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Scafati, ‘Graziata’ Lady Cocaina, per Teresa Cannavacciuolo: solo 4 anni di carcere

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È ritornata in aula la Lady cocaina di Scafati, Teresa Cannavacciuolo, per essere giudicata col rito abbreviato dinanzi al giudice del tribunale di Torre Annunziata. La trentenne scafatese ha evitato una severa condanna visti gli innumerevoli precedenti penali specifici che aveva nel suo curriculum. I militari le avevano trovato cocaina crack pronta in dosi e altra droga ancora in lavorazione ma niente consegne a domicilio o in strada, lady pusher, Teresa Cannavacciuolo lavorava in casa. I carabinieri di Scafati avevano bussato alla sua porta alla periferia di Pompei e l’avevano arrestata in flagranza.
Il Pubblico Ministero aveva chiesto la custodia cautelare in carcere nella fase iniziale del processo ed aveva invocato una condanna esemplare di cinque anni.
Secondo il PM la lady cocaina andava fermata. Il Giudice accogliendo le richieste del difensore della donna, l’avvocato Gennaro De Gennaro aveva mandato agli arresti domiciliari lady cocaina nella fase iniziale della procedura sebbene il grosso quantitativo di droga e le prove di una fiorente attività di spaccio. Dopo la discussione delle parti ha applicato la minima condanna di 4 anni. È stato così neutralizzato l’aumento per la recidiva, con la donna che potrà scontare la condanna ai domiciliari. La pregiudicata risulta essere famosa alle cronache giudiziarie non solo per lo spaccio ma anche per il violento attentato subito al suo bar, il “my love” di Scafati. La Lady crack scafatese era stata arrestata più volte, in rapida successione, per aver venduto oltre 100 grammi di cocaina sul finire dell’anno 2016. Ed anche in quella occasione fu miracolosamente graziata. Anche questa volta il giudice l’ha “graziata”, concedendole i domiciliari ed una minima condanna per 38 grammi di cocaina crack sebbene fosse la regina indiscussa dello spaccio.

Cronache della Campania@2020


Camorra, confiscato l’impero di 100 milioni di euro del re del calcestruzzo legato ai Casalesi. IL VIDEO

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La DIA di Napoli ha notificato il decreto di confisca definitiva, emesso dalla Sezione Misure di Prevenzione del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere (CE), nei confronti di Alfonso Letizia (classe 1945), imprenditore attivo in particolare nel settore della produzione e della vendita del calcestruzzo.
Le indagini svolte dalla DIA hanno consentito non solo di ricostruire il suo reale assetto patrimoniale, ma anche di delineare la sua “pericolosità qualificata”, derivante dai rapporti emersi con il clan dei casalesi, fazione “Schiavone”, nel delicato e strategico settore della produzione e fornitura del calcestruzzo.
Nella relativa inchiesta giudiziaria, infatti, per la quale Alfonso Letizia era stato arrestato dalla DIA nel 2011 – operazione “Il Principe e la (scheda) ballerina” – su richiesta della Direzione Distrettuale Antimafia di Napoli, erano emersi gli intrecci illeciti del ceto politico di Casal di Principe con l’ala militare e imprenditoriale del clan dei casalesi, fazioni “Schiavone” e “Bidognetti”, che si concretizzavano attraverso l’appoggio ai candidati indicati dall’organizzazione in occasione di consultazioni elettorali, in cambio dei successivi benefici economici garantiti dall’aggiudicazione di appalti, di assunzioni di personale compiacente, nonché di apertura di centri commerciali.
Nel contesto descritto, il LETIZIA era considerato il riferimento della famiglia “Schiavone”, poiché metteva stabilmente a disposizione dell’organizzazione i propri impianti di produzione del calcestruzzo e le proprie strutture societarie ottenendo, di contro, l’ingresso nel cartello delle aziende oligopoliste che l’associazione imponeva sui cantieri presenti nel mercato casertano.
I decreti di sequestro e di confisca emessi dal Tribunale, a seguito della proposta del Direttore della DIA, eseguiti nel 2014 e nel 2018, sono stati confermati dalla Corte di Appello di Napoli e definitivamente dalla Corte Suprema di Cassazione.
I beni acquisti al patrimonio dello Stato, per un valore di circa 100 milioni di euro, sono:
– 6 aziende (operanti nel settore edile e immobiliare, dell’estrazione di inerti, della produzione e vendita del calcestruzzo);
– 70 immobili, tra cui terreni e fabbricati, ubicati in vari comuni della provincia di Caserta e due in Cavezzo (MO);
– 28 auto/motoveicoli;
– numerosi rapporti finanziari.

Cronache della Campania@2020

Napoli, prometteva posti di lavoro ed esami all’Università: ai domiciliari ex dipendente della Federico II

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Napoli. I Carabinieri del N.A.S. di Napoli hanno dato esecuzione all’ordinanza di applicazione della misura cautelare degli arresti domiciliari, emessa dal GIP presso il Tribunale di Napoli, nei confronti di un uomo che, dalle indagini svolte, risulterebbe dedito a millantare credito presso pubblici ufficiali per la compravendita di posti di lavoro nella Pubblica Amministrazione e titoli di studio universitari.

La stessa misura è stata eseguita nei confronti di un ex appartenente alla Polizia di Stato, per il reato di cui all’art. 615 ter c.p., relativamente ad alcuni accessi abusivi alle banche dati in uso alle FF.PP. in concorso con altra persona, all’epoca appartenente alla Polizia di Stato e attualmente in pensione.

L’ attività di indagine – coordinata dalla Procura della Repubblica di Napoli, Sezione reati contro la Pubblica Amministrazione – si è sviluppata nell’ambito di un ampio procedimento penale avente ad oggetto la realizzazione di molteplici fattispecie delittuose (contro la P. A. e contro il patrimonio) ed ha avuto origine dalla captazione di alcune conversazioni telefoniche tenute da un “sedicente” avvocato, da cui – secondo le ipotesi dell’accusa – sarebbe stato individuato un circuito di promesse e di millanterie, poste in essere dall’arrestato.

L’indagato, ex dipendente dell’Università degli Studi di Napoli Federico II, avrebbe offerto la sua attività di intermediazione presso alcuni impiegati della predetta Università e presso le ASL di Napoli e Caserta promettendo assunzioni presso questi enti, il superamento di esami universitari ed anche dei test di ingresso alla facoltà di Medicina e Chirurgia.

L’attività tecnica, corroborata dalle operazioni di perquisizione e sequestro, nonché dall’escussione a sommarie informazioni di alcuni dei clienti procacciati dall’ex dipendente universitario, avrebbero evidenziato una attività di “compravendita” di esami, titoli di studio e posti di lavoro presso Pubbliche Amministrazioni, che il citato ex dipendente prometteva in cambio della corresponsione di cospicue somme di denaro.

Dalle indagini svolte sarebbe inoltre emerso che l’arrestato cercava di dimostrare alle vittime delle sue millanterie il positivo sviluppo delle “pratiche” in corso chiedendo loro la produzione di varia documentazione, simulando la fissazione di colloqui propedeutici alle assunzioni e, non da ultimo, fingendo telefonicamente di rapportarsi realmente con i “funzionari” incaricati.

Le indagini svolte hanno registrato l’intensificarsi delle predette condotte soprattutto a partire dalla fine del mese di luglio 2017, in vista dei test di ingresso per l’ammissione alla Facoltà di Medicina, allorquando si sono, altresì, moltiplicate le proposte in ordine al conseguimento di posti di lavoro presso diversi uffici della Pubblica Amministrazione, principalmente presso l’Università degli Studi di Napoli “Federico II” e presso presidi ospedalieri del territorio partenopeo.

Cronache della Campania@2020

Angri, litigano con la cognata per motivi di vicinato e le avvelenano i gatti: a processo due sorelle

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Non volevano come vicina di casa la ex cognata nè i suoi figli, al punto da minacciarla di morte e di ucciderle anche i gatti, con del veleno. C’è questo e altro dietro una richiesta di rinvio a giudizio firmata dalla procura di Nocera Inferiore per due sorelle di Angri, di 50 e 55 anni, per quanto avrebbero architettato e poi realizzato dal mese di agosto del 2016 ai tempi più recenti, con condotta perdurante. Le vittime erano la ex cognata, moglie del fratello delle due imputate, e i due figli, che avrebbero subito di tutto. E questo perchè le due non accettavano che la donna fosse andata ad abitare in un appartamento li vicino, assegnato dal giudice della separazione. “Stai attenta che il veleno lo mettiamo pure a te”, avrebbe intimato una delle due, riferendosi a quello utilizzato per uccidere i gatti di loro proprietà. Una storia fatta di aggressioni, dispetti e persecuzioni, che si manifestavano quotidianamente con citofonate a tutte le ore, insulti e dispetti, come l’auto rigata o lanciando all’aria la legna del camino. E ancor più grave, nell’aver ucciso i gatti delle vittime con del veleno.

Cronache della Campania@2020

Inchiesta Clinica Pineta Grande: il Riesame annulla la misura cautelare per il tecnico

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Annullata la misura cautelare del divieto di dimora in Campania per Domenico Romano, architetto di Castel Volturno responsabile dei lavori di ampliamento della clinica Pineta Grande, coinvolto nello scandalo dell’eccellenza medica castellana insieme a Vincenzo Schiavone (patron della clinica) e Giuseppe Schiavone (funzionario della Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio di Caserta).

In qualità di responsabile dell’ufficio tecnico di parte del presidio ospedaliero, Domenico Romano difeso dagli avvocati Ferdinando Letizia e Vincenzo Petrella é accusato in concorso con Vincenzo Schiavone e Giuseppe Schiavone di abuso d’ufficio, falso in atto pubblico e corruzione riguardo le opere di ampliamento in corso di realizzazione presso la struttura sanitaria Pineta Grande poste sotto sequestro con decreto del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere nel settembre 2019.

Le indagini della Procura di Santa Maria Capua Vetere evidenziarono una molteplicità di vicende illecite coinvolgenti l’allora responsabile dell’ufficio tecnico comunale a Castel Volturno, Carmine Noviello e la fitta rete di connivenze e collusioni tra la parte pubblica (Noviello) e la parte privata rappresentata da tecnici privati come Romano e Giuseppe Schiavone ed imprenditori economici assai ingenti sul territorio castellano come Vincenzo Schiavone.

Le irregolarità riscontrate avevano al centro l’ampliamento in corso di realizzazione della clinica castellana autorizzato da una delibera comunale che però si pone in violazione sulle normative sugli ampliamenti delle strutture sanitarie nonché quelle in materie urbanistica o edilizia. Proprio sul rilascio delle autorizzazioni da parte dei vari UTC che si innesta il filone d’indagine: l’ufficio tecnico castellano si poneva a completa disposizione delle esigenze imprenditoriali del patron della clinica, Vincenzo Schiavone consentendo di superare l’impasse della verifica della compatibilità del progetto di ampliamento con la sostituzione di tavole progettuali di trasformazione di posti letto in posti foresteria.

All’architetto Romano é stata contestata l’assoggettabilità a Vas (Valutazione Ambientale Strategica) del presidio negata dall’architetto perché non ne ricorrevano i presupposti, considerata una connivenza con l’allora tecnico comunale Noviello per aggirare i cavilli burocratici. Convinzione avvalorata dal CTPM designato dalla Procura. La difesa di Romano ha evidenziato l’erronea interpretazione relativa al VAS del perito in quanto riteneva assoggettabile a Vas un intervento edilizio unicamente in ragione delle dimensioni plani volumetriche del progetto senza tener conto che invece venivano escluse dall’ambito di applicazione della VAS.

Contestate a carico di Romano anche l’illegittimità delle autorizzazioni paesaggistiche emesse dalla Soprintendenza poiché l’area in espansione comprendente la clinica era soggetta a vincolo paesistico e l’architetto in qualità di direttori dei lavori aveva appositamente falsato. I difensori hanno dimostrato invece la compatibilità paesaggistica tra le opere in itinere ed il contesto ambientale circostanze.

Il Tribunale del Riesame di Napoli sulla scorta di convincenti motivazioni addotte dalla difesa avvolarate dall’interruzioni dei rapporti con gli altri imputati ha accolto l’istanza di annullamento della misura cautelare del divieto di dimora in Campania consentendo a Romano di esser libero, anche di far ritorno a Castel Volturno. Per Vincenzo Schiavone il Tribunale del Riesame ha disposto la sostituzione della misura cautelare degli arresti domiciliari in quella meno afflittiva del divieto di dimora in Campania. Per Giuseppe Schiavone permane la misura interdittale della sospensione dell’esercizio dei pubblici uffici pari ad un anno.

Cronache della Campania@2020

La Cassazione annulla la condanna all’avvocato dei Casalesi che minacciò anche Saviano e Capacchione

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La Corte di Cassazione ha annullato la sentenza con la quale nel dicembre 2012 la Corte d’appello di Napoli ha condannato a 11 anni di reclusione l’avvocato Michele Santonastaso per l’accusa di associazione di stampo camorristico con il clan dei Casalesi. Lo rendono noto i suoi legali l’avvocato Claudio D’Isa e Maurizio Giannone. La Cassazione ha anche disposto un nuovo giudizio dinnanzi a un’ altra sezione della stessa Corte di Appello. Santonastaso fu accusato di partecipazione ad associazione a delinquere di stampo mafioso, per aver fatto da tramite tra il capo di una delle quattro fazioni del clan dei Casalesi, Francesco Bidognetti, recluso in carcere in regime di 41 bis, e i suoi uomini trasmettendo a costoro messaggi del boss che l’avvocato riceveva nel corso dei colloqui. Il professionista fu condannato, in primo grado, dal Tribunale di Santa Maria Capua Vetere con sentenza del 19 dicembre 2012 ad anni undici di reclusione, condanna confermata dalla sentenza del primo febbraio 2018, dalla Corte d’Appello di Napoli. Durante il processo di appello “Spartacus”, a carico di esponenti ed affiliati del clan dei casalesi, nel corso dell’udienza del 13 marzo 2010, Santonastaso lesse il noto proclama contro Roberto Saviano, Rosaria Capacchione e il magistrato Raffaele Cantone. In particolare, il legale avanzo’ istanza di ricusazione del Collegio giudicante leggendo una lettera, a nome dei suoi assistiti, capi del clan dei Casalesi e imputati nel processo, secondo la quale la Corte si lasciava influenzare dalle opinioni dello scrittore, della giornalista e del magistrato antimafia. La lettera fu interpretata come minatoria e il 26 settembre 2010, l’avvocato di Bidognetti venne arrestato. “Abbiamo prospettato ai giudici della Cassazione – spiega l’avvocato Claudio D’Isa – le incongruenze motivazionali della sentenza della Corte d’Appello, evidenziando che i giudici di secondo grado, riprendendo pedissequamente la motivazione della sentenza del Tribunale, avevano basato la condanna dell’avvocato Santonastaso su dichiarazioni di alcuni collaboratori di giustizia, ritenute dai difensori del tutto generiche e non suffragate da riscontri oggettivi”. La difesa di Santonastaso ha denunciato “l’illegittimità dell’ordinanza con cui la Corte d’Appello aveva rigettato la richiesta di rinnovazione dibattimentale per ascoltare un funzionario della Questura di Caserta a cui tra il 2006 e il settembre 2010 la DDA aveva delegato delle indagini sul professionista per accertare, in un analogo procedimento, collusioni e contatti con esponenti liberi del clan dei Casalesi. Le relazioni di servizio e le informative, sette in tutto, accertarono l’assenza di un qualsiasi contatto tra Santonastaso ed esponenti del clan, nonostante l’indagato fosse stato sottoposto ad intercettazioni telefoniche ed ambientali nella autovettura a lui in uso, nello studio, sul balcone dello stesso e nel cortile adiacente, nonche’ a pedinamenti anche con l’ausilio della tecnologia satellitare”. L’archiviazione del procedimento parallelo, afferma D’Isa, “fece venir meno l’assunto dell’accusa secondo il quale l’avvocato Santonastaso trasmetteva all’esterno del carcere i messaggi del capo”. Il boss Francesco Bidognetti, inoltre, ricorda ancora l’avvocato Claudio D’Isa, “era stato assolto dall’accusa di aver continuato, sebbene detenuto in carcere dal 1993, a svolgere il ruolo di capo del clan dei Casalesi, lo stesso periodo a cui fa riferimento la contestazione sollevata nei confronti dell’avvocato Santonastaso”.

Cronache della Campania@2020

Bimba trovata morta in piscina, per i periti ‘non ci fu violenza’

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La bimba rumena di 9 anni, rinvenuta cadavere nella piscina di un casolare di San Salvatore Telesino il 19 giugno 2016, non ha mai subito una violenza sessuale, nel senso letterale della parola. Sono le conclusioni cui è pervenuta la nuova perizia collegiale, redatta dal professor Cristoforo Pomara e dai dottori Francesco Sessa e Ciro di Nunzio, depositata presso il tribunale di Benevento. La bambina secondo la perizia di ufficio disposta dal gip del Tribunale di Benevento in sede di incidente probatorio per cercare di far luce sul caso “non è stata violentata o, meglio, non ci sono segni di una violenza classica”. L’avvocato Francesco Gallo, difensore del papà della bimba ha spiegato: che “Con questa decisione ora si deve scagionare subito il mio assistito al quale era stato addebitato il reato di violenza sessuale nella scorsa udienza innanzi al Gup che, non accogliendo le richieste della Procura di archiviare il caso, decideva di continuare con le indagini addebitando, oltre all’omicidio ed alla violenza a Daniel Ciocan, la violenza sessuale anche al padre che, a questo punto dovrebbe essere prosciolto”.

Cronache della Campania@2020

Camorra: due omicidi della faida di Miano, ordinanza per Giuseppe e Domenico Lo Russo

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Nella mattinata odierna, la Squadra Mobile di Napoli ha dato esecuzione ad un’ordinanza di custodia cautelare emessa dal G.I.P. del tribunale di Napoli su richiesta della DDA di Napoli nei confronti di:

LO RUSSO Domenico, nato a Napoli il 20.3.1958;
LO RUSSO Giuseppe nato a Napoli il 18.12.1954,
Gli indagati sono chiamati a rispondere (il primo quale esecutore materiale, il secondo quale mandante) in concorso con altri soggetti successivamente deceduti, nonché con Lo Russo Carlo, Lo Russo Mario, Sabatino Ettore e Torino Salvatore (collaboratori di giustizia) di omicidio aggravato.

Si tratta di vicende risalenti agli anni 1988 e 1994 ed in particolare dell’omicidio di POLITELLI Gennaro, avvenuto in data 15.1.1988 nel quartiere cittadino di Piscinola, e di PALUMBO Francesco, avvenuto in data 7.6.1994 nel quartiere cittadino di Chiaiano.

L’omicidio del Politelli (che vede LO RUSSO Domenico indagato quale esecutore materiale) si colloca nel periodo in cui il clan Lo Russo ed il clan Licciardi erano parte integrante dell’Alleanza di Secondigliano e trova il proprio movente nella vendetta per avere la vittima ucciso Salvatore Fiorillo alias “Salvatore sette bellezze” e Cimmino Carmela.

L’omicidio del Palumbo ( che vede Lo Russo Giuseppe indagato quale mandante ) trova il proprio movente in una “epurazione interna” al clan Lo Russo che ha inteso punire un affiliato infedele che aveva avuto rapporti confidenziali con appartenenti alle forze dell’ordine .

Le indagini svolte dalla Squadra Mobile sotto il coordinamento della DDA hanno consentito di acquisire riscontri di diversa natura alle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia tanto da delineare un grave quadro indiziario nei confronti dei fratelli Lo Russo.

Giuseppe Lo Russo è già detenuto in regime detentivo speciale ed ha riportato condanne per omicidio oltre che per contestazioni associative. Domenico Lo Russo, invece, era sottoposto alla libertà vigilata.

Cronache della Campania@2020


Pressioni sull’Asl, assolto l’ex presidente del Consiglio regionale della Campania

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E’ stato assolto in appello dall’accusa di tentata induzione indebita l’ex presidente del Consiglio Regionale della Campania Paolo Romano, residente a Capua, che in primo grado era stato condannato ad un anno dal tribunale di Santa Maria Capua Vetere. Romano era finito sotto processo, con l’accusa di aver fatto pressioni indebite per alcune nomine sull’ex manager dell’Asl di CASERTA Paolo Menduni, che lo denuncio’ alla Procura. Per questi fatti Romano, nel maggio 2014, fu arrestato dai finanzieri del Nucleo di Polizia Tributaria di CASERTA e posto ai domiciliari per alcuni giorni. Per la Procura allora diretta da Corrado Lembo, il politico casertano abuso’ della sua carica in Regione, contattando piu’ volte Menduni e minacciandolo – a dire degli inquirenti – anche attraverso articoli di stampa, ispezioni e controlli della Regione Campania presso l’Asl, qualora non avesse accolto le sue richieste relative alla nomina del direttore del distretto sanitario di Capua, suo feudo elettorale. L’anno dopo l’arresto, alle elezioni regionali del 2015 poi vinte da De Luca, nonostante l’indagine, Romano si candido’ nel Nuovo Centro Destra (Ncd) ma non fu eletto. Nell’inchiesta furono coinvolti anche l’ex consigliere regionale Eduardo Giordano e l’avvocato Francesco Pecorario, entrambi assolti in primo grado, cosi’ come un giornalista casertano. Solo Romano – difeso da Nicola Garofalo e Giuseppe Stellato – era stato condannato dal Tribunale di Santa Maria Capua Vetere; la Corte d’Appello di Napoli lo ha invece assolto perche’ “il fatto non sussiste”.

Cronache della Campania@2020

Martellate in testa alla ex: 13 anni di carcere.La donna fu salvata dal calciatore Biancolino

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E’ stato condannato a 13 anni di reclusione il 57enne, Gerardo Galluccio, che aggredì a martellate l’ex convivente nel centro di Avellino. La sentenza di primo grado è stata emessa dal Tribunale del capoluogo irpino. La donna, una 37enne, venne tratta in salvo dall’ex bomber dell’Avellino Calcio, Raffaele Biancolino.
La vittima fu colpita ripetutamente alla testa con un martello. Galluccio, difeso dall’avvocato Alberico Villani, ha tentato di chiedere scusa all’ex convivente per quel grave fatto. E’ stato condannato per maltrattamenti, lesioni e minacce.

Cronache della Campania@2020

Uccise la moglie durante l’ultimo appuntamento: ergastolo definitivo per D’Aponte

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La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso presentato da Carmine D’Aponte, accusato di aver ucciso la moglie Stefania Formicola il 18 ottobre 2016 a Sant’Antimo. Così la condanna all’ergastolo e’ diventata definitiva per lui che ha sempre dichiarato di non aver mai avuto l’intenzione di volere uccidere la madre dei suoi due figli, adesso affidati ai nonni materni. La donna venne avvicinata dal marito, con il quale era in procinto di divorziare, e venne uccisa all’interno della sua automobile. Lui le aveva chiesto un ultimo appuntamento per chiarire definitivamente la situazione, ma si presentò armato della pistola con la quale le esplose un colpo di pistola al petto. Da anni Stefania Formicola subiva le violenze del marito, su un diario scriveva dei tormenti e della paura di lasciare i suoi di figli: temeva di essere uccisa.

Cronache della Campania@2020

Maria Ammirati, morta dopo l’aborto: chieste 4 condanne ridotte in Appello

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Pene scontate rispetto alla sentenza di primo grado e conferma delle 3 assoluzioni. E’ stata questa la richiesta del procuratore generale nel corso del processo d’Appello a carico di 7 persone, tra medici ed infermieri degli ospedali di Caserta e Marcianise, accusati della morte di Maria Ammirati, deceduta a soli 35 anni dopo un aborto ed un’odissea tra i due nosocomi.Dinanzi alla sezione presieduta dal giudice Grassi della Corte Partenopea, il procuratore generale ha invocato 2 anni per Maria Tamburro, Maria Golino e Luigi Vitale (condannati a 4 anni in primo grado) e per Nicola Pagano, il ginecologo che aveva in cura la ragazza condannato a 3 anni in primo grado. Il procuratore generale Parisi ha poi chiesto la conferma dell’assoluzione per Carmen Luigia De Falco, Andrea Fusco e Pasquale Parisi, già assolti in primo grado e per i quali la Procura di Santa Maria Capua Vetere aveva impugnato il verdetto.

All’inizio di marzo prenderanno la parola le parti civili, con la madre della ragazza costituitasi in giudizio con l’avvocato Gabriele Amodio mentre gli avvocati Giuseppe Stellato e Mosca difendono altri familiari. Poi sarà la volta dei difensori degli imputati: gli avvocati Andrea Piccolo, Paolo Sperlongano, Giuseppe Foglia, Paolo Trofino e Bernardino Lombardi.

Maria morì nell’estate del 2012 dopo un’intervento di amniocentesi in seguito al quale iniziò a soffrire di forti dolori addominali. Sintomi che la spinsero a recarsi all’ospedale di Caserta dove le venne diagnosticata una colica renale. Venne dimessa. Il giorno successivo la 35enne si recò all’ospedale di Marcianise dove finalmente venne acclarata la perdita di liquido amniotico e la morte del feto. L’infezione provocò nella donna una neuropenia. Così la giovane firmò nuovamente le dimissioni dall’ospedale e si recò nuovamente all’ospedale di Caserta dove arrivò alle 20,15, in condizioni già gravissime, morendo nella notte. Da quel giorno sua madre invoca giustizia a suon di manifesti affissi nelle strade di Caserta e lungo il viale Carlo III.

Cronache della Campania@2020

Napoli, fallimenti pilotati al Gran Bar Riviera per truffare il fisco

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Uno “schema truffaldino e proditorio” ultradecennale, adottato dagli indagati, “in dispregio di qualsiasi regola di convivenza civile”. Cosi’, il gip di Napoli Fabrizio Finamore, ha definito il “modus operandi” di una storica famiglia di imprenditori napoletani, a cui e’ riconducibile il noto locale partenopeo “Gran Bar Riviera”, che, secondo i pm titolari dell’indagine, per decenni ha evitato di pagare imposte al Fisco e contributi ai dipendenti mettendo insieme “fondi neri” per qualche milione di euro. Tutto falsificando la documentazione contabile e utilizzando, negli ultimi tempi, anche dei prestanome. Dalle indagini della Guardia di Finanza di Napoli emerge, nuovamente, il nome del conosciuto commercialista Alessandro Gelormini, agli arresti domiciliari nell’ambito di altre indagini, che, secondo l’ipotesi degli inquirenti della terza sezione della Procura di Napoli coordinata dal procuratore aggiunto Vincenzo Piscitelli, sarebbe stato determinante per la realizzazione degli illeciti. Il meccanismo fraudolento messo in piedi dagli indagati (Alberto, Simona e Marina Nunziata e Gelormini) a cui i finanzieri hanno notificato quattro divieti di dimora nel Comune di Napoli e il sequestro preventivo delle quote societarie della Gros Riviera srl in liquidazione e del suo complesso aziendale (finiti sotto la custodia di un amministratore nominato dal giudice) ha consentito l’appropriazione indebita di circa tremila euro a titolo di ‘stipendio’ per ciascuno degli indagati. Intanto venivano omessi gli adempimenti contributivi per i dipendenti, i pagamenti delle tasse all’Erario e anche le fatture ai fornitori. Il denaro sottratto dal Gran Bar Riviera e gli introiti delle bouvette della Fnac del quartiere Vomero di Napoli (che ha chiuso i battenti già qualche anno fa) confluivano in una cassa comune. Alla contabilità “ufficiale”, hanno scoperto i finanzieri, si affiancava un’altra contabilità, parallela, memorizzata esclusivamente su dispositivi Usb che ne consentivano la rimozione dai computer all’occorrenza. Nell’ultimo periodo, infine, il meccanismo si è “arricchito” della figura del prestanome, uno dei quali è risultato essere un dipendente il quale, per conservare il suo posto di lavoro, si è reso disponibile a ricoprire la carica di amministratore.

 

Cronache della Campania@2020

Napoli, chiuse le indagini preliminari della vicenda di Raffaele Arcella, morto dopo un intervento di bypass gastrico

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Si concludono le indagini preliminari del caso di Raffaele Arcella, ragazzo di 29 anni morto dopo un intervento di bypass gastrico eseguito alla clinica Trusso di Ottaviano.
Durante l’intervento fu lesionata l’arteria retrostante lo stomaco del giovane che così fu trasportato in condizioni critiche al Policlinico di Napoli, dove, però non fu possibile salvargli la vita.
“A quasi un anno da quel tragico giorno si è finalmente giunti ad una svolta, il Pubblico Ministero Patrizia Mucciacito, ha inviato la notifica dell’avviso di conclusione delle indagini preliminari ai medici della Trusso che operarono Raffaele. Ora attendiamo il processo sperando che sia fatta giustizia. ”- sono state le parole di Antonio Arcella, padre del ragazzo tragicamente scomparso, e del suo rappresentate legale Avv. Fernando Maria Pellino.
“È inaccettabile che si debba morire per un intervento di bypass gastrico. Ora, però, finalmente e si giungerà a processo e la verità verrà a galla.” – ha commentato il Consigliere Regionale dei Verdi Francesco Emilio Borrelli.

Cronache della Campania@2020

L’imprenditore Adolfo Greco ricoverato a Torino in una clinica specializzata

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L’imprenditore Adolfo Greco ha lasciato il carcere di Secondigliano. L’imprenditore stabiese è imputato nell’ambito del processo “Olimpo” ed è accusato di estorsione aggravata dal metodo mafioso. Nella mattinata di ieri il Tribunale delle Libertà si è espresso sulla richiesta di rimodulazione della custodia cautelare avanzata dal collegio difensivo. Le condizioni di salute precarie ritenute “incompatibili con il carcere” hanno spinto i legali a chiedere il trasferimento in una struttura carceraria idonea con lo stato di salute dell’imputato.  Il 14 gennaio il Tribunale di Torre Annunziata aveva disposto i domiciliari ma il provvedimento fu bloccato il giorno successivo perché prima di uscire dal penitenziario Greco fu raggiunto da una nuova ordinanza di custodia cautelare. Nella giornata di ieri il Tribunale delle Libertà ha predisposto il trasferimento in una clinica specializzata a Torino .

Cronache della Campania@2020


Napoli, morta dopo il parto, l’autopsia farà luce sulle cause del decesso

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Sarà l’autopsia a fare luce sulla morte di una donna, Rosa Andolfi, avvenuta mercoledì scorso nell’ospedale Evangelico Villa Betania di Napoli, dopo avere dato alla luce un bambino. Dopo avere disposto il sequestro della cartella clinica la sezione “colpe professionali” della Procura di Napoli si accinge ad aprire un fascicolo a carico di ignoti, verosimilmente ipotizzando il reato di omicidio colposo, finalizzato proprio all’esecuzione dell’accertamento autoptico. La vicenda è stata resa nota ieri, attraverso un comunicato, dalla stessa clinica, dotata di una struttura specializzata in neonatologia. La donna, secondo quanto si legge nel comunicato, era giunta nel nosocomio lunedì scorso, dichiarando un quadro clinico giudicato estremamente complesso dai sanitari. Lì è stata ricoverata e ha partorito, mercoledi’, dopo una serie di accertamenti. Ma le sue condizioni di salute si sono aggravate fino a determinarne il decesso, cinque ore dopo la nascita del figlio, un maschietto. Nella nota diffusa ieri il direttore sanitario Antonio Sciambra ha specificato che Rosa Andolfi era affetta “due patologie congenite differenti e una patologia respiratoria cronica”. Per l’avvocato Amedeo Di Pietro, difensore del fratello della giovane vittima, i sanitari “che erano a conoscenza dei problemi respiratori della loro paziente”, e che “hanno deciso di farla partorire con un cesareo, hanno avuto vari giorni di tempo per decidere le modalità del parto, sulla base della analisi cliniche effettuate”. La salma di Rosa Andolfi si trova ora nel Secondo Policlinico.

Cronache della Campania@2020

La droga dei La Torre, condannato il figlio del boss ed altri 11

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Dodici condanne per il gruppo guidato da Francesco Tiberio La Torre, figlio del boss dei “Chiuovi” Augusto. Sono quelle pronunciate dal gup De Micco al termine del giudizio con abbreviato.

Il giudice del tribunale di Napoli ha inflitto 10 anni e 4 mesi per La Torre jr; 20 anni per Vincenzo De Crescenzo; 13 anni e 4 mesi per Salvatore De Crescenzo; 2 anni e 8 mesi a testa per Angelo Pagliuca e Maurizio Montano; 8 anni ed 8 mesi per Frederick Loka; 6 anni e 8 mesi per Nevila Lika; 13 anni e 4 mesi per Francesco Balestrieri; 7 anni e 10 mesi per Luigi Menandro; 6 anni e 8 mesi per Costantino Cardillo; 7 anni e 8 mesi per Alessio Cipriani; 7 anni e 2 mesi per Giuseppe Rinaldi. Reggono in parte le tesi dei difensori con pene minori rispetto alle richieste della Dda. Nel collegio difensivo sono stati impegnati gli avvocati Domenico Della Gatta, Angelo Raucci, Antonio Miraglia, Luigi Mordacchini, Francesco Liguori, Francesco Lavanga, Alfonso Quarto ed Ignazio Maiorano.

Gli imputati erano accusati, a vario titolo, di associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti. L’associazione criminale sarebbe stata promossa, organizzata e capeggiata da Salvatore De Crescenzo, Vincenzo De Crescenzo e Francesco Tiberio La Torre che ne avrebbero programmato l’attività, attivandosi per reperire i mezzi finanziari per garantire l’acquisto della droga ed il trasporto dai fornitori direttamente a Mondragone.

Nella struttura piramidale venivano poi, secondo i carabinieri, gli organizzatori e fornitori del gruppo. Le sostanze stupefacenti spacciate nel Comune di Mondragone spaziavano tra hashish, cocaina e marijuana, ed erano provenienti dall’area del napoletano o del casertano.

 Gustavo Gentile

Cronache della Campania@2020

Estorsioni e traffico di droga nei comuni Vesuviani: a processo in 27 del clan Batti

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È o non è un nuovo clan di camorra ? Il territorio di San Giuseppe Vesuviano storicamente roccaforte inaccessibile a qualsiasi potere criminale, sotto l’egida indiscussa di Mario Fabbrocino detto o’gravunaro era passato nelle mani della famiglia Batti? Quattro giovani fratelli potevano far tremare uno dei gruppi più potenti ed efferati della criminalità campana, quale il clan Fabbrocino?Secondo le fonti investigative i Batti avrebbero addirittura precluso al figlio del boss, ovvero Giovanni Fabbrocino di operare sul territorio di San Giuseppe Vesuviano. Dall’altro lato, nel processo cosiddetto Fulcro, Franco Maturo figura di vertice del clan, ritenuto reggente, in quel preciso momento storico, di quel sodalizio malavitoso avrebbe detto che era stata disegnata una linea di confine a terra e che i Batti non potevano permettersi di oltrepassarla. Segno indiscusso di potere supremo dei Fabbrocino. Gli investigatori si erano interessati ad intercettare eventuali guerre di camorra che sarebbero potute scoppiare su quel territorio vesuviano tra il Clan Fabbrocino ed i Batti. Ed infatti erano stati intercettati i colloqui in carcere del ghota del clan Fabbrocino con i loro familiari e non era mai emerso che i vertici di quella organizzazione avrebbero ritenuto di adottare provvedimenti contro il presunto clan emergente. Nessuno scontro è mai scoppiato sul territorio di San Giuseppe Vesuviano. Di qui la tesi sostenuta dalla PG che i Batti pagassero una tangente ai Fabbrocino. Nonostante tutto, i Batti sono chiamati a difendersi dal reato di associazione camorristica caduta in sede di Riesame e dall’aver creato un sodalizio dedito al narcotraffico. Dovranno spiegare da dove provenivano i 500mila euro sequestrati nella casa di una loro parente e soprattutto se erano interessati ai 40 kg di droga sequestrati nel porto di Amsterdam. È iniziato ieri lo scontro processuale dinanzi al GUP di Napoli, D’auria. Il 24 Marzo il Pubblico Ministero farà le sue richieste di condanna e poi passerà la parola agli avvocati degli imputati.
Ecco la lista di tutti gli imputati:
Batti Alfredo nato il 14/01/1984 residente a San Giuseppe difeso dagli avv. De Gennaro Gennaro e Del Vecchio Antonio

Adascalitei Ana Maria nata il 19/03/1995 residente a Grottaglie difesa dall’avv. Monda Nicola.

Ambrosio Salvatore nato il 08/07/1995 residente a San Giuseppe difeso dagli avv. Capasso Luca e Tomeo Antonio.

Apicella Giuliantonio nato il 12/11/1960 residente a Baronissi difeso dall’avv. Iaione Gianluca

Auriemma Angelo nato il 06/02/1990 residente a San. Giuseppe difeso dall’avv. Monda Nicola.

Batti Alan Cristian nato il 17/06/1987 residente a San Giuseppe difeso dall’avv. Perfetto Giuseppe.

Batti Giuseppina nata il 26/03/1975 residente a San Giuseppe difesa dall’avv. Monda Nicola.

Batti Luigi nato il 10/08/1977 residente a San Giuseppe difeso dagli avv. Capasso Luca e Tomeo Antonio.

Batti Omar nato il 17/06/1987 residente a San Giuseppe difeso dall’avv. Monda Nicola.

Boccia Tommaso Gabriele nato il 03/07/1985 residente a Terzigno e difeso dall’avv. Irlando Salvatore.

Buono Gaetano nato il 18/05/1972 residente a Boscoreale difeso dall’avv. Semplice Laura.

Campanile Ferdinando nato il 25/11/1985 residente a Scafati difeso dall’avv. Tomeo Antonio.

Carbone Davide nato il 11/06/1987 residente a Terzigno difeso dagli avv. Gambale Fabrizio e Monda Nicola.

Chirico Giovanni nato il 23/07/1966 residente a Terzigno difeso dagli avv. D’Ionisi Dario e Gambale Fabrizio.

Cirillo Francesco nato il 26/04/1982 residente a San Giuseppe difeso dall’avv. Bianco Angelo.

Cutolo Maria nata il 13/11/1981 residente a Terzigno difesa dall’avv. Nappo Maddalena.

De Nicola Carmela nata il 30/04/1944 residente a Terzigno difesa dall’avv. Gambale Fabrizio.

Di Matola Salvatore nato il 18/02/1984 residente a Poggiomarino difeso dall’avv. Annunziata Tommaso.

Fabbrocini Mario Nunzio nato il 09/07/1986 residente a Nola difeso dall’avv Attratto Giuseppe.
Gastafierro Vincenzo nato il 21/10/1971 residente a Terzigno difeso dagli avv. Sciacca Guido e Usiello Antonio.

Ieromazzo Marco nato il 06/12/1980 residente a Salerno difeso dall’avv. Sabbato Marco.

Izzo Gennaro nato il 20/10/1963 residente a Scafati difeso dall’avv. Cammarano Maria.

Maglione Maria nata il 20/11/1958 residente a San Giuseppe difeso dall’avv. Monda Nicola.

Sabbatino Felice nato il 22/09/1981 residente a Ottaviano difeso dall’avv. Salierno Saverio.

Sorrentino Cristian nato il 19/08/1993 residente a Poggiomarino difeso dall’avv. Marino Rosario.

Sorrentino Salvatore nato il 15/10/1969 residente a Boscotrecase difeso dall’avv. Del Vecchio Antonio.

Tufano Michele nata il 25/10/1983 residente a Ottaviano difesa dall’avv. Tomeo Antonio.

Tufano Raffaele nato il 29/09/1990 residente a Ottaviano difeso dall’avv. Monda Nicola.

Villacaro Paolo nato il 18/06/1970 residente a Baronissi difeso dall’avv. Torre Emiliano.

Cronache della Campania@2020

Inchiesta sulle molestie all’Accademia delle Belle Arti di Napoli: acquisiti i dati dal pc del professore

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Primo accertamento di natura tecnica in Procura, a Napoli, nell’ambito delle indagini sulla presunta violenza sessuale denunciata ai carabinieri di Posillipo da una studentessa ventenne dell’Accademia delle Belle Arti, che ha portato all’iscrizione nel registro degli indagati di un professore dello stesso istituto. Su disposizione del sostituto procuratore Cristina Curatoli, in forza alla sezione “Fasce Deboli” dell’ufficio inquirente partenopeo, oggi saranno estrapolati tutti i dati “sensibili” che verranno individuati dal consulente del pm sul personal computer che il docente ha spontaneamente consegnato attraverso i suoi legali, gli avvocati Maurizio Sica e Lucilla Longone. Cosi’ come e’ in programma il prossimo 5 marzo per i cellulari del professore e della studentessa, verranno acquisiti dal computer tutti i dati sensibili (foto, video, conversazioni, anche via chat e social) ritenuti utili alle indagini. Intanto ieri sono state ascoltate, come persone informate sui fatti, tre studentesse, identificate dagli investigatori e convocate in Procura dal pm titolare del fascicolo.

Cronache della Campania@2020

Camorra, fu il ras Salvatore Fido ad uccidere Vincenzo Di Pede: ordinanza cautelare

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Napoli. Le confessioni dei pentiti e i riscontri investigativi hanno permesso di fare luce su uno dei tanto omicidi della guerra di camorra degli anni scorsi tra il clan Mazzarella e il clan Formicola. Infatti stamane, su delega della Procura della Repubblica- Direzione Distrettuale Antimafia, di Napoli, la Polizia di Stato ha dato esecuzione ad un’ordinanza applicativa della misura cautelare della custodia in carcere, emessa dal GIP in data 21.2.2020, nei confronti del ras Salvatore Fido di 33 anni, gravemente indiziato di un omicidio aggravato commesso nell’ambito dello scontro armato tra il clan Mazzarella ed il clan Formicola. E in particolare dell’omicidio di Vincenzo Di Pede, avvenuto in data 25 agosto del 2012, che ha segnato, infatti, la rottura definitiva dei rapporti tra il clan Mazzarella ed il clan Formicola, un tempo alleati, e ha costituito il primo passo verso la formazione di una nuova alleanza Rinaldi-Reale-Formicola.

Cronache della Campania@2020

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