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Channel: Cronaca Giudiziaria
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Processo ai fratelli Cesaro, protestano gli avvocati: ‘Mancano le condizioni per la difesa’

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E’ scontro tra gli avvocati della difesa ed il presidente del collegio giudicante al processo agli imprenditori Raffaele e Aniello Cesaro, fratelli del senatore di Forza Italia Luigi (prosciolto in questo procedimento), imputati di concorso esterno in associazione mafiosa, in corso al Tribunale di Napoli Nord, con sede ad Aversa. All’ ultima udienza, i difensori dei sei imputati hanno deciso di abbandonare la difesa per protesta contro “l’eccessiva compressione dei tempi del processo”, che, nelle intenzioni del presidente del collegio giudicante, Francesco Chiaromonte dovrebbe concludersi entro la meta’ di febbraio. Chiaromonte e’ stato trasferito al Tribunale di Sorveglianza, dove dovrebbe prendere servizio a febbraio. Al processo, sono state calendarizzate tre udienze a settimana per sentire 130 testi, mentre con decreto emesso dal presidente del Tribunale di Napoli Nord Elisabetta Garzo, su richiesta della coordinatrice dei collegi penali Domenica Miele, e’ stato disposto che i componenti del collegio del processo Cesaro – nelle date in cui il processo e’ calendarizzato – siano esonerati dallo svolgimento delle funzioni di giudice monocratico e delle relative udienze. Il decreto ha suscitato la protesta dell’avvocato Vincenzo Maiello, difensore dei fratelli Cesaro, che ha parlato di “processo speciale”, con “un florilegio di violazioni dei diritti della difesa”. “Le 37 udienze riservate ai testi dell’accusa sono state spalmate nell’arco di due anni – ha aggiunto il legale – mentre quelle destinate alla difesa devono concludersi con un tour de force in poche settimane”. La Camera Penale di Napoli Nord ha deciso cinque giorni di astensione dalle udienze dal 27 al 31 gennaio, ed ha chiesto al presidente Garzo la revoca del decreto. “Come si fa a sentire 130 testi e a prevedere la requisitoria del pm e le arringhe di 10i difensori entro il 15 febbraio?” si chiede l’ avvocato Maiello, docente di diritto penale all’ Universita’ Federico II, che conferma anche per l’udienza in programma oggi la decisione di abbandonare la difesa annunciata Martedi’. “Al momento – afferma il legale – non ci sono le condizioni per riprendere la difesa. Il Tribunale non e’ sereno. I difensori d’ufficio nominati chiederanno i termini a difesa, poi si vedra’”. “Peraltro – prosegue Maiello – non c’e’ alcun motivo per questa eccessiva accelerazione del processo, visto che anche se Chiaromonte va via ed al suo posto arriva un altro presidente, il processo non deve ripartire da capo. Inoltre i termini delle misure cautelari scadono a maggio 2021, per cui non c’e’ il rischio che gli imputati (i fratelli Cesaro sono ai domiciliari) possano tornare liberi”. Il processo ai fratelli Cesaro e’ partito nel dicembre 2017 ma e’ subito finito nell’occhio del ciclone, per l’ astensione, avvenuta nel febbraio 2018, del primo presidente del collegio Giuseppe Cioffi dopo alcuni articoli di stampa nei quali veniva indicato come partecipante ad una convention di Forza Italia, partito di Luigi Cesaro. “I fratelli Cesaro non sono politici – afferma l’ avvocato Maiello – ed il loro fratello senatore e’ stato prosciolto. La verita’ e’ che il Tribunale, proprio a causa della campagna mediatica, non e’ sereno, per questo vuole concludere presto. Ma non puo’ farlo a scapito dei diritti di difesa”.

Cronache della Campania@2019


Guarente chiede di nuovo scusa alla famiglia di Vincenzo ma non evita l’ergastolo

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Ergastolo confermato in appello per il 37 enne Ciro Guarente, imputato per l’omicidio, avvenuto ad Aversa nel luglio del 2017, dell’attivista omosessuale Vincenzo Ruggiero, ucciso a colpi di pistola. Lo ha deciso la Corte d’Assise d’Appello di Napoli nell’udienza di stamani. Guarente, in un estremo tentativo di farsi ridurre la pena, si era rivolto ai giudici prima che si ritirassero in camera di consiglio per la sentenza, chiedendo di nuovo scusa alla famiglia di Ruggiero, e dicendosi pentito di ciò che aveva fatto. Il suo legale, Dario Cuomo, nel corso dell’arringa difensiva, aveva chiesto ai giudici di rideterminare la pena, almeno per evitare a Guarente l’ isolamento diurno. La Procura generale aveva invece chiesto la conferma della condanna emessa in primo grado dal gup di Napoli Nord Fabrizio Finamore. La Corte non ha avuto dubbi, anche perché Guarente è reo-confesso anche se collaboro’ alle indagini indicando il complice che gli aveva dato la pistola, una calibro 7,65, usata per il delitto, Francesco De Turris, arrestato e condannato all’ergastolo in un diverso processo. Il delitto avvenne la sera del 7 luglio 2017; Guarente – è emerso dai primi due gradi di giudizio – si presentò ad Aversa a casa di Ruggiero e lo uccise a colpi di pistola, quindi fece a pezzi il corpo, lo cosparse di acido muriatico e cemento, e nascose le parti in un autolavaggio a Ponticelli, periferia orientale di Napoli. I resti furono ritrovati dai carabinieri sotto un massetto di cemento, nel punto dove solitamente c’era il cane da guardia, ma qualche frammento osseo della testa e di un braccio non e’ ancora stato rinvenuto. Passionale il movente; Guarente era geloso del fatto che la sua fidanzata, la trans Heven Grimaldi, convivesse in quel periodo con Ruggiero ad Aversa e pensò di vendicarsi su Guarente. 

Cronache della Campania@2019

Truffa all’Inps: ecco come funzionava il ‘sistema’. TUTTI I NOMI

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Avevano messo in piedi un sistema per ottenere credito d’imposta per assunzioni fittizie e consentire ai falsi dipendenti di raggiungere i requisiti per accedere alle indennità di disoccupazione, di maternità e raggiungere contributi ai fini pensionistici. Sono quattordici gli indagati e nei confronti di dieci persone sono state emesse dal gip del tribunale di Benevento su richiesta della procura misure cautelari personali e patrimoniali. Sono in corso infatti sequestri per oltre 3 milioni e 700mila euro di beni immobili, titoli e società coinvolte nella truffa svelata dalla guardia di finanza di Benevento. Agli arresti domiciliari sono finite cinque persone: Cosimo Tiso, 52 anni, di Sant’Angelo a Cupolo. Gabriella Musco, 44 anni, Gaetano De Franco, 44 anni, Arturo Russo, 58 anni, e Raffaele Bozzi. Destinatari dell’obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria altre cinque persone: Piergiuseppe Bordi, 41 anni, Maria Rosaria Canu, 48 anni, Pasqualino Pastore, 54 anni, Tullio Mucci e Maurizio Marro. Sono accusati a vario titolo di associazione per delinquere, truffa aggravata ai danni dello stato, riciclaggio e autoriciclaggio e reati tributari. Secondo quanto ricostruito dai finanziari in due anni di indagini sarebbero circa 300 le assunzioni sospette nei confronti di persone che avrebbero percepito indennità non dovute per diversi milioni di euro. Il sistema prevedeva la costituzione di società che per non destare nell’occhio avviavano un’attività solo sulla carta, acquistando forniture di materiale che mai sarebbe stato pagato e assumevano personale per il tempo necessario a far maturare i requisiti di accesso alle varie indennità. successivamente le ditta entrava in crisi e avviava i licenziamenti. L’attività dell’associazione riprendeva poi con altre ditte.

Nella mattinata odierna, all’esito di un’indagine coordinata dalla Procura della Repubblica di Benevento, militari del Gruppo del Comando provinciale della Guardia di Finanza di Benevento hanno dato esecuzione all’ordinanza con cui il Giudice per le Indagini Preliminari di Benevento, su richiesta della Procura, ha disposto l’applicazione di dieci misure cautelari personali e di misure reali. La complessa e articolata attività di indagine, scaturita da uno specifico servizio in materia di lavoro sommerso, ha consentito di accertare la sussistenza di un grave quadro indiziario a carico di una vera e propria associazione per delinquere volta a perpetrare una serie indeterminata di reati ed, in particolare, di delitti fiscali e di truffe aggravate per il conseguimento di erogazioni pubbliche ai danni dell’I.N.P.S. e ai danni dello Stato, condotte delittuose i cui proventi costituivano a loro volta oggetto di condotte di riciclaggio e di auto-riciclaggio. Nel corso della corposa attività investigativa, fondata su attività di intercettazione, perquisizioni ed analisi del contenuto dei dispositivi sequestrati agli indagati, di acquisizione documentale e di escussione delle persone informate sui fatti, si è infatti avuto modo di verificare che le suddette condotte delittuose sono state poste in essere mediante la costituzione e/ o la gestione di molteplici società (ben 17), tutte riconducibili di fatto allo stesso sodalizio criminale e quasi tutte, in concreto, non operative e utilizzate precipuamente per finalità elusive.

Per un verso le società erano tutte strumentali all’emissione e all’utilizzo di fatture per operazioni inesistenti e quindi ai fini di evasione, per altro verso venivano adoperate per la fittizia assunzione di personale, stante l’assenza di attività lavorativa concretamente prestata, al solo fine di consentire la percezione indebita di indennità di disoccupazione in seguito al licenziamento (anch’esso fittizio) e il conseguimento di settimane utili ai fini pensionistici, così sostanzialmente creando crediti di imposta a favore delle società da compensare con ritenute previdenziali ed assistenziali scaturenti dalle assunzioni presso le stesse di numerose persone. Tutti i soggetti assunti dalle anzidette società, a distanza di un lasso temporale utile a far maturare i diritti previsti dalla normativa vigente, venivano licenziati ed invitati a presentare domanda di indennità di disoccupazione che, una volta indebitamente ottenuta e accreditata, veniva dagli stessi riversata nelle mani del sodalizio criminoso: il tutto mediante una struttura organizzativa complessa e articolata con suddivisione di ruoli e compiti ben precisi tra gli indagati, con una gestione pianificata nei minimi dettagli e mediante tecniche ed espedienti ben collaudati nel tempo così come è emerso dall’attività di perquisizione e analisi del materiale sequestrato, rendendo di fatto possibile che gli stessi agissero indisturbati per quasi tutto un decennio. Alla base dell’organizzazione è stata pertanto sfruttata la collaborazione di centinaia di soggetti che, in cambio di una piccola percentuale dell’indennità indebitamente percepita e della conseguente opportunità di ritrovarsi contributi figurativi e settimane lavorative, si è prestata a farsi assumere e licenziare e a presentare domanda per conseguire le indennità di disoccupazione che venivano accreditate sui conti correnti accesi dai beneficiari e poi versate in tutto o in parte ai vertici dell’associazione.

Fondamentale si è rivelato altresì il ruolo di coloro ai quali sono state intestate le società e che hanno di fatto reso possibile la commissione di molteplici reati fiscali e di plurime truffe e che ora si rendevano disponibili per ogni operazione anche simulata e atto necessario per il conseguimento delle finalità illecite dell’associazione, ora si recavano presso istituti bancari, emettevano assegni, firmavano documenti, effettuavano movimentazioni bancarie e facevano transitare sui propri conti correnti i proventi dell’attività delittuosa, compiendo operazioni volte a dissimularne la relativa provenienza, ora procacciavano nominativi utili ai fini delle assunzioni. Prezioso si è così rivelato il contributo, nell’ambito dell’associazione, dei ”prestanome”, soggetti prevalentemente provenienti da contesti sociali di disagio, da fasce deboli della popolazione disposte a tutto per pochi soldi, facilmente circonvenibili e senza nulla da perdere, atteso che trattasi di soggetti senza reddito e occupazione lavorativa, alcuni dei quali con precedenti penali specifici e disposti alla commissione di qualsivoglia reato per guadagnare la giornata (finanche per percepire denaro per le sigarette e/ o pagamento delle varie bollette e per l’acquisto di beni di prima necessità). Parimenti essenziale per il funzionamento del meccanismo fraudolento è stata l’opera di chi ha rivestito la qualità di consulente del lavoro delle società del sodalizio, mettendo a disposizione la propria attività professionale, in particolare consentendo di avviare e perfezionare la procedura finalizzata al conseguimento delle indebite indennità di disoccupazione. Risalendo nella struttura piramidale della compagine associativa, basilare è stato il contributo degli organizzatori, i quali, a vario titolo, hanno coadiuvato il promotore, ora curando sistematicamente l’attività di gestione dell’intero apparato societario e la tenuta della relativa contabilità, predisponendo tutta la documentazione necessaria per la commissione delle truffe e dei reati fiscali, ora rappresentando legalmente le società, ora procacciando nominativi utili per le assunzioni, ora gestendo, istruendo e accompagnando i prestanome ogniqualvolta si rendesse necessario, ora fungendo da referenti esterni per l’associazione, ora occupandosi della riscossione delle stesse indennità di disoccupazione. Infine, ruolo di assoluto rilievo è stato ricoperto dal promotore dell’associazione, reale dominus di tutta l’attività, nonché fulcro della gestione aziendale di tutte le società e ideatore di tutto il meccanismo fraudolento, controllando di fatto l’intero apparato in modo puntuale, anche pianificando strategie difensive in caso di controlli fiscali, nonché assumendo ogni decisione e impartendo direttive ai suoi sodali in ordine alla gestione delle società, coordinando ogni operazione e beneficiando dei proventi dell’attività delittuosa, di cui risultava ultimo collettore, attraverso condotte di riciclaggio degli altri indagati e di auto-riciclaggio. Nei confronti del promotore e degli organizzatori dell’associazione, cinque persone, è stata disposta dal gip l’applicazione della misura degli arresti domiciliari, laddove nei confronti degli ulteriori compartecipi dell’associazione, altri cinque, è stata disposta la misura dell’obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria.

All’esito delle attività espletate e dei conteggi effettuati dall’I.n.p.s., è stato possibile accertare l’enorme portata del meccanismo fraudolento attuato dagli indagati e del giro illecito di “aflarl’ che ne è derivato, risultando innanzi tutto coinvolte a vario titolo nelle ipotesi truffaldine più di 1 00 persone, almeno 17 le società utilizzate per le fittizie assunzioni, più di 200 i rapporti di lavoro fittizi instaurati, ma soprattutto che l’I.N.P.S. ha erogato, a far data quanto meno dal2013, somme non dovute per indennità di disoccupazione per un importo complessivo pari a € 1.037.569,92 e che le settimane complessive accumulate illecitamente a fini pensionistici risultano essere pari a 11361 pari a circa 218 anni contributivi. Allo stesso tempo, attraverso l’utilizzo e l’emissione di fatture per operazioni inesistenti e la commissione di molteplici delitti fiscali, l’intero meccanismo fraudolento architettato ha consentito di evadere un’imposta complessiva pari a € 2.687 .254,28. Infine, i proventi dei predetti delitti venivano di volta in volta trasferiti su conti correnti intestati ad altre persone riconducibili comunque all’associazione, attraverso una pluralità di movimentazioni bancarie effettuate tra persone fisiche e giuridiche, in modo da ostacolarne l’accertamento della provenienza delittuosa: dagli accertamenti bancari effettuati nel corso delle indagini emergeva, in particolare, che gran parte delle somme, dopo una serie di operazioni e trasferimenti, confluivano su conti correnti situati all’estero ovvero Malta e Lussemburgo. In relazione ai predetti fatti è stata data altresì esecuzione al sequestro preventivo, disposto dal gip, anche per equivalente del profitto dei reati tributari e delle truffe fino alla concorrenza del valore complessivo di € 3. 724.824,20, nonché al sequestro delle 17 società utilizzate per la commissione dei suddetti reati, mentre si sta tuttora procedendo, mediante coordinamento con Eurojust, al sequestro dei conti correnti aperti all’estero. Non può che sottolinearsi, a completamento dell’allarmante quadro emerso, la peculiare pericolosità degli indagati: nel corso dell’attività investigativa hanno dimostrato, non solo particolare scaltrezza e abilità, ma anche un atteggiamento del tutto sprezzante nei confronti della legge e del sistema giudiziario, continuando a delinquere, noncuranti dei controlli e delle indagini in corso, che già peraltro conoscevano, e provvedendo ad eliminare file e documenti finanche oggi nella fase di esecuzione delle misure, precostituendosi prove a discarico (avevano predisposto un memorandum per ogni lavoratore, predisponendo anche il contenuto delle dichiarazioni da rendere all’autorità giudiziaria, il tutto contenuto in una penna usb di cui si disfacevano nel corso della prima perquisizione) nonché disponendo, in modo particolarmente allarmante, di canali privilegiati di acquisizione di notizie segrete relative alle indagini con particolare riferimento alle intercettazioni autorizzate nei loro confronti che provvedevano a neutralizzare sia pure parzialmente.

Cronache della Campania@2019

I 3 infermieri assenteisti di Nocera Inferiore condannati ai lavori sociali

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Un’indagine condotta dalla polizia giudiziaria, che va dal novembre del 2016 al febbraio del 2017, sull’ospedale di Nocera Inferiore, aveva portato alla luce una truffa per assenteismo di tre infermieri.
Si era scoperto che i tre infermieri, operanti nella struttura ospedaliera, si scambiavano tra di loro i cartellini marcatempo per far risultare la loro presenza quando, in realtà, si allontanavano senza permesso durante l’orario di lavoro.
“Si era pensato che i tre potessero essere sospesi dal lavoro per 9 mesi invece svolgeranno un anno di attività di volontariato per estinguere il reato. Penso che la magistratura debba essere più severa in questi casi dato che l’assenteismo è una piaga degli enti pubblici che crea ad essi danni economici. Le condanne ‘leggere’ non sono un vero deterrente e il fenomeno non scemerà in questo modo.” – ha dichiarato Il Consigliere Regionale dei Verdi e membro della Commissione Sanità Francesco Emilio Borrelli.

Cronache della Campania@2019

Inchiesta moglie De Mita: serve perito per intercettazioni

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Sara’ un perito a trascrivere le intercettazioni telefoniche nell’ambito del processo a carico di Anna Maria Scarinzi, e delle figlie Floriana e Simona De Mita. Moglie e figlie dell’ex leader della Dc, Ciriaco De Mita, sono accusate, assieme ad altre 7 persone di peculato, riciclaggio, truffa aggravata e malversazione ai danni dello Stato. Oggi la prima udienza del processo, dopo il rinvio per l’astensione di un componente del collegio giudicante. Il caso riguarda la gestione dei centri di riabilitazione Aias di Avellino, Nusco e Calitri e dell’associazione Onlus Noi Con Loro, che i familiari dell’ex leader democristiano avrebbero utilizzato per distrarre fondi. Un gestione, affidata all’ex direttore Gerardo Bilotta, che avrebbe creato un buco nei bilanci per circa 6 milioni di euro. Il processo riprendera’ il prossimo 27 febbraio quando sara’ conferito l’incarico al perito per la trascrizione di alcune intercettazioni.

Cronache della Campania@2019

Ecco come Greco fece entrare i Casalesi nel circuito Parmalat

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Intervento diretto per l’ottenimento della concessione da parte di Parmalat per la distribuzione del latte in Provincia di Caserta ad una cooperativa gestita di fatto da persone ritenute esponenti del Clan dei Casalesi. E’ questo uno dei elementi presenti nell’ordinanza di custodia cautelare in carcere che vede coinvolti Adolfo Greco, re del latte nell’area oplontina-stabiese e sorrentina, Pasquale Russo, Antonio Santoro, Lorenzo Vanore, Filippo Capaldo, Nicola Capaldo, Giovanni Massaro, Giuseppe Petito, Gianfranco Costanzo, Teresa Zazzaro. Dopo l’inchiesta “Olimpo” per la quale Greco è in carcere a Secondigliano un’altra tegola giudiziaria si abbatte sulla figura dell’Imprenditore. L’accusa è che “pur non essendo partecipe, forniva (insieme ai dirigenti campani di Parmalat ndr) un contributo concreto, specifico, consapevole e volontario – si legge nell’ordinanza – all’associazione di tipo mafioso dei Casalesi”. Greco, secondo quanto emerso dalle indagini della DDA e della Guardia di Finanza di Napoli, sarebbe intervenuto per il rilascio di una concessione da parte di Parmalat ad una cooperativa di fatto gestita di fatto da esponenti del clan dei Casalesi. Greco “si faceva parte attiva interloquendo – scrive il gip Leda Rossetti – con i dirigenti campani della Parmalat, Pasquale Russo, Lorenzo Vanore e Antonio Santoro per far revocare alla società Euromilk finita in amministrazione giudiziaria nel 2013 in quanto riconducibile ai Capaldo e ai Zagaria ed assegnare una nuova concessione per la zona alla cooperativa Santa Maria di nuova costituzione ma di fatti gestita dai Casalesi.
L’intercessione di don Adolfo con i vertici campani di Parlmalat per gli investigatori rappresenta un “contributo consapevole, concreto e costante al clan dei Casalesi, gruppo Zagaria, all’assegnazione di un importante settore imprenditoriale” che è la distribuzione del latte. Dalle indagini è emersa l’esistenza di rilevanti contatti tra Greco e Nicola Capaldo, nipote di Michele Zagaria e fratello maggiore del reggente del clan dopo la cattura, nel 2011, di Michele Zagaria. Parliamo di Filippo Capaldo già condannato per estorsione aggravata dal metodo mafioso per la fornitura di latte Berna del gruppo Parlamalat nei comuni dove c’è l’egemonia del clan.
Secondo le risultanze investigative don Adolfo ha concretamente contribuito, su espressa richiesta dei Zagaria e Capaldo, al rilascio della nuova concessione per la distribuzione del Latte Berna in favore di una società fittiziamente intestata a terzi soggetti ma di fatto gestita dal sodalizio criminale. I Capaldo si sono rivolti ad Adolfo Greco “consapevoli dell’influenza che lo stesso vantava nei confronti dei dirigenti della Parmalat” affinchè l’operazione andasse in porto. L’aiuto concreto emerge in una conversazione captata nella sala riunioni della CIL, azienda di Greco, tra lo stesso imprenditore ed Antonio Polese, il defunto “boss delle cerimonie” e del nipote, dove si parla dei Capaldo. “Allora, vennero,… vennero,… sono gente,… sono serie A,… ad alto livello,… sarebbero i nipoti di Zagaria,… i figli della sorella di Zagaria… per tutta l’Italia quelli comandano, tengono… (incomprensibile)… sposati e viveva con loro,… perché la mamma di questi qua è la sorella di Zagaria… Gli hanno confiscato tutto quanto là… va bene ma quelli tengono tanti soldi… vendevano il latte, gli hanno confiscato – dice Greco – pure l’azienda che vendevano il latte ed io con l’azienda… con Parmalat rispondo io con il nome mio (sorride)… Allora adesso loro stanno facendo… (incomprensibile)… sempre per aiutarli,… loro che sono venuti,… loro sono venuti da me: “…ho saputo che voi che lo possiamo fare… e noi stiamo qua se ve la potete prendere voi… io vi ringrazio…” (incomprensbilie) “Il rispetto… voi qualsiasi cosa avete bisogno.. io vi ringrazio…” “Ma sono ragazzi… – dice Greco a Polese”. Greco li ha seguiti, passo passo, in tutta la fase di passaggio dalla vecchia azienda alla nuova insieme ai dirigenti di Parmalat ben consapevoli, dopo i numerosi incontri alla CIL di Castellammare, di avere di fronte interlocutori criminali. Proprio con Antonio Polese, all’epoca titolare della Sornisa, Greco organizza anche il battesimo del figlio di Filippo Capaldo: per Greco non contano solo i soldi e gli affari, anzi. “Allora – dice Greco a Polese – devono fare una cosa piccola, per venti massimo venticinque persone, però lo devi sapere solo tu… Zagaria…Filippo… vorrebbe fare il battesimo del figlio… logicamente questa non è gente alla quale puoi dare del tu…viene anche la madre di Filippo… che è la sorella di Zagaria… non deve sapere niente nessuno”.

Cronache della Campania@2019

‘Sto vivendo un incubo’, la lettera del ristoratore napoletano arrestato a Dubai e scambiato per il narcos ricercato Bruno Carbone

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“E’ uno sbaglio di persona, io non sono Bruno Carbone, mi chiamo Domenico Alfano”. L’imprenditore napoletano ha inviato una lettera alle autorità italiane attraverso suo fratello Salvatore e anche agli organi di stampa. Sta vivendo un incubo dal 20 dicembre scorso. E’ stato arrestato all’aeroporto di Dubai in transito da panama perché sospettato di essere il noto narcos internazionale e ricercato Bruno Carbone di Marano legato a doppio filo a Raffaele Imperiale. Alfano, 40 anni, è originario del quartiere Stella, vive a Santiago de Veragues nella Repubblica di Panama, dove gestisce un ristorante e una pizzeria. Era partito con la famiglia (moglie colombiana e 2 figli di 13 e 9 anni) per Dubai per trascorrervi il Natale e Capodanno. L’uomo, difeso dall’avvocato Giacomo Pace, spiega nella lettera: “Possiedo un ristorante pizzeria a Panama, a Santiago de Veraguas. Il 18 dicembre siamo partiti da Panama per Dubai, per una vacanza di 30 giorni – dice – Dopo aver fatto una sosta in Francia, abbiamo continuato il nostro viaggio e siamo arrivati a destinazione a Dubai alle 4:25 ora locale, con il volo Air France 658. Felice con la mia famiglia, prendiamo le valigie attendendo di uscire, quando è arrivato un uomo con la giacca e ci invita a seguirlo insieme a mia moglie e ai figli, passando davanti agli altri passeggeri. Inizia il mio incubo.  Alla porta dell’aereo due persone mi chiedono il passaporto e mi chiedono se il mio nome sia Domenico Alfano, quindi un nuovo invito a seguirli insieme alla famiglia.Chiedo spiegazione e di capire cosa stesse accadendo. Mi hanno separato da mia moglie e dai figli. Mi hanno portato in un ufficio, cercando di farmi capire gli ho presentato un biglietto da visita del mio ristorante. A quel punto l’uomo che aveva prelevato ha scattato una foto e se’è andato. Mi hanno messo in una cella  e mi hanno fatto altre foto. Due o tre ore dopo aver atteso, mi hanno messo le manette e mi hanno trasferito in prigione in una cella fino a notte. Mi hanno interrogato con un cellulare dotato di traduttore istantaneo. Mi hanno mostrato le foto di due uomini con due nomi e cognomi diversi dicendo che sono entrambe esponenti della criminalità e dicono che mi stanno cercando. Avevo capito che sì trattava di uno sbaglio di persona e che avrei risolto il problema presto. Hanno preso le impronte digitali e fatto un piccolo prelievo di sangue per un test del Dna. Mi hanno detto che posso essere calmo che se non sono io il ricercato e che la risposta dall’Italia sarebbe arrivata presto e che mi avrebbero rilasciato. Oggi, 16 gennaio 2020, sono ancora qui, rinchiuso da 28 giorni. Tutta la mia vita sta finendo, tutte i miei impegni di lavoro stanno andando a rotoli, il danno psicologico alla mia famiglia è indescrivibile, scrivo questa lettera in modo che tutti sappiano la verità sul! ‘incubo che stiamo vivendo “.

(nella foto l’aeroporto di Dubai e il vero ricercato Bruno Carbone)

Cronache della Campania@2019

Uccise il suocero che abusava della figlioletta, condannato a 20 anni

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Lo ha convinto a seguirlo alle spalle di un furgone parcheggiato in centro a Rozzano, nel milanese, gli ha puntato addosso una pistola e ha sparato quattro colpi, uccidendolo. Un’esecuzione in piena regola, premeditata almeno da qualche giorno se non addirittura da mesi, quella di un 35enne oggi condannato a 20 anni in abbreviato a Milano per avere ucciso, nel febbraio scorso, il suocero accusato di avere abusato di sua figlia (e nipote della vittima) di sei anni. La pena, di molto inferiore rispetto alla richiesta di condanna all’ergastolo proposta dal pm, e’ dovuta non solo per la scelta del rito abbreviato, che consente lo sconto di un terzo della pena, ma anche per via del riconoscimento delle attenuanti generiche equivalenti alle aggravanti (premeditazione e recidiva reiterata). Riconoscimento che, da quanto si e’ appreso, avrebbe tenuto in considerazione il forte turbamento del killer, sconvolto dagli abusi subiti dalla sua figlioletta. Uno stato emotivo certificato da una consulenza psichiatrica portata dalla difesa, depositata agli atti del processo, e che e’ stata tenuta in considerazione dal gup Aurelio Barazzetta. Il giudice invece non ha concesso, come chiesto dal legale dell’uomo, l’avvocato Lucio Abbondanza, l’attenuante dell'”avere agito per motivi di particolare valore morale e sociale”. Il suo complice, l’amico che lo accompagno’ in scooter fino al luogo del delitto, e che era incensurato, e’ stato condannato a 18 anni di carcere. L’accusa per entrambi era di omicidio volontario premeditato. Il giudice ha riconosciuto 1 euro di risarcimento simbolico come chiesto dalla ex compagna del killer e mamma della bimba, che si e’ costituita parte civile. “Ha domandato solo 1 euro – ha chiarito il suo legale, l’avvocato Lara Benetti – perche’ non voleva che qualcuno l’accusasse di voler approfittare, dal punto di vista economico, della situazione. Eppure in tanti hanno condannato questo suo gesto, sui social network e non solo”. In base alla ricostruzione del pm Monia Di Marco, secondo la quale i due imputati meritavano il carcere a vita, l’assassinio fu una “vendetta” premeditata e non nacque, invece, da un “black out” mentale dell’uomo sconvolto dalle violenze subite dalla piccola. Gia’ dal novembre 2018, il killer sarebbe stato a conoscenza dell’indagine per violenza sessuale a carico del suocero, che viveva a Napoli. E proprio nelle stesse ore in cui e’ stato commesso il delitto, fra l’altro, la piccola era in tribunale per confermare davanti al giudice gli abusi subiti dal nonno. L’anziano era arrivato a Milano dalla Campania qualche giorno prima della sua esecuzione, per partecipare all’incidente probatorio. Pero’ all’ultimo non si era presentato ed e’ rimasto invece nel parco giochi, a poca distanza da dove e’ stato ucciso, in compagnia dei suoi familiari. Intorno alle 18, e’ stato ammazzato dal genero. Dopo la lettura del dispositivo l’avvocato Benetti ha commentato: “La mia assistita voleva giustizia, non vendetta, infatti aveva gia’ intrapreso un’altra via, quella legale, nei confronti di suo padre”. Le motivazioni entro 60 giorni.

Cronache della Campania@2019


Inchiesta sul matrimonio: in Procura a Napoli ascoltati Tony Colombo e il fratello di de Magistris

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E’ stato ascoltato per circa due ore il cantante neomelodico Tony Colombo che, nel pomeriggio, si è recato negli uffici della Procura di Napoli accompagnata dalla moglie Tina Rispoli e dall’avvocato Luigi Senese. Il cantante figura tra le persone indagate nell’ambito dell’inchiesta di sostituti procuratori Maurizio De Marco e Vincenza Marra sul concerto non autorizzato di piazza del Plebiscito, tenutosi la sera dello scorso 26 marzo, ma registrato all’apposito ufficio del Comune come flash mob. Un concerto che ha preceduto le cosiddette nozze tash del giorno 27 marzo, celebrate nel Maschio Angioino, tra l’artista siciliano e Tina Rispoli, vedova del boss degli scissionisti Gaetano Marino, assassinato in un agguato scattato sul lungomare di Terracina. La moglie del cantante ha atteso all’esterno dell’ufficio dove il marito è stato ascoltato dagli inquirenti. Sempre oggi è stato convocato in Procura anche Claudio de Magistris, fratello del sindaco di Napoli, Luigi, anche lui tra le persone indagate nello stesso procedimento. Oltre a Tony Colombo e a Claudio De Magistris, nel registro degli indagati vennero iscritti anche Sarah Terracciano, presidente della Commissione pubblico spettacolo del Comune, e Mafalda Fasanella, componente la segreteria del sindaco e dell’ufficio cinema. Per loro si ipotizza il reato di abuso di ufficio in concorso. Per omissione di atti di ufficio, invece, sono indagati il comandante della polizia municipale del quartiere Chiaia, Sabina Pagnano, il capitano Giovanni D’Ambrosio (che qualche giorno fa, accompagnato dal suo avvocato Bruno Cervone ha sostenuto un interrogatorio fiume dai carabinieri di Posillipo) e altri tre agenti della Polizia Locale

Cronache della Campania@2019

Condannato a 7 anni e 2 mesi di carcere il ristoratore di Sorrento accusato di violenza sessuale

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I giudici del tribunale di Torre Annunziata (presidente di collegio Riccardo Sena, a latere Maria Ausilia Sabatino e Adele Marano) hanno condannato a sette anni e due mesi di carcere il ristoratore di Sorrento, Mario Pepe e a 5 anni e 6 mesi la sua presunta complice Chiara Esposito. Il pm accolto Emilio Prisco, aveva chiesto per il primo 8 anni e 6 anni e sei mesi. Solo una leggera riduzione quindi rispetto alle richieste dell’accusa nel processo che si è svolto con il rito abbreviato. I due sono accusati di violenza sessuale e spaccio di droga nei confronti di un’altra ragazza della Penisola Sorrentina. La vicenda risale al 12 novembre del 2016 quando una 22enne di Piano di Sorrento avrebbe cenato e sniffato cocaina nel ristorante di Pepe. In un secondo momento la giovane avrebbe accusato un malore e si sarebbe svegliata nuda sul bancone del locale. Solo dopo qualche settimana la scoperta agghiacciante. A rivelare i fatti alla ragazza un amico. “Chiara ti ha venduto a Mario per 100 euro, non volevi fare sesso con lui così ti ha sciolto la cosiddetta ‘droga da stupro’ nel vino e sei stata violentata”. A dicembre del 2018 Pepe fu arrestato dagli agenti del commissariato di Sorrento che hanno in seguito scoperto un giro di festini a base di droga e alcol all’interno del locale della Sorrento bene.

Cronache della Campania@2019

La Cassazione annulla la mega-confisca dei beni dei familiari del boss vesuviano Domenico Cesarano

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La Suprema Corte, seconda sezione penale, presieduta dalla Dott.ssa Cervadoro e che ha visto come relatore il dott. Mantovano, ha annullato il decreto emesso in data 14.05.19 dalla Corte di appello di Napoli – VIII sezione penale –  con il quale erano stati confiscati numerosissimi  beni ritenuti fittiziamente intestati dal boss “Mimmo” Cesarano ai figli  Rocco, Felice e Mafalda, alla moglie Innarella Maria Grazia,   alla nuora Annunziata Rita ed  al genero Nunziata Antonio. L’ oggetto della confisca è considerevole: numerose unità immobiliari tra ville ed appartamenti situati tra Palma Campania, San Gennaro Vesuviano e Capo Rizzuto, tre terreni, due società di produzione e confezionamento di articoli di abbigliamento, sette conti correnti,  azioni,  due polizze assicurative ramo vita e quattro autovetture.

Facendo leva  sulle accuse provenienti  da numerosi collaboratori di giustizia, quali Carmine Alfieri, Salvatore Giuliano, i fratelli Fiore e Luigi D’Avino,  sia i giudici di primo grado che quelli di secondo grado,  avevano ritenuto che i beni oggetto di confisca erano tutti frutto certamente della attività delinquenziale svolta sin dagli anni 90 da colui che è soprannominato  “Mimmo o pezzaro”,  pluricondannato per reati di camorra,  braccio destro del super boss Mario Fabbrocino ed in stretto e costante rapporto delinquenziale con Biagio Bifulco, altro elemento di spicco della criminalità vesuviana.

In buona sostanza, i familiari del boss Domenico Cesarano, soggetti mai condannati per reati di camorra e dediti al lavoro, sarebbero stati degli intestatari fittizi. Ma l’ ipotesi degli inquirenti, la quale trovava il suo riscontro nelle plurime sentenze di condanna per allarmanti reati  a carico di Domenico Cesarano, ha indubbiamente trovato una significativa battuta di arresto con la decisione assunta dai giudici di legittimità.            

          Infatti, è stato premiato il lavoro svolto da tempo dagli avvocati Sabato Saviano del Foro di Nola  e Carmine D’ Anna del Foro di Avellino,  con l’ulteriore importante contributo reso innanzi alla Corte di Cassazione  dall’avvocato Dario Vannetiello del Foro di Napoli. I giudici capitolini hanno condiviso in pieno le articolate argomentazioni formulate dal collegio difensivo ed hanno stabilito che, in favore di tutti quei familiari  che erano  stati ritenuti intestatari fittizi, dovrà procedersi ad un nuovo giudizio innanzi alla Corte di appello di Napoli. Seppur ancora non si conoscono le ragioni dell’ annullamento, di ampia portata  in quanto avvenuto in favore di ben sette ricorrenti e con riferimento a tutti i beni oggetto di confisca, appare indubbio che la recente decisione ora consente ai familiari  del boss vesuviano di sperare nella restituzione  dell’ingente patrimonio sequestrato.    

Cronache della Campania@2019

Investì e uccise una ragazza all’uscita della discoteca: condannato a 3 anni e 4 mesi

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Era alla guida dell’auto che nel marzo 2017 investì ed uccise Debora Menale di soli 26 anni, originaria di Gricignano d’Aversa. Condannato a tre anni e quattro mesi Giovanni Vitiello.
Questa la decisione dei giudici del tribunale di Napoli. Debora era appena uscita da una nota discoteca di Sant’Antimo. Nella notte tra sabato e domenica, mentre tentava di attraversare la via Appia, venne investita. Il conducente dell’auto non si era fermato dopo l’incidente ed aveva fatto perdere le sue tracce.
Nelle ore successive si consegnò ai carabinieri di Villaricca insieme al suo legale, confessando di aver investito ed ucciso la povera Debora Menale. L’investitore venne indagato per omicidio stradale ed omissione di soccorso.

Cronache della Campania@2019

Napoletana di 100 anni cita in giudizio le Poste italiane per 160 mila euro: udienza fissata il 23 febbraio 2022

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La signora  Giulia Furioso, 100 anni compiuti, originaria e residente a Napoli, ex professoressa di Letterequalche mese fa ha rinvenuto uno scrigno donatole dalla cugina Antonietta (suora in Francia) al cui interno ha ritrovato due Buoni Postali Fruttiferi del valore ciascuno di lire 5 milioni emessi nel 1986.  
I titoli sono stati stimati sul sito ufficiale di Poste italiane come da prospetto allegato : IMPORTI E RENDIMENTI CALCOLATI DATA DI SOTTOSCRIZIONE31/05/1986
DATA DI SCADENZA01/11/2016
DATA DI PRESCRIZIONE01/01/2027
SERIEP
IMPORTO NOMINALE SOTTOSCRITTO€ 5.164,57
VALORE DEL BUONO AL 31/01/2020 IMPORTO NOMINALE SOTTOSCRITTO € 5.164,57
VALORE DEL BUONO AL LORDO* DELLA RITENUTA FISCALE € 78.333,80
RITENUTA FISCALE€ 0,00
VALORE DEL BUONO AL NETTO** DELLA RITENUTA FISCALE€ 78.333,80
*Il valore di rimborso lordo è determinato dalla somma del valore nominale e degli interessi lordi maturati.
**Il valore di rimborso indicato si intende al netto della ritenuta fiscale e al lordo dell’eventuale imposta di bollo calcolata in base alla normativa pro tempore vigente.
Come si può vedere le Poste le riconoscerebbero al 31 gennaio c.m. l’importo di 78.333,80 euro.
In realtà, come hanno sostenuto molteplici decisioni di Giudici di merito e di ABF (arbitrato bancario finanziario) l’importo dovuto non deve essere calcolato con i tassi di interesse che si sono succeduti, dal 1986 ad oggi, con un valore notoriamente decrescente, bensì con i tassi di interesse stampati a tergo dei buoni (notoriamente più elevato). 
Il calcolo effettuato con tali tassi di interesse porta ad una cifra di quasi il doppio di quella offerta da Poste italiane, nel caso di specie  158.380,00 euro.La donna ha conferito mandato all’Associazione Giustitalia al fine di recuperare l’intero importo. 
“Abbiamo provveduto ad inoltrare l’atto di citazione all’Ente debitore- spiegano dall’associazione- ma purtroppo considerando i tempi della giustizia italiana, l’udienza è stata fissata al 23 febbraio 2022. Chiederemo intanto la liquidazione delle somme “non contestate” (ovvero gli oltre 78 mila euro) in modo che la signora potrà beneficiare di parte di quanto le è dovuto”. 

Cronache della Campania@2019

Scarcerato uno dei ‘rampolli’ eccellenti dei pusher del Piano Napoli di Boscoreale

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Boscoreale – Scarcerazione “eccellente” nell’ordinanza Piano Napoli. Scarcerato il rampollo della famiglia Padovani, Gennaro.Miracolosa scarcerazione anche perché il giovane aveva precedenti penali pesanti e specifici e considerato dai carabinieri figura apicale di spaccio che lavorava in autonomia rispetto al cugino Giovanni. Il GIP del tribunale di Torre Annunziata ha accolto l’istanza presentata dal suo avvocato Gennaro De Gennaro.Il secondo ad essere scarcerato dopo che era stato scarcerato dal Riesame anche il fratello Umberto anch’egli difeso dall’avvocato Gennaro De Gennaro. Il giovane comunque era stato nuovamente arrestato perché sebbene sottoposto al divieto di dimora nel comune di Boscoreale era stato trovato con 100 grammi di hashish presso la sua abitazione. Dopo Carlo Padovani, considerato il signore della droga era esplosa la figura di Giovanni, il nipote che riforniva l’intero vesuviano di stupefacenti finanche ai professionisti. Un giro d’ affari di 2.400 euro al giorno e quindi da 72mila euro al mese, pari a 850.000 euro all’anno. Questo è quello che rendeva la piazza del Piano Napoli di via Passanti Scafati a Boscoreale gestita dalla famiglia Padovani.
La più pericolosa piazza di spaccio del sud Italia che non è secondo neppure a Scampia. È quanto scoperto dalla Compagnia carabinieri di Torre Annunziata che hanno eseguito un’ordinanza di custodia cautelare emessa dal gip del tribunale oplontino su richiesta della locale procura nei confronti di 13 indagati ritenuti responsabili di detenzione di stupefacenti a fini di spaccio. Centinaia le cessioni di droga documentate, prevalentemente di cocaina, che avvenivano nel rione popolare “Piano Napoli” di Boscoreale. Le consegne erano a domicilio, previa richiesta telefonica.

In carcere sono finiti Umberto, Giovanni e Gennaro Padovani, 24, 28 e 30 anni, ritenuti i capi del gruppo di spacciatori di cocaina, tutti imparentati con il boss “Carletto” Padovani, detenuto perché sta scontando una pena definitiva per traffico di stupefacenti. In cella anche Salvatore Russo, 39 anni, Giuseppe Borriello, 45, Gennaro Riccio, 31, Ivan Ranieri, 34, tutti residenti in via Passanti; e ancora Luigi Pecoraro, 43 anni, di Pompei; Giuseppe Faraco, 28, di Giugliano in Campania; Raimondo Caso, 42 anni, e Cesare Barbarito, 34, entrambi di Scafati. Ai domiciliari, invece, sono finiti Giuseppe Buono, 45enne di Boscoreale, i cugini Gennaro Rapuano (stesso nome, 25 e 21 anni), entrambi dei Quartieri Spagnoli; e Gaetano Padovani, il 23enne, più giovane della famiglia di pusher boschesi.
Nella maggior parte dei casi, le consegne di droga agli acquirenti venivano concordate al telefono, ma i pusher utilizzavano sempre utenze diverse, intestate a persone inesistenti.
Gli spacciatori si dirigevano poi nell’area vesuviana e nell’agro nocerino-sarnese, da dove venivano effettuate le richieste. Una cinquantina erano i clienti “fissi” che venivano contattati direttamente dagli spacciatori dopo il cambio di numero telefonico, che avveniva una volta a settimana. I Padovani vendevano “quasi esclusivamente cocaina, sempre con le stesse modalità e a prezzo fisso di 20 euro a dose”. I pusher utilizzavano un linguaggio cifrato a telefono per definire quantità e qualità dello stupefacente che doveva essere ceduto.
“Vieni ci possiamo prendere un caffè e porti un caffè” oppure “Tre caffè” . Era questo lo scambio che avveniva telefonicamente con i clienti. E tra questi anche un noto medico locale della guardia medica.

Cronache della Campania@2019

Rapina la pensione a un’anziana all’uscita dell’ufficio postale: chiesto il processo per una 44enne

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Rischia il processo con l’accusa di rapina una 44enne originaria di Pompei, ma residente ad Angri, per quanto commesso il 21 febbraio 2014. Il fascicolo della Procura di Nocera Inferiore è finito al vaglio del gip, che dovrà decidere se mandare a processo la donna, che non si sarebbe fatta scrupoli ad aggredire un’anziana di 86 anni.

La vittima, in quel caso, aveva appena ritirato la pensione, circa 700 euro, per poi decidere di nascondere i soldi all’interno del reggiseno. La 44enne, che aveva visto tutto, attese l’uscita dell’anziana all’esterno dall’ufficio postale, per poi strapparle il reggiseno e arraffare il contante. Non furono utilizzate armi, ma l’azione violenta commessa dalla 44enne configura, per la Procura, il reato di rapina. Poi furono allertati i carabinieri, che avviarono le prime indagini per ricostruire la dinamica dei fatti, ascoltare i testimoni e individuare la persona che aveva rapinato l’anziana. Al termine dell’indagine, con l’identificazione avvenuta a seguito di attività specifiche e tecniche, la Procura ha chiesto il rinvio a giudizio per la 44enne.

Cronache della Campania@2019


Abusi sessuali su un ex guida: chiesti 7 anni di carcere per il presidente di Napoli sotterranea

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Sette anni di reclusione per violenza sessuale: questa la richiesta avanzata dalla Procura di Napoli (pm Barbara Aprea) nei confronti di Vincenzo Albertini, 59 anni, presidente dell’associazione culturale “Napoli Sotterranea”, difeso dagli avvocati Sergio Pisani e Maurizio Zuccaro, denunciato da una sua ex collaboratrice, Grazia Gagliardi, di 34 anni. La giovane, accompagnata dalla madre, si e’ piu’ volte lasciata andare alla commozione durante la requisitoria del pm davanti al collegio A della quinta sezione del Tribunale di Napoli (presidente Cristiano), a cui sono seguite le discussioni degli avvocati di parte civile Alessandro Eros D’Alterio e del Comune di Napoli, Marco Buzzo, i quali hanno chiesto, rispettivamente, 250mila euro e 50mila euro di provvisionale. “Grazia ha dovuto patire nuovamente, durante il processo, – ha detto l’avvocato D’Alterio al termine dell’udienza – le sofferenze che le vennero inflitte quando lavorava a ‘Napoli Sotterranea’”. Il prossimo 3 febbraio discuteranno gli avvocati della difesa. Lo stesso giorno e’ attesa la sentenza. Albertini venne rinviato a giudizio lo scorso 3 luglio, dal gup di Napoli Anna Tirone, che accolse la richiesta del pm Stella Castaldo.

Cronache della Campania@2019

Napoli, la Dda chiede 11 condanne per il gruppo legato al narcos internazionale Lello Imperiale

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La Procura di Napoli (pm Maurizio De Marco) ha chiesto 11 condanne – la più alta a 18 anni di reclusione, la più bassa a 5 anni e 4 mesi – nei confronti di altrettanti componenti di una banda di trafficanti di droga ritenuta dagli inquirenti della Dda legata ai broker internazionali del narcotraffico Raffaele Imperiale (secondo alcune fonti a Dubai) e Bruno Carbone. Al termine della sua requisitoria il magistrato De Marco, insieme con la collega Vincenza Marra da anni impegnato in indagini che riguardano i clan di camorra di Secondigliano, ha chiesto la pena più alta per Raffaele Scognamiglio (18 anni di carcere. Tra coloro per i quali il pm antimafia ha chiesto la reclusione figura anche Massimo Liuzzi, ritenuto il collegamento tra Andrea Lollo (ex broker della droga con il compito di rivendere la cocaina alle cosiddette “paranze” attualmente collaboratore di giustizia) e Imperiale. La richiesta condanna più bassa riguarda invece Luigi Carotenuto (5 anni e 4 mesi).

Cronache della Campania@2019

Napoli, traffico internazionale di droga: chiesti 116 anni di carcere per il cartello di narcos legato a Raffaele Imperiale

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Il pm Maurizio De Marco della Dda di Napoli (titolare delle indagini sui narcos assieme alla collega Vincenza Marra) ha chiesto condanne per oltre 110 anni di carcere peril cartello di trafficanti di droga legati al noto super narcos internazionale Raffaele Imperiale ( latitante a Dubai dal 2015). Nel processo che si sta svolgendo con il rito abbreviato le richieste sono state di 18 anni di reclusione a carico di Raffaele Scognamiglio; 14 anni per Massimo Liuzzi e Angelo Russo; 12 anni di reclusione per Marco Simeoli; 10 anni per Vincenzo Torino, Luigi Abbrunzo e Maurizio Ambrosino. E ancora 9 anni per Giovanni Scognamiglio, otto per Ferdinando Perrotta; sei anni di reclusione per Giuseppe Marono e infine cinque anni e quattro mesi per Luigi Carotenuto. Tra coloro per i quali il pm antimafia ha chiesto la condanna figura anche Massimo Liuzzi, ritenuto il collegamento tra Andrea Lollo (ex broker della droga con il compito di rivendere la cocaina alle cosiddette paranze e attualmente collaboratore di giustizia) e Imperiale. Stralciata, invece, la posizione di Ettore Bosti. Il gruppo fu colpito lo scorso aprile da un’ordinanza di custodia cautelare a conclusione di un’accurata indagine portata avanti dai carabinieri del Comando Provinciale ed iniziata ad ottobre 2015 e nel corso della quale furono individuati tre canali di approvvigionamento dello stupefacente, con a capo Raffaele Imperiale conosciuto come “lelluccio o’ parente” e Bruno Carbone.

Cronache della Campania@2019

Scarcerato il giudice Capuano accusato di corruzione: va ai domiciliari

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 E’ stato scarcerato, stanotte, il giudice il giudice Alberto Capuano, finito in carcere lo all’inizio del luglio scorso, nell’ambito di un’indagine anticorruzione in cui sarebbero emersi dei collegamenti con la camorra. Il magistrato, 60 anni, era in servizio presso la sede distaccata di Ischia del Tribunale di Napoli quando venne arrestato. Capuano, che è difeso dagli avvocati Alfonso Furgiuele e Alfredo Sorge, una volta uscito dal carcere ha raggiunto casa a bordo di un taxi. La scarcerazione è frutto di un provvedimento del Tribunale del Riesame emesso ieri mattina, in sede di rinvio alla Corte di Cassazione. Dopodomani e’ prevista l’udienza per il giudizio immediato davanti alla seconda sezione del secondo collegio del Tribunale di Napoli (presidente Maria Pazienza)

Cronache della Campania@2019

Truffa all’Inps per la disoccupazione: gli arrestati in silenzio davanti al gip

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Dinanzi al gip Gelsomina Palmieri, che ha firmato il provvedimento restrittivo, hanno sfilato, restando a bocca chiusa durante gli interogatori di garanzia, Cosimo Tiso, 52 anni, di Sant’Angelo a Cupolo, Gaetano De Franco, 44 anni, Raffaele Bozzi, 56 anni, di Benevento , Gabriella Musco, 44 anni, di Benevento, e Arturo Russo, 58 anni, di San Nicola Manfredi.
Domani sarà invece la volta dei cinque indagati – 110 il numero complessivo – per i quali è stato disposto l’obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria, due volte al giorno: Piergiuseppe Bordi, 41 anni, Maria Rosaria Canu, 48 anni, di Sant’Angelo a Cupolo, Pasqualino Pastore, 54 anni, di Benevento, Tullio Mucci, 48 anni, di Benevento, e Maurizio Marro, 57 anni, di Benevento. Come più volte ricordato, le ipotesi di reato a vario titolo vanno dall’associazione per delinquere – Tiso ne è ritenuto il promotore – alla truffa aggravata ai danni dello Stato, ai reati tributari, al riciclaggio e all’autoriciclaggio.
Gli inquirenti ritengono di aver ricostruito un reticolo di società, definite cartiere, che sarebbero servite da un lato per utilizzare ed emettere fatture per operazioni inesistenti e, dall’altro, adoperate per l’assunzione fittizia di personale, per consentire la percezione indebita di indennità di disoccupazione in seguito al licenziamento. Indennità “accreditate sui conti correnti accesi dai beneficiari e versate in tutto o in parte ai vertici” della presunta associazione.

Cronache della Campania@2019

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