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Channel: Cronaca Giudiziaria
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Processo Olimpo, Greco resta ancora in carcere. L’investigatore in aula: ‘Non ha mai denunciato le estorsioni subite’

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Torre Annunziata. Nuova udienza del processo ordinario Olimpo che vede imputati Adolfo Greco, Michele Carolei, Raffaele Carolei, Umberto Cuomo, Luigi Di Martino e Attilio Di Somma. Resta in carcere, in attesa della decisione del tribunale delle Libertà, Adolfo Greco. L’imprenditore era stato destinatario di una sentenza che consentiva all’indagato, in virtù delle sue condizioni di salute, di curarsi presso una struttura ospedaliera. Tuttavia, dopo alcune ore dalla pronuncia dei giudici, l’imprenditore è stato oggetto di un nuovo provvedimento cautelare con l’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa e pertanto è rimasto nel penitenziario di Secondigliano. Insieme a lui, nell’ambito dell’ultima inchiesta, sono finiti in carcere i fratelli Capaldo, nipoti di Zagaria e ritenuti esponenti del clan dei Casalesi. Quattro invece le persone alle quali è stata disposta la misura degli arresti domiciliari: si tratta di due dirigenti territoriali di Parmalat, Antonio Santoro e Lorenzo Vanore e due soggetti ritenuti prestanome dei Capaldo. Per loro l’accusa è di trasferimento fraudolento di valori, per i dirigenti di Parmalat, invece, pende lo stesso capo di imputazione di Greco.

Presenti all’udienza tutti gli imputati, fatta eccezione di Greco che, per l’ennesima volta, ha rinunciato alla partecipazione. Questa volta è il turno dell’ispettore di Polizia, Nunzio Viscardi, presente nel team di investigatori che ha condotto le indagini nell’ambito dell’inchiesta Olimpo. In fase preliminare il Pubblico Ministero, Giuseppe Cimmarotta, ha consegnato al tribunale l’Ordinanza di Custodia Cautelare a carico di Greco e ad altri imputati che ha rispedito l’imprenditore in carcere nell’ambito dell’inchiesta su Euromilk. La difesa di Adolfo Greco si è opposta perché ritiene che “non c’è rilevanza sul piano probatorio” nel processo in corso. Il collegio giudicante, presieduto dal Giudice Fernanda Iannone, si è riservato sull’accoglimento o meno della documentazione consegnata dalla pubblica accusa. L’ispettore Viscardi ha delineato la geografia criminale del comprensorio stabiese all’epoca delle indagini e delle varie famiglie criminali che si contendono le aree territoriali di Castellammare di Stabia. Si è dato anche spazio alle figure di Renato Cavaliere, Salvatore Belviso e Aniello Orsini. Tutti collaboratori di giustizia che con le loro deposizioni hanno dato il via a questa inchiesta. Renato Cavaliere e Renato Belviso erano le braccia armate del clan, si occupavano di commettere omicidi per conto dei D’Alessandro. L’omicidio più eclatante è stato quello dell’ uccisione del consigliere comunale Luigi Tommasino. Aniello Orsini, invece, piccolo imprenditore, all’uscita dal carcere di Pasquale D’Alessandro, si è rivolto al clan per un recupero crediti di circa 400mila euro. Orsini, imprenditore edile, aveva la necessità di incassare dei soldi per dei lavori eseguiti ed aveva chiesto aiuto ai D’Alessandro. Da quel momento è stato visto sempre in compagnia di Pasquale D’Alessandro. Salvatore Belviso, inoltre, è in un rapporto di parentela con i D’Alessandro, essendo figlio di una sorella di Teresa Martone. Nessun rapporto di parentela, invece, tra Renato Cavaliere e i D’Alessandro.

“Non abbiamo nessun elemento per dire che Adolfo Greco abbia partecipato a summit di Camorra, nessun elemento per dire che l’imprenditore si è rivolto al Clan dei D’Alessandro per recuperare crediti o per intimidire concorrenti nella sua attività commerciale o acquisire quote di mercato”. L’ispettore Viscardi ha risposto, nel controesame, alle domande degli avvocati Maiello e Stravino, difensori di Adolfo Greco. Il teste ha anche risposto sulle quaranta denunce, di intimidazioni, depositate nelle udienze precedenti udienze. “Ci aspettavamo che trovasse un modo per farci sapere delle numerose richieste estorsive, ma niente”. L’ispettore ha poi continuato dicendo che la Procura convocò “alcuni imprenditori, tra cui anche Adolfo Greco. Gli fu chiesto se avesse ricevuto un’estorsione. Lui disse – dichiara Viscardi – che si era visto con Pasquale D’Alessandro, non per una richiesta estorsiva, ma perché voleva informazioni sulla commercializzazione del burro. Non è mancato il riferimento alla campagna elettorale del 2013 dove a Castellammare di Stabia si votava per l’elezione del sindaco e del nuovo consiglio comunale. In quell’occasione al consiglio comunale fu eletto Luigi, figlio di Adolfo, nella lista Scelta Civica che si collocava all’opposizione del sindaco eletto Nicola Cuomo. “Non ci risulta – ha detto l’ispettore nel corso della deposizione – che la candidatura di Luigi Greco fosse sostenuta dagli ambienti criminali e non ci risulta che sia stata la Camorra a favorire la sua elezione”.

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Cronache della Campania@2019


Napoli, ferimento della piccola Noemi: il 28 febbraio i fratelli Del Re davanti al gip

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Si terrà il prossimo 28 febbraio l’udienza preliminare relativa alla richiesta di rinvio a giudizio formulata dai sostituti procuratori antimafia Simona Rossi, Antonella Fratello e Gloria Sanseverino nei confronti dei fratelli Armando e Antonio del Re, 29 e 19 anni, presunti responsabili dell’agguato di stampo camorristico in cui venne ferita la piccola Noemi. Armando e’ ritenuto dagli inquirenti l’esecutore materiale del raid mentre il fratello è accusato di avere avuto funzioni di supporto. Tra i reati contestati, in concorso e aggravati dalla finalità mafiosa, figurano il tentato omicidio e la ricettazione. Nell’agguato a colpi di pistola scattato il 3 maggio 2019 a Napoli, nei pressi di piazza Nazionale, rimasero feriti gravemente, alla gola, Salvatore Nurcaro, 32 anni, e la piccola Noemi, 5 anni il prossimo marzo, colpita, tra l’altro al polmone destro. La piccola rimase ricoverata per diverso tempo in pericolo di vita nell’ospedale Santobono della città. La richiesta di rinvio a giudizio nei confronti dei fratelli Del Re, formulata dalla DDA, risale allo scorso 14 gennaio. I due indagati sono stati arrestati lo scorso 10 maggio, nel corso di una operazione congiunta delle forze dell’ordine, coordinata dall’ufficio inquirente partenopeo diretto dal procuratore Giovanni Melillo. Armando venne fermato mentre era con la madre e la sorella, in provincia di Siena, mentre stava andando a trovare il padre detenuto. Antonio invece venne bloccato in provincia di Napoli, precisamente nella zona di Nola. Secondo la Procura Antimafia l’agguato venne organizzato e messo in pratica con l’obiettivo di favorire il traffico di stupefacenti gestito dal clan Formicola. L’obiettivo del raid in cui rischio’ di essere uccisa Noemi, Salvatore Nurcaro, fu pedinato per giorni dai Del Re sia con un ciclomotore rubato, sia con una Fiat 500. Il 3 maggio Armando del Re entro’ in azione con una pistola calibro 9X21: esplose numerosi colpi, in pieno giorno e in una zona densamente abitata della città’, incurante della presenza di numerose persone.

Cronache della Campania@2019

Frode fiscale per oltre 6 milioni, i sequestri della Finanza: in 26 nei guai

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È scattato un nuovo sequestro preventivo nei confronti dell’imprenditore Ciro Barba, integrando un precedente sequestro cui era stata data esecuzione ad aprile 2019. Su delega della Procura della Repubblica, la Guardia di Finanza di Salerno ha eseguito il provvedimento emesso dal Giudice per le Indagini Preliminari presso il Tribunale: dagli accertamenti, era emerso, infatti, che l’imprenditore – condannato in via definitiva per estorsione continuata aggravata da finalità mafiose, nonché in primo grado per associazione mafiosa, reato poi dichiarato estinto per prescrizione – si è, nel tempo, adoperato per liberarsi formalmente delle sue proprietà, intestandole a prestanome, al fine di sottrarsi all’applicazione di misure di prevenzione.
Nei mesi successivi alla sua esecuzione, il primo provvedimento di sequestro era stato annullato dal Tribunale di Salerno – Sezione del Riesame, ma, a seguito d’impugnazione, la Suprema Corte di Cassazione ha annullato con rinvio la decisione del Riesame per una nuova pronunzia. Contemporaneamente, nuove indagini hanno portato ad una nuova richiesta di sequestro preventivo accolta dal Gip, con cui è stato disposto il vincolo reale su conti correnti, veicoli e proprietà immobiliari dell’indagato e della moglie, oltre alla proprietà di cinque società, con sedi in Campania e in Toscana, operanti nel settore delle costruzioni e di quello agroalimentare, per un valore complessivo di oltre un milione e mezzo di euro.
Parallelamente nei confronti dei soggetti coinvolti nel corso del 2019, sono state compiute attività d’indagine anche da parte della Procura della Repubblica di Pisa. Proprio in ragione della gestione e dell’amministrazione illecita delle società operanti nel settore agro – alimentare, nel mese di giugno del 2019, per ordine del Giudice per le Indagini Preliminari del Tribunale di Pisa, Barba era stato raggiunto, con altri soggetti, dalla misura della custodia cautelare, essendo stato accusato di associazione per delinquere finalizzata alla frode alimentare. (gustavo gentile)

Cronache della Campania@2019

Le ingerenze di Greco sul comune di Castellammare, il teste in aula: ‘C’è un’inchiesta, non posso parlare…’

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“Non lo so se si può riferire, è ancora forse vietato”. Si riferisce, molto probabilmente, al segreto istruttorio Nunzio Viscardi, l’ispettore di polizia del commissariato di Castellammare sentito questa mattina come teste di polizia giudiziaria nell’ambito dell’udienza del processo ordinario “Olimpo” che si è svolta oggi al tribunale di Torre Annunziata. Nel corso del controesame delle difese, l’avvocato Maiello, difensore di Adolfo Greco, ha posto una serie di quesiti all’ispettore in servizio al Commissariato di Castellammare di Stabia dal 1999 al 2016. Uno degli argomenti ripresi, perché toccati nell’udienza precedente, è quello della campagna elettorale del 2013 che ha visto il figlio di Adolfo Greco, Luigi, candidato ed eletto al Consiglio Comunale. Il teste ha tolto ogni dubbio su presunti condizionamenti delle preferenze di Greco rimarcando il fatto che “non risulta che la candidatura di Luigi Greco fosse sostenuta dagli ambienti criminali e non ci risulta che sia stata la Camorra a favorire la sua elezione”. L’avvocato Maiello, inoltre, ha chiesto se l’ufficio investigativo abbia “mai accertato se presso l’amministrazione comunale di Castellammare siano state condotte di favoritismo nei confronti delle attività commerciali delle iniziative economiche o delle richieste volte ad ottenere autorizzazioni da parte di Adolfo Greco?”. A questa domanda Viscardi, con atteggiamento titubante, ha risposto dicendo “Non lo so se si può riferire, è ancora forse vietato. Al momento non fa parte di questo procedimento”. Il che fa pensare ad un altro procedimento in corso che vedrebbe coinvolta anche la politica e la macchina comunale. Maiello, non contento della risposta, ha incalzato il teste rimodulando la domanda. Lo storico legale di fiducia di Adolfo Greco ha chiesto all’ispettore se “relativamente al periodo in cui è stato in servizio presso il commissariato di Castellammare di Stabia vi risultano notizie di pressioni svolte da Greco sugli uffici comunali di Castellammare o condotte di favoritismo tenute da esponenti degli uffici comunali a vantaggio di Greco? “Non attualmente, durante il periodo dell’inchiesta che si ferma nel 2014, ma oltre c’è stata questa cosa ma… io non posso…abbiamo indagini in corso”.

Cronache della Campania@2019

‘Dico tutto a tua moglie, sono anche incinta’, e finisce in tragedia: lui si uccide, lei a processo

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Rinviata a giudizio una 42enne rumena accusata di tentata estorsione e istigazione al suicidio. La donna, presunta amante di un 47enne di Ariano Irpino, nel 2017 avrebbe minacciato l’uomo di raccontare tutto alla moglie, aggiungendo anche di essere incinta, e questo avrebbe spinto lui a suicidarsi. Il giudice per le udienze preliminari di Benevento ha rinviato a giudizio anche un 65enne accusato di favoreggiamento della prostituzione.
Le indagini sono iniziate dopo il suicidio del camionista. Gli investigatori sono partiti dalla sua lettera d’addio. Una richiesta di perdono. Gli inquirenti, dopo l’analisi dei tabulati telefonici e delle chat whatsapp, avevano ricostruito la relazione con la donna.

Gustavo Gentile

Cronache della Campania@2019

Ubriaca alla guida, investì e uccise un migrante: condannata a 4 anni

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A luglio scorso con la sua auto investì un immigrato, uccidendolo. Accadde in via Gromola Varolato a Capaccio–Paestum. La responsabile è una cittadina russa che ha patteggiato una condanna a 4 anni di reclusione per omicidio stradale. La sentenza è stata emessa dal giudice per l’udienza preliminare del Tribunale di Salerno, Piero Indinnimeo.
L’incidente mortale avvenne la sera del 21 luglio dello scorso anno. La donna guidava sotto l’effetto dell’alcol, ma si fermò a prestare soccorso all’uomo investito che era in bici. Chiamò anche il 118. Anche la vittima a seguito dell’autopsia risultò che aveva bevuto. Ma anche l’automobilista, sottoposta all’alcoltest, risultò avere un tasso alcolemico superiore al limite previsto per legge. Per questo motivo per la cittadina russa, che vive a Paestum, furono disposti gli arresti domiciliari. Ora è arrivata la condanna.

Cronache della Campania@2019

Camorra, ai summit anche la moglie del nuovo boss Umberto Luongo: gestiva lei ‘le mesate’

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 Da Napoli, precisamente dal quartiere San Giovanni a Teduccio, aveva allungato le mani anche su Portici e san Giorgio a Cremano, il clan Mazzarella, attraverso la cosca camorristica dei Luongo-D’Amico, capeggiata da Umberto Luongo e dalla moglie Gaetana Visone, entrambi arrestati stamattina dai carabinieri nell’ambito del blitz coordinato dalla DDA di Napoli. I militari dell’Arma sono riusciti a notificare 34 delle 36 misure cautelari emesse dal gip di Napoli Chiara Bardi. Due destinatari dei provvedimenti sono sfuggiti all’arresto e sono attivamente ricercati dalle forze dell’ordine. Gli arresti riguardano anche presunti affiliati del gruppo Troia, legati secondo gli inquirenti, al clan Rinaldi, in guerra con i Luongo-D’Amico e quindi anche con il clan Mazzarella. L’indagine parte dalla denuncia presentata da un commerciante vittima di estorsione ed usura nel 2016. Il clan Luongo oltre a taglieggiare le sue vittime e imporre interessi usurai, si occupava anche di gestire lo spaccio di delle sostanze stupefacenti nella zona. Gli estorsori del clan approfittavano dello stato di bisogno delle sue vittime: una, a fronte di un prestito di 5mila euro concesso nel 2015, e’ stata costretta a prometterne la restituzione di ben 17mila, diecimila dei quali materialmente consegnati. Una estorsione che uno degli uomini del clan ha commesso addirittura mentre era latitante. Gli arresti in carcere riguardano anche Gennaro Improta e Ciro Rosario Terracciano, gia’ detenuti, che secondo il sostituto procuratore della DDA di Napoli Antonella Fratello, sono responsabili dell’omicidio di Luigi Mignano, cognato del boss Ciro Rinaldi, assassinato un un agguato scattato davanti al figlio e al nipotino che i due stavano accompagnando a scuola. Il clan luongo, ha “convinto” le sue vittime “a suon di bombe”: uno degli episodi intimidatori contestati riguarda proprio un attentato con delle bombe carta a una officina. Determinante per il clan Luongo è risultato anche il ruolo della moglie del boss Umberto Luongo, Gaetana Visone, che accompagnava il marito ai summit con i capi delle altre organizzazioni camorristiche, faceva da intermediaria tra Luongo, gli affiliati e le famiglie dei detenuti. Non solo. Gaetana Visone gestiva anche gli aspetti economico finanziari del clan, la contabilità delle rate dell’usura e, infine, la suddivisione delle “mesate” agli affiliati

Cronache della Campania@2019

Omicidio del piccolo Giuseppe, il fratello di Tony: ‘…sei un animale, ti taglierei la testa’

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“Tony mi fai schifo. E’ venuta l’ambulanza… tu sei un animale, devi essere rinchiuso e devono buttare le chiavi… ti taglierei la testa…”. Comunicavano quasi esclusivamente via WhatsApp i fratelli Rafael e Tony Badre, quest’ultimo reo confesso dell’omicidio del piccolo Giuseppe, ucciso a 7 anni, a colpi di bastone, da Tony, la mattina del 27 gennaio 2019 a Cardito, in provincia di Napoli. La conversazione, ritenuta di notevole interesse investigativo, e’ stata estrapolata dal telefono cellulare dell’imputato dal perito nominato dalla Procura, l’ingegnere Giuseppe Testa, che oggi ha testimoniato al processo in cui sono imputati Tony e la compagna Valentina Casa, madre della piccola vittima. I due sono sotto processo a Napoli, rispettivamente, per omicidio, tentato omicidio e maltrattamenti, e per comportamento omissivo. Il messaggio risale a quella tragica mattina e sarebbe stato inoltrato dopo l’omicidio. Tony non era a casa e il fratello si mette in comunicazione con lui via chat. Eloquente anche il messaggio inviato poco prima : “Tony che hai combinato, hai fatto un altro guaio… stronzo”. In altri messaggi, inviati in periodo antecedenti al giorno dell’omicidio, emerge che Tony soleva usare la violenza per punire i bambini e anche la sua compagna. Ma quei messaggi non sono i soli contenuti ritenuti rilevanti a livello investigativo dal pm della Procura di Napoli Nord Sozio. Sono state estrapolate dalla memoria del telefono cellulare anche delle foto in cui si vedrebbero sui bambini i segni delle percosse. Depositati anche dei video, cinque per la precisione, pure questi ritenuti decisamente eloquenti. In due di questi, Tony riprende e schernisce il piccolo Giuseppe: “Come e’ bellillo o’ ricchione…”, dice in quello girato il 29 ottobre 2018. Nell’altro, che risale al 18 ottobre 2019, un anno dopo, Giuseppe ha un giocattolo tra le mani: “il bambino sembra terrorizzato, – dice il consulente della Procura – e’ tremante, mentre Tony lo ammonisce dicendo ‘Che stai facendo… muoviti… muoviti’, ma il Bimbo rimane paralizzato”. La presidente La Posta della Terza Corte di Assise di Napoli ha fissato per il 19 febbraio 2020 la prossima udienza.

Cronache della Campania@2019


Camorra, il pentito Zagaria: ‘Alle Regionale del 2015 aiutai economicamente la compagna di Antropoli’

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Fiumi di danaro distribuiti ad amministratori in carica e candidati prima delle varie tornate elettorali per assicurarsi gli appalti; a raccontarlo è il collaboratore di giustizia Francesco Zagaria durante il processo in corso alla Corte d’Assise di Santa Maria Capua Vetere, in cui è imputato per associazione camorristica insieme all’ex sindaco di Capua Carmine Antropoli, primario dell’ospedale napoletano Cardarelli, che risponde invece di concorso esterno. A Zagaria la Dda – pm Maurizio Giordano – contesta anche il duplice omicidio, in relazione al contributo reso durante l’agguato mortale avvenuto a Santa Maria Capua Vetere il 31 ottobre 2003 nei confronti di Sebastiano Caterino e Umberto De Falco. “Per le Regionali del 2015 – racconta Zagaria, imprenditore di Casapesenna da anni residente a Capua, che la Dda ritiene colluso con il clan guidato dal boss omonimo Michele Zagaria – ho speso circa 50mila euro per sostenere la candidatura, in quota Forza Italia, di Lucrezia Cicia (non fu eletta, ndr), compagna di Antropoli; diedi in particolare 20mila euro ad Antropoli in due tranche da 10mila, e gliele consegnai al suo studio. Con gli altri 30mila euro aprii vari comitati elettorali della Cicia, tra cui uno a Portico di Caserta, mi occupai dell’affissione di manifesti e organizzai iniziative elettorali. Antropoli mi disse che se avessimo eletto la Cicia in Consiglio Regionale, le cose per me sarebbero andate bene. Ovviamente ero interessato ad avere appalti pubblici con la mia azienda Prisma Costruzioni”. Al riguardo tra le mani della Dda ci sarebbe una fotografia che riprenderebbe Zagaria proprio all’inaugurazione del comitato. L’interesse di Zagaria a favorire la candidata vicina ad Antropoli erano “i lavori a Capua, per questo feci la campagna elettorale”, ha concluso.

Cronache della Campania@2019

Camorra, le minacce del boss a chi non pagava. Commerciante picchiato per aiutare una donna. I NOMI DEGLI ARRESTATI

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Volevano da lui 7000 euro, e li volevano in tre rate: una prima a metà gennaio, 2500 euro, poi una seconda da 1000 euro e a fine febbraio la terza, 3500 euro, quasi un saldo. E lo hanno vessato e tormentato per mesi, via Whatsapp e anche portandolo per ben due volte al cospetto del boss nella sua casa bunker. In un’occasione fu anche schiaffeggiato, mentre il capoclan Umberto Luongo lo ammoniva: “Se quando esci di qui vai alla questura dei Carabinieri io che devo fare? 30 anni, me ne faccio 31. Però tu te ne vai al camposanto perché noi siamo assai. Dimmi tu la data. Dimmi tu la sentenza”. Via WhatsApp gli ricordavano la scadenza delle rate, andavano a trovarli a casa e sul lavoro. Dalla sua denuncia, formalizzata a ottobre 2016, “molto dettagliata” come sottolinea il gip Chiara Bardi, parte l’indagine dei carabinieri della Stazione di San Giorgio a Cremano che ha portato una misura cautelare per 36 tra vertici affiliati del clan che fa capo a Umberto Luongo, alleato dei Mazzarella, ma anche per qualcuno dei rivali Troia. Alle indagini hanno contribuito anche le dichiarazioni di pentiti, tra i quali Luigi Gallo. Il clan era partito dal quartiere napoletano di San Giovanni a Teduccio, ma poi, prima per conto dei Mazzarella, poi creandosi uno spazio autonomo se pur rimanendo legati al potente gruppo, si era fortificato a San Giorgio a Cremano e a Portici. I guai per il commerciante di vernici che ha avuto il coraggio di denunciare erano cominciati a febbraio 2015 quando, non potendo rivolgersi a una banca, aveva chiesto 5000 euro in prestito a una persona vicina alla cosca, pattuendo la restituzione di 6500 euro, ma non potendo poi da subito far fronte alle rate. Nell’ordinanza si racconta anche di una donna che non concede la precedenza al corteo di auto guidato dalla vettura del boss Umberto Luongo e di un commerciante finisce pestato anche a colpi di casco dalla scorta del clan solamente per averne preso le difese: la forza intimidatrice del clan Luongo, sgominato oggi dalla DDA e dai carabinieri, emerge anche da questo episodio contenuto nelle 754 pagine dell’ordinanza di custodia cautelare firmata dal gip di Napoli Chiara Bardi. Il fatto risale all’agosto 2018, quando un commerciante di San Giorgio a Cremano ha denunciato ai Carabinieri di essere stato percosso per essere intervenuto a difesa di una donna che aveva avuto un diverbio con Luongo e alcuni suoi sodali. Lei, infatti, si era rifiutata di dare la precedenza all’auto blindata su cui viaggiava Luongo seguita dagli scooter che gli facevano da scorta. L’uomo intervenuto a difendere la donna e’ stato preso a schiaffi, pugni al volto e colpito alla testa con i caschi. Un pestaggio feroce, in piena regola, seguito da urla e le minacce di far saltare in aria il negozio nel quale la vittima si era rifugiata per sfuggire alle botte. Un contribuito importante e’ stato fornito anche dalle immagini dei sistemi di video sorveglianza dell’esercizio commerciale e dalle testimonianze oculari.

ELENCO DEGLI INDAGATI

BORRELLI GIOVANNI
BUONAVOLTA ANTONIO (LATITANTE)
BUONAVOLTA MARIARCO
COSTA CARMINE (IN CARCERE)
COZZOLINO MARIA (IN CARCERE)
DE LUCA ALESSIA
DE LUCA ANGELO (IN CARCERE)
DE LUCA GIUSEPPE
DE LUCA MASSIMO (IN CARCERE)
DE PONTE GIOVANNI (LATITANTE)
DE SANTIS SABRINA (IN CARCERE)
ESPOSITO MICHELE (IN CARCERE)
FASANO SALVATORE (IN CARCERE)

FICO CIRO (AI DOMCILIARI)
FIORINIELLO MARIANA (IN CARCERE)
FORMISANO GIOVANNI (AI DOMCILIARI)
GAGLIARDI CIRO (LATITANTE)
GAGLIARDI BERTRANDO (IN CARCERE)
GIUNTA MARCO (IN CARCERE)
IMPROTA ANGELO
IMPROTA GENNARO
LENTO ROBERTA (AI DOMCILIARI)

LUBRANO LAVADERA CRISTIAN (IN CARCERE)
LUONGO UMBERTO (IN CARCERE)

MAZZARELLA GENNARO (IN CARCERE)

MUSTO RAFFAELLA
NAPPO MIRCO (IN CARCERE)
RAMAGLIA IMMACOLATA (AI DOMCILIARI)
REPETTI MAURIZIO (IN CARCERE)

RHO ANTONIO (IN CARCERE)

RHO SALVATORE
SARTORI DEMETRIO
SCOTTI VINCENZO
SORRENTINO PAOLO (IN CARCERE)

SPARANO GIUSEPPE (IN CARCERE)
TAVASCIO SALVATORE
TERRACCIANO ADELE
TERRACCIANO CARLO (IN CARCERE)

TERRACCIANO CIRO ROSARIO (IN CARCERE)
TERRACCIANO GIOVANNI (AI DOMCILIARI)
TROIA DANILO (IN CARCERE)
TROIA FABIO
TROIA FRANCESCO

ULIANO ANNA (IN CARCERE)
ULIANO ASSUNTA (AI DOMCILIARI)
ULIANO ENZA (IN CARCERE)
ULIANO MARIO (AI DOMCILIARI)
VENERUSO CARMELA
VISONE GAETANA (IN CARCERE)

Cronache della Campania@2019

Scontro Metro a Napoli: indagato uno dei macchinisti

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 La Procura di Napoli ha iscritto nel registro degli indagati uno dei macchinisti coinvolti nell’incidente ferroviario tra tre treni avvenuto una decine di giorni fa nei pressi della stazione Piscinola della linea 1 della metropolitana di Napoli. Un atto dovuto riconducibile ad accertamenti irripetibili che valuteranno i sistemi frenanti dei convogli e i sistemi di sicurezza. Gli inquirenti (il sostituto procuratore Michele Caroppoli e il procuratore aggiunto Simona Di Monte) ipotizzano i reati di disastro ferroviario e lesioni colpose. Non si esclude l’errore umano, quindi, anche se le indagini sul materiale rotabile e le motrici mirano a fare luce sul funzionamento di tutta la linea. Nei giorni scorsi gli investigatori hanno anche posto sotto sequestro il telefonino del macchinista e ascoltato, ma come persone informate dei fatti, alcuni dirigenti dell’Azienda Napoletana Mobilita’, società del Comune di Napoli che gestisce, tra l’altro, la linea 1 della metropolitana.

Cronache della Campania@2019

Concorso truccato per la polizia penitenziaria: 151 a giudizio

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 L’inchiesta relativa al concorso per 300 posti nella Polizia Penitenziaria maschile e 100 in quella femminile del 2018 costerà il processo a 151 concorrenti accusati a vario titolo di truffa, ricettazione e altri reati. Le indagini furono condotte dal Nucleo Investigativo Centrale della Polizia Penitenziaria e proprio grazie a quel lavoro investigativo, a cui hanno partecipato per la propria parte uomini della Guardia di Finanza, dopo le condanne in abbreviato per alcuni degli imputati del novembre scorso, la Procura di Napoli ha citato in giudizio tutti i beneficiari della corruzione e della rivelazione di segreto d’ufficio. Lo scrive Gnews on line, quotidiano del Ministero della Giustizia, spiegando che la prima udienza si terrà ad ottobre a Napoli. Alcuni concorrenti furono esclusi dal concorso già sul momento, perché scoperti durante lo svolgimento della prova scritta con auricolari o cellulari, ma anche cover di telefonini, braccialetti e t-shirt dove erano scritte le risposte esatte con lettere e numeri che, grazie alle indagini del NIC, si è riusciti a codificare.  Le prime indagini furono condotte dalla procura di Roma, poi il procedimento è passato a Napoli. Nell’ambito delle indagini gli uomini del NIC hanno operato l’arresto di una decina di persone, accusate di essere in possesso delle risposte ai quiz e di averle vendute per decine di migliaia di euro. Gli sviluppi successivi hanno portato alla scoperta di un’associazione a delinquere costituita da una decina di persone operante nell’hinterland napoletano. I componenti della banda sono stati tutti arrestati e nel corso delle operazioni di perquisizione, il NIC ha sequestrato un fuoristrada Hummer oltre a denaro e altri oggetti. Ora la citazione in giudizio per i 151 presunti beneficiari della corruzione e della rivelazione di segreto d’ufficio. Il procedimento si terra’ dinanzi al giudice monocratico Giuliana Taglialatela.

Napoli, corruzione e rivelazione segreti di ufficio: ordinanza cautelare per 5 carabinieri

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I Carabinieri del Comando Provinciale di Napoli hanno eseguito un’ordinanza di arresti domiciliari a carico di 5 Carabinieri e di sospensione dall’esercizio del pubblico ufficio per un anno a carico di altri 3 militari, ritenuti responsabili, a vario titolo, di corruzione, omissione di atti d’ufficio e rivelazione di segreti d’ufficio, nell’ambito di un’indagine condotta dal Nucleo Investigativo del Gruppo carabinieri di Castello di Cisterna e coordinata dalla D.D.A. partenopea.

I carabinieri corrotti erano al servizio del clan Puca: la Dda voleva l’arresto per camorra, respinta dal gip

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La Procura di Napoli ha chiesto la misura cautelare anche per concorso esterno in associazione mafiosa e altre ipotesi di reato nei confronti dei carabinieri arrestati oggi, ma la richiesta non è stata accolta dal giudice. La Procura però ha proposto appello. Le indagini hanno evidenziato la sistematicità e la spregiudicatezza delle condotte, ritenute particolarmente gravi. E’ emerso praticamente un vero e proprio asservimento nei confronti dei clan della zona di Sant’Antimo, i Puca, in particolare nei confronti di Pasquale Puca (in carcere al 41bis), anche da Francesco di Lorenzo, finito ai domiciliari, che è stato anche presidente del Consiglio comunale di Sant’Antimo. I carabinieri arrestati consentivano, secondo gli investigatori, l’immunità alla camorra locale. La ricostruzione dei fatti è stata avviata grazie alle dichiarazioni di due collaboratori di giustizia. E’ emersa anche una attività di dossieraggio e un vero e proprio attentato nei confronti di un maresciallo, Giuseppe Membrino, che si opponeva con tutte le sue forze al clan Puca, nelle indagini della DDA che oggi hanno portato ai domiciliari cinque carabinieri mentre per altri tre il gip ha disposto la sospensione per un anno. Il maresciallo, particolarmente attivo nella lotta alla camorra di Sant’Antimo, venne pedinato e ripreso mentre si incontrava con una donna, sua informatrice. Le registrazioni vennero poi fatte recapitare nella cassetta della posta dell’abitazione del militare. Ciononostante l’attività del maresciallo è continuata con la stessa intensità. Ed è stato così che il clan ha poi deciso di far esplodere sotto la vettura del carabiniere una potente bomba carta. Questo episodio ha indotto l’Arma dei Carabinieri a disporre il trasferimento del maresciallo, per tutelare la sua incolumità.

CronachedellaCampania@2020

Intercettati i carabinieri collusi: ‘Il pentito? ha fatto l’infame…era meglio che gli davano una botta in fronte’

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C’è anche una conversazione tra carabinieri intercettata dagli investigatori dell’Arma il 28 febbraio 2018 e inserita nell’ordinanza con la quale il gip di Napoli, Valentina Gallo ha disposto cinque misure cautelari di arresti domiciliari e tre misure di interdizione nei confronti di otto carabinieri accusati dalla Dda di avere favorito personaggi ritenuti legati alla camorra. La conversazione è stata registrata grazie a una “cimice” sistemata nell’auto di servizio di due dei militari indagati. Uno dei militari dice: “Lamino (un collaboratore di giustizia, ndr) ha fatto proprio da infame, la faccia verde…”. E il collega incalza: “Ma quello si vedeva che era infame, non lo vedevi. Ogni cosa: ‘vado a Castello di Cisterna, ma dove vai…'”. L’altro carabiniere a quel punto osserva che era meglio se fosse morto in un agguato scattato nel 2016: “L’ultima volta che ci avemmo a che fare è quando gli spararono nella scarpa là, ebbe pure il culo che.. ebbe pure il culo che lo presero sotto il tacco.. almeno gliela davano una botta in fronte”.  L’inchiesta, che vede coinvolto anche un ex presidente del consiglio comunale di Sant’Antimo e lo stesso boss Pasquale Puca ora al 41 bis, è partita dalle dichiarazioni del collaboratore di giustizia. Il reato contestato ai carabinieri e al politico è corruzione, mentre gli indagati sono ritenuti responsabili, a vario titolo, di rivelazione di segreto d’ufficio, omissione di atti d’ufficio e abuso d’ufficio. Per tutti è stata esclusa l’aggravante mafiosa. I militari coinvolti prestavano tutti servizio nella caserma di Sant’Antimo e, secondo quanto ipotizzato, avrebbero fornito informazioni in merito a indagini e a operazioni di controllo sul territorio. Ci sarebbe stato anche un atto intimidario nei confronti di un maresciallo dell’Arma, particolarmente impegnato nella lotta alla camorra, costretto a subire intimidazioni e minacce fino all’esplosione di una bomba carta sotto la sua vettura rendendo poi necessario il suo allontanamento da Sant’Antimo.

CronachedellaCampania@2020


Tentò di uccidere la moglie dandole fuoco: iniziato il processo al 43enne di Ercolano

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E’ iniziata davanti al Gup di Reggio Calabria l’udienza preliminare a carico di Ciro Russo l’uomo di 43 anni di Ercolano che il 12 marzo dello scorso anno tentò di uccidere la moglie, Maria Antonietta Rositani, anche lei 43enne, dandole fuoco dopo averle gettato addosso del liquido infiammabile mentre la donna era alla guida della propria automobile. L’episodio accadde in una strada del centro di Reggio Calabria nei pressi di una scuola ed ebbe come testimoni numerose persone, tra cui alcuni studenti. Maria Antonietta Rositani, a causa delle gravi ferite riportate, è tuttora ricoverata in un Centro grandi ustionati di Bari e solo di recente è stata dichiarata fuori pericolo. Ciro Russo, che all’epoca si trovava agli arresti domiciliari con l’accusa di maltrattamenti in famiglia, il giorno del tentato omicidio partì da Ercolano a Reggio Calabria per raggiungere l’ex moglie, originaria proprio di Reggio e dalla quale si era separato da tempo. L’uomo, che in un primo tempo si era dato alla fuga, venne rintracciato e arrestato dalla polizia il giorno dopo il tentativo di omicidio mentre cenava in una pizzeria di Reggio Calabria Nel corso dell’udienza svoltasi oggi il Gup, Valentina Fabiani, ha accolto la richiesta di costituzione di parte civile nel processo contro Russo da parte di Maria Antonietta Rositani, dei tre figli della coppia e dei genitori e dei fratelli della donna. Accolta anche la richiesta di costituirsi parte civile presentata dall’Udi, l’Unione donne in Italia, rappresentata dall’avvocato Stefania Polimeni. La prosecuzione dell’udienza preliminare è stata fissata per il prossimo 24 febbraio.

CronachedellaCampania@2020

Corruzione: il patron della clinica di Castel Volturno si difende davanti gip

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Vincenzo Schiavone, il patron della clinica Pineta Grande a Castel Volturno  si è difeso per due ore cercando di spiegare al gip che ha firmato l’ordinanza di arresto nei suoi confronti e ai due pm di Santa Maria Capua Vetere che non c’è nessun caso di corruzione che lo riguarda, ma che avrebbe assunto solo persone che già conosceva. Ha risposto alle domande alla presenza dei suoi legali, Giuseppe Stellato e Claudio Sgambato, sia del gip Alessandra Grammatica, sia dei pm Vincenzo Quaranta e Giacomo Urbano. Per gli inquirenti, invece, Schiavone avrebbe assunto persone vicine a un funzionario comunale in cambio del permesso a costruire necessario per dare il via ai lavori di ampliamento della clinica, lavori bloccati a ottobre scorso con un sequestro. L’imprenditore, che è agli arresti domiciliari da giovedì, ha spiegato di conoscere l’endoscopista assunto, parente del funzionario del comune, da sempre, in quanto era amico del padre. Anche per i lavori affidati a Giovanni Noviello, ingegnere e fratello dell’ex funzionario comunale, Schiavone ha spiegato di aver utilizzato il professionista già dal 1991, quando Carmine Noviello non era ancora responsabile dell’ufficio tecnico comunale. Nei prossimi giorni i legali di Schiavone presenteranno richiesta al tribunale del Riesame di Napoli perché venga annullata l’ordinanza, e perché l’imprenditore venga rimesso in libertà.

Cronache della Campania@2019

Dimezzata la pena al narcotrafficante Luigi Bruno, revocata anche la confisca dei beni

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La Corte di appello di Napoli, quarta sezione penale, ha deciso su una maxi inchiesta della Direzione Distrettuale Antimafia di Napoli relativa a due diverse e distinte associazioni criminale dedite al narcotraffico, confluite in un unico procedimento.A prima associazione era dedita alla diffusione della cocaina operante tra Napoli, Salerno ed il Sudamerica.
La seconda associazione dedita alla trasformazione della pasta di anfetamina operante In Sant’Anastasia, Brusciano ed altri comuni vesuviani.
Secondo l’ipotesi accusatoria a capo delle due associazioni vi sarebbe stato l’incensurato imprenditore Luigi Bruno, ipotesi questa largamente smentita all’esito del giudizio.
Infatti, rispetto alla compagine criminale dedita alla commercializzazione della cocaina, a seguito dell’accoglimento del ricorso per cassazione proposto nell’interesse del capo clan ed a firma dell’avvocato Dario Vannetiello il giudice di primo grado giunse a ritenere proprio inesistente la consorteria.
Viceversa, fu affermata l’esistenza della associazione finalizzata alla commercializzazione delle anfetamine.
A fronte di una richiesta di condanna di anni 20 il Giudice dell’udienza preliminare presso il Tribunale di Napoli, dott. Vincenzo Caputo, irrogò in data 12.07.18 anni 16 e mesi 8 a Bruno Luigi, mentre irrogò pene variabili da anni 8 e mesi 8 ad anni 2 agli altri soggetti coinvolti nell’inchiesta.
Nel corso del giudizio di appello le incolpazioni risultano aver subito un ulteriore decisivo affievolimento, dettagliatamente, la pena di anni 16 e mesi 8 inflitta a Bruno Luigi è stata ridotta ad anni 10.
La Corte ha ridotto le pena in favore anche di altri imputati, tra questi Castaldo Alberto che è passato da anni 8 e mesi 8 ad anni 7; De Falco e ad Esposito Gioacchino che sono passati da anni 8 e mesi 8 ad anni 5; Esposito Giovanni, che è passato da anni 6 e mesi 2 ad anni 4 e mesi 8; Ciccarelli Francesco, che è passato da anni 5 e mesi 4 anni anni 4 e mesi 6
Rideterminate le pene per Garofalo Edoardo, Melisse Vincenzo e Piedepalumbo Giovanni, che hanno “concordato” in appello.
Confermata la condanna la condanna ad anni 2 per Caputo Giuseppe.
Infine, sorprendente e degna di nota è anche una ulteriore statuizione assunta dalla Corte partenopea: nonostante l’intervenuta condanna, i giudici di secondo grado hanno revocato, in accoglimento di una articolata istanza difensiva, la confisca dei beni a suo tempo sequestrati a Bruno Luigi, aventi ad oggetto un immobile, un esercizio commerciale sito in Sant’Anastasia, una polizza vita ed una autovettura.

Cronache della Campania@2019

I carabinieri corrotti facevano le soffiate al boss con cellulari ‘dedicati’

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Le informazioni riservate tra un maresciallo in servizio nella stazione dei carabinieri di Sant’Antimo  – uno degli otto finiti nell’inchiesta anticorruzione della DDA di Napoli – e il boss Pasquale Puca, viaggiavano su cellulari dedicati. A rivelarlo, agli inquirenti, è uno dei due collaboratori di giustizia che hanno dato un importante contributo all’inchiesta sui militari dell’arma “infedeli”. Secondo quanto riferisce il “pentito” in un interrogatorio reso il 24 luglio del 2017: “il maresciallo Martucci aveva un telefono dedicato per dare informazioni riservatissime a Puca Pasquale per il tramite di Pio Di Lorenzo (per tutti e tre il gip ha disposto una misura cautelare, ndr). In sostanza venivano utilizzati tre telefoni cellulari… il compito del maresciallo era quello di avvisare tempestivamente… Pio Di Lorenzo, il quale, a sua volta… avrebbe dovuto avvisare Pasqualino (Puca, ndr) di eventuali ordinanze applicative di misura cautelare per dargli il tempo di sottrarsi alla cattura”. La vicenda spiega il collaboratore risale al 2009: il clan era a conoscenza delle indagini dei carabinieri sull’omicidio di Francesco Verde e che Puca poteva essere arrestato.Tre degli otto carabinieri coinvolti nell’inchiesta anticorruzione della DDA di NapoliI, inoltre, avrebbero acquistato delle abitazioni, a prezzi vantaggiosi, sempre secondo il pentito a prezzi di costo o anche meno, grazie all’intervento di Puca e di un suo intermediario. Secondo gli inquirenti della Procura partenopea, l’acquisto di queste abitazioni, particolarmente vantaggioso anche secondo quanto riferito da un collaboratore di giustizia, sarebbe stato agevolato in cambio di informazioni riservate su indagini in corso e per omettere i controlli. Anomalie, inoltre, sarebbero emerse, dagli accertamenti bancari eseguiti dagli investigatori, sui conti correnti dei tre militari. Uno di loro, inoltre, ha venuto a prezzo di mercato la casa acquistata praticamente a prezzo di costo, pochi giorni dopo l’inizio della collaborazione con la Giustizia da parte di un ex affiliato al clan, Claudio Lamino, ritenuto a conoscenza degli affari del boss. Le indagini del militari della tenenza di Sant’Antimo hanno evidenziato l’intervento del boss su una delle imprese edili. Due appartamenti, infine, sarebbero stati acquistati da due militari da una ditta intestata a una persona ritenuta prestanome del capoclan.

Cronache della Campania@2019

Scafati, arrestato 3 volte in sei mesi ora il baby pistolero Panariello torna libero

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Scafati. Tre volte mandato in carcere negli ultimi sei mesi e per tre volte scarcerato miracolosamente. Risultato da Guinness dei primati. Ora è caduto anche il divieto di dimora nel comune di Scafati.Il Panariello Marcello è ritornato ad essere un uomo libero. Difeso dall’avvocato penalista Gennaro De Gennaro, il Panariello Marcello aveva lasciato qualche mese fa e per la terza volta il carcere di Fuorni sebbene le accuse erano gravissime.Questa volta il Panariello era stato portato al cospetto del GUP del tribunale di Nocera Inferiore, per 10 grammi di droga e ben otto bigliettini che confermavano un grosso spaccio di droga e traffico di armi. Si parlava di decine e decine di pallini di cocaina. I carabinieri avevano accertato un traffico di cocaina e soprattutto un miscuglio esplosivo a base di morfina che veniva immesso sul mercato realizzando un composto sintetico per lo sballo scafatese. Il giovane mentre stava ai domiciliari per i colpi di pistola esplosi contro l’abitazione della compagna a Pompei aveva avviato una fiorente attività di spaccio nella zona scafatese del rione dei vetrai.Nell’abitazione, i carabinieri avevano rinvenuto due bilancini di precisione e denaro di piccolo taglio oltre alla prova che il Panariello svolgeva dei party a base di cocktail con cocaina e birre durante la detenzione domiciliare. Una notizia confidenziale aveva segnalato le condotte illecite del giovane alla polizia giudiziaria che era intervenuta traendo in arresto il Panariello Marcello.Secondo il Pubblico Ministero Nocerino il giovane doveva essere condannato ad una pena di cinque anni per l’articolo 73 primo comma T. U Stup. Secondo la Procura il giovane è pericolosissimo e andava neutralizzato con una severa condanna. Secondo l’accusa la pena giusta doveva essere di 5 anni. Il giudice accogliendo la tesi difensiva dell’avvocato De Gennaro ha riqualificato i fatti nella minima offensività ed ha condannato il Panariello ad un anno e quattro mesi con Pena sospesa e conseguente revoca della misura del divieto di dimora nel comune di Scafati. Il Panariello è ritornato in liberta’. Dimezzata ai minimi termini anche la pena richiesta dal PM. Per la DDA salernitana è considerato un soggetto pericoloso. Si tratta di Panariello Marcello, ventenne scafatese, che sebbene giovanissimo può vantare il triste primato di avere innumerevoli processi alle spalle, un folto curriculum di pendenze criminali. Era stato portato a processo con l’accusa di essere un jolly del crimine scafatese pronto a nascondere armi e droga per conto del clan ed a piazzare bombe ai negozi, partecipando attivamente al racket estorsivo. La sua partecipazione all’associazione malavitosa era confermata dai pizzini che venivano mandati dal fratello Panariello Pasquale, figura di vertice del crimine scafatese dal carcere di Larino. Nell’ultimo processo dedicato al Clan scafatese che aveva preso l’avvio dopo le bombe che gli uomini di racket avevano collocato, il Panariello Marcello sebbene il PM aveva chiesto una condanna di 3 anni ha riportato l’assoluzione.Qualche mese fa il giovane aveva impugnato una pistola e si era diretto presso l’abitazione della campagna ,colpevole di non avergli dato la possibilità di vedere il figlio per diversi mesi. In piena notte il Panariello aveva esploso 5 colpi di pistola sulla porta d’ingresso della ragazza presso la sua abitazione di Pompei. Le strade della città Mariana erano diventate un far west. In quella circostanza il Panariello era stato arrestato ma dopo qualche giorno di cella era stato scarcerato.

Cronache della Campania@2019

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