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Castellammare, assolto il ras Giovannone D’Alessandro

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La Procura aveva chiesto 20 anni di carcere ma Il Tribunale di Napoli ha assolto Giovanni D’Alessandro detto Giovannone.

La decisione è arrivata stamane nello stralcio del processo Domino che si è svolta stamane davanti alla XXIV sezione dell’ufficio gip davanti al dottor Caputo.

Giovanni D’Alessandro (alias Giovannone), difeso dall’avvocato Gennaro Somma, nell’inchiesta era considerato uno dei capi e dei gestori del traffico internazionale di droga.

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Accuse che sono state smontate dalla strategia difensiva e che hanno portato alla inaspettata assoluzione di Giovanni D’Alessandro. Nell’ambito della stessa inchiesta e in una differente udienza altri esponenti della cosca di Scanzano hanno riportato pesanti condanne.

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Cronache della Campania@2015-2021


Camorra: estorsore clan Puca condannato a 4 anni

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Camorra: estorsore clan Puca condannato a 4 anni

Condannato a quattro anni per estorsione e al risarcimento danni: questa la sentenza del Gup della terza sezione del Tribunale di Napoli nei confronti di Giuseppe Gallucci, appartenente al clan Puca. Vittima del tentativo di estorsione e’ stato un imprenditore edile assistito dall’avvocato Alessandro Motta che rappresenta legalmente Sos Impresa costituitasi parte civile insieme alla parte offesa.

Lo rende noto un comunicato di SOS Impresa. I fatti risalgono a febbraio 2020. Dopo l’avvicinamento di Gallucci al cantiere dove l’impresa eseguiva lavori al complesso di case popolari nel comune di Grumo Nevano. La ditta e’ anche nella “White list” della prefettura, libera da infiltrazioni mafiose. L’imprenditore ha deciso di denunciare subito l’accaduto e ieri e’ arrivata la sentenza.

“Questa ulteriore vicenda – dichiara Luigi Cuomo, coordinatore regionale della Campania di Sos Impresa – dimostra ancora una volta che denunciare conviene. Le associazioni antiracket ci sono e sono disponibili ad aiutare le vittime, sia nella fase della denuncia che in quella successiva giudiziaria”. L’avvocato Motta sottolinea come questo sia “l’ultimo di una serie di processi in quell’area della provincia dove ci sono stati diversi casi sul fenomeno estorsivo.

La nostra esperienza ci dice che l’aspetto anomalo di questa vicenda e’ che si tratti di un appalto pubblico. In genere sono i lavori commissionati da privati: questo ci fa capire che la crisi porta a scavalcare anche alcuni paletti”. “Inoltre – aggiunge Cuomo – aiutiamo chi denuncia, ad accedere al fondo di solidarieta’ per ottenere i benefici che la legge riserva a coloro che collaborano per combattere e sconfiggere la piaga del racket e dell’usura. Noi di Sos Impresa siamo sempre disponibili attraverso i nostri contatti ad incontrare in modo riservato e sicuro tutti coloro che chiedono il nostro appoggio”.

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Omicidio Cucchi, condanna in Appello e pene più severe per i due carabinieri

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Ilaria Cuccgi e un'immagine del fratello Stefano

Roma. Condanna bis per omicidio preterintenzionale per i due carabinieri che pestarono Stefano Cucchi.

La Corte d’assise d’appello di Roma ha condannato a 13 anni di reclusione i carabinieri Alessio Di Bernardo e Raffaele D’Alessandro per omicidio preterintenzionale in relazione al pestaggio subito da Stefano Cucchi la sera del 15 ottobre del 2009 quando dopo l’arresto fu portato nella caserma della compagnia Casilina. I due militari dell’Arma, in primo grado, erano stati condannati a 12 anni di carcere. La Corte d’assise d’appello di Roma ha quindi accolto per gran parte le richieste del pg Roberto Cavallone, che aveva chiesto 13 anni per Di Bernardo e D’Alessandro, 4 anni e 6 mesi per Mandolini e l’assoluzione per Tedesco. Stefano Ccucchi mori’ il 22 ottobre 2009 all’ospedale Pertini di Roma, dove era in custodia cautelare, in seguito alle percosse subite da Di Bernardo e D’Alessandro nella camera di sicurezza della Compagnia Casilina nella notte tra il 15 e il 16 ottobre 2019, poche ore dopo il suo arresto.
Quattro anni di carcere la pena attribuita al maresciallo Roberto Mandolini (comandante della stazione Appia dove venne portato Cucchi dopo il pestaggio) per la compilazione del falso verbale di arresto del 31enne romano.

Confermata, sempre per falso, la condanna a due anni e mezzo del carabiniere Francesco Tedesco che in primo grado era stato scagionato dall’omicidio preterintenzionale.

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“Il mio pensiero va ai miei genitori e a Stefano. Mio padre e mia madre non possono esser con noi per il caro prezzo che hanno pagato in questi anni”. Così Ilaria Cucchi dopo la sentenza di condanna in appello dei carabinieri responsabili del pestaggio di Stefano Cucchi, che ha riconosciuto il reato di omicidio preterintenzionale.
L’avvocato Fabio Anselmo, legale di Ilaria, ha rivolto un pensiero di gratitudine all’ex procuratore Giuseppe Pignatone, all’attuale Michele Prestipino e al pm Giovanni Musarò: “Dopo tante umiliazioni è per merito loro che siamo qui, e anche per merito nostro. La giustizia funziona con magistrati seri, capaci e onesti. Non servono riforme”.
“La mamma di Stefano, la signora Rita Calore, ha pianto non appena ha saputo della sentenza. L’ho sentita al telefono. E’ un momento di grande commozione. Dopo 12 anni la lotta non è ancora finita. Siamo comunque pienamente soddisfatti della decisione di oggi della corte d’appello”. Lo afferma l’avvocato Stefano Maccioni, parte civile nel processo, e legale dei genitori di Stefano Cucchi, dopo la sentenza di appello.

“Pensavamo che non si potesse fare peggio della sentenza ingiusta come quella di primo grado. Oggi, con l’accoglimento di una impugnazione completamente inammissibile, abbiamo la conferma che la giustizia non guarda piu’ al dato processuale e gli imputati di questo processo hanno subito una condanna ancora piu’ grave. La nostra speranza e’ riposta nel giudice delle leggi, la Cassazione, ci rivedremo li'”. Lo ha detto l’avvocato Maria Lampitella, difensore del carabiniere Raffaele D’Alessandro, condannato a 13 anni per omicidio preterintenzionale assieme al collega Alessio Di Bernardo. Anche il difensore di quest’ultimo militare, l’avvocato Antonella De Benedictis, ha annunciato ricorso alla Suprema Corte: “Sono molto amareggiata – ha affermato la penalista -, c’e’ una perizia medica che accerta il fatto che Cucchi sia morto in conseguenza dell’ostruzione di un catetere, ritengo che l’omicidio preterintenzionale non sia giusto”. “Prima di commentare una sentenza bisogna leggere le motivazioni, vedremo su quali basi sono state escluse le attenuanti generiche nei confronti dei carabinieri imputati”, ha aggiunto l’avvocato Giosue’ Bruno Naso, difensore del maresciallo Roberto Mandolini, condannato per falso.

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Cronache della Campania@2015-2021

Messaggi choc di Arianna prima del suicidio, i giudici: “L’ex la portò alla disperazione”

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Napoli. Una disperazione indotta dai continui maltrattamenti, dalle vessazioni e dai tentativi di estorsione: così Arianna Flagiello si lanciò nel vuoto, sei anni fa.

Il suicidio della 33enne, deceduta il 19 agosto del 2015 dopo essersi lanciata nel vuoto dalla propria abitazione nel quartiere Vomero di Napoli, e’ frutto delle “condotte di maltrattamento” e non e’ “attribuibile a una causa autonoma…” un gesto “…in concreto prevedibile”. Lo sostiene nelle motivazioni depositate in questi giorni la Corte di Appello di Napoli (V sezione penale, presidente Rosa Romano) che lo scorso 29 marzo ha condannato a 19 anni di carcere Mario Perrotta, l’ex fidanzato di Arianna la quale si e’ tolta la vita, secondo i giudici di secondo grado, a causa della “intollerabile disperazione conseguita alle condotte maltrattanti del compagno”.

Secondo la Corte di Appello di Napoli Perrotta era pienamente consapevole “della condizione di estrema fragilita’ e di vero terrore in cui aveva ridotto Arianna con le condotte gravemente maltrattanti di cui l’aveva fatta oggetto…”, portate avanti “…con assoluta insensibilita’, anche nell’ultimo giorno di vita della compagna… anche a fronte del disperato invito di lei a smetterla altrimenti si sarebbe tolta la vita”.

Nelle motivazioni, oltre alle testimonianze di alcuni amici che parlano di uno stato di assoggettamento da parte di Arianna nei confronti di Mario, di un rapporto “malsano”, viene incluso anche un messaggio risalente al 17 agosto 2015, inviato dalla vittima all’ex (“vita mia… ti supplico, no… ti prego… amo’ (amore, ndr) sto tremando e non riesco ad accucchiare (a mettere insieme, ndr) nulla… ti prego…”). Perrotta e’ stato ritenuto colpevole di istigazione al suicidio e maltrattamenti, con l’aggravante della morte, e di tentata estorsione. In primo grado Perrotta era stato condannato a 22 anni di reclusione.

Perrotta, come è emerso dalle indagini, vessava da tempo Arianna e la obbligava a dargli continuamente denaro che poi regalava ai propri familiari. In primo grado Perrotta, difeso dagli avvocati Sergio Pisani e Vanni Cerino, era stato condannato a 22 anni e arrestato in aula, salvo poi essere scarcerato dal Riesame nelle settimane successive.

Nel processo di Appello, il sostituto procuratore generale Giovanni Cilenti aveva chiesto 24 anni di carcere dopo aver ricostruito, nella requisitoria, i rapporti tra Mario Perrotta e Arianna Flagiello, e avere letto i messaggi pieni di violenza che l’uomo le mandava, estrapolati dal telefono della vittima. 

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Cronache della Campania@2015-2021

Milioni di dollari dai conti di Gelli per finanziare la strage di Bologna

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Bologna. La strage di Bologna fu finanziata con i soldi che Licio Gelli sottrasse al Banco Ambrosiano di Roberto Calvi.

In aula, nel processo che si sta celebrando a Bologna, è stato ricostruito il flusso finanziario che fu utilizzato dal ‘venerabile’ della P2 per pagare i terroristi neri che misero in atto l’attentato del 2 agosto del 1980 a Bologna nel quale morirono 85 persone.

Quindici milioni di dollari sottratti dal Banco Ambrosiano di Roberto Calvi e transitati sui conti di Licio Gelli, del suo prestanome e cassiere Marco Ceruti, e di Umberto Ortolani, furono utilizzati, in parte, per finanziare la strage. E’ questa la tesi della Procura generale di Bologna, impegnata nel nuovo processo sulla strage alla stazione, che oggi in aula ha analizzato, tramite la testimonianza del capitano della guardia di finanza, Cataldo Sgarangella, il flusso di denaro pari a circa 15 milioni di dollari documentati dal cosiddetto ‘Appunto Bologna’, trovato nel portafoglio di Gelli al momento del suo arresto a Ginevra nel settembre del 1982.

L’operazione finanziaria, emersa dalla testimonianza di oggi, fu suddivisa in tre tranche, a partire dal febbraio del 1979. Una prima parte di 9,6 milioni di dollari transito’ su due conti correnti, denominati ‘Tortuga’ e ‘Bukada’, accesi all’Ubs di Ginevra, e formalmente intestati a Marco Ceruti. Poi altri 3,5 milioni di dollari furono incassati da Gelli e Ortolani a titolo di provvigione. E infine 1,9 milioni di dollari trattenuti da Gelli e depositati in una filiale dell’Ubs di Ginevra sul conto corrente 525779 X.S. – menzionato sul frontespizio dell’Appunto Bologna – per recuperare somme anticipate dal ‘Venerabile’ prima della distrazione dei 15 milioni.

Confrontando le somme riportate nell’Appunto Bologna, con altri due documenti sequestrati il 17 marzo del 1981 a Castiglion Fibocchi, in provincia di Arezzo, nella villa di Gelli, gli investigatori hanno dedotto che da una parte del denaro – circa cinque milioni di dollari – venne preso il milione di dollari che, secondo gli inquirenti, fu consegnato da Gelli a Ceruti tra il 20 e 30 luglio 1980 e poi fini’ agli attentatori.

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Nell’Appunto Bologna, per i Pg, sono riportate anche le cifre di 850mila dollari che andarono poi a Federico Umberto D’Amato (indicato come ‘Zaff’), ex capo dell’Ufficio Affari riservati del Viminale, e altri 20mila dollari al direttore del ‘Il Borghese’ e parlamentare dell’Msi Mario Tedeschi, considerati entrambi dagli inquirenti tra i mandanti, finanziatori e organizzatori della strage, insieme a Gelli e Ortolani. Tutti e quattro sono stati indagati, ma ovviamente non sono processabili perche’ deceduti.

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Fatture false, chiesto il processo per i genitori e la sorella di Matteo Renzi

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False fatturazioni per evadere le imposte: la Procura di Firenze chiede il processo per i genitori e la sorella del leader di Italia Viva Matteo Renzi.

Le accuse contestate a Tiziano Renzi, a Laura Bovoli e Matilde Renzi sono dichiarazione fraudolenta con uso di fatture per operazioni parzialmente inesistenti e dichiarazione infedele dei redditi.

Sono vicende legate alla società di famiglia Eventi 6 srl di Rignano sull’Arno. Per Tiziano Renzi viene chiesto il processo come amministratore di fatto, per la moglie Laura Bovoli come legale rappresentante della societa’. Matilde Renzi invece e’ coinvolta come legale rappresentante di Eventi 6 per l’anno 2018. L’udienza preliminare davanti al giudice si terrà il 20 maggio. Questo nuovo filone di indagine scaturisce da precedenti inchieste degli stessi pm fiorentini sulle società dei coniugi Renzi.

Ai tre congiunti Renzi la Procura contesta, in concorso tra di loro l’articolo 2 del decreto legislativo n. 74/2000 che punisce chi “al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, avvalendosi di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, indica in una delle dichiarazioni relative a dette imposte elementi passivi fittizi”. E’ contestato anche l’articolo 4 dello stesso decreto legislativo n. 74/2000 sui reati tributari che punisce chi “al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto indica in una delle dichiarazioni annuali relative a dette imposte elementi attivi per un ammontare inferiore a quello effettivo od elementi passivi inesistenti”.

Secondo la procura, come si legge nella richiesta di rinvio a giudizio, “al fine di evadere le imposte su redditi e sul valore aggiunto”, avvalendosi di una serie di “fatture per operazioni oggettivamente in parte inesistenti”, indicavano nella dichiarazione relativa alla srl Eventi 6 per il periodo di imposta del 2017 “elementi passivi fittizi” per gli importi corrispondenti alle fatture contestate. Per i pubblici ministeri, nella dichiarazione relativa alla Eventi 6 per il periodo di imposta 2017 sarebbero stati indicati “elementi passivi fittizi per euro 986.715,00; imposta evasa euro 216.588,78”. Sarebbero così stato accertato dagli inquirenti “un ammontare complessivo degli elementi attivi sottratti all’imposizione, mediante indicazione di elementi passivi inesistenti superiore al 10% dell’ammontare complessivo degli elementi attivi indicati in dichiarazione (29,75%)”.

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Operazione Zeus: Testa unico assolto, l’ Antimafia aveva chiesto la condanna a 7 anni

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Si è tenuta dinanzi al Gup di Napoli, Anna De Bellis, il processo a carico di Giovanni Testa, di Montesarchio, che era imputato di estorsione aggravata dal metodo mafioso.

Testa era stato coinvolto nel blitz del scorso luglio, che nasceva dall’operazione denominata “ Zeus”. Il sistema accusatorio era sostenuta da intercettazioni ambientali e telefoniche, dalle dichiarazioni accusatorie di diversi testimoni ed era stato rafforzato dalle ammissioni di responsabilità di diversi imputati, che hanno deciso di collaborare con la giustizia.

Nonostante ciò a seguito dell’ udienza il GUP, accogliendo le tesi dell’avvocato Vittorio Fucci jr, ha assolto in formula piena il Testa, in totale contrapposizione alla DDA (Procura Amtimafia) che aveva chiesto la condanna a 7 anni di carcere. Il risultato è di notevole importanza in ragione del fatto che il Testa risulta l’unico assolto tra i 9 imputati che furono sottoposti a misura cautelare, il Testa in particolare era stato sottoposto alla misura del divieto di dimora in Campania (poi annullato dal Gip sulla base dell’istanza dell’avvocato Vittorio Fucci jr).

Testa aveva già ottenuto anche l’ annullamento dell’ordinanza dal Riesame, che aveva accolto in pieno le tesi dell’avvocato Vittorio Fucci jr. Il Testa è personaggio noto alle cronache e risulta imputato in diversi altri processi ed in particolare è stato coinvolto in un altro blitz riguardante un ‘ organizzazione criminale finalizzata al traffico e allo spaccio di droga in tutta la Campania, con base a Terzigno in provincia di Napoli.

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Minaccia di morte la ex 17enne e picchia il padre: in cella 20enne

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Macerata Campania. Minacce di morte all’ex fidanzata 17enne e botte al padre di lei con una mazza da baseball: finisce in cella un ragazzo di 20 anni.

I Carabinieri della stazione di Macerata Campania hanno eseguito nei confronti di un 20enne, in provincia di Caserta, un’ordinanza applicativa della custodia cautelare in carcere emessa dal gip del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, su richiesta della Procura sammaritana, per i reati di atti persecutori, minaccia aggravata, danneggiamento, violenza privata e lesioni personali aggravate. Le indagini hanno consentito di accertare numerosi episodi messi in atto dal 20enne, a partire dal mese di luglio 2020, e di condotte moleste, lesive e intimidatorie ai danni della ragazza minorenne e anche dei suoi familiari. Alla base delle persecuzioni la gelosia e il rifiuto di accettare la fine della loro relazione sentimentale.

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Il 20enne perseguitava la minore, appostandosi sistematicamente nei pressi della sua abitazione e davanti alla sua scuola, danneggiando la finestra della casa e la porta d’accesso, minacciando ripetutamente la ragazza di ucciderla, giungendo persino ad intimidire i familiari della ragazza. Una escalation violenta che è culminata nell’aggressione ai danni del padre della ragazza che, lo scorso 23 aprile, è stato raggiunto alla guida della propria auto, costretto a scendere dalla stessa dopo un intenzionale tamponamento e poi colpito ripetutamente al capo con una mazza da baseball.

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Amianto nelle fondamenta, scatta il sequestro per il complesso ‘Antichi funari’

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Marcianise. Amianto nelle fondamenta del complesso residenziale: scatta il sequestro della Procura.

La Polizia di Stato di Caserta ha eseguito un decreto di sequestro preventivo, emesso dalla Procura di Santa Maria Capua Vetere, nei confronti del complesso residenziale “Antichi Funari”, sito nel comune di Marcianise. Il provvedimento è stato emesso a seguito di alcune verifiche tecniche che hanno interessato l’area cantiere. Specifici approfondimenti sulle fondamenta dello stabile, eseguiti mediante analisi con georadar, carotaggi e altre tecniche specialistiche d’indagine, hanno permesso di rilevare che nelle vasche di fondazione dell’immobile era stato interrato dell’amianto con conseguente compromissione del terreno circostante.

Gli approfondimenti tecnici erano stati disposti poiché, nel corso di una pregressa attività investigativa ad esito alla quale era già stato ordinato il sequestro preventivo dell’area per possibili abusi edilizi, erano state raccolte fonti di prova circa il fatto che, nelle fondamenta dello stabile, fossero stati internati illegalmente rifiuti, anche pericolosi.

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Parallelamente al sequestro del complesso residenziale, sono state eseguite perquisizioni in locali, sedi e depositi riconducibili alla ditta esecutrice dei lavori, nel corso delle quali è stata trovata e sequestrata diversa documentazione ritenuta utile ai fini delle indagini, nonché un terreno adibito a deposito dove erano stati ammassati indiscriminatamente importanti quantitativi di rifiuti speciali.

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Gasolio di contrabbando tra Campania, Toscana e Liguria: cinque indagati

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“Contrabbando aggravato” di prodotti petroliferi e’ il principale capo di imputazione di cinque soggetti, a seguito del quale i funzionari del Reparto Antifrode dell’Ufficio delle Dogane e i militari del Gruppo della Guardia di Finanza di La Spezia hanno sequestrato preventivamente immobili e disponibilita’ finanziarie per oltre 240.000 euro; un importo pari all’illecito profitto derivante dall’evasione delle accise e dell’imposta sul valore aggiunto. Le indagini, iniziate nel 2019, hanno consentito di porre sotto sequestro 244.000 litri di gasolio, di individuare un totale di 24 spedizioni tra importazioni e transiti in contrabbando aggravato (per un totale di 64 containers) e accertare l’evasione di maggiori diritti di confine per oltre 243.000 euro. Le attivita’ illecite si sono sviluppate tra Bologna, Parma, Genova, Livorno, Lucca, Pisa, Teramo, Napoli e Caserta. L’intervento congiunto di ADM e della Guardia di Finanza ha consentito attraverso perquisizioni e acquisizioni documentali, di smascherare l’attivita’ fraudolenta e di individuare i responsabili nonche’ le societa’ fittiziamente interposte o appositamente costituite in Repubblica Ceca e Venezuela e intestate a prestanome.

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L’indagine ha consentito di ricostruire con schiaccianti elementi probatori l’attivita’ illecita che ha prodotto sanzioni complessive per oltre 4 milioni di euro tra diritti doganali e di accise. Fondamentale l’apporto fornito dai Laboratori Chimici di ADM che hanno accertato che il prodotto dichiarato come “sgrassante” era in realta’ gasolio, ne e’ derivato un primo sequestro, operato nel porto di La Spezia, di un carico di oltre 40.000 litri di gasolio proveniente dal Venezuela e stivato in flexitank (all’interno di due containers).

In altri otto containers sono stati individuati ulteriori 200.000 litri di gasolio con le medesime caratteristiche. Nelle more del procedimento finalizzato alla confisca, il gasolio sequestrato e’ stato assegnato in custodia giudiziale con facolta’ d’uso, per finalita’ addestrative, al Comando dei Vigili del Fuoco della Regione Toscana.

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Intasca risarcimento destinato alla vittima: a processo

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Napoli. Intasca il premio assicurativo della vittima: a giudizio un 39enne di Villaricca.

Il Gup del Tribunale di Napoli Nord Antonino Santoro ha rinviato a giudizio per riciclaggio il 39enne Domenico Capriello di Villaricca, accusato di aver intascato i quasi 15mila euro liquidati da una vompagnia assicurativa a favore di una donna di 44 anni residente a Casapesenna, nel Casertano, vittima di un incidente stradale avvenuto nel lontano 2007.

Nella vicenda e’ coinvolto anche l’avvocato civilista cui la donna si era rivolta dopo l’incidente, accusato del reato di appropriazione indebita, che nel frattempo si è pero’ prescritto. Dalle indagini della Procura di Napoli Nord (sostituto Giovanni Corona), è emerso che la compagnia versò nel 2010 i circa 15mila euro (14550 euro) di risarcimento al legale della 44enne; il professionista non accredito’ pero’ la somma alla cliente, appropriandosene e girandola poi all’intermediario, Capriello appunto, che aveva fatto incontrare l’avvocato con la donna.

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Quest’ultima chiese più volte al legale di ridarle i soldi, ma senza esito, e cosi’ denuncio’ – era il 2014 – sia l’avvocato che l’intermediario; le indagini sono state complesse, e nel frattempo le condotte per il legale sono andate in prescrizione. Il Gup, su richiesta della Procura, ha così rinviato a giudizio il solo Capriello, che dovrà comparire nel processo davanti alla prima sezione penale, collegio B, il 2 novembre 2021. La donna è stata assistita dall’avvocato Francesco Caracciolo.

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Gragnano, 30enne in coma dopo la mastoplastica: indagati 6 medici

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Sei medici di una clinica di Caserta indagati dopo che una ragazza è finita in coma in seguito ad un intervento di mastoplastica.

La 30enne di Gragnano Felicia Vitiello, si era risvegliata dal coma un mese fa, ringraziando Padre Pio per la sua intercessione. E ora sei medici-come anticipa Il Mattino- sono indagati a piede libero perché lo scorso 19 febbraio altri 7 pazienti avrebbero subito conseguenze dopo interventi chirurgici.

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Secondo gli inquirenti, il problema sarebbe emerso nel momento della somministrazione di un anestetico forse scaduto o difettoso. Tornando alla vicenda di Felicia Vitiello, la 30enne di Gragnano fu sottoposta aduna operazione più lunga e che richiedeva una maggiore dose di anestetico. La giovane si risvegliò dopo l’intervento di mastoplastica e accusò immediatamente un malore.

Felicia fu ricoverata in terapia intensiva, in stato di coma. Dagli esami clinici emerse che la 30enne era stata colpita da un’infezione batterica multiorgano, ritrovandosi così in pericolo di vita. La situazione sembrava disperata quando la giovane mamma di Gragnano si è risvegliata, ringraziando Padre Pio.

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Clan Sparandeo estorsioni e droga: 10 condanne pei più di 60 anni di carcere

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Clan Sparandeo estorsioni e droga: 10 condanne pei più di 60 anni di carcere

Benevento. Tutte condannate con rito abbreviato, dal gup del Tribunale di Napoli, Lucia De Micco, le dieci persone che hanno scelto il rito abbreviato dopo essere state chiamate in causa dall’indagine della Mobile avviata dal sostituto procuratore Assunta Tillo, e poi trasmessa per competenza alla Dda, sul clan Sparandeo.

Si tratta dell’inchiesta che nel gennaio del 2020 era sfociata nell’esecuzione di una ordinanza di custodia cautelare nella quale erano state contestate, a vario titolo, le accuse di associazione di stampo camorristico, associazione per delinquere finalizzata allo spaccio di stupefacenti, estorsione.

Queste, in particolare, le condanne: 10 anni a Corrado Sparandeo, 64 anni; 8 anni a Carmine Morelli, 61 anni, di Benevento; 5 anni e 4 mesi a Carmine Longobardo, 46 anni, di Cisterna; 7 anni e 4 mesi a Vincenzo Poccetti, 47 anni, 6 anni e 8 mesi a Gabriele De Luca, 32 anni, 5 anni e 4 mesi a Luigi Coviello, 47 anni, di Benevento; 5 anni e 4 mesi a Stanislao Sparandeo, 42 anni, 6 anni e 8 mesi ad Arturo Sparandeo, 38 anni; 5 anni e 4 mesi a Luigi Giannini, 48 anni, di Pomigliano d’Arco, e Vincenzo Mari, 46 anni, di Benevento.

Il giudice ha assolto Stanislao Sparandeo, Coviello, De Luca e Mari dall’addebito di associazione per delinquere di stampo camorristico e da quello di associazione finalizzata allo spaccio di stupefacenti Arturo e Corrado Sparandeo, De Luca, Poccetti e Morelli.

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Napoli, la procura vuole il processo immediato per l’assassino di Ornella Pinto

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La Procura di Napoli vuole il processo immediato per Giuseppe Pinotto Iacomino, il 43enne di Ercolano che la notte del 13 marzo scorso ucciso a coltellate la sua ex compagna di 39 anni, la maestra Ornella Pinto davanti al figlio di 4 anni.

Il Raffaello Falcone, titolare delle indagini sulle cosiddette fasce deboli, ritiene sufficienti ai fini accusatori sia la confessione dell’uomo sia la confessione del ragazzino secondo il quale “papà ha ucciso la mamma e poi ha rotto la casa”.

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Per la Procura si tratta di omicidio premeditato: non c’è bisogna di passare attraverso l’udienza preliminare ma andare direttamente in aula per stabilire la condanna. Ornella Pinto, non sarebbe stata ammazzata dopo una lite violenta ma nel sonno o comunque a sangue freddo.

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Camorra e voto di scambio a Caserta: chieste 11 condanne

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Il pm della Dda di Napoli Luigi Landolfi ha chiesto 10 anni di carcere per l’ex vicesindaco di Caserta Pasquale Corvino e per Pasquale Carbone, ex sindaco di San Marcellino (Caserta).

I due sono imputati per voto di scambio con l’aggravante mafiosa. L’inchiesta e’ sulle elezioni regionali del 2015 in Campania.

Si è tenuta questa mattina la requisitoria del processo per il racket dei manifesti elettorali durante la tornata per le Regionali del 2015. Il pm ha chiesto pene molto dure anche per gli indagati eccellenti: sono stati invocati 10 anni per l’ex vicesindaco di Caserta ed ex patron della Casertana, Pasquale Corvino e per l’ex sindaco di San Marcellino, Pasquale Carbone; 24 anni per Agostino Capone, fratello del boss Giovanni; 12 anni per Mariagrazia Semonella, titolare della Clean Service; 18 anni per Antonio Zarrillo di Capodrise; 8 anni per Roberto Novelli di Caserta; 4 anni per Paolo Cinotti di Caserta; 3 anni per Silvana D’Addio di Caserta; 2 anni per Pasquale Valerio Rivetti di Maddaloni; 2 anni per Gianfranco Rondinone di Caserta, e 2 anni per Francesco Alberto Spaziante di Caserta.

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Il processo e’ nato da un’indagine della Dda di Napoli che il 5 febbraio del 2019 porto’ a 19 arresti, da parte dei carabinieri della Compagnia di Caserta, per voto di scambio politico-mafioso, associazione mafiosa, estorsione, detenzione e spaccio di sostanze stupefacenti. I due imputati erano candidati nel partito ‘Nuovo Centrodestra – Campania Libera’ e avrebbe acquistato pacchetti di voti pagando gli esponenti dei Belforte. Carbone, secondo quanto ricostruito dall’accusa, avrebbe versato all’esponente del clan Antonio Merola, 7.000 euro per 100 voti, ottenendo alla fine solo 87 voti. Corvino avrebbe promesso ad Agostino Capone la somma di 3.000 euro oltre a buoni spesa e carburante.

 

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Gragnano, la Finanza indaga sui lavori pubblici e sui permessi a costruire

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covid comune gragnano

C’è aria di preoccupazione tra le forze politiche di Gragnano. Soprattutto quelle di maggioranza.

L’altra mattina il nucleo investigativo della Guardia di Finanza di Castellammare ha fatto visita agli uffici di via Vittorio Veneto e per alcune ore ha passato al setaccio una serie di documenti. La visita è durata tutta la mattinata e ha riguardato tutti i documenti, le delibere  e gli incarichi sui lavori pubblici e sui permessi a costruire. Decine e decine di pagine sono state fotocopiate e portate via insieme con tutti i nominativi dei componenti delle varie commissioni consiliari che si interessano della materia.

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Il clima tra le forze politiche non è dei migliori dopo la visita sicuramente poco gradite. All’origine della quale vi sono una serie di denunce arrivate in questi mesi alla Procura di Torre Annunziata che ha aperto un fascicolo d’inchiesta, al momento senza nomi, e per questo che ha delegato la Guardia di Finanza di svolgere tutti gli accertamenti. L’inchiesta è appena agli inizi ma promette importanti sviluppi.

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Uccise e fece a pezzi attivista Lgtb, ergastolo definitivo per Ciro Guarente

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Uccise e fece a pezzi il 25enne Vincenzo Ruggiero: condanna definitiva all’ergastolo per Ciro Guarente.

La Corte di Cassazione ha confermato la condanna inflitta in primo e secondo grado all’ex marinaio 39enne che nel luglio del 2017 uccise il ragazzo di Parete e seppellì i resti a Ponticelli.

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l giovane, attivo nel mondo della determinazione dei diritti delle persone omosessuali, venne ucciso a colpi di pistola da Guarente e poi fatto a pezzi. Il cadavere così ridotto fu nascosto in autolavaggio del quartiere napoletano di Ponticelli, e trovato sotto un massetto di cemento nel punto dove solitamente c’era il cane da guardia.
Il movente delineato dagli inquirenti e confermato dalle sentenze era quello della gelosia nei confronti della sua ex compagna trans Heven Grimaldi che da qualche tempo conviveva con Ruggiero.

Il delitto, cruento, avvenne la sera del 7 luglio 2017; Guarente si presentò ad Aversa a casa di un’amica trans di Ciro Ruggiero, Heven Grimaldi, ex compagna dell’assassino che all’epoca ospitava Vincenzo.

Ciro Guarente uccise Ruggiero quindi lo avvolse in un tappeto, lo fece a pezzi, lo cosparse di acido muriatico e cemento e nascose le parti in un autolavaggio a Ponticelli.

Dopo i primi due gradi di giudizio, anche la Cassazione ha confermato la condanna all’ergastolo per l’agghiacciante omicidio.

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Giudice del Tribunale di Ischia indagato trasferito a Santa Maria

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Giudice del Tribunale di Ischia indagato trasferito a Santa Maria

Sara’ trasferito al tribunale di Santa Maria Capua Vetere Eugenio Polcari, il giudice e coordinatore del Tribunale di Ischia per il quale la prima sezione del Csm aveva chiesto il trasferimento ad altra sede per incompatibilita’. Polcari e’ iscritto nel registro degli indagati della Procura di Roma per il reato di abuso di ufficio, indagine scaturita da un esposto firmato da un geometra ischitano in cui venivano rappresentati una serie di comportamenti e di rapporti particolari, a giudizio del denunciante, tenuti dal magistrato nella sua vita privata e professionale.

Il trasferimento al tribunale di Santa Maria Capua Vetere e’ stato richiesto dello stesso Polcari a seguito dell’avvio del procedimento per incompatibilita’ a suo carico ed e’ stato deliberato dopo il parere contrario della prima sezione del CSM al trasferimento al tribunale di Napoli, che non avrebbe eliminato l’incompatibilita’ del magistrato. Con questa decisione, approvata mercoledi’ scorso dal plenum del Consiglio Superiore della Magistratura, la proposta di trasferimento per incompatibilita’ all’ordine del giorno nella seduta di dopodomani sara’ quindi archiviata per l’avvenuto trasferimento ‘in prevenzione’,

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Omicidio Lubrano: 4 arresti dopo 19 anni nei Casalesi

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Cold Case di camorra nel Casertano: dopo 19 anni arriva una nuova ordinanza per il boss Michele Zagaria e tre affiliati.

Nella mattinata odierna, presso le Case Circondariali di Sassari, Tolmezzo e Viterbo i Carabinieri del Nucleo Investigativo di Caserta hanno eseguito un’ordinanza di custodia cautelare, emessa dal Tribunale del Riesame di Napoli, a seguito di ricorso della Direzione Distrettuale Antimafia partenopea, nei confronti di 4 persone gravemente indiziati, a vario titolo, di associazione di tipo mafioso (Clan dei casalesi-fazione Zagaria) e dell’omicidio di Raffaele Lubrano classe 1959 alias “ lello”, figlio del capo clan Vincenzo, consumato a Pignataro Maggiore.

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La sera del 14 novembre 2002 la vittima, dopo aver lasciato il suo studio di via Vittorio Veneto, mentre percorreva la citata strada a bordo di una Toyota Land Cruiser, diretta verso la zona periferica, veniva dapprima superata da un’Alfa Romeo 164 e poi bloccata nei pressi del Bar Giordano, dove i Killer iniziavano ad esplodere diversi colpi d’arma da fuoco. Il Lubrano, nel disperato tentativo di scampare all’agguato, riusciva ad invertire la marcia, tentando la fuga in direzione del centro abitato. Il commando omicida, quindi, si poneva all’inseguimento esplodendo numerosi colpi lungo l’intero tragitto fino alla via Latina, ove i killer raggiungevano e finivano il Lubrano che, nel frattempo, dopo aver urtato con il suo fuoristrada il muro di un’abitazione, aveva tentato una disperata la fuga a piedi. Portato a termine l’efferato delitto, gli autori si dileguavano in direzione di Pastorano, abbandonando l’Alfa Romeo 164, risultata rubata ad Aversa il 12 novembre 2002, in località Arianova ove veniva successivamente rinvenuta bruciata con all’interno le armi poco prima utilizzate.

Le indagini hanno consentito di accertare come l’omicidio in questione nacque a seguito delle mire espansionistiche del clan dei casalesi su una porzione di territorio ove agiva un sodalizio criminale autoctono, il clan Lubrano-Ligato-Abbate. Ciò, nel corso del tempo, aveva determinato spesso frizioni, seguite da tregue strategiche, al culmine delle quali il vertice camorristico di Casal di Principe era prevalso, dettando le proprie regole, imponendo la presenza di loro luogotenenti e costringendo “i paesani” ad accontentarsi della gestione di attività delittuose di minore rilevanza e fruttuosità.

I provvedimenti restrittivi costituiscono l’epilogo di una articolata attività investigativa coordinata dalla Procura della Repubblica di Napoli – Direzione Distrettuale Antimafia, avviata nell’anno 2019 che ha consentito di accertare il coinvolgimento dei sottonotati soggetti, esponenti di primissimo piano del clan dei casalesi, ritenuti responsabili, a vario titolo, dell’omicidio in questione:

ZAGARIA Michele, nato a San Cipriano d’ Aversa (CE) il 21/05/1958 e CATERINO Giuseppe, nato a San Cipriano d’Aversa (CE) il 19.01.1954, rispettivamente detenuti presso le case circondariali di Sassari e Viterbo, quali mandanti;

NOBIS Salvatore, nato a San Cipriano d’Aversa (CE) il 10.11.1959 e SANTAMARIA Antonio nato a Cancello ed Arnone (CE) il 29.12.1975, rispettivamente detenuti presso le case circondariali di Tolmezzo e Viterbo, hanno avuto un ruolo da basisti con il compito di seguire la vittima durante i suoi spostamenti (cd. specchiettisti).

Nell’ambito della medesima attività investigativa, nell’anno 2020, è stato emesso analogo provvedimento restrittivo a carico di altro sodale: Francesco Schiavone classe 1953, alias “Cicciariello”, omonimo e cugino del capo clan Francesco Schiavone, alias “Sandokan”.

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Napoli, il pentito Ferraiuolo: “I Servizi Segreti chiesero un accordo con i clan di Forcella”

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Dopo il patto Stato-Mafia ci sarebbe stato un tentativo di un accordo con i clan della camorra e in particolare con quelli di Forcella da parte dei Servizi segreti.

Lo sostiene Maurizio Ferraiuolo, pentito, e nipote dell’ex boss Raffaele Stolder, specialista in rapine della banda del buco e uno tra i grandi conoscitori del sottosuolo di Napoli. I servizi segreti avrebbero contattato la camorra, in particolare Raffaele Stolder, ex capo dell’ormai estinto omonimo clan legato a quello del boss Giuliano, per chiedergli di “tenere il territorio del centro di Napoli di sua pertinenza sotto controllo, gestendo tutte le attivita’ illecite senza fare morti e feriti…”. Le dichiarazioni di Ferraiuolo davanti a un sostituto procuratore napoletano nel corso di un interrogatorio sostenuto in carcere il 12 luglio 2013. I fatti che riferisce risalgono al 2007, nel periodo immediatamente successivo alla scarcerazione di Stolder.

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L’arresto di Maurizio Ferraiuolo, che era alla guida dell’omonimo clan napoletano della “Maddalena”, risale al 14 giugno 2012 dopo una spericolata fuga sui tetti in un appartamento di Casoria dove si era nascosto.

Secondo il racconto dell’ex boss pentito, lo zio Raffaele Stolder venne letteralmente prelevato dai servizi segreti e portato in un ristorante sul mare, a Salerno, per proporgli “una sorta di accordo” nel corso di un summit. Si tratta di informazioni che Ferraiuolo riferisce di avere appreso “de relato” da altre persone di sua conoscenza: “…i menzionati rappresentanti dello Stato volevano evitare i morti dovuti alle schegge impazzite (elementi della criminalita’ fuori controllo) e, dunque, avevano individuato – spiega il collaboratore di giustizia – in mio zio, vecchio capo camorra storico, il referente affinche’ tenesse tutto sotto controllo”. “Mi risulta – ha raccontato Ferraiuolo al pm – che tale proposta fu fatta anche a Peppe Missi (ex boss del rione Sanita’  anche lui da anni collaboratore di giustizia). L’ex boss del rione Sanita’ e’ stato coinvolto nella strage del treno rapido 904, che nel dicembre del 1984 costo’ la vita a 16 persone e sulla quale ancora oggi ci sono dubbi e ombre.

Anche questa circostanza viene rivelata “de relato” da Maurizio Ferraiuolo: “…Salvatore Marotta e’ una fonte piu’ che qualificata – sottolinea il collaboratore di giustizia rispondendo agli inquirenti – dal momento che faceva parte del gruppo familiare che faceva la ‘scorta’ a mio zio Raffaele Stolder quando usci’ dal carcere…”. Stolder, pero’, disse ai suoi interlocutori di non essere in grado di poter fare fronte alle richieste: “Mi risulta, personalmente – riferisce Ferraiuolo – che mio zio Raffaele Stolder abbia rifiutato ogni patto e ogni collaborazione con i servizi di sicurezza, e che abbia risposto che ormai, dopo tanti anni di carcere, non era piu’ il capo camorra e che voleva riprendere a fare il ladro come faceva da ragazzo…”.

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