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Channel: Cronaca Giudiziaria
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Finanziarono la campagna elettorale di Sommese: in carcere 5 tra imprenditori e funzionari

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Il Comando Provinciale della Guardia di Finanza di Napoli, al termine di indagini coordinate dalla Direzione Distrettuale Antimafia partenopea, ha dato esecuzione ad un’ordinanza di custodia cautelare emessa dal GIP del Tribunale di Napoli nei confronti di 5 persone.

I destinatari dei provvedimenti sono funzionari pubblici e imprenditori, accusati, a vario titolo, di corruzione e turbata libertà degli incanti in relazione ad una gara di appalto indetta dal Comune di Nola per l’esecuzione dei lavori di riqualificazione urbana ed ambientale delle frazioni di Piazzolla e Polvica, completamento delle reti fognarie di quel Comune e del collettore San Giuseppe Vesuviano-Piazzolla.

L’odierna attività, condotta dai finanzieri del Nucleo di Polizia Economico- Finanziaria di Napoli, scaturisce dall’indagine dalla stampa convenzionalmente denominata “THE QUEEN”, nel cui ambito erano state riscontrate irregolarità riguardanti varie gare di appalto, di committenza pubblica, gestite da Enti pubblici delle Province di Napoli, Caserta e Benevento, facendo emergere la sistematica operatività di “colletti bianchi” in grado di incidere in maniera determinante sull’aggiudicazione di dette procedure ad evidenza pubblica, in favore di imprese “predesignate”.

In particolare, nell’ordinanza vengono contestate condotte di turbata libertà degli incanti e corruzione al Responsabile Unico del Procedimento (R.u.p.) della gara, Gustavo ANACLERIO, il quale, attraverso l’intermediazione di Antonio SOMMESE (detto Antonello) – collaboratore dell’Assessore allo Sviluppo e Promozione del Turismo della Regione Campania pro-tempore Pasquale SOMMESE – e dell’imprenditore di Melito di Napoli Luigi MARRONE, è gravemente indiziato di avere consegnato in anteprima agli ingegneri Guglielmo LA REGINA e Umberto PERILLO documenti riservati inerenti alla gara di appalto.

Tale condotta, secondo quanto contestato, avrebbe così consentito ai suddetti professionisti di redigere l’offerta tecnica in termini maggiormente vantaggiosi rispetto ai concorrenti garantendo l’aggiudicazione della gara al Raggruppamento Temporaneo di Imprese denominato “ICOOP –IMPREGIVI” degli imprenditori edili Antonio PICCOLO di Casapesenna e Pasquale VIRO di Afragola.

Altresì, la contestazione cautelare riportata in ordinanza concerne anche le condotte commesse dal Presidente della commissione di Gara – Funzionario tecnico del Provveditorato Interregionale OO.PP. della Campania, Molise e Basilicata – Catello ESPOSITO, accusato di avere colluso con i partecipanti.

Altresì, i fatti di corruzione per i quali si procede attengono a dazioni corruttive in favore del R.u.p. Gustavo ANACLERIO, per una tangente di circa 70.000 euro, e di Antonio SOMMESE, per una somma di 15.000 euro, destinata poi a finanziare la campagna elettorale di Pasquale SOMMESE per le elezioni regionali del 2015.

In relazione ai fatti esposti Gustavo ANACLERIO, Luigi MARRONE, Antonio PICCOLO e Pasquale VIRO sono risultati destinatari della custodia cautelare in carcere, mentre nei confronti di Catello ESPOSITO sono stati applicati gli arresti domiciliari.

Cronache della Campania@2019


Infiltrazione del clan dei Casalesi nella vigilanza privata: arrestati in tre

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Eludendo le disposizioni di legge in materia di prevenzione patrimoniale, un gruppo criminale è riuscito a far infiltrare un soggetto legato alla fazione Bidognetti del “Clan dei Casalesi” nel settore della vigilanza privata armata nell’area campana, ottenendone il pieno controllo. E’ quanto hanno scoperto i militari del Nucleo Investigativo del Gruppo Carabinieri di Aversa (Caserta) che hanno dato esecuzione a un’ordinanza di applicazione di misure cautelari, emessa dal GIP del Tribunale di Napoli, su richiesta della Procura della Repubblica – Direzione Distrettuale Antimafia a carico di quattro persone, indagate a vario titolo per i reati di “traffico di influenze illecite”, “trasferimento fraudolento di valori”, “rivelazione ed utilizzazione di segreti di ufficio”, con l’aggravante del metodo mafioso. Le persone coinvolte sono Enrico Verso, 57 anni, già detenuto, Antonio D’Abbronzo, 48 anni, e Carlo Verdone, 60 anni, entrambi agli arresti domiciliari, e di Alessandro Barbieri, 71 anni, amministratore unico della società di vigilanza privata armata “I Pretoriani S.r.l.”, al quale è stato notificato un divieto di ritorno in Campania. Le misure cautelari sono state notificate nelle province di Caserta, Napoli, Roma e Massa Carrara. I militari hanno anche sequestrato preventivamente i beni aziendali e le quote sociali della società “I Pretoriani”.

Cronache della Campania@2019

Inchiesta Romeo: non utilizzabili le intercettazioni fatte con il virus spia

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Le intercettazioni ambientali che sono state fatte a carico dell’imprenditore napoletano Alfredo Romeo non sono utilizzabili perché registrate con l’installazione di un virus spia non autorizzato. Questa è la decisione presa dalla prima sezione penale, collegio C, del tribunale di Napoli, sull’attività investigativa dei pm della procura di Napoli che hanno mandato a giudizio Romeo e il suo collaboratore Ivan Russo per corruzione in due filoni investigativi: il primo su infiltrazioni della criminalità organizzata nell’assegnazione degli appalti dell’ospedale Cardarelli di Napoli e il secondo, sugli appalti della Consip, centrale degli acquisti della pubblica amministrazione. Le intercettazioni non trascrivibili, come aveva già stabilito la Cassazione su un ricorso presentato contro la misura cautelare emessa a carico di Romeo, sono frutto di un filone investigativo precedente a quello sugli appalti all’ospedale Cardarelli. Gli inquirenti possono ora presentare a integrazione una nuova lista di intercettazioni sempre che dimostrino la commissione del reato.

Cronache della Campania@2019

Favori al clan Polverino e ai Cesaro: misure cautelari all’ex sindaco di Marano e al capo dell’ufficio tecnico

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Stamane i Carabinieri del ROS hanno dato esecuzione a un’ordinanza di applicazione di misure cautelari personali emessa, su richiesta della Direzione distrettuale antimafia della Procura della repubblica di Napoli, dal GIP del locale Tribunale nei confronti di 3 persone (due sottoposte agli arresti domiciliari e una alla sospensione dai pubblici uffici per 12 mesi) poiché indagate, a vario titolo, dei reati di concorso esterno in associazione mafiosa e corruzione per atti contrari ai doveri d’ufficio aggravata dalle finalità mafiose, per aver favorito il clan Polverino operante a Marano di Napoli e comuni limitrofi.
Il provvedimento restrittivo trae origine da indagini svolte dai Carabinieri del Reparto Anticrimine di Napoli in prosecuzione di quelle che il 24 maggio 2017 hanno portato all’esecuzione di una misura cautelare in carcere e agli arresti domiciliari di 5 persone indagate dei reati di concorso esterno in associazione mafiosa e altro. All’epoca, l’attività investigativa aveva consentito di documentare come gli imprenditori santantimesi Aniello e Raffaele Cesaro, in società occulta con esponenti del sodalizio camorristico dei Polverino di Marano di Napoli e, in particolare, con il sostegno economico del capo clan Polverino Giuseppe detto ‘o Barone, tra gli anni 2005/2006 fossero riusciti ad aggiudicarsi la concessione per l’esecuzione dei lavori di realizzazione del locale Piano di insediamento produttivo.I successivi approfondimenti, sviluppati attraverso mirati accertamenti di tipo patrimoniale e bancario a riscontro del contenuto di intercettazioni e di dichiarazioni rese dagli indagati successivamente all’operazione del maggio 2017, hanno permesso di ricostruire il ruolo avuto da parte di figure appartenenti alla Amministrazione comunale di Marano di Napoli e al settore dell’imprenditoria nella specifica vicenda.
In particolare, dalle nuove risultanze, è emerso come Bertini Mauro cl. 1944, destinatario della misura degli arresti domiciliari, e Santelia Armando cl. 1957, destinatario della misura interdittiva della sospensione dai pubblici uffici, rispettivamente sindaco e responsabile dell’Ufficio tecnico del comune di Marano di Napoli all’epoca dei fatti contestati, il primo anche previa indebita corresponsione della somma di 125mila euro da parte dei fratelli Aniello e Raffaele Cesaro, avrebbero favorito l’aggiudicazione alla società riconducibile a quest’ultimi della concessione per la commessa dell’importante opera pubblica, del complessivo valore di oltre 40 milioni di euro. In tale contesto, Simeoli Angelo cl. 1942, alias Bastone, altro indagato destinatario della misura degli arresti domiciliari, imprenditore edile già a processo per il reato di concorso esterno in associazione mafiosa (clan Polverino),pienamente compartecipe dell’accordo corruttivo, monetizzava, celando tali operazioni nell’ambito di attività svolte da proprie società, nr. 5 assegni bancari per complessivi 62 mila e 500 euro, somma poi fatta avere al Bertini, a saldo di altri 50mila euro, corrisposti in contanti al primo cittadino di allora direttamente dai fratelli Cesaro.

Bertini e Simeoli sono inoltre indagati con l’odierno provvedimento per la realizzazione, tra gli anni 2004-2006, in violazione del PRG comunale vigente, di un complesso residenziale composto da 27 appartamenti e 9 attività commerciali, edificato con l’abbattimento di una vecchia tenuta in stato di abbandono, denominata Masseria Galeota. I lavori sono stati eseguiti da una società di costruzioni del Simeoli che, al fine di ricevere le previste autorizzazioni, consegnava a Bertini, sindaco in carica dell’epoca, una somma di denaro non quantificata. Infatti, Santelia, dirigente dell’Ufficio tecnico, già a processo, poi prescritto, per le relative violazioni in materia urbanistica, su direttive del sindaco Bertini, aveva consentito a Simeoli di presentare il progetto con una semplice Dichiarazione di inizio attività (D.i.a.), in luogo della necessaria concessione edilizia.

Contestualmente è stata data esecuzione a un provvedimento di sequestro preventivo, emesso da questo Ufficio di Procura, di beni mobili e immobili per un valore stimato in circa 1 milione di euro.

Arresti domiciliari

BERTINI MAURO
Attuale consigliere comunale d’opposizione (lista civica di centro-sinistra L’Altra Marano) del Comune di Marano di Napoli

SIMEOLI Angelo
Imprenditore edile

Sospensione dall’esercizio di attività inerenti il pubblico ufficio o il pubblico servizio

SANTELIA Armando
Responsabile attuale del Settore VIII (urbanistica e Territorio) del Comune di Ottaviano

Cronache della Campania@2019

Chiesto il processo per il 56enne che investì e uccise il centauro Enrico Petrucci

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E’ stata una manovra scriteriata del conducente del furgone che lo ha speronato, facendolo cadere dalla moto e rovinare sull’asfalto, a determinare la tragica morte dell’incolpevole Enrico Petrucci, avvenuta peraltro dopo un’agonia di quasi due mesi. A conclusione delle indagini preliminari sull’incidente costato la vita al sessantaduenne di Napoli, il Pubblico Ministero della Procura partenopea titolare del fascicolo, il dott. Antonio Vergara, ha chiesto il rinvio a giudizio per il reato di omicidio stradale per S. V., 56 anni, di nazionalità ucraina, domiciliato a Volla, ascrivendogli la totale responsabilità del sinistro. E in relazione alla richiesta, il Gup del Tribunale di Napoli Nord, dott. Vincenzo Saladino, ha fissato per il 12 febbraio 2020, alle 9.30, presso il Castello Aragonese di piazza Trieste e Trento, l’udienza preliminare del processo. Un processo da cui si aspettano finalmente giustizia i familiari della vittima che per essere assistiti si sono affidati, tramite l’Area Manager Luigi Cisonna, a Studio 3A-Valore S.p.A., società specializzata a livello nazionale nel risarcimento danni e nella tutela dei diritti dei cittadini: Petrucci, tra gli altri, ha lasciato la moglie e due figlie.

L’incidente, rilevato dalla Polizia Stradale di Napoli Nord, è successo il 3 agosto 2018 sul ramo “C” dell’Autostrada del Sole, al km 0+533, nel comune di Casoria, in un tratto autostradale suddiviso in due corsie di unico senso di marcia delimitate da linea di mezzeria continua e con limite di 40 km/h. La dinamica inizialmente era incerta, ma le indagini hanno consentito di appurare come sia stato il Fiat Doblò condotto dall’imputato, che procedeva con direzione di marcia verso l’A1 in carreggiata sud, e che si trovava nella corsia di sinistra, a invadere, in corrispondenza di una curva destrorsa, in fase di rientro da un sorpasso (peraltro non consentito), la corsia di destra, dove stava regolarmente sopraggiungendo la motocicletta Bmw R65 della vittima. Il furgone ha dunque tagliato la strada al centauro, urtando la moto con la parte posteriore destra e facendo rovinare Petrucci a terra.

Una caduta devastante in seguito alla quale il 62enne ha riportato un grave politrauma con un trauma cranico commotivo, frattura della squama del temporale di destra, ematoma subdurale fronto-temporale destro, lacero-contusioni multiple ematiche temporo-polari destre con compressione del sistema ventricolare destro, frattura scomposta della clavicola e del corpo della scapola sinistra, plurime fratture costali a sinistra con enfisema sottocutaneo. Ricoverato nel reparto di Rianimazione dell’ospedale Carderelli, Petrucci ha lottato disperatamente per settimane tra la vita e la morte, ma il 25 settembre 2018 il suo cuore ha cessato di battere. Nessun dubbio sul fatto che il decesso sia stato diretta conseguenza del sinistro. “La morte – conclude la sua perizia il medico legale, dott. Pasquale Monetti, incaricato dal Sostituto Procuratore di effettuare l’esame autoptico – appare causalmente connessa al grave politrauma da incidente stradale”. Ed è stata causata “da una grave insufficienza multiorgano” determinata dai traumi riportati e delle complicanze subentrate, peraltro, precisa il Ctu, “del tutto indipendenti dal comportamento medico, laddove non si ravvisano elementi di imperizia, imprudenza e/o negligenza nell’operato dei sanitari che si alternarono alla cura del Petrucci al Cardarelli di Napoli”.

Concluse le indagini preliminari, confermato che il decesso è stato dovuto all’incidente e appurate dinamica e responsabilità, il Pm ha quindi chiesto il rinvio a giudizio dell’automobilista, per aver causato il decesso della vittima “per colpa generica consistita in negligenza e imperizia nonché per colpa specifica consistita nella violazione delle norme sulla disciplina della circolazione stradale”, avendo invaso la corsia dove procedeva il motociclista e urtato la sua moto. Il tutto con l’aggravante di aver commesso il fatto nella manovra di rientro di un “sorpasso eseguito in corrispondenza di una linea di mezzeria continua”.

Una punto fermo fondamentale non solo dal punto di vista della giustizia penale ma anche per quella in sede civile, per il riconoscimento di un congruo risarcimento ai familiari della vittima, che Studio3A ha già richiesto per conto dei propri assistiti all’Ufficio Centrale Italiano che tratta i sinistri avvenuti un Italia con mezzi coperti, come nel caso specifico il furgone, da compagnie di assicurazionie straniere: a fronte di questo quadro probatorio schiacciante, l’UCI non potrà più esimersi dal dare corso alle legittime richieste.

Cronache della Campania@2019

Camorra, il boss Nicola Botta voleva uccidere tutti i parenti del pentito Vincenzo De Feo

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Quando il clan Contini venne a sapere che Vincenzo De Feo si era pentito, si scateno’ il panico. Era uno dei primi collaboratori di giustizia della cosca napoletana dei Contini, forte della grande omertà tra gli affiliati, che poteva far veramente male a boss e affiliati. E infatti le sue accuse servirono a incastrare oltre 100 persone tra spacciatori, estorsori, riciclatori e colletti bianchi. Nonostante avesse una gravissima forma di balbuzie, De Feo era in grado di spiegare come la cosca del rione Arenaccia, nei pressi dell’aeroporto di Napoli, avesse messo sotto scacco mezza città. Fu così allora che la cosca si servì proprio dello zio del collaboratore di giustizia, Alfredo De Feo, per fargli arrivare un messaggio di morte nel luogo dove era stato messo sotto protezione. L’uomo avvicinò la madre, le zie e sorelle per arrivare a sapere dove fosse il giovane pentito e per minacciarlo, chiedendo di avere a tutti i costi almeno il numero di cellulare. Anche il boss Nicola Botta in persona che avvicinò questa volta luna coppia di zii di De Feo, intimando loro di consegnare le chiavi di casa e di lasciare il quartiere.”Ti faccio fare la stessa fine del datore di lavoro”, dice il boss dopo aver fermato in strada una donna ritenuta colpevole di non rivelare la località protetta del pentito. Chiaro riferimento – secondo la ricostruzione della Dda di Napoli – all’omicidio Catalano, consumato a Napoli dodici anni fa. In un’altra occasione, il boss avrebbe chiesto di incontrare il pentito in un ristorante, per un pranzo in famiglia, spingendo un’altra donna a dichiarare: “Voleva ucciderci tutti. In passato, i Contini hanno ucciso tre dei miei fratelli, è chiaro che non avrebbe esitato ad ammazzare noi e il nipote” . Ci sono i racconti dei pentiti e delle vittime di estorsione che hanno trovato la forza di parlare con la Dda, nell’ordinanza firmata dal gip di Napoli, Saverio Vertuccio, notificata da polizia e carabinieri questa mattina. Oltre a De Feo e Botta, in carcere anche Massimo Fiorentino e Giovanni Rubino. Nella misura anche le richieste estorsive del clan. In un caso, a un uomo fu imposta una tangente a rate di 200 euro al mese da pagare con le cambiali. In un altro, una vittima doveva dare 15 mila euro al mese per continuare a gestire le slot machine nella zona centrale di Napoli; 10 mila euro era il ‘pizzo’ imposto al gestore di una pompa di benzina nei presi dell’aeroporto. 

Cronache della Campania@2019

Spaccio a Vico Equense: condannati il figlio e il cognato del boss

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Traffico di droga a Vico Equense arrivano le prime condanne Fabio Di Martino, figlio di Leonardo il capoclan detto o’ lione e Mario Molinari, fratello di Annamaria Molinari (moglie del boss), sono stati rispettivamente a 6 anni e 4 mesi e a 8 anni e 10 mesi. I due sono stati condannati nel processo che si è svolto con rito abbreviato davanti al gip del Tribunale di Torre Annunziata. Con i due capi sono stati condannati Luigi Cioffi, a 6 anni e 8 mesi, Viviana De Liso (5 anni e 8 mesi) e Giuseppe Di Martino (5 anni e 6 mesi). Gli altri 17 arrestati nel blitz dei carabinieri del marzo scorso faranno il processo con rito ordinario.

Cronache della Campania@2019

Violenza sessuale di Quarto: fissato l’appello per il 26enne

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È stato fissato per il prossimo 27 febbraio l’appello per il 26enne G. B, dinanzi alla 4 Sezione della Corte di appello di Napoli.
In primo grado è stato condannato, con rito abbreviato, alla pena di anni 4 di reclusione, alla interdizione dai pubblici uffici per 5 anni, oltre alla interdizione perpetua da qualunque ufficio attinente alla tutela e alla curatela. L’imputato ha revocato il precedente difensore, del foro di Napoli, che lo ha difeso in primo grado, nominando l’Avvocato Massimo Viscusi, del foro di Benevento.
L’inchiesta, come si ricorderà, riguarda un caso di abuso sessuale, verificatosi, presumibilmente, l’8 dicembre 2018, di cui sono ancora tanti i punti ancora in sospeso.
La denuncia era partita dalla ragazza, che dopo aver trascorso una serata in una discoteca di Pozzuoli, il “Club Partenopeo”, e aver fumato hashish e bevuto alcoolici, si era trovata dapprima nella macchina, nel parcheggio del locale, con 5 ragazzi, dal quale riuscì a dileguarsi in un secondo momento (e del quale stranamente nessuna indagine è stata effettuata da parte del Nucleo Operativo dei Carabinieri di Pozzuoli in merito a tale rilevante circostanza) ; e, poi, dopo aver chiesto un passaggio all’imputato, che glielo concedeva, da Pozzuoli a Quarto, salendo nella macchina del suo amico G. C., insieme alla ragazza, facevano scalo a casa dell’imputato, il quale dopo aver preso la sua autovettura, accompagnava la ragazza sotto casa sua.
Nel tragitto, a detta della Procura di Napoli (indagini coordinate dal P. M. Tittaferrante) si sarebbe consumato un “rapporto orale”, denunciato dalla ragazza, la quale si è avvalsa di psicologi specializzati onde poter ricostruire la vicenda.
Si ricorderà, inoltre, che l’amico dell’imputato, G. C., inizialmente sentito come persona informata sui fatti, in un secondo momento veniva indagato per “false informazioni all’autorità Giudiziaria”. Nell’interrogatorio del 25 marzo 2019,il ragazzo, difeso anch’egli dall’Avv. Viscusi, rispondeva a tutte le domande del Sostituto Procuratore della Repubblica Tittaferrante, e la sua posizione veniva archiviata.
Per l’imputato, a seguito di riesame, è stata attenuata la misura dell’ordinanza cautelare intramuraria presso il carcere di Poggioreale, con quella degli arresti domiciliari.

Cronache della Campania@2019


Camorra, avviso di conclusione indagini per il clan Contini. La Dda: Maria Licciardi non è un boss

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Redatto l’avviso di conclusione delle indagini del processo al clan Contini.
Rispetto a Maria Licciardi, colei che è stata inserita nell’elenco delle dieci donne più pericolose, vi sono importanti novità favorevoli al boss in gonnella.
La linea difensiva tracciata dall’avvocato Dario Vannetiello, la quale aveva già trovato condivisione nei giudici del tribunale del riesame, ha finito per convincere anche la direzione distrettuale antimafia.
Infatti la pubblica accusa ha abbandonato la iniziale ipotesi accusatoria che collocava Maria Licciardi al vertice della compagine criminale, giungendo oggi ad elevare la sola accusa di metà partecipazione, quindi con il ruolo di semplice affiliata.
Non solo. I pubblici ministeri non hanno neppure inteso elevare a Maria Licciardi l’accusa di concorso in due episodi di estorsione, rispettivamente ai danni di Rescigno e di Ottaviano, a differenza di quanto indicato nella richiesta di misura cautelare.
Appare innegabile che gli argomenti, di fatto e di diritto, indicati dalla difesa nella fase delle indagini, hanno prodotto un inusuale risultato già al termine delle indagini grazie alla presa d’atto da parte di autorevoli pubblici ministeri della fondatezza di larga parte dei rilievi difensivi.
Quanto accaduto alla Licciardi, già condannata per ben due volte per essere stata al vertice della medesima associazione, non è certo ricorrente nella casistica giudiziaria in quanto fu scarcerata dal riesame in costanza di latitanza ed ora beneficia di un significativo affievolimento risposto alle iniziali e di gran lunga più gravi accuse.

Cronache della Campania@2019

Camorra, il pentito D’Amico: ‘Volevo ammazzare Michele Minichini perché stava con Ciro Rinaldi’

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Umberto D’Amico: “Volevo ammazzare Michele Minichini perché stava con Ciro Rinaldi” , è parte della deposizione del pentito Umberto D’Amico resa l’altro giorno nell’aula 211 innanzi alla sesta sezione del Tribunale di Napoli dove sono imputati Ciro Cerrato di Ponticelli (difeso dall’avvocato Loredana Di Luca) ed il ras barrese Gennaro Aprea (difeso dall’avvocato Giuseppe Milazzo). I due rispondono di un raid armato partito da Barra e diretto verso Napoli centro. Il collaboratore di giustizia, figlio di Gigiotto e nipote di Salvatore o’ Pirata, ha esordito ribadendo di aver comandato San Giovanni, fino a prima dell’omicidio di Luigi Mignano. Controesame rivelatosi molto teso per il teste del Rione Villa, interrottosi più volte di fronte alle incalzanti domande del collegio difensivo. Il giovane Umberto avrebbe infatti sostenuto di essersi incontrato con uomini che in quel periodo erano suoi nemici, che gli avrebbero chiesto di non toccare Michele o’ Tiger, il figlio di Ciro Minichini, che, col fratello Alfredo, ormai aveva un clan autonomo su Ponticelli.

Cronache della Campania@2019

Vigilanza privata, legami coi Casalesi. ‘I Pretoriani’: ‘Nulla a che vedere’

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 “La nostra società non ha nulla a che vedere con le vicende e i personaggi oggetto delle indagini svolte dalla magistratura e di tanto si sta provvedendo a fornire gli opportuni chiarimenti alle autorità competenti”. Così in una nota Alessandro Barbieri, amministratore unico dell’istituto di vigilanza ‘I Pretoriani’ in riferimento alle indagini sulle infiltrazioni nel settore della vigilanza privata che il 29 gennaio scorso hanno portato a tre arresti e a un divieto di dimora. “Nelle more, in ogni caso – si evidenzia – l’attività aziendale prosegue senza alcuna soluzione di continuità con le stesse modalità e gli stessi soggetti di sempre e sotto il controllo di un Amministratore giudiziario: ciò ad ulteriore garanzia e salvaguardia degli interessi dei clienti della I Pretoriani”.

Cronache della Campania@2019

Camorra, latitante del clan Luongo si consegna nel carcere di Secondigliano

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Napoli. Si è consegnato al carcere di Secondigliano, uno dei due latitanti sfuggiti alla cattura nel corso del blitz del 22 gennaio scorso contro il clan Luongo, alleati dei Mazzarella, con 34 ordinanze cautelari tra San Giovanni a Teduccio, San Giorgio a Cremano e Portici. Marco Giunta, 28 anni, ritenuto il capo piazza dello spaccio a san Giorgio a Cremano, come anticipa Il Roma, accompagnato dal suo avvocato Carlo Ercolino, si è consegnato al carcere di Secondigliano. Dopo l’arresto dei boss del clan Troia, il giovane aveva stretto legami con gli affiliati del clan Luongo e gli era stata affidata in gestione la piazza del ‘Manicomio’ a San Giorgio. Ma dopo due settimane ha deciso di porre fine alla sua latitanza.

Cronache della Campania@2019

Uccise la moglie e fece arrestare Marco Di Lauro: ergastolo per il pentito Tamburrino

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 E’ stato condannato all’ergastolo dal Gup del tribunale di Napoli Nord Salvatore Tamburrino, ex esponente della camorra napoletana seguendo le cui orme gli investigatori arrivarono alla cattura del boss Marco Di Lauro, imputato per l’omicidio della moglie Norina Matuozzo, avvenuto nel marzo dello scorso anno. La donna fu freddata con tre colpi di pistola da Tamburrino, da cui aveva avuto due figli, e che non voleva accettare la separazione dalla moglie. Il delitto avvenne a Melito, alla periferia nord di Napoli, nell’abitazione dei genitori della donna, da cui quest’ultima si era rifugiata dopo avere deciso di lasciare il marito in seguito al tradimento con un’altra donna. Oggi in aula era presente la madre di Norina e i parenti piu’ stretti, che piu’ volte nei mesi scorsi avevano chiesto giustizia precisando che Norina non aveva nulla a che fare con la camorra. La condanna all’ergastolo di Salvatore Tamburrino, 41 anni, collaboratore di giustizia e per gli inquirenti della Procura Antimafia di Napoli per lungo tempo vivandiere e braccio destro del boss Marco Di Lauro, e’ giunta al termine di un processo celebrato con il rito abbreviato. A pronunciare il verdetto e’ stato il giudice per le indagini preliminari Barbara del Pizzo, del Tribunale di Napoli Nord. Tamburrino, fuggì subito dopo avere assassinato la moglie, Norina Matuozzo, 33 anni, a Melito, nell’abitazione dei suoceri, al termine di una lite. Si costitui’ qualche ora dopo, in Questura, a Napoli, dove si reco’ accompagnato dal suo avvocato. Fu in quella circostanza che rivelo’ alle forze dell’ordine il nascondiglio di “F4”, cosi’ gli investigatori avevano soprannominato il quarto figlio del boss Paolo Di Lauro, tra i latitanti piu’ pericolosi d’Italia e ricercato dalle forze dell’ordine e dalla magistratura, senza sosta, per circa 14 anni. Il blitz venne organizzato in pochissimo tempo: Marco Di Lauro e’ stato arrestato nel corso di un’operazione congiunta di Polizia, carabinieri e Guardia di Finanza, coordinata dal pm antimafia Maurizio De Marco, scattata nel quartiere Chiaiano. Era latitante dal 7 dicembre 2004, da quando sfuggì a un maxi blitz anticamorra.

Cronache della Campania@2019

Maxi evasione fiscale: gup dispone perizia e rinvia sentenza

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Accusa e difesa si aspettavano una sentenza invece e’ arrivato un incarico peritale: colpo di scena nell’aula 110 del Palazzo di Giustizia di NAPOLI dove e’ in corso il processo su una maxi evasione fiscale da circa 70 milioni di euro che ha coinvolto il gruppo Alma spa, che si occupa di lavoro interinale. Il gup Anna Tirone, al termine di una camera di consiglio durata poco piu’ di mezz’ora, ha disposto una perizia finalizzata a separare le presunte illecite compensazioni tributarie da quelle previdenziali, una decisione che ha spiazzato i pm Sergio Raimondi e Mariasofia Cozza e gli avvocati dei sette imputati (tra cui figurano Arturo Frojo, Maurizio Noviello, Bruno Cervone, Alfonso Furgiuele e Pasquale Coppola). Di recente, con una sentenza emessa il 13 settembre 2019), la Cassazione ha affermato che il reato di indebita compensazione scatta solo se i tributi omessi riguardano le imposte dirette e l’Iva. A processo, con il rito immediato, figurano Francesco Barbarino, Francesco Marconi, Carmine Franco, Stefano Paloni, Marco Erhard, Pietro Di Monda e Luigi Scavone. Lo scorso marzo il gip di NAPOLI Valentina Gallo ha disposto, tra l’altro, gli arresti in carcere per l’imprenditore Scavone (attualmente ai domiciliari), considerato dagli inquirenti l’amministratore di fatto del gruppo Alma, come anche l’imprenditore Barbarino (anche lui ai domiciliari), e per il rappresentante legale della Alma spa, Francesco Marconi (sottoposto attualmente a un obbligo di dimora). Gli avvocati e i pm si sono dati battaglia a colpi di repliche e contro repliche: gli inquirenti hanno reso noto che la presunta maxi evasione fiscale, stimata in 70 milioni di euro e relativa agli anni 2014, 2015 e 2016, sarebbe lievitata fino a circa 200 milioni qualora venissero annoverati anche il 2017 e il 2018.

Cronache della Campania@2019

Terra dei fuochi, la Procura: ‘Gravi omissioni ma reati prescritti’

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Con una denuncia presentata nel 2014 alla Procura a Napoli chiese di indagare sullo smaltimento illecito dei rifiuti nella cosiddetta Terra dei fuochi, evidenziando decenni di inerzia delle istituzioni e il coinvolgimento di settori deviati dello Stato, ma gli inquirenti, a distanza di sei anni, pur riconoscendo gravi omissioni sotto il profilo penale e responsabilita’ politiche e amministrative, decidono di chiedere l’archiviazione in quanto quelle gravi omissioni risultano ormai prescritte. A lanciare pesanti accuse, l’8 gennaio 2014, fu l’avvocato napoletano Sergio Pisani, non in qualita’ di legale ma di padre di un bimbo 5 anni nato con malformazioni plurime. Malgrado la decisione di gettare la spugna della procura Pisani non si arrende e torna all’attacco, presentando opposizione alla richiesta di archiviazione: “l’ipotesi di reato per la quale ho chiesto di indagare, morte come conseguenza di altro reato, non puo’ cadere in prescrizione”. Proprio sulla base di questo assunto Pisani ha presentato al gip di Napoli un atto di opposizione nel quale chiede, tra l’altro, di ascoltare Antonio Giordano, oncologo di fama internazionale che lavora per l’Istituto Sbarro della Temple University di Philadelphia. Il dottore, nella ricerca “Il progetto Veritas”, sostiene la correlazione tra la devastazione ambientale che hanno subi’to le province di Caserta e Napoli e il picco di neoplasie. I dati pubblicati sul Journal of cellular physiology, sostiene Pisani nell’atto di opposizione, sembrano dare ragione all’oncologo napoletano visto che “i ricercatori hanno rilevato concentrazioni fuori norma di metalli pesanti nel sangue dei malati di cancro”. Nella denuncia del 2014, inoltre, Pisani chiese alla Procura di accertare la veridicita’ di alcune circostanze: per esempio, se Massimo Scalia, presidente della Commissione parlamentare d’inchiesta sui rifiuti dal 1997 al 2001, “colui che dispose – scrive l’avvocato – la secretazione dell’audizione del collaboratore di giustizia Carmine Schiavone”, abbia veramente dichiarato di avere informato tutti, gli enti locali, la stampa, i ministri interessati, “tra cui l’allora ministro dell’Interno Giorgio Napolitano e il presidente del Consiglio” che “andavano fatte le bonifiche”, che lo Stato non era “intervenuto”, che i governi avevano “enormi responsabilita’” e che, infine, alle audizioni prendevano parte anche gli assessori comunali. “Si poteva e si doveva intervenire subito – sostiene Sergio Pisani – e invece sui veleni sono stati costruiti palazzi, strade e scuole” mentre “continuano a morire, ancora oggi, cittadini e bambini”. L’avvocato chiese risposte anche riguardo un’informativa del commissario della criminalpol Roberto Mancini che nel 1996 “aveva indagato sul traffico dei rifiuti e che ora sta lottando contro un tumore. Una relazione rimasta per 15 anni nei cassetti, inspiegabilmente. Se quel lavoro, – sottolinea Pisani – che ora sta presentando il conto al funzionario, fosse stato preso in considerazione, come dichiaro’ anche Mancini, “avremmo potuto limitare i danni, evitare decessi”. Nel suo documento Pisani ha infine fatto anche istanza di acquisizione del registro sui tumori e della documentazione clinica dei bambini della Terra dei fuochi deceduti per patologie tumorali.

Cronache della Campania@2019


Tangenti a San Felice a Cancello: condanna confermata per l’ex sindaco De Lucia

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Condanna confermata in appello, seppure con un lieve sconto di pena, per l’ex sindaco di San Felice a Cancello Pasquale De Lucia, ex consigliere regionale, imputato con altre 25 persone nel processo sulla tangentopoli emersa nel Comune che ha amministrato per due mandati. In primo grado, il 17 maggio 2018, il tribunale di Santa Maria Capua Vetere aveva condannato De Lucia a nove anni, mentre i giudici d’appello di Napoli hanno rideterminato la pena in 7 anni e 11 mesi (la Procura generale ne aveva richiesti 10). Il processo si e’ concluso in totale con 12 condanne, tra cui quella agli imprenditori Antonio e Salvatore Schiavone (condannati rispettivamente a sei anni e sei anni e due mesi); 14 le assoluzioni, tra cui quella di Rita Emilia Nadia Di Giunta (in primo grado aveva avuto otto mesi), ex amministratore delegato di “Terra di Lavoro” SpA (societa’ della Provincia di Caserta) e tesoriere della Fondazione “Campania Futura”, il movimento politico creato dal sindaco De Lucia. I reati contestati a vario titolo agli imputati erano l’associazione a delinquere, la corruzione, il finanziamento illecito ai partiti, la turbata liberta’ degli incanti e la truffa. Tra gli assolti l’ex Comandante della polizia municipale di San Felice a Cancello, Francesco Scarano, difeso da Alberto Martucci. La tangentopoli a San Felice a Cancello scoppio’ il 30 settembre 2016, quando De Lucia fini’ in carcere con l’accusa di aver ricevuto tangenti da imprenditori in cambio di appalti, in particolare nel settore dei rifiuti. I carabinieri di Maddaloni arrestarono anche la Di Giunta e amministratori di San Felice a Cancello

Cronache della Campania@2019

Don Barone vuole parlare a “quattro occhi” con i giudici prima della sentenza

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Perlerà in aula prima della sentenza Michele Barone, l’ex prete del Tempio di Casapesenna accusato di lesioni nei confronti di una ragazzina di 14 anni di Maddaloni e violenza sessuale su altre due sue fedeli.

E’ quanto ha annunciato il suo difensore al termine dell’udienza celebrata oggi dinanzi al collegio presieduto dal giudice Maria Francica. Oggi si è assistito alla conclusione delle arringhe con l’avvocato Camillo Irace, difensore di Barone insieme a Maurizio Zuccaro, che ha provato a smontare le tesi della Procura ed ha preannunciato la volontà del suo assistito a rilasciare dichiarazioni spontanee prima delle repliche dei pubblici ministeri Di Vico e Pannone e degli altri difensori – gli avvocati Rossella Calabritto, Claudia Sorrenti e Daniele Ferrandino, per le parti civili, e Carlo De Stavola, Giuseppe Stellato ed Umberto Pappadia, per gli altri imputati. Poi ci sarà la camera di consiglio ed il verdetto dei giudici.

Secondo l’accusa l’ex sacerdote avrebbe maltrattato la vittima minorenne costringendola a continue vessazioni fisiche e psichiche in quanto ritenuta posseduta dal demonio. Vessazioni che sono sfociate comportamenti brutali da parte di don Barone, in concorso con i genitori della ragazza (anche loro imputati), come il farle bere acqua “esorcizzata” con la sua saliva, rasarle i capelli ed applicandoleun collare, rinchiuderla in uno sgabuzzino ritenuto “unico locale alieno da interferenze demoniache”. Pratiche a cui si sono aggiunte le violenze che le hanno procurato la deformazione di un orecchio.

Barone è poi accusato anche di violenza sessuale nei confronti di due ragazze con palpate benedette e rapporti orali duante i pellegrinaggi. In entrambi i casi i reati sono stati commessi con l’aggravante “di aver commesso il fatto con abuso dei poteri inerenti alla qualità di ministro di culto e di aver profittato di circostanze di tempo, luogo e persona tali da ostacolarne la pubblica e privata difesa”.

Don Barone, infatti, avrebbe detto alle sue vittime che “l’Angelo e la Madonna avevano un disegno particolare per i privilegiati appartenenti alla sua setta e che se qualcuno lo avesse abbandonato o non avesse fatto quello che lui diceva di fare, ciò avrebbe contrastato quel disegno e avrebbe avuto conseguenze brutte”. Accuse per le quali i pubblici ministeri hanno chiesto la condanna a 22 anni per l’ex prete.

Cronache della Campania@2019

Erano fuggiti all’estero per evitare l’arresto: raggiunti da ordinanza a 30 anni dall’omicidio

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I Carabinieri del Reparto Territoriale di Mondragone hanno notificato gli arresti a Gaetano Di Lorenzo, 60 anni di Sessa Aurunca, e Francesco Zuccheroso, 62 anni di Sessa Aurunca, ristretti nelle carceri di Milano ed Asti, per il reato di omicidio nei confronti di Vincenzo Pagliuca, avvenuto a Mondragone il 6 luglio 1990, nonché per i reati di porto abusivo d’arma e ricettazione della stessa, con l’aggravante, per tutti i capi di imputazione, dell’associazione per delinquere di stampo mafioso.

Non potendo stabilire chi fosse stato il materiale esecutore dell’efferato omicidio, l’attività di indagine, partita nell’immediatezza dei fatti si concludeva con una archiviazione il 20 gennaio 1992.

Le indagini furono riaperte nel 2004 a seguito delle dichiarazioni rese da diversi collaboratori di giustizia e grazie ad essi, fu ricostruito con dovizia di particolari, l’iter criminoso riconducendo il delitto a Di Lorenzo e Zuccheroso, con la partecipazione di Augusto La Torre e Mario Esposito.

I due killer, nel corso delle operazioni di cattura, nel 2005, si resero irreperibili all’estero, motivo per il quale, la Direzione Distrettuale Antimafia della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Napoli, avviava la procedura di Mandato di Arresto Europeo finalizzato ad ottenerne l’estradizione. Oggi, a conclusione dell’iter di estradizione, rispettivamente presso le citate case circondariali, ove gli stessi sono detenuti per altro, sono stati notificati i provvedimenti cautelari emessi dall’autorità giudiziaria nel 2005.

Cronache della Campania@2019

Presunti favori al clan Puca: scarcerato l’ex maresciallo dei carabinieri di Sant’Antimo

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Il gip di Napoli Valentina Gallo ha disposto la revoca degli arresti domiciliari notificati lo scorso 8 gennaio al maresciallo Raffaele Martucci coinvolto nell’indagine dei carabinieri del Nucleo Investigativo di Castello di Cisterna e della Dda di Napoli nella quale gli inquirenti ipotizzano, a vario titolo, i reati di corruzione, omissione di atti d’ufficio e rivelazione di segreti di ufficio. Il giudice ha preso la decisione in quanto il termine della prescrizione relativamente alla condotta contestata al militare “deve considerarsi interamente decorso”. A Martucci gli inquirenti contestano reati (corruzione e rivelazione di segreto d’ufficio) che sarebbero stati commessi fino al 14 luglio del 1010, quand’era di stanza a Sant’Antimo e in particolare al boss Pasquale Puca e ai suoi affiliati.

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Gestione dei Rifiuti: invito a comparire per il vicepresidente della Regione Campania

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La Procura di Napoli ha notificato 23 inviti a comparire ad altrettanti indagati tra i quali figurano il vice presidente della Regione Campania con delega all’Ambiente, Fulvio Bonavitacola, e l’ex vice sindaco e attuale assessore all’Ambiente di Napoli, Raffaele Del Giudice. Si ipotizza il reato di omissione di atti d’ufficio per presunte inadempienze nella gestione del ciclo integrato dei rifiuti, da parte degli enti locali, che hanno causato sanzioni per 190 mln di euro nei confronti dell’Italia da parte dell’Ue.Tra i destinatari degli inviti a comparire fatti notificare dalla Procura figurano ex e attuali funzionari pubblici. La polizia giudiziaria, su delega della Procura, ha eseguito contestualmente anche perquisizioni nelle sedi della Sapna (societa’ della Citta’ Metropolitana di NAPOLI che si occupa della gestione integrata dei rifiuti nella provincia del capoluogo partenopeo) e dell’Asia (azienda integrata nel territorio del Comune di NAPOLI, che effettua i servizi di igiene ambientale). Fissato gia’ un calendario di interrogatori per i 23 destinatari degli inviti a comparire, che saranno ascoltati dai pm titolari dell’inchiesta. Tra loro figurano anche l’ex l’amministratore di Sapna, Gabriele Gargano, e l’ex direttore di Asia Francesco Mascolo.

Cronache della Campania@2019

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