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Channel: Cronaca Giudiziaria
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Corruzione: 10 fermi della Guardia di Finanza tra Roma e Caserta

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Nell’ambito delle attività di contrasto del fenomeno della corruzione nella Pubblica Amministrazione, i militari del Nucleo Speciale Anticorruzione della Guardia di Finanza, su delega della Procura della Repubblica di Roma, hanno dato esecuzione a un’ordinanza di applicazione di misure cautelari personali, emessa dal Gip di Roma, nei confronti di 10 persone, tra cui tre professionisti, quattro imprenditori e tre pubblici ufficiali, per i reati di corruzione, bancarotta fraudolenta, riciclaggio e falso. Nel corso delle indagini, eseguite dai militari del Nucleo Speciale Anticorruzione di Roma tramite numerose intercettazioni telefoniche, pedinamenti, acquisizioni documentali presso uffici pubblici e accertamenti bancari, sono emersi fatti corruttivi posti in essere da un noto professionista romano, collegato ad ambienti politici parlamentari, con l’ausilio di alcuni amministratori del comune di San Marcellino (Caserta), in relazione all’appalto per la gestione del servizio di pubblica illuminazione delle strade comunali affidato alla società ‘Tlsled Esco s.r.l.’, riconducibile agli indagati. In passato, il principale indagato ha ricoperto svariati incarichi, tra i quali quello di consigliere di amministrazione di Anas S.p.A. nonché di direttore e tesoriere della ”Fondazione della Libertà per il bene comune”. L’attività investigativa, inoltre, ha attenzionato i fallimenti delle società Setecna e Blustar, di fatto riconducibili a un imprenditore e a un commercialista, i quali, anche tramite ”prestanome”, hanno distratto ingenti risorse finanziarie dalle citate società, procurando un ingiusto danno ai creditori. Nel corso degli accertamenti è altresì emerso che un pubblico ufficiale, appartenente a una forza di polizia, in cambio di utilità economiche, abbia compiuto atti contrari ai doveri d’ufficio ed è stato sottoposto, pertanto, alla misura degli arresti domiciliari.

Cronache della Campania@2019


Corruzione, bancarotta e riciclaggio tra Caserta e Roma: arrestato anche un manager

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Un ex consigliere dell’Anas, per molto tempo vicino ad esponenti politici del centrodestra, con residenza a Frosinone e attività un po’ in tutta Italia. E’ questo nella sostanza l’identikit di Giovan Battista Papello, 64 anni, finito in carcere stamane in seguito all’inchiesta del Nucleo speciale anticorruzione della Guardia di Finanza, coordinata dai procuratori aggiunti Paolo Ielo e Rodolfo Sabelli. Al manager si contestano ipotesi di corruzione e di bancarotta fraudolenta documentale e patrimoniale. Nell’ordinanza di applicazione della misura di custodia cautelare, firmata dal gip Daniela Caramico D’Auria, si legge: “Si può sicuramente affermare, la sussistenza di un elevato rischio di recidiva nei confronti dell’indagato papello Giovan Battista Papello, il quale si è reso responsabile di una pluralità di condotte delittuose tutt’altro che occasionali, poste in essere senza soluzione di continuità, per un considerevole intervallo di tempo (almeno dal 2016 sino al 2018), ed espressive della spregiudicatezza e pericolosità dell’indagato. Come si è visto, egli manifestando una totale indifferenza all’osservanza delle regole, risponde di due episodi di corruzione del reato di bancarotta fraudolenta”. E poi “nella vicenda relativa all’appalto stipulato con il comune di San Marcellino (in provincia di Caserta) – scrive il gip – Papello anziché addivenire ad una soluzione concordata con i legali della controparte si adopera tramite intermediari a corrompere un pubblico ufficiale e allo stesso modo si comporta nella seconda vicenda, ove per bloccare il pagamento di un assegno, si rivolge tramite un intermediario ad un maresciallo dei Carabinieri compiacente che acconsente dietro elargizione di una somma di denaro, a redigere una falsa denuncia di smarrimento dell’assegno”. Nel motivare l’esigenza della misura cautelare in carcere per Papello, il giudice spiega: “È certo o comunque altamente probabile che si ripresenterà l’occasione del delitto ed è altrettanto certo o comunque altamente probabile che l’indagato se lasciato libero tornerà a delinquere”. “I ruoli ricoperti dal Papello, – prosegue l’ordinanza – ex consigliere Anas e membro di segreterie politiche, hanno consentito allo stesso di acquisire nel tempo numerose conoscenze di pubblici ufficiali incaricati di seguire le procedure di appalto presso enti territoriali, di appartenenti alle forze dell’ordine e di imprenditori, disponibili a rivestire incarichi fiduciari presso società a lui riconducibili”. Oltre a Papello è finito in carcere anche un suo presunto collaboratore. Nei confronti di altre 8 persone sono stati disposti gli arresti domiciliari. Nel complesso sono indagate una ventina di persone.

Cronache della Campania@2020

Clan Partenio: eseguite due nuove misure cautelari

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 I Carabinieri del Nucleo Investigativo del Comando Provinciale di Avellino hanno dato esecuzione a un provvedimento cautelare personale a carico di due indagati, responsabili di far parte, a vario titolo, di associazione per delinquere di tipo camorristico denominata “Nuovo Clan Partenio”, diretta da Pasquale Galdieri, attiva tra Avellino e provincia. Gli arrestati, raggiunti dal provvedimento nei comuni di Prata Principato Ultra (Avellino) e Tolmezzo (Udine), rispondono anche del reato fine di intestazione fittizia di beni riconducibili allo stesso clan, in particolare due societa’ e ditte edili gia’ oggetto di sequestro preventivo. La misura cautelare, emessa dalla Dda di Napoli, e’ un’appendice alla precedente operazione Partenio 2.0, eseguita il 14 ottobre del 2019, che ha consentito di disarticolare il clan egemone operante ad Avellino e provincia, con l’arresto di 22 capi e gregari ed il sequestro preventivo di beni mobili e immobili.

Cronache della Campania@2020

Confermate in Appello le condanne alle figlie di Bidognetti ma Katia la presunta “messaggera” esce di carcere

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Ventidue condanne, molte rideterminate al ribasso, sono state emesse dalla Quarta Sezione Penale della Corte d’Appello di Napoli nell’ambito del processo bis che vedeva coinvolte anche le figlie del boss dei Casalesi Francesco Bidognetti, Katia e Teresa, per una serie di estorsione che sarebbero state effettuate ai danni di imprenditori e commercianti.

I giudici napoletani hanno rigettato l’appello proposto dal pubblico ministero nei confronti di Katia Bidognetti e Giovanni Lubello, confermando le condanne inflitte a Katia Bidognetti (6 anni), Teresa Bidognetti (3 anni), Giuseppe Bianchi (11 anni), Raffaele Manfredi (7 anni e 8 mesi), Dionigi Pacifico (15 anni), Amerigo Quadrano (11 anni) e Giuseppe Verrone (6 anni). E’ stato dichiarato il non luogo a procedere nei confronti di Umberto Maiello, Francesco Puoti e Vincenzo Schiavone per un capo di imputazione, con la pena rideterminata a 6 anni e 2 mesi a testa. Ridotte le pene per Ciro Aulitto a 6 anni ed 8 mesi e 7mila euro di multa; Antonio Baldascini a 5 anni e 6mila euro di multa; Gaetano Cerci a 10 anni; Mirco Feola a 5 anni e 4 mesi; Carmine Micillo a 6 anni ed 8 mesi; Luigi Bitonto a 5 anni; Domenico D’Alterio a 5 anni; Giacomo Simonetti a 5 anni; Vincenzo De Luca a 7 anni, un mese e 10 giorni in continuazione con un’altra condanna (per quest’ultimo, difeso dall’avvocato Franco Liguori, è stata disposta anche l’immediata scarcerazione); Ciro Taurino a 76 anni, 4 mesi e 20 giorni; Orietta Verso a 3 anni ed 8 mesi; Stanislaso Cavaliere a 3 anni e 2 mesi. Disposta l’immediata scarcerazione (se non detenuti per altra causa) anche per Ciro Taurino, Stanislao Cavaliere, Teresa Bidognetti ed Orietta Verso.

Gli imputati erano accusati, a vario titolo, di estorsione ai danni di imprenditori di Casal di Principe, San Cipriano d’Aversa, Villa Literno, Cellole, Castel Volturno, Acerra e Roma. Nel mirino degli esattori del clan era finita anche una prostituta albanese residente a Giugliano ed un resort di Cellole. Secondo gli inquirenti Katia Bidognetti avrebbe ricevuto ordini direttamente dal padre, attraverso un sistema di messaggi ed allusioni, durante i colloqui in carcere.

Cronache della Campania@2020

Camorra, la moglie del boss portava ‘le imbasciate’ fuori dal carcere

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Importante, nel gruppo di “abbasc Miano” (“Miano bassa”) – sgominato oggi dai Carabinieri a Napoli – il ruolo delle donne. Il gip di Napoli su richiesta della Procura Antimafia, ha disposto 35 arresti nei confronti di presunti appartenenti al gruppo malavitoso (32 notificati oggi da Carabinieri e Dia), sette dei quali riguardano altrettante donne tra cui Maria Trambarulo (nipote di Gennaro Trambarulo, ritenuto elemento di spicco dell’Alleanza di Secondigliano) compagna del boss Salvatore Silvestri, e Vincenza Carrese, moglie di Pasquale Sibillo, detenuto ed ex capo della camorra dei Decumani, componente della cosiddetta “Paranza dei bambini”. Come è emerso dalle indagini Pasquale dal carcere comunicava con la sua donna utilizzando il telefono che aveva a disposizione Silvestri. Il gruppo di “Miano bassa” – per la DDA capeggiato da Matteo Balzano, Gianluca D’Errico e Salvatore Scarpellini – si teneva in contatto con gli affiliati anche attraverso la compagna del boss, Maria Trambarulo, demandata pure al recupero dei crediti e dell’usura. In relazione a quest’ultima attivita’ illecita gli inquirenti hanno trovato e sequestrato un libro mastro sul quale erano state annotate tutte le attivita’. Il gruppo del clan Lo Russo vendeva crack e cocaina nelle sue piazze di spaccio, ed era capace di esercitare pressione sul territorio e sui rivali attraverso le cosiddette stese (raid con colpi d’arma da fuoco nei vicoli dei quartieri) come dimostra l’imponente arsenale che aveva a disposizione – fucili mitragliatori e a pompa, pistole Magnum 357 e munizioni – sequestrati in varie tornate. 

Cronache della Campania@2020

Condannato a 12 anni di carcere don Michele Barone, il prete falso esorcista

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Condannato a 12 anni Michele Barone, l’ex prete del Tempio di Casapesenna, nel Casertano, accusato di maltrattamenti e lesioni gravi nei confronti di una minorenne. L’ex prete era accusato di aver innescato nelle vittime la convinzione di essere possedute dal demonio, sottoponendole durante i riti di esorcismo a trattamenti violenti e anche abusi sessuali nei confronti di altre due ragazze maggiorenni. La sentenza e’ stata emessa dal Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, collegio presieduto dal giudice Maria Francica. Condannati rispettivamente a 4 anni anche la madre e il padre della minorenne, accusati di omissione. Assolto invece l’ex dirigente del Commissariato di Maddaloni, Luigi Schettino. Alla fine della requisitoria, il pm Alessandro Di Vico, aveva chiesto per Barone la condanna a 22 anni. Otto anni erano stati chiesti per il padre e sette invece per la madre della ragazzina oggi 14enne. Per il poliziotto, invece, erano stati chiesti 5 anni. L’inchiesta era partita a seguito della denuncia della sorella maggiore della vittima. Durante il dibattimento, l’accusa aveva portato in aula diversi video in cui si vedeva l’ex prete schiaffeggiare e sputare durante i riti di esorcismo. Mentre in un altro caso avrebbe infilato le mani nelle parti intime. Nell’inchiesta erano finiti anche altri episodi di violenza sessuale nei confronti di un’altra fedele, una ragazza maggiorenne che frequentava il Tempio ed era solita recarsi con Barone e altri fedeli a Medjugorje. Barone si era sempre professato innocente parlando di “complotto” contro di lui; “erano tutte innamorate di me, io le ho respinte e si sono vendicate”, aveva detto. 

Cronache della Campania@2020

Traffico di droga, assolte le mogli dei boss del clan Manauro

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Il giudice presso il Tribunale di Napoli, dott. Saverio Vertuccio, ha emesso il
verdetto di primo grado relativamente alla associazione che avrebbe operato nel biennio 2014-2015, con base operativa a Brusciano e S. Vitaliano, ma con propagginin in tutta la regione Campania.
Numerosissimi i delitti di detenzione di cocaina e di hashish contestati
all’interno del procedimento, se sol si consideri che ai due elementi di vertice;
Vincenzo Manauro e Marco De Vita, venivano contestati decine di capi di
imputazione, con richiesta di condanna ad anni 20 di reclusione per entrambi.
Le prove a carico erano rappresentate dalle dichiarazioni di numerosi
collaboratori di giustizia e da consistenti prove captative.
Il dispositivo di sentenza contiene importanti statuizioni favorevoli agli
accusati, quali la esclusione dell’aggravante mafiosa, la esclusione della aggravante
armata e la esclusione dell’aggravante della ingente quantità che era contestata in
numerose incolpazioni.
Le rappresentate elisioni della ipotesi accusatoria hanno determinato la
irrogazione di pene più ridotte rispetto a quelle invocate dalla direzione distrettuale
antimafia.
Colpiscono le decisioni assunte nei confronti delle due donne coinvolte nella
inchiesta, legate ai vertici del gruppo.
Velvi Rosa, la moglie dell’organizzatore della consorteria Marco De Vita,
anche grazie ad una precedente decisione assunta in suo favore da parte della
Suprema Corte, è stata assolta dal delitto di partecipazione alla associazione,
condannata a soli anni quattro di reclusione, prossima alla totale revoca delle misure
non custodiali alle quali è sottoposta.
De Vita Stefania, moglie del capo indiscusso Vincenzo Manauro, è stata
assolta sia dal delitto di riciclaggio dei proventi del narcotraffico del marito, sia dal

Avv. Dario N. Vannetiello
Specializzato in Diritto Penale e Procedura Penale

Università di Napoli

NAPOLI MONTESARCHIO (BN) ROMA
Studio Prof. Avv. Alfonso M. Stile 82016, Via Napoli, P.co Europa, 72/A Studio Prof. Avv. Alfonso M. Stile
80132 via G. Orsini, 47 tel 0824. 841413 pbx – fax 0824. 831234 00193 P.zza Adriana, 5/C
tel. 081. 7645701 pbx – fax 081. 2451754 tel. 06. 68193357 – fax 06. 68801883

Cod. fisc. VNN DRA 65L31 G311R – Partita I.V.A. 02253130641
e-mail: dario@vannetiello.it pec: vannetiellodario@pec.it

delitto di intestazione fittizia e, con la concessione delle attenuanti generiche, è stata
condannata ad anni sette, rispetto agli anni quattrodici invocati dal pubblico
ministero, per aver sostituito il marito nel momento in cui quest’ultimo fu tratto in
arresto.
Entrambe le donne sono state difese dagli avvocati Dario Vannetiello e
Saverio Campana.
Assolta anche la terza donna coinvolta, Piera Lamponi, assolta dal reato
associativa e difesa dall’avvocato Mario Angelino, come risultano essere stati assolti
dalla medesima accusa Crescenzo e Sebastiano Vivolo.
La pena più alta, pari ad anni diciassette e mesi otto di reclusione, è stata
inflitta a Manauro Vincenzo, pluripregiudicato anche per associazione di stampo
mafioso, seppur va rilevato che in tale pena è compresa una precedente condanna di
anni sei e mesi quattro alla luce del riconoscimento della continuazione .
Mentre di minore entità quella inflitta al numero due della compagine, Marco
De Vita, il quale, rimedia solo anni dodici e mesi otto di reclusione a fronte di ben
venti capi di imputazione.
Numerosi erano gli imputati a giudizio, tra questi :
Massimo Sbarra, anni undici e mesi quattro;
Francesco Tudino, anni dieci,
Salvatore Grimaldi, Emanuele Grossi, Giuseppe Ciotola, Michele De Falco,
tutti condannati ad anni otto;
Giovanni Catapane, previa assoluzione da due episodi di detenzione, e con la
esclusione dell’aumento per la recidiva, difeso dall’avv. Buonincontro, anch’egli
condannato ad anni otto;
Eugenio D’Atri e Antonio Gauteri, entrambi anni sette;
Mario Macone e Gaetano Lanzone, pure loro assolti dal reato di
partecipazione alla associazione, rispettivamente difesi dagli avvocati Sabato Graziano ed Antonio Sorbilli, hanno ricevuto anni sei, pena questa identica per Umberto Frattini;
Antonio De Vita, anni tre e mesi quattro;
Cuono Lombardi, anni quattro e mesi otto;
Pasquale Trombetta, anni due e mesi otto.
La motivazione della sentenza, con la quale è stata drasticamente ridotta la
struttura della compagine, è prevista entro novanta giorni.
Poi ad occuparsi della vicenda saranno i giudici della Corte di appello di
Napoli, i quali saranno aditi dai difensori degli imputati che, comunque, hanno già
ottenuto una significativa riduzione delle accuse iniziali.

Cronache della Campania@2020

Camorra, ‘…cominciamo dal bambino più piccolo’, così il clan Orlando minacciava chi non pagava. Il racconto dei pentiti

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 Traffici di droga, tangenti per poter delinquere ‘protetti’, sequestri di persone e minacce anche di far male ai bambini. Nelle 268 pagine il giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Napoli, Isabella Iaselli, racconta dopo la richiesta dei pm della Dda sulle informative dei carabinieri, l’evoluzione del clan Orlando che dal 2015 ha preso in mano le redini di quello che una volta era l’impero della cosca dei Nuvoletta-Polverino, boss molto piu’ simili ai mafiosi che ai camorristi, in grado di fare affari milionari, di corrompere e di investire in attività commerciali. Ma gli Orlando dovevano prima imporsi e lo hanno fatto con la violenza, così come ricostruito nelle pieghe della misura cautelare che ha raggiunto nei giorni scorso 24 persone. In totale sono 33 gli indagati e sono due le accuse principali: il traffico di sostanze stupefacenti e l’associazione camorristica. Le due organizzazioni, quella dei trafficanti e gli Orlando, sono collegate tra loro perche’ una dipende dall’altra. A ricostruire le fasi ci hanno pensato i collaboratori di giustizia. Giacomo Di Pierno, per esempio, decripta le frasi in codice: “Per il termine macchina si intende un carico da trecento chilogrammi di hashish che viene venduto a 1.200 euro al chilo”, dice in un verbale del 13 marzo del 2018. Racconta poi che per poter aprire la piazza di droga nel comune Flegreo di Quarto, dove non era più possibile vendere sostanze stupefacenti, il clan Orlando imposero ai referenti criminali della zona di pagare i loro carcerati. Andrea Lollo il 13 dicembre del 2017 racconta un episodio che spiega al meglio le tensioni che spesso si creano all’interno delle cosche subito dopo gli arresti, per la mancanza di liquidità. Racconta del mancato pagamento di una partita di hashish con un marocchino e di un suo fornitore italiano Bruno Carbone, del valore di 200 mila euro da parte di Antonio Nuvoletta. Lui per giustificarsi disse di aver girato il carico ad un esponente del clan Licciardi di Secondigliano e allora lui per dimostrare la sua buona fede mandò come emissario suo nipote che fu sequestrato fino a quando Nuovoletta non pagò il carico. Nella cosca che si occupava di droga Pasquale Baiano aveva il ruolo di supervisore delle piazze di spaccio, Vittorio Felaco era colui il quale approvvigionava il clan di sostanze stupefacenti per un periodo che va da novembre 2016 a luglio 2019. Altro episodio grave raccontato e contestato dal gip è quello che vede protagonista un boss della droga, Francesco Verderosa, avvenuto a Marano il 27 novembre. C’era stato un ammanco di droga, forse era stata rubata ed era stato individuato anche il responsabile. Cosi’ Verderosa, intercettato, inizia a cercare di procurarsi due pistole. “Vai da qualcuno perche’ non possiamo portare niente noi da qua, io massimo questa sera sono da voi. Vai da chi devi andare e fammi trovare i due ferri”. Poi a tu per tu con il presunto ladro di droga la minaccia inequivocabile. “Stanotte hai fatto il patto con la morte, puoi andare anche nella migliore caserma dei carabinieri, finanza o polizia, vai dove vuoi, fai conto che devi fare solo il funerale. Stiamo partendo con due macchine, cominciamo con il bambino più piccolo”.

Cronache della Campania@2020


Arrestato l’avvocato del clan: deve scontare sei anni di carcere

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Avvocato di fiducia ma anche socio in affari di un boss, poi finto pentito: diventa definitiva la condanna a sei anni di reclusione per Giovanni De Caprio. Il professionista, come raccontato sulle pagine de Il Mattino, è stato arrestato per scontare quella condanna sulla quale c’è il sigillo della Cassazione. De Caprio fu arrestato per essere stato il sodale di Francesco Casillo, alias ‘a vurzella, boss e narcotrafficante di Boscoreale protagonista di una strana ‘trattativa’ con i carabinieri per il suo pentimento. De Caprio, avvocato difensore di Casillo, secondo la Dia napoletana, avrebbe coadiuvato le attività illecite reinvestendo una parte dei proventi del malavitoso boss del Piano Napoli di Boscoreale. Oggi 57enne, Giovanni De Caprio aveva lasciato dopo l’arresto, la sua professione di avvocato in Campania, trasferendosi nel basso Lazio dove è stato arrestato nei giorni scorsi e condotto nel carcere di Latina dove dovrà scontare sei anni di reclusione.

Cronache della Campania@2020

Ucciso per sbaglio dalla camorra Ercolano, i giudici riconoscono l’indennizzo alla mamma di Barbaro

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Ercolano. Una battaglia lunga 11 anni: alla fine i giudici riconoscono l’indennizzo ai parenti di Salvatore Barbaro. Il Tribunale civile di Napoli ha riconosciuto il diritto ad ottenere i benefici in danaro previsti dalla legge alla madre di Salvatore Barbaro, un ragazzo ucciso nel 2009 ad Ercolano con 11 colpi di pistola perchè aveva l’auto uguale a quella del camorrista che era il bersaglio dei sicari. Fu ammazzato per un tragico errore Salvatore: lo riconobbe nel 2016 anche una sentenza del tribunale penale di Napoli, che condannò cinque persone per l’omicidio. A dispetto della pronuncia, il Ministero dell’Interno non ha però mai voluto riconoscere al giovane lo status di vittima innocente della criminalità organizzata, che avrebbe dato diritto ai familiari di Salvatore di ricevere una somma di danaro fino a 150mila euro, come prevede la normativa (leggi 302/1990 e 407/1998); per due volte i funzionari del Viminale hanno bocciato la richiesta avanzata da Giovanna Scudo, madre di Salvatore Barbaro, che pretendeva che anche il Ministero, dopo l’autorità giudiziaria, riconoscesse l’innocenza del figlio. I funzionari ministeriali hanno addotto come giustificazioni la non totale estraneità della Scudo ad ambienti delinquenziali. Dopo la seconda bocciatura, la Scudo, assistita dal legale Giovanni Zara, si è rivolta al tribunale civile di Napoli, che le ha dato ragione, ritenendo la totale estraneità della donna a qualsiasi ambiente criminale. Per il giudice, anche la circostanza che alcuni familiari della Scudo avessero precedenti non è risultata rilevante, in quanto i reati di cui si sarebbero macchiati non rientrano tra quelli che per legge precludono il diritto all’elargizione in danaro. La Scudo ha dunque il pieno diritto di godere di un indennizzo per la grave perdita del figlio.

Cronache della Campania@2020

Favori ai boss dei Casalesi in carcere, condannato agente della penitenziaria

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Favori ai boss dei Casalesi all’interno del carcere di Carinola. E’ definitiva la condanna nei confronti di A.P., agente della polizia penitenziaria originario di Minturno (Latina) di 54 anni. La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il suo ricorso e confermato la sentenza pronunciata dai giudici d’Appello.

Secondo l’accusa il 54enne avrebbe ricevuto dai boss detenuti Francesco Diana e Massimo Iovine, entrambi ristretti al 41bis all’epoca dei fatti, soldi o altre utilità in cambio di favori come il non sottoporli a perquisizione prima dei colloqui, favorendo così l’eventuale scambio di pizzini e facendo pervenire direttive all’esterno della casa circondariale, o avvisarli della presenza di intercettazioni durante i colloqui o in cella.

Sono stati poi gli stessi Iovine e Diana, diventati collaboratori di giustizia, ad accusare l’agente penitenziario incastrandolo. Per i giudici della Suprema Corte le dichiarazioni dei due pentiti, detenuti per un periodo anche nella stessa cella, sono “precise, costanti e spontanee”. La Cassazione ha escluso possibili motivi di risentimento che “giustificassero una fraudolenta concertazione ai danni” dell’agente da parte dei due pentiti.

Confermata anche l’aggravante mafiosa in quanto i favori “elargiti ai due esponenti camorristi – la cui caratura era ben nota – erano volti ad agevolare l’associazione criminale di riferimento, sia consentendo la consegna di pizzini durante i colloqui, così da far uscire informazioni utili all’organizzazione, sia neutralizzando le attività investigative svolte nel carcere”.

 Gustavo Gentile

Cronache della Campania@2020

Angri, litigano con la cognata per motivi di vicinato e le avvelenano i gatti: a processo due sorelle

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Non volevano come vicina di casa la ex cognata nè i suoi figli, al punto da minacciarla di morte e di ucciderle anche i gatti, con del veleno. C’è questo e altro dietro una richiesta di rinvio a giudizio firmata dalla procura di Nocera Inferiore per due sorelle di Angri, di 50 e 55 anni, per quanto avrebbero architettato e poi realizzato dal mese di agosto del 2016 ai tempi più recenti, con condotta perdurante. Le vittime erano la ex cognata, moglie del fratello delle due imputate, e i due figli, che avrebbero subito di tutto. E questo perchè le due non accettavano che la donna fosse andata ad abitare in un appartamento li vicino, assegnato dal giudice della separazione. “Stai attenta che il veleno lo mettiamo pure a te”, avrebbe intimato una delle due, riferendosi a quello utilizzato per uccidere i gatti di loro proprietà. Una storia fatta di aggressioni, dispetti e persecuzioni, che si manifestavano quotidianamente con citofonate a tutte le ore, insulti e dispetti, come l’auto rigata o lanciando all’aria la legna del camino. E ancor più grave, nell’aver ucciso i gatti delle vittime con del veleno.

Cronache della Campania@2020

Napoli, bancarotta: il Riesame annulla la misura cautelare per l’ortopedico Iannelli

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Il tribunale del Riesame di Napoli ha revocato ieri la misura cautelare degli arresti domiciliari per l’ortopedico napoletano Paolo Iannelli. I giudici dell’ottava sezione hanno annullato la misura di custodia cautelare che il 23 gennaio scorso aveva colpito il noto professionista per bancarotta fraudolenta con false fatture. Sotto sequestro erano finiti anche la societa’ Il Muletto e beni per 4,8 milioni di euro riconducibili all’ex primario del Cardarelli, gia’ coinvolto in altra vicenda giudiziaria. Secondo inquirenti, Iannelli avrebbe fatto confluire il denaro versato dai pazienti di quella clinica su conti correnti intestati a persone a lui riconducibili.

Cronache della Campania@2020

Strage di Pescopagano: nuova ordinanza per il boss La Torre

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I carabinieri del Nucleo Investigativo di CASERTA hanno notificato un’ordinanza di custodia cautelare in carcere al boss della camorra di Mondragone Augusto La Torre, gia’ detenuto da anni, in seguito alla condanna all’ergastolo riportata ad ottobre scorso da La Torre per la cosiddetta “strage di Pescopagano”. Durante il massacro, avvenuto il 24 aprile del 1990 a Pescopagano, frazione del comune di Castel Volturno, furono ammazzati a colpi d’arma cinque persone e altre otto rimasero ferite; tre delle vittime erano tanzaniane, poi c’era un iraniano e l’italiano Alfonso Romano, questi ultimi due colpiti per errore in quanto si trovavano nel bar dove inizio’ la strage; fu colpito anche il figlio 14enne del gestore del locale, poi rimasto paralizzato. Con La Torre fu condannato a 20 anni anche il cugino Tiberio Francesco La Torre. Il provvedimento odierno e’ stato emesso dal tribunale di Napoli su richiesta della Direzione Distrettuale Antimafia, che temeva che Augusto La Torre potesse darsi alla fuga prima che divenisse esecutiva la sentenza di condanna, approfittando di benefici carcerari. La Torre e’ detenuto ininterrottamente dal 1996, e in cella ha preso anche la laurea in psicologia, divenendo noto come il boss psicologo; negli anni ha ottenuto sconti di pena avendo iniziato una collaborazione con la giustizia che poi si e’ interrotta. Con i suoi legali ha quindi avviato un contenzioso con l’amministrazione carceraria per provare a ridurre gli anni di detenzione e cercare di uscire anzitempo dal carcere; prima dell’ergastolo per la strage, La Torre non aveva infatti altri ergastoli, e pur avendo confessato quasi 50 omicidi, sperava di poter usufruire di permessi come gia’ avvenuto in passato. I magistrati anticamorra e i carabinieri hanno dunque giocato sul tempo, riuscendo ad anticiparne le mosse con una ordinanza emessa per una delle stragi piu’ note e datate della camorra casertana.

Cronache della Campania@2020

Traffico di droga, assolte le mogli dei boss del clan Manauro

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Il giudice presso il Tribunale di Napoli, dott. Saverio Vertuccio, ha emesso il
verdetto di primo grado relativamente alla associazione che avrebbe operato nel biennio 2014-2015, con base operativa a Brusciano e S. Vitaliano, ma con propagginin in tutta la regione Campania.
Numerosissimi i delitti di detenzione di cocaina e di hashish contestati
all’interno del procedimento, se sol si consideri che ai due elementi di vertice;
Vincenzo Manauro e Marco De Vita, venivano contestati decine di capi di
imputazione, con richiesta di condanna ad anni 20 di reclusione per entrambi.
Le prove a carico erano rappresentate dalle dichiarazioni di numerosi
collaboratori di giustizia e da consistenti prove captative.
Il dispositivo di sentenza contiene importanti statuizioni favorevoli agli
accusati, quali la esclusione dell’aggravante mafiosa, la esclusione della aggravante
armata e la esclusione dell’aggravante della ingente quantità che era contestata in
numerose incolpazioni.
Le rappresentate elisioni della ipotesi accusatoria hanno determinato la
irrogazione di pene più ridotte rispetto a quelle invocate dalla direzione distrettuale
antimafia.
Colpiscono le decisioni assunte nei confronti delle due donne coinvolte nella
inchiesta, legate ai vertici del gruppo.
Velvi Rosa, la moglie dell’organizzatore della consorteria Marco De Vita,
anche grazie ad una precedente decisione assunta in suo favore da parte della
Suprema Corte, è stata assolta dal delitto di partecipazione alla associazione,
condannata a soli anni quattro di reclusione, prossima alla totale revoca delle misure
non custodiali alle quali è sottoposta.
De Vita Stefania, moglie del capo indiscusso Vincenzo Manauro, è stata
assolta sia dal delitto di riciclaggio dei proventi del narcotraffico del marito, sia dal

Avv. Dario N. Vannetiello
Specializzato in Diritto Penale e Procedura Penale

Università di Napoli

NAPOLI MONTESARCHIO (BN) ROMA
Studio Prof. Avv. Alfonso M. Stile 82016, Via Napoli, P.co Europa, 72/A Studio Prof. Avv. Alfonso M. Stile
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delitto di intestazione fittizia e, con la concessione delle attenuanti generiche, è stata
condannata ad anni sette, rispetto agli anni quattrodici invocati dal pubblico
ministero, per aver sostituito il marito nel momento in cui quest’ultimo fu tratto in
arresto.
Entrambe le donne sono state difese dagli avvocati Dario Vannetiello e
Saverio Campana.
Assolta anche la terza donna coinvolta, Piera Lamponi, assolta dal reato
associativa e difesa dall’avvocato Mario Angelino, come risultano essere stati assolti
dalla medesima accusa Crescenzo e Sebastiano Vivolo.
La pena più alta, pari ad anni diciassette e mesi otto di reclusione, è stata
inflitta a Manauro Vincenzo, pluripregiudicato anche per associazione di stampo
mafioso, seppur va rilevato che in tale pena è compresa una precedente condanna di
anni sei e mesi quattro alla luce del riconoscimento della continuazione .
Mentre di minore entità quella inflitta al numero due della compagine, Marco
De Vita, il quale, rimedia solo anni dodici e mesi otto di reclusione a fronte di ben
venti capi di imputazione.
Numerosi erano gli imputati a giudizio, tra questi :
Massimo Sbarra, anni undici e mesi quattro;
Francesco Tudino, anni dieci,
Salvatore Grimaldi, Emanuele Grossi, Giuseppe Ciotola, Michele De Falco,
tutti condannati ad anni otto;
Giovanni Catapane, previa assoluzione da due episodi di detenzione, e con la
esclusione dell’aumento per la recidiva, difeso dall’avv. Buonincontro, anch’egli
condannato ad anni otto;
Eugenio D’Atri e Antonio Gauteri, entrambi anni sette;
Mario Macone e Gaetano Lanzone, pure loro assolti dal reato di
partecipazione alla associazione, rispettivamente difesi dagli avvocati Sabato Graziano ed Antonio Sorbilli, hanno ricevuto anni sei, pena questa identica per Umberto Frattini;
Antonio De Vita, anni tre e mesi quattro;
Cuono Lombardi, anni quattro e mesi otto;
Pasquale Trombetta, anni due e mesi otto.
La motivazione della sentenza, con la quale è stata drasticamente ridotta la
struttura della compagine, è prevista entro novanta giorni.
Poi ad occuparsi della vicenda saranno i giudici della Corte di appello di
Napoli, i quali saranno aditi dai difensori degli imputati che, comunque, hanno già
ottenuto una significativa riduzione delle accuse iniziali.

Cronache della Campania@2020


Strage di Pescopagano: nuova ordinanza per il boss La Torre

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I carabinieri del Nucleo Investigativo di CASERTA hanno notificato un’ordinanza di custodia cautelare in carcere al boss della camorra di Mondragone Augusto La Torre, gia’ detenuto da anni, in seguito alla condanna all’ergastolo riportata ad ottobre scorso da La Torre per la cosiddetta “strage di Pescopagano”. Durante il massacro, avvenuto il 24 aprile del 1990 a Pescopagano, frazione del comune di Castel Volturno, furono ammazzati a colpi d’arma cinque persone e altre otto rimasero ferite; tre delle vittime erano tanzaniane, poi c’era un iraniano e l’italiano Alfonso Romano, questi ultimi due colpiti per errore in quanto si trovavano nel bar dove inizio’ la strage; fu colpito anche il figlio 14enne del gestore del locale, poi rimasto paralizzato. Con La Torre fu condannato a 20 anni anche il cugino Tiberio Francesco La Torre. Il provvedimento odierno e’ stato emesso dal tribunale di Napoli su richiesta della Direzione Distrettuale Antimafia, che temeva che Augusto La Torre potesse darsi alla fuga prima che divenisse esecutiva la sentenza di condanna, approfittando di benefici carcerari. La Torre e’ detenuto ininterrottamente dal 1996, e in cella ha preso anche la laurea in psicologia, divenendo noto come il boss psicologo; negli anni ha ottenuto sconti di pena avendo iniziato una collaborazione con la giustizia che poi si e’ interrotta. Con i suoi legali ha quindi avviato un contenzioso con l’amministrazione carceraria per provare a ridurre gli anni di detenzione e cercare di uscire anzitempo dal carcere; prima dell’ergastolo per la strage, La Torre non aveva infatti altri ergastoli, e pur avendo confessato quasi 50 omicidi, sperava di poter usufruire di permessi come gia’ avvenuto in passato. I magistrati anticamorra e i carabinieri hanno dunque giocato sul tempo, riuscendo ad anticiparne le mosse con una ordinanza emessa per una delle stragi piu’ note e datate della camorra casertana.

Cronache della Campania@2020

Traffico di droga, assolte le mogli dei boss del clan Manauro

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Il giudice presso il Tribunale di Napoli, dott. Saverio Vertuccio, ha emesso il
verdetto di primo grado relativamente alla associazione che avrebbe operato nel biennio 2014-2015, con base operativa a Brusciano e S. Vitaliano, ma con propagginin in tutta la regione Campania.
Numerosissimi i delitti di detenzione di cocaina e di hashish contestati
all’interno del procedimento, se sol si consideri che ai due elementi di vertice;
Vincenzo Manauro e Marco De Vita, venivano contestati decine di capi di
imputazione, con richiesta di condanna ad anni 20 di reclusione per entrambi.
Le prove a carico erano rappresentate dalle dichiarazioni di numerosi
collaboratori di giustizia e da consistenti prove captative.
Il dispositivo di sentenza contiene importanti statuizioni favorevoli agli
accusati, quali la esclusione dell’aggravante mafiosa, la esclusione della aggravante
armata e la esclusione dell’aggravante della ingente quantità che era contestata in
numerose incolpazioni.
Le rappresentate elisioni della ipotesi accusatoria hanno determinato la
irrogazione di pene più ridotte rispetto a quelle invocate dalla direzione distrettuale
antimafia.
Colpiscono le decisioni assunte nei confronti delle due donne coinvolte nella
inchiesta, legate ai vertici del gruppo.
Velvi Rosa, la moglie dell’organizzatore della consorteria Marco De Vita,
anche grazie ad una precedente decisione assunta in suo favore da parte della
Suprema Corte, è stata assolta dal delitto di partecipazione alla associazione,
condannata a soli anni quattro di reclusione, prossima alla totale revoca delle misure
non custodiali alle quali è sottoposta.
De Vita Stefania, moglie del capo indiscusso Vincenzo Manauro, è stata
assolta sia dal delitto di riciclaggio dei proventi del narcotraffico del marito, sia dal

Avv. Dario N. Vannetiello
Specializzato in Diritto Penale e Procedura Penale

Università di Napoli

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condannata ad anni sette, rispetto agli anni quattrodici invocati dal pubblico
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arresto.
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Saverio Campana.
Assolta anche la terza donna coinvolta, Piera Lamponi, assolta dal reato
associativa e difesa dall’avvocato Mario Angelino, come risultano essere stati assolti
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La pena più alta, pari ad anni diciassette e mesi otto di reclusione, è stata
inflitta a Manauro Vincenzo, pluripregiudicato anche per associazione di stampo
mafioso, seppur va rilevato che in tale pena è compresa una precedente condanna di
anni sei e mesi quattro alla luce del riconoscimento della continuazione .
Mentre di minore entità quella inflitta al numero due della compagine, Marco
De Vita, il quale, rimedia solo anni dodici e mesi otto di reclusione a fronte di ben
venti capi di imputazione.
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esclusione dell’aumento per la recidiva, difeso dall’avv. Buonincontro, anch’egli
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partecipazione alla associazione, rispettivamente difesi dagli avvocati Sabato Graziano ed Antonio Sorbilli, hanno ricevuto anni sei, pena questa identica per Umberto Frattini;
Antonio De Vita, anni tre e mesi quattro;
Cuono Lombardi, anni quattro e mesi otto;
Pasquale Trombetta, anni due e mesi otto.
La motivazione della sentenza, con la quale è stata drasticamente ridotta la
struttura della compagine, è prevista entro novanta giorni.
Poi ad occuparsi della vicenda saranno i giudici della Corte di appello di
Napoli, i quali saranno aditi dai difensori degli imputati che, comunque, hanno già
ottenuto una significativa riduzione delle accuse iniziali.

Cronache della Campania@2020

Camorra, il Pg chiede la condanna per i fratelli di Zagaria

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“Roberto Battaglia e’ una vittima dei fratelli Zagaria, che per questo vanno condannati”. Cosi’ il sostituto della Procura generale di Napoli Maria Cristina Gargiulo nel corso della requisitoria del processo d’appello che vede imputati per estorsione aggravata e usura Antonio, Pasquale e Carmine Zagaria, fratelli del capoclan dei Casalesi Michele Zagaria. Nel processo, partito dalla denuncia dell’imprenditore bufalino Roberto Battaglia, che in seguito alle estorsioni del clan e’ finito in mano agli usurai, e’ imputato anche Filippo Capaldo, nipote del boss, suo delfino ed erede alla guida della cosca, Raffaele Capaldo, il fedelissimo del clan Pasquale Fontana e gli imprenditori titolari di concessionarie d’auto Nicola Diana e Ciro Benenati. In primo grado, nell’ottobre 2014, furono tutti assolti. Il Pg ha chiesto pene dai 12 ai 14 anni per gli imputati, ritenendo che “l’attendibilita’ di Battaglia sia stata comprovata da importanti magistrati anticamorra come Federico Cafiero de Raho (oggi Procuratore Nazionale Antimafia, ndr) e Catello Maresca”, per anni pm di punta della Dda di Napoli nelle indagini sul clan Zagaria. Battaglia (difeso da Gianluca Giordano e Carlo De Stavola), a causa delle estorsioni e delle minacce subite, ebbe anche la scorta, che gli e’ stata revocata nel giugno 2018. “La scorta – spiega oggi – mi fu tolta con una semplice telefonata, senza che mi fosse data alcuna spiegazione. Faccio ora appello al Ministro dell’Interno Luciana Lamorgese affinche’ la ripristini, almeno quando vengo in Campania”. Battaglia lavora tra Roma e il Casertano, in particolare l’area di Caiazzo, dove aveva un’azienda bufalina che dovette chiudere dopo le vicissitudini giudiziarie. “Sto provando a riaprire l’azienda nel Casertano – spiega Battaglia – ma ho timore per la mia incolumita’”. Sulla scorta, Battaglia ha avviato una vera e propria sfida a colpi di carta bollata con il Ministero dell’Interno, che gia’ ad inizio 2014, prima che arrivasse la sentenza di assoluzione per gli Zagaria, aveva ridotto il dispositivo di tutela disponendo che si attuasse solo nel territorio della regione Campania e non in tutta Italia; Battaglia fece ricorso al Tar del Lazio che la ripristino’ su tutto il territorio nazionale; nel frattempo si e’ trasferito a Roma ma intanto la scorta gli e’ stata revocata definitivamente. “Ho fatto ricorso amministrativo al Capo dello Stato – spiega – ma sono in attesa di risposta da oltre un anno e mezzo” conclude l’imprenditore.

Cronache della Campania@2020

Tangenti e corruzione al comune di Napoli: il Riesame scarcera 4 indagati

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L’ottava sezione del Tribunale del Riesame di Napoli (collegio F) ha disposto la scarcerazione, per mancanza di gravi indizi di colpevolezza, di quattro indagati, arrestati nell’ambito dell’indagine su presunte tangenti al Comune di Nola che sarebbero state pagate per assicurarsi appalti pubblici. Complessivamente, lo scorso 29 gennaio, il gip di Napoli ha emesso nove provvedimenti cautelari nei confronti di altrettante persone. Sono tornati in libertà, su decisione dei giudici, l’imprenditore di Melito  Luigi Marrone, difeso dagli avvocati Giovanni e Antonio Gravante; gli imprenditori edili Pasquale Viro (difeso dall’avvocato Massimo D’Errico) e Antonio Piccolo (difeso dagli avvocati Giuseppe Stellato e Claudio Sgambato); e Gustavo Anaclerio (difeso dagli avvocati Giovanni e Camillo Gurgo), responsabile unico del procedimento della gara d’appalto sugli interventi di riqualificazione urbana e ambientale e il completamento delle reti fognarie e del collettore San Giuseppe Vesuviano-Piazzolla. A tutti gli inquirenti contestano i reati di corruzione e turbata liberta’ degli incanti commessi in concorso.

Cronache della Campania@2020

Vigilanza & camorra: il cognato di Raffaele Bidognetti a giudizio con altri 4 imputati

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Tutti a processo per l’inchiesta sulla vigilanza del clan dei Casalesi. Il gup del tribunale di Napoli ha rinviato a giudizio Enrico Verso, cognato dal collaboratore di giustizia Raffaele Bidognetti (figlio del capoclan Cicciotto ‘e Mezzanotte), Antonio D’Abbronzo, 47 anni di Villaricca, Eugenio Di Laura, 51 anni di Gricignano d’Aversa, Carlo Verdone, 59 anni di Roma (omonimo dell’attore), Vincenzo Siano di Sant’Antimo.

Il giudice ha rigettato una richiesta di abbreviato condizionato avanzata da Verso, D’Abbronzo e Di Laura con i tre imputati che hanno optato, quindi, per il processo con rito ordinario. La prima udienza è stata fissata a metà marzo dinanzi alla seconda sezione collegiale del tribunale di Napoli Nord. Nel collegio difensivo sono impegnati gli avvocati Fabio Della Corte, Teresa Frippa e Gaetano Orabona.

L’inchiesta in cui gli indagati sono rimasti coinvolti aveva permesso di accertare una serie di estorsioni ed intimidazioni ai danni di commercianti sia per il recupero di crediti sia mediante l’imposizione del servizio di vigilanza, attuate mediante la forza di intimidazione derivante dall’appartenenza al clan. Secondo quanto emerso i Casalesi avrebbero imposto l’istituto di vigilanza, per gli inquirenti riconducibile a Verso, anche a Cinecittà.

Intanto per Verso e D’Abbronzo è stato fissato il Riesame per la seconda ordinanza di custodia cautelare, quella riguardante la cessione di un ramo d’azienda della “Roma Security”, riconducibile a Verso, ad un’altra azienda, “I Pretoriani”, al fine di eludere i controlli. L’udienza dinanzi al Tribunale della Libertà è in programma la prossima settimana.

Cronache della Campania@2020

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