasioni, che non potevano essere addebitati ancora. Cosi’ il tribunale della Liberta’ ha motivato l’annullamento della misura cautelare per Nicola Galdieri, che, insieme al fratello Pasquale detto ‘o milord, guida il Nuovo Clan Partenio. I giudici hanno riconosciuto il principio della contestazione a catena e accolto la richiesta di annullamento dell’avvocato Gaetano Aufiero. Assieme a Galdieri e’ stato scarcerato anche un altro esponente di spicco del clan, Carlo Dello Russo.

Entrambi erano stati arrestati lo scorso anno nell’ambito dell’inchiesta condotta dalla Dda di Napoli sulla gestione controllata delle aste giudiziarie del tribunale di Avellino e sul racket delle estorsioni nell’hinterland avellinese. Ma di recente il tribunale del Riesame ha annullato il provvedimento cautelare per l’agente immobiliare che sarebbe stato il fulcro degli affari illeciti. Le richieste di arresto, firmate dal pm Henry John Woodcoock, contestano l’associazione a delinquere mafiosa, la turbata liberta’ degli incanti, estorsione, voto di scambio politico-mafioso, falsita’ materiale in atti d’ufficio, truffa, trasferimento fraudolento di valori, riciclaggio.

Nella stessa indagine fu arrestato l’ex segretario della Lega di Avellino e consigliere comunale Damiano Genovese, figlio del boss al 41 bis Amedeo, fondatore del primo clan Partenio. Ed e’ indagato l’ex consigliere comunale Sabino Morano, candidato a sindaco nella precedente tornata, con l’appoggio della Lega. Entrambi sono accusati di aver ottenuto voti controllati dal clan.

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Napoli, le ultime notizie di cronaca da Pianura

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Napoli. Clan Marfella: condanne da 2 a sette anni di reclusione per otto esponenti della cosca di Pianura.

La Corte di Appello di Napoli (quarta sezione) ha sostanzialmente confermato le condanne in primo grado inflitte a otto persone ritenute affiliate al clan Marfella quasi tutte condannate per associazione a delinquere di stampo mafioso.

I giudici di secondo grado hanno inflitto pene comprese tra 2 e 7 anni di reclusione. Al processo, che ha visto nella veste vittime cinque imprenditori sottoposti alle vessazione degli usurai del clan, si sono costituiti parte civile il Comune di Napoli, SoS Impresa e l’associazione antiracket “Pianura per la Legalita’, in memoria di Gigi e Paolo Aps”, rappresentati dagli avvocati Alessandro Motta e Alfredo Nello. Gli imputati, condannati anche per estorsione, si sono resi protagonisti anche dell’acquisizione di attivita’ economiche nel quartiere di Pianura per raggiungere profitti e ingaggiare lo scontro armato contro i nemici del clan Lago.

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“Siamo soddisfatti per la conferma in appello delle condanne inflitte in primo grado – dichiara Luigi Cuomo, portavoce dell’associazione antiracket Pianura per la Legalita’ in memoria di Gigi e Paolo Aps – perche’ questa sentenza conferma l’importanza della denuncia degli imprenditori che hanno contribuito a liberare le proprie imprese e d il proprio territorio dalla presenza di elementi criminali dannosi per tutta la comunita’. Denunciare conviene ed oggi i commercianti hanno a disposizione anche nuovi strumenti validi e supporti concreti per liberarsi dal racket e dall’usura come il numero verde 800 900 767, attraverso il quale è possibile ricevere assistenza e solidarietà perchè nessuno resti solo nel riprendersi la propria libertà”.

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Estorsione con finto incidente ad Arzano: arrestati i due malviventi

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Arzano. Estorsione con finto incidente: individuati e arrestati i due responsabili.

Ieri mattina, a Napoli e a Casalnuovo di Napoli, gli agenti della Squadra Mobile hanno eseguito un’ordinanza agli arresti domiciliari, emessa dal GIP del Tribunale di Napoli Nord su richiesta della Procura della Repubblica, nei confronti di due pregiudicati: Alessio Ferdinandi di 27 anni e Giovanni Prato di 26anni accusati di tentata estorsione aggravata in concorso e resistenza a pubblico ufficiale.

Le indagini sono state avviate il 4 maggio 2020 quando ci fu un tentativo estorsivo ai danni di un automobilista con la tecnica del simulato incidente stradale con danneggiamento dello specchietto retrovisore.

In quell’occasione ad Arzano intervennero in aiuto della vittima due agenti della Squadra Mobile, in quel momento liberi dal servizio, ma i malviventi riuscirono a scappare.

L’identificazione degli autori è stata effettuata grazie ad una analisi presso gli archivi informatici di episodi simili commessi in provincia di Napoli, Ferdinandi e Prato infatti avrebbero commesso episodi analoghi ai danni di altri automobilisti che hanno fornito il loro identikit.

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Anche la procura di Avellino apre un’inchiesta sui ‘furbetti saltafila’ del vaccino

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Anche la procura di Avellino apre un’inchiesta sui ‘furbetti saltafila’ del vaccino

 

Si sarebbero insinuati nella maglie larghe di categorie i cui requisiti si prestano a interpretazioni estese. E nonostante la raccomandazione a vaccinare prima gli over 80, i fragili e gli over 70, sarebbero riusciti a ottenere la vaccinazione pur non rientrando in alcuna delle categorie prioritarie.

La procura di Avellino ha aperto un fascicolo per indagare sui cosiddetti ‘salta lista’. Sono stati presentati alcuni esposti nei giorni scorsi, poco meno di una decina, per segnalare persone che certamente non rientravano tra i fragili e che sicuramente non avevano il requisito dell’eta’ per essere compresi nelle liste che l’Asl di Avellino riceve dalla piattaforma regionale per le prenotazioni.

Secondo alcune denunce, i vaccinati senza diritto avrebbero addirittura ricevuto il siero senza essere passati per la prenotazione. Per questo motivo, i pm cercheranno riscontri acquisendo i dati dalla Soresa, la societa’ in house della Regione Campania che gestisce la piattaforma per le prenotazioni. Nei casi in cui i vaccinati senza i requisiti necessari siano passati attraverso la regolare prenotazione, si cercheranno i riscontri clinici. L’ipotesi di reato e’ di falso.

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Imprenditore accusato di essere un narcotrafficante assolto in Appello

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Napoli. E’ stato assolto dopo esser finito in carcere, tre anni fa, con l’accusa di aver partecipato ad una mega associazione operante tra la Colombia, la Spagna, l’Olanda e l’Italia, finalizzata alla importazione di ingenti quantità di cocaina proveniente dal Sudamerica, con base operativa e logistica a Napoli e in provincia.

Fabrizio Ventura, imprenditore milanese, titolare della VCG, leader internazionale nella produzione di forni utilizzati per la fusione di metalli preziosi, per l’industria orafa e odontotecnica, è stato assistito dagli avvocati Dario Vannetiello e Giusida Sanseverino, nel procedimento giudiziario che si è concluso ieri con una sentenza di assoluzione.

 Proprio l’attività imprenditoriale portò oltreoceano e ad intrecciare rapporti con imprenditori colombiani, senza avvedersi che costoro nel 2014 erano indagati per spaccio internazionale di cocaina anche con soggetti della criminalità campana.

La fitta rete di indagini intrappolò anche l’imprenditore Ventura che, dopo anni di attività investigativa, con ore ed ore di conversazioni intercettate e pedinamenti, venne arrestato.

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Secondo la Direzione Distrettuale Antimafia di Napoli Ventura riceveva ingenti somme di danaro dall’organizzazione di narcotrafficanti per poi  provvedere a spedirle in Colombia, occultate all’interno dei forni prodotti dalla sua azienda, anche mediante la realizzazione in oro del telaio. Tutto sotto la copertura di lecite spedizioni di forni in Colombia.

L’arresto trovò avallo sia innanzi al Tribunale del riesame che innanzi alla Suprema Corte, autorità che respinsero le istanze difensive;  l’ipotesi accusatoria fu condivisa  anche dal  giudice di primo grado, dott. Marco Carbone, seppur la difesa riuscì a contenere la condanna in anni 6 e mesi 9 di reclusione.

Ma nel giudizio di appello l’ipotesi degli inquirenti ha trovato sorprendentemente una clamorosa battuta di arresto.

Ieri, la Corte di appello di Napoli – seconda sezione -, ha definito il giudizio di secondo grado relativo al maxi processo che ha visto tra gli altri coinvolti esponenti di primo piano quali Carbone Bruno (anni 20), Gomez Perales Antonio (anni 10), Torino Vincenzo (anni 12 e mesi 8) Verderosa Francesco (anni 14 e giorni 17), Esposito Vincenzo (anni 13), La Volla Marco (anni 12 e mesi 8).

I Giudici dell’appello, condividendo in pieno le tesi, sostenute con forza dagli avvocati Dario Vannetiello del Foro di Napoli e Giusida Sanseverino del Foro di Benevento, hanno assolto Fabrizio Ventura dalla pesante accusa, ordinandone l’immediata scarcerazione.

Assolto anche uno dei tre imprenditori colombiani Aguirre Avivi Hernan, mentre sono stati condannati gli altri due imprenditori colombiani, i fratelli Ayala Andres (anni 13 e mesi 6) e Antonio (anni 6 e mesi 8).

La Corte di appello ha sposato le argomentazioni difensive volte a dimostrare che Ventura Fabrizio è un imprenditore lontano dagli ambienti criminali, che ha avuto sì rapporti con i colombiani, ma solo di natura commerciale.

L’ardita tesi difensiva che ha trovato avallo nella decisione assunta dalla Corte partenopea è stata la seguente: l’imprenditore, ricevuto il danaro dai colombiani, provvedeva ad acquistare oro, recandosi personalmente presso rivenditori orafi nella città di Vicenza, famosa, appunto, per le lavorazioni orafe. Una volta acquistato l’oro, Ventura, con l’aiuto di un dipendente, smontava i forni crogioli prodotti dalla sua azienda ed inseriva i lingotti d’oro, occultandoli tra le pareti metalliche dei forni. Successivamente, i forni “ripieni” di oro venivano spediti in Colombia, accompagnati da valida documentazione di viaggio.

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Assolto il commissario di polizia Antonio Troiano

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Ha dovuto attendere 7 anni ma ora l’incubo è finito e giustizia è fatto: il commissario di polizia Antonio Troiano è stato assolto per non aver commessi il fatto.

Si è conclusa ieri in Corte d’Appello, 1a sezione penale, l’avventura giudiziaria che ha visto coinvolto il commissario Antonio Troiano, assolto per non aver commesso il fatto dalle gravi accuse scaturite dalle dichiarazioni rese Maria Palomba che portarono all’arresto del noto imprenditore farmaceutico Nazario Matachione, poi assolto dai fatti a lui contestati.

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Il commissario, difeso dall’avvocato Elio D’Aquino, il 31 luglio 2014 si rese protagonista di un accorato appello al Presidente Napolitano per protestare contro il suo trasferimento: “On. Presidente, Le domando di intervenire non solo per me, ma ancora di più per i miei quattro figli, per consentire loro di continuare a credere nello Stato. Solo Lei con il Suo autorevole intervento potrebbe restituirci speranza e fiducia nelle Istituzioni Democratiche.”
Erano gli anni in cui Troiano determinò l’avvio di una procedura che portò a Torre Annunziata la commissione prefettizia per verificare eventuali collusioni politiche con la criminalità organizzata. Quella vicenda, su cui si mobilitò anche l’ex magistrato Del Gaudio con una raccolta firme, gli costò molte inimicizie, tali, secondo il commissario, da avere determinato il suo trasferimento e altre trame oscure nei suoi confronti.
Poi venne la bufera delle dichiarazioni di Maria Palomba. Troiano era incolpato originariamente di corruzione in concorso con il noto imprenditore farmaceutico. Nella prospettazione della teste, l’ispettore di polizia frequentava la “farmacia del Corso” di proprietà dell’ex marito come cliente e si sottraeva al regolare pagamento dei farmaci in cambio di una sorta di asservimento, attraverso condotte tese a violare segreti d’ufficio per favorirlo.
In particolare il Troiano era accusato di aver riferito al Matachione di una intercettazione telefonica che vedeva protagonista proprio la Palomba con tale Carlino, patron della Carpisa.
L’accusa era stata poi ridimensionata in fase di indagini e l’ispettore fu rinviato a giudizio per la sola ipotesi di “rivelazione del segreto d’ufficio”.
Ieri finalmente si è chiuso definitivamente il capitolo giudiziario con una assoluzione piena che ribalta il giudizio di 1 grado, quando appunto il Troiano fu condannato a 8 mesi di reclusione.
Serrato è il commento dell’avvocato Elio D’Aquino “In un momento in cui la nostra città è attraversata da un orribile fatto di sangue, vedere restituito tutto l’onore a chi ha lavorato con passione e abnegazione per la legalità nel nostro territorio, è per me motivo di grande soddisfazione umana e professionale.”

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Medici con doppio stipendio, in 5 a giudizio ad Avellino

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Medici con doppio stipendio, in 5 a giudizio ad Avellino

Avrebbero percepito un doppio stipendio, per lo stesso incarico nello stesso ente. Il 7 luglio prossimo dovranno comparire di fronte al gup del tribunale di Avellino, Marcello Rotondi, per rispondere di truffa aggravata, falso ideologico, peculato e abuso d’ufficio.

La procura di Avellino, sulla scorta di una denuncia del direttore generale dell’Asl, Maria Morgante, avvio’ le indagini su un ammanco di circa cinquecentomila euro. Le verifiche, condotte dalla Guardia di Finanza, portarono a individuare i pagamenti irregolari di alcuni stipendi. Medici e amministrativi percepivano il doppio di quanto dovuto, in una contabilita’ parallela. Gli stipendi finivano accreditati su un Iban virtuale di una carta PostePay.

Da li’ si e’ risaliti ai responsabili della truffa. Dinanzi al gup andranno Giuseppe Fiore, medico del 118 di Calitri, Giovanni La Torre, addetto alle Risorse Umane dell’Asl, Nicolino Giovino, autista del 118, Carmine Montella, medico del 118, e Maria Giuseppa Grasso, titolare della carta di credito sulla quale venivano accreditati gli stipendi.

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Restano in carcere gli assassini di Maurizio Cerrato

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Il gip di Torre Annunziata, Antonio Fiorentino, ha convalidato il fermo del pm emesso lo scorso 23 aprile nei confronti di Giorgio Scaramella 51 anni, Domenico Scaramella 51 anni, Antonio Venditto, 26 anni e Antonio Cirillo, 33 anni.

I quattro sono accusati dell’omicidio volontario aggravato dai futili motivi di Maurizio Cerrato, 61 anni ucciso con una coltellata al petto a Torre Annunziata la sera del 19 aprile scorso. Il giudice, che ha ritenuto attendibile il racconto della figlia della vittima, Maria Adriana, testimone oculare della tragedia, assimila il comportamento degli indagati a quello delle bestie feroci.

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Sebbene ritenga che i quattro abbiano avuto la possibilita’ di organizzare le modalita’ del delitto, avvenuto solo per un parcheggio “violato”, il giudice per le indagini preliminari, nell’ordinanza, ha escluso l’aggravante della premeditazione.

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Mafia nel bar del tribunale di Potenza, 17 arresti tra Basilicata, Campania, Lazio e Emilia Romagna

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Potenza. Operazione Iceberg: eseguite diciassette ordinanze cautelari nei confronti di un’associazione criminale di stampo mafioso radicata nel comune di Pignola, in provincia di Potenza e estesa anche in Campania, Lazio e Emilia-Romagna.

Oltre alle misure cautelari personali chieste e ottenute dalla Dda di Potenza, sono stati eseguiti anche due provvedimenti di sequestro preventivo delle quote e del complesso aziendale di due societa’, una delle quali gestisce il bar all’interno del Palazzo di Giustizia di Potenza. Per lo svolgimento delle attivita’ di arresto, perquisizione e sequestro, il Servizio centrale operativo della Polizia ha disposto l’invio a Potenza di equipaggi delle Squadre mobili di Matera, Avellino, Cosenza e Salerno che, con l’ausilio di personale della Squadra Mobile di Napoli, Bologna ed Ascoli Piceno, hanno proceduto agli arresti e alle perquisizioni anche in Campania, Lazio ed Emilia Romagna.

In totale sono stati impiegati circa 150 agenti tra personale della Questura di Potenza, dei Reparti Prevenzione Crimine Basilicata, Puglia, Campania e Calabria e operatori specializzati della Polizia Scientifica Gabinetto Interregionale Puglia-Basilicata. I particolari dell’operazione “Iceberg” saranno resi noti in una conferenza stampa che si terra’ alle 11, presso la Procura della Repubblica di Potenza, alla presenza del Procuratore distrettuale, Francesco Curcio.

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Stalking: condannata ex assistente universitaria a Caserta

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Stalking: condannata ex assistente universitaria a Caserta. Lettere diffamatorie per il professore che l’aveva estromessa e sostituta

Il giudice monocratico Giuseppe Meccariello del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere (Caserta) ha condannato a due anni di carcere un’ex assistente universitaria per i reati di stalking e diffamazione commessi nei confronti di una ricercatrice della facoltà di Giurisprudenza dell’Ateneo della Campania Luigi Vanvitelli; parte offesa, ma in un processo in corso al tribunale di Nola, è anche il docente universitario con cui l’ex assistente collaborava.

L’imputata, una 31enne di Grazzanise (Caserta), fu anche arrestata e posta ai domiciliari per questi fatti dai carabinieri nell’ottobre 2019, in seguito alle numerose denunce presentate nei suoi confronti dalla ricercatrice che, a detta della 31enne, aveva preso il suo posto all’università.

Nel processo conclusosi ieri, la ricercatrice, difesa da Dezio Ferraro, si è vista riconoscere anche il risarcimento danni che verranno liquidati in sede civile. La persecuzione del prof e della ricercatrice, secondo quanto emerso dalle indagini della Procura di Santa Maria Capua Vetere e dei carabinieri, inizio’ dopo che la 31enne aveva terminato la sua collaborazione – era assistente volontaria – presso la facolta’ di Legge della Vanvitelli; da allora – è emerso – la 31enne ha cominciato a prendersela con il prof che l’avrebbe, a suo dire, mandata via, e con la ricercatrice entrata dopo di lei.

L’imputata ha inviato varie lettere al Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Santa Maria Capua Vetere in cui diffamava pesantemente prof e ricercatrice – quest’ultima è un avvocato – alludendo ad una presunta relazione tra i due. La 31enne si presento’ anche ad un convegno dove c’erano le vittime.

La ricercatrice ha presentato cinque denunce contro la stalker, facendola arrestare e dando il via al processo conclusosi con la condanna della 31enne ex assistente.

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