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Channel: Cronaca Giudiziaria
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Ottiene i domiciliari il boss del clan Pecoraro-Renna, Sergio Rainone

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Ha 43 anni, lo sguardo fiero e la schiena sempre dritta. Durante tutto il processo di appello, svoltosi tra l’aula bunker di Fuorni e quelle dello storico palazzo di giustizia di Salerno, l’ultraquarantenne di Mercato San Severino ha partecipato alle udienze collegato in videoconferenza dal carcere di Secondigliano. Si tratta di Rainone Sergio, condannato in sede di giudizio abbreviato alla pena di anni 15 mesi 10 di reclusione, per essere stato capo ed organizzatore del clan Pecoraro-Renna, storico sodalizio che ancora insiste tra il fiume Irno e la Piana del Sele, col ruolo specifico di reclutare altri adepti e coordinare le spedizioni punitive con armi e molotov finalizzate alle estorsioni a danno degli imprenditori locali. Dopo la riforma della sentenza di primo grado in anni 9, gli avvocati Giuseppe Milazzo e Immacolata Romano hanno ottenuto la sostituzione della custodia in carcere con gli arresti domiciliari. Rainone era infatti ormai da anni rinchiuso nel carcere napoletano perché a Fuorni ridusse quasi in fin di vita un cocellante per avergli spezzato con le mani le ossa in più punti del corpo.

Cronache della Campania@2019


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Giugliano, pusher trovato con 1 chilogrammo di droga: pena sospesa in appello

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Pena sospesa per E. B., 46enne di Pozzuoli ma domiciliato in Giugliano in Campania, in virtù di una condanna “dimezzata” ad un anno di reclusione.
È questa la decisione, dell’8 gennaio scorso, da parte della Terza Sezione della Corte di Appello di Napoli. Riconosciuta, dunque, la lieve entità da parte del Collegio Giudicante.
L’uomo, come si ricorderà, era stato fermato, nel marzo del 2017, nei pressi del Bar Chuka, in quanto gli inquirenti della Stazione dei Carabinieri di Pozzuoli “avevano avuto notizia” che l’uomo da tempo aveva intrapreso una attività di spaccio di sostanze stupefacenti.
Fatta la perquisizione personale, con esito assolutamente negativo, decidevano di effettuare la perquisizione domiciliare, recandosi presso la residenza del napoletano, sita in Giugliano in Campania, a 30 km di distanza. Giunti presso l’abitazione furono trovati un totale di 930 grammi di marijuana (analizzati dal Laboratorio Analisi Sostanze Stupefacenti della Legione Carabinieri Campania Comando Provinciale di Napoli) , trovati in vasi in vetro, in buste di plastica, in scatole di scarpe, oltre a piantine “pronte”, un bilancino di precisione e tutto l’occorrente per il confezionamento delle dosi.
In primo grado fu condannato per coltivazione e spaccio, con rito abbreviato “condizionato”, a due anni di reclusione da parte del Gup di Napoli Nord Erminio Nicola Paone, (il P. M. ne chiese 6, tenuto conto della scelta del rito).
I suoi legali, gli avvocati Massimo Viscusi ed Emiliano Vaccarella, del Foro di Benevento, avverso tale decisione avevano proposto appello, onde veder ridotta la pena.
Ed avevano incentrato tutta l’attività difensiva sulla incompetenza territoriale (rigettata in primo grado e riproposta in appello) , sul “modus operandi” messo in atto dagli inquirenti (già parzialmente condiviso in primo grado), sul “reale” peso della sostanza, sulla tossicodipendenza dell’uomo, oltre ad aver portato all’attenzione degli Organi Giudicanti tutta una seria di pronunce di Merito e di Legittimità, oltre che della Consulta, in tema di sostanza stupefacenti e/o psicotrope.
Nella sua Requisitoria il Procuratore Generale ha chiesto la conferma della sentenza di primo grado; gli avvocati Viscusi e Vaccarella, nella loro lunga arringa, hanno chiesto il riconoscersi della lieve entità con conseguente sospensione della pena.
Al termine della lunga udienza la lettura del dispositivo che rideterminava, in reformatio in melius, la pena ad 1 anno di reclusione, con conseguente sospensione condizionale della stessa.

Cronache della Campania@2019

Tifoso dell’Inter ucciso, il Riesame: ‘Totale indifferenza all vita umana’

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 Le “modalita’ del gravissimo fatto” commesso dall’ultrà napoletano di 39 anni Massimo Manduca arrestato il 18 ottobre scorso per aver travolto e ucciso col suo suv Daniele Belardinelli all’inizio degli scontri del 26 dicembre 2018 a Milano, prima di Inter-Napoli”denotano una totale indifferenza alle regole civili e alla vita umana”. A scriverlo i giudici del Riesame di Milano che hanno negato la libertà all’ultras, ora ai domiciliari, sottolineando che dopo l’investimento, Manduca “si è regolarmente recato allo stadio per assistere alla partita”. Altro argomento perché l’ultras non torni in libertà, il pericolo di inquinamento delle prove: “E’ del tutto verosimile che, se libero, proseguirebbe a contattare testi e coindagati onde ottenere dichiarazioni favorevoli” in vista del dibattimento. Il gip Guido Salvini, che si era occupato della convalida del fermo di Manduca aveva disposto una perizia con una piantina con la posizione dei mezzi nel luogo e al momento dell’attacco che per Manduca corrispondeva alla dinamica del fatto. Nonostante i risultati della consulenza affidata a Giovanni Argenta progettista della Renault Italia, con fotografie della Renault Kadjar investitrice, Manduca ha sempre negato fosse quella di cui era alla guida. 

Cronache della Campania@2019

Schiacciato sotto gli occhi della moglie nella falegnameria di cui era cliente: tre indagati rinviati a giudizio

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Il Gip del Tribunale di Napoli Nord Nicola Erminio Paone, dopo l?udienza preliminare tenutasi il 10 gennaio, accogliendo la richiesta del pubblico ministero Antonio Vergara, titolare del procedimento penale per omicidio colposo, ha rinviato a giudizio tutti e tre gli indagati per la morte di Pasquale Battaglia, avvenuta l’11 luglio 2018 in una falegnameria e rivendita di Casavatore, nel Napoletano. Si tratta del legale rappresentante della società e del conducente del muletto ritenuto responsabile del crollo dei pannelli sul 75enne di Frattamaggiore. I tre imputati, nessuno dei quali ha chiesto riti alternativi, dovranno comparire il 12 maggio avanti il Giudice Monocratico del Tribunale di Napoli Nord per l’udienza che segnerà l’avvio del processo verso e proprio. Si avvicina dunque il momento della giustizia per i familiari della vittima che, per essere assistiti, attraverso il consulente personale Luigi Cisonna, si sono affidati a Studio3A. 

Cronache della Campania@2019

Imprenditore trovato con 285 grammi di cocaina: ‘Era la scorta per le ferie’ e patteggia 3 anni

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Montesarchio. Tre anni. E’ la pena, patteggiata, stabilita dal gip Gelsomina Palmieri per Vincenzo Colavecchia , 58 anni, un imprenditore di Airola, domiciliato a Montesarchio, già noto alle forze dell’ordine, che i carabinieri avevano arrestato il 26 luglio del 2019 per detenzione ai fini di spaccio di 285 grammi di cocaina.
Era in una Smart che i militari avevano fermato, procedendo ad un controllo che aveva consentito di rinvenire, nel cassetto portaoggetti, un piccolo recipiente di plastica con 9 grammi di cocaina. Il passo successivo era stata la perquisizione di un appartamento della società di cui è amministratore, dove erano stati scovati, nascosti in un armadio, due involucri termo-sigillati con il resto della ‘roba’ – secondo gli inquirenti sarebbe stato possibile ottenere 1500 dosi -, quattro bilancini, un apparecchio per confezionare e sigillare le dosi, buste e rotoli di cellophane e la somma di 1400 euro.
Dichiarato in arresto, Colavecchia era finito nel carcere di contrada Capodimonte, che aveva lasciato dopo qualche giorno, al termine dell’udienza di convalida. Quando, comparso dinanzi al gip Loredana Camerlengo, aveva sostenuto che la droga, acquistata tramite una persona di San Felice a Cancello, era solo per uso personale: la scorta da consumare durante le ferie.
Dichiarazioni definite “inverosimili” dalla dottoressa Camerlengo, che lo aveva spedito ai domiciliari, ai quali è ancora sottoposto. Questa mattina l’udienza e la definizione della sua posizione.

Gustavo Gentile

Cronache della Campania@2019

Camorra: minacce a sindaco, condannato il primo cittadino di Casapesenna, Fortunato Zagaria

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Il tribunale di Santa Maria Capua Vetere ha condannato l’ex sindaco di Casapesenna, Fortunato Zagaria, a un anno e mezzo di carcere per il reato di violenza privata con l’aggravante del metodo mafioso, commesso ai danni di un altro ex primo cittadino dello stesso comune, Gianni Zara. La sentenza riguarda fatti accaduti nel 2008. Giovanni Zara, che denunciò subito l’accaduto, era allora in carica; le minacce che ricevette erano legate alla sua collaborazione con la magistratura per la ricerca dei covi del boss latitante Michele Zagaria, capoclan dei Casalesi. “A nome di Avviso Pubblico esprimo apprezzamento per il comportamento coraggioso dell’ex sindaco – rimarca in una nota il vicepresidente di Avviso Pubblico, Renato Natale, sindaco di Casal di principe – il comportamento assunto dall’ex primo cittadino e’ da indicare come esempio positivo a chi svolge una funzione pubblica, a cominciare da chi si appresta a candidarsi nelle prossime tornate elettorali, che vedranno impegnate importanti regioni, dalla Campania all’Emilia Romagna”. “Come ha sottolineato il presidente della Commissione parlamentare antimafia Nicola Morra – continua Natale – questa sentenza di condanna non puo’ passare inosservata. Va sottolineato il coraggio dell’ex sindaco proprio in un momento in cui diversi comuni del casertano stanno subendo scioglimenti per infiltrazione mafiosa e primi cittadini vengono indagati per reati di corruzione”. 

Cronache della Campania@2019

Chiesti 8 anni di carcere per il ristoratore di Sorrento che drogò e violentò, con una complice, una sua cameriera

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Sorrento. Chiesti otto anni e 4 mesi di carcere per il ristoratore di Sorrento, Mario Pepe accusata insieme con una complice (Chiara Esposito) di aver drogato e violentato una giovane cameriera del ristorante. Per la Esposito invece il pm Emilio Prisco della Procura di Torre Annunziata, dove si sta celebrando il processo con il rito abbreviato, ha chiesto 6 anni e 6 mesi di carcere. Mario Pepe è agli arresti domiciliari dal febbraio scorso. La vicenda risale al 12 novembre del 2016 quando una 22enne di Piano di Sorrento avrebbe cenato e sniffato cocaina nel ristorante di Pepe. In un secondo momento la giovane avrebbe accusato un malore e si sarebbe svegliata nuda sul bancone del locale. Solo dopo qualche settimana la scoperta agghiacciante. A rivelare i fatti alla ragazza un amico. “Chiara ti ha venduto a Mario per 100 euro, non volevi fare sesso con lui così ti ha sciolto la cosiddetta ‘droga da stupro’ nel vino e sei stata violentata”. A dicembre del 2018 Pepe fu arrestato dagli agenti del commissariato di Sorrento che hanno in seguito scoperto un giro di festini a base di droga e alcol all’interno del locale della Sorrento bene.

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Cronache della Campania@2019


Omicidio Ruggiero: chiesta la conferma dell’ergastolo e Guarente farà dichiarazioni spontanee

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Conferma dell’ergastolo per Ciro Guarente per il delitto di Vincenzo Ruggiero, l’attivista Lgbt di Parete ucciso nell’estate del 2017 in un appartamento in via Boccaccio ad Aversa. E’ quanto ha chiesto il procuratore generale nel processo d’appello che si è celebrato stamattina dinanzi alla corte presieduta dal giudice Eugenia Del Balzo.

Il pg ha ripercorso la vicenda e ribadito l’efferatezza dell’omicidio chiedendo la conferma della sentenza pronunciata in primo grado dal tribunale di Napoli Nord. Nel corso dell’udienza ci sono state le discussioni anche dell’avvocato di parte civile e del difensore di Guarente, l’avvocato Dario Cuomo, che ha chiesto il riconoscimento delle attenuanti generiche, anche in considerazione dell’atteggiamento collaborativo tenuto da Guarente nel corso del processo.

Sarà lo stesso Guarente a chiudere il processo d’appello a suo carico. L’imputato ha chiesto di poter fare dichiarazioni spontanee prima della sentenza dei giudici, prevista per giovedì.

Il 29 luglio, il macabro ritrovamento dei resti di Ruggiero in un garage di via Scarpetta a Ponticelli, una volta adibito ad autolavaggio. Il cadavere era stato sezionato, cosparso di acido muriatico e in parte occultato sotto uno strato di cemento fresco.

Cronache della Campania@2019

Castellammare, i Greco festeggiano sui social: ‘don’ Adolfo lascia il carcere dopo 13 mesi

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Quando anche per un ricovero in una struttura penitenziaria ospedaliera vale la pena stappare una buona bottiglia di champagne: è accaduto ieri pomeriggio alla notizia della ‘scarcerazione’ del noto imprenditore di Castellammare, Adolfo Greco, detenuto nel carcere di Napoli-Secondigliano, da 13 mesi. Quel tappo col botto alla fine di un lungo iter giudiziario durante il quale la difesa dell’imprenditore, finito in carcere nell’operazione Olimpo, hanno provato in tutti i modi ad alleviare la restrizione carceraria del proprio assistito, senza esito fino a oggi. Amici e parenti hanno festeggiato così e una foto su instagram, seppur criptica, ha siglato la vittoria di Pirro. Già perché formalmente, Greco resta detenuto, ma avrà la possibilità di curare i suoi malanni in una struttura ad hoc. Gli avvocati Maiello e Stravino hanno ottenuto la rimodulazione della custodia cautelare in carcere per l’imprenditore finito in cella dal 5 dicembre del 2018. Greco, vittima di numerosi episodi di estorsione da parte dei clan egemoni sul territorio stabiese e dintorni, viene considerato anche “aguzzino” ed amico dei ras della criminalità organizzata. Nel corso del processo, iniziato da diversi mesi, Greco – per rafforzare la propria posizione di vittima – si è costituito parte civile contro i clan, assistito dall’avvocato Pane. Il ‘re’ del latte ha scelto la strada più lunga per il suo processo ed è a giudizio a Michele Carolei, Raffaele Carolei, Umberto Cuomo, Luigi Di Martino, Attilio Di Somma suoi coimputati accusati a vario titolo di estorsione e associazione per delinquere. Nelle ultime cinque udienze che si sono svolte dinanzi al Tribunale di Torre Annunziata nell’aula “Siani” l’imprenditore non ha partecipato, rinunciando alla videoconferenza: “Greco è depresso ed ha tentato il suicidio più di una volta”. Questo denunciato dai suoi avvocati in più occasioni. Patologie che hanno trovato riscontro, negli ultimi mesi, in perizie mediche specialistiche sia di parte che disposte dal collegio giudicante. E’ proprio l’esito di queste perizie che ha spinto i giudici della sezione penale del Tribunale di Torre Annunziata, presieduta dal giudice Fernanda Iannone, a concedere il ricovero nella struttura penitenziaria ospedaliera di Torino-Molinette. Un trasferimento che diverrà esecutivo nei prossimi giorni, decretando la fine della permanenza nel carcere di Napoli-Secondigliano durata 13 mesi. Una circostanza che ha spinto le persone a lui più vicine a stappare lo ‘champagne’. Greco, formalmente resta in carcere, ma potrà essere curato adeguatamente nella struttura suggerita dalla difesa e avallata dai giudici. Nel frattempo, il processo prosegue con le testimonianze dei testi di polizia giudiziaria che hanno seguito le indagini. In aula si torna a febbraio, in quell’occasione potrebbe ritornare in videoconferenza, qualora le sue condizioni di salute siano migliorate, proprio l’imprenditore stabiese. 

Cronache della Campania@2019

Dramma di Cardito, la sorellina di Giuseppe disegna un lupo al posto del patrigno

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Un lupo, il patrigno, che circuisce dei gattini che per lei rappresentano se stessa, il fratellino morto e la sorellina più grande. Così, la sorella più piccola di Giuseppe, il bimbo di Cardito, ucciso a bastonate il 27 gennaio 2019, disegna la sua famiglia. Un disegno fatto nella casa famiglia che l’ha ospitata subito dopo la tragedia. Del brutale omicidio di Giuseppe è accusato Tony Essobti Badre, compagno di Valentina Casa, madre naturale dei tre bimbi. Entrambi, dallo scorso 30 settembre, stanno sostenendo il giudizio davanti alla Terza Corte d’Assise del Tribunale di Napoli, presieduta da Lucia La Posta, giudice a latere Giuseppe Sassone. Al primo imputato, reo confesso, vengono contestati dagli inquirenti della Procura di Napoli Nord i reati di omicidio (di Giuseppe), del tentato omicidio della sorellina e di maltrattamenti; la mamma dei bimbi, invece, è ritenuta responsabile di comportamento omissivo. Oggi nell’aula 114 sono stati ascoltati alcuni testimoni dell’accusa, rappresentata dal pm Fabio Sozio. Tra questi anche alcuni educatori della casa famiglia alla quale la bimba venne affidata. “Una volta – riferisce al pm una delle educatrici ascoltate durante l’udienza – mi chiese di accompagnarla in bagno: lì vide, nella doccia, un secchio con dentro un manico di scopa del quale mostrava di avere paura”. Proprio con un manico di scopa, infatti, Giuseppe sarebbe stato ucciso da Tony (il patrigno), che, secondo quanto emerso, lo usava per punire i fratelli quando si rendevano protagonisti anche solo di qualche marachella.L’educatrice della casa famiglia ha raccontato anche un altro episodio durante il quale la bimba, alla vista della scopa, indicandola disse: “Tony faceva ‘bum bum’ con quella…”. L’udienza di oggi si è aperta con la testimonianza di un agente della Polizia Giudiziaria che ha analizzato il tabulato delle telefonate inoltrare dai telefoni cellulari dei due imputati quella tragica domenica, tra le 10 e le 14, nessuna per chiedere aiuto. La prossima udienza è stata fissata per il 22 gennaio.

Cronache della Campania@2019

Castellammare, i Casalesi nella commercializzazione del latte: 7 arresti

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Su delega della Procura Distrettuale Antimafia di Napoli, la Polizia di Stato e la G.d.F. hanno in corso di esecuzione  un’ordinanza di applicazione di misura cautelare personale nei confronti di n.7 persone gravemente indiziate,  a vario titolo, di concorso esterno in associazione di tipo mafioso – per avere fornito un contributo concreto all’associazione di tipo mafioso denominata “clan dei Casalesi”, causalmente idoneo a conservare ed a rafforzare l’associazione mafiosa nel perseguimento dei suoi scopi – e trasferimento fraudolento di valori, con l’aggravante di cui all’art. 416 bis.1 c.p.

Le indagini, coordinate dalla D.D.A. di Napoli e condotte dalla locale Squadra Mobile, dal Commissariato di P.S. di Castellammare di Stabia e dal G.I.C.O. della Guardia di Finanza di Napoli hanno evidenziato l’intromissione del “clan dei Casalesi” nel settore della commercializzazione e distribuzione del latte attraverso un’azienda fittiziamente intestata a prestanome.  

Cronache della Campania@2019

Camorra, il clan Sperandeo tentò di condizionale il voto a Benevento nel 2016

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Ha tentato di condizionare l’esito delle elezioni amministrative del 2016, appoggiando lo schieramento di centrosinistra, con propri candidati e presiedendo un comitato elettorale. Corrado Sparandeo, capo dell’omonimo clan che controlla il racket delle estorsioni e il mercato della droga nella città di Benevento, quattro anni fa tentò di favorire l’elezione a sindaco di Raffaele Del Vecchio, attraverso la lista Alleanza Riformista, nella quale candidò il cognato. Ma temendo che l’esponente del Pd non riuscisse nell’intento, appoggiò anche candidati di schieramenti diversi. Il quadro emerge dall’ordinanza di custodia cautelare emessa dal gip su richiesta dalla Dda di Napoli, per dieci persone, tra le quali Corrado Sparandeo e il figlio Stanislao. Le accuse vanno dall’associazione a delinquere di tipo mafioso, allo spaccio di sostanze stupefacenti all’estorsione. E alcuni familiari di Sparandeo erano impegnati attivamente nella ricerca di voti, pronti anche a “investire” regalando buoni benzina agli elettori. La circostanza emerge da alcune intercettazioni ambientali riportate nell’ordinanza, ma lo stesso gip non ritiene accertato il passaggio dei buoni benzina in cambio del voto. Nelle intercettazioni viene citata anche la conversazione di un medico, candidato in una lista di centrodestra, poi eletto, che si lamenta per non aver ricevuto l’appoggio promesso da Corrado Sparandeo. “E’ un tentativo che denunciai nell’ultimo mio comizio – commenta via social il sindaco di Benevento, Clemente Mastella – sapevo di essere scomodo per questo la lotta contro di me. Ottima operazione di polizia che fa seguito ad altra altrettanto efficace contro lo spaccio di droga”.

Cronache della Campania@2019

Spaccio nel Centro storico di Salerno: 15 anni al fratello del boss D’Agostino

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SalernoNessuno sconto di pena a Ciro D’Agostino, fratello dei boss Antonio e Giuseppe che aveva investito nello spaccio di droga, facendo leva proprio sull’appartenenza alla nota famiglia del centro storico. La Corte di Appello di Salerno ha confermato al rampollo la condanna in primo grado a 15 anni, 4 mesi e 20 giorni. La decisione dei giudici del secondo grado di giudizio è arrivata nella tarda serata di ieri. Confermate anche le condanne agli accoliti del “nuovo corso” del sodalizio criminale: Rosario Cavallo (15 anni, 4 mesi e 20 giorni), Massimiliano Sabato (7 anni e 4 mesi), Michele Cavallo (4 anni, 11 mesi e 10 giorni), Carmine Caputo (4 anni, 10 mesi e 20 giorni, Gianluca Carratù di Eboli (1 anno e 4 mesi). La stessa Corte, inoltre, ha rideterminato le pene agli imputati Stefano Maisto (1 anno e 4 mesi), Roberto Barbarisi (1 anno e 8 mesi), Ciro Galioto (1 anno e 6 mesi), Armando Mastrogiovanni (2 anni e 2 mesi) e Enrico Alfano (1 anno e 8 mesi) ed Emilio Marmo (1 anno e 4 mesi). Revocate, inoltre, le misure cautelari a carico di Marmo, Galioto e Mastrogiovanni. Il collegio difensivo era composto, tra gli altri, dagli avvocati Luigi Gargiulo, Pierluigi Spadafora, Michele Sarno e Nicola Naponiello.

Gustavo Gentile

Cronache della Campania@2019

Carmela Sermino: ‘Mio marito vittima di una stesa di camorra’

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“Con la riapertura cambia tutto. Quando Peppe è morto, si diceva che fosse una vittima di Capodanno e dei botti, ma finalmente, dopo 12 anni, si è svelato che è stato, invece, vittima di camorra. Siamo arrivati ad una verità. Il caso si è riaperto perché vi erano svariati vuoti nella ricostruzione della vicenda, come la pistola ritrovata in mare da un pescatore”. Ieri è intervenuta in diretta su Radio CRC, Carmela Sermino, in vista della riapertura del caso di omicidio di suo marito, Giuseppe Veropalumbo, giovane carrozziere di Torre Annunziata rimasto vittima il 31 dicembre 2007 di un proiettile vagante sparato durante una stesa della camorra, secondo quanto riferito dal pentito del clan Gionta Michele Palumbo. Ora Carmela Sermino partecipa alla creazione di una associazione in un bene confiscato alla camorra messo a disposizione dal comune di Torre Annunziata: “Lavoriamo su tutto il territorio della Campania, cercando di essere il più partecipativi possibili”.

Cronache della Campania@2019


Camorra&Latte: con Greco in carcere anche i nipoti di Zagaria

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Un impero economico costruito grazie a un patto con i clan. Adolfo Greco e’ l’uomo d’affari a cui si sarebbero rivolti i Casalesi per la distruzione del latte tra Castellammare di Stabia e le citta’ del Napoletano. I nipoti di Michele Zagaria sarebbero stati in affari con l’imprenditore stabiese che proprio ieri sera, per motivi di salute, era stato scarcerato dopo una misura cautelare per un’indagine sempre sulla commercializzazione del latte e le infiltrazioni della camorra e ora sottoposto a un nuovo provvedimento restrittivo. Fu il pentito Salvatore Belviso a raccontare dei suoi rapporti con il clan D’Alessandro, ma secondo i magistrati della Dda avrebbe gestito i suoi affari in accordo con il potente clan dei Casalesi. Su delega della Direzione distrettuale antimafia di Napoli, la polizia di Stato e la finanza hanno in corso di esecuzione un’ordinanza di applicazione di misura cautelare personale nei confronti di sette persone gravemente indiziate, a vario titolo, di concorso esterno in associazione di tipo mafioso, per avere fornito un contributo concreto all’associazione mafiosa denominata clan dei Casalesi. In carcere sono finiti Filippo e Nicola Capaldo, nipoti del boss Michele Zagaria. L’indagine è partita dagli accertamenti su una ditta di Caserta da tempo dichiarata fallita. Sono invece due i manager della Parmalat finiti ai domiciliari nell’ambito dell’inchiesta. I due – Antonio Santoro e Lorenzo Vanore – avrebbero stretto un patto con i rampolli del clan dei Casalesi per ottenere L’egemonia della Parmalat nella distribuzione del latte in Campania. Gli accordi sarebbero stati stretti nella sede stabiese della Cil di Adolfo Greco attraverso incontri cui avrebbero partecipato i due funzionari Parmalat, accusati di concorso esterno.

Cronache della Campania@2019

Pericolo di fuga: arrestato Emilio Lavoretano, strangolò la moglie

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Nella mattinata odierna, la Polizia di Stato della Questura di Caserta ha dato esecuzione ad un’ordinanza di applicazione della misura cautelare in carcere, emessa nella stessa mattinata dalla Corte di Assise di Santa Maria Capua Vetere, su richiesta di questa Procura della Repubblica, all’esito della sentenza di condanna, emessa dalla Corte di Assise nei confronti di  Emilio Lavoretano, classe 1982. Il provvedimento rappresenta l’epilogo di una complessa attività investigativa e processuale che ha consentito di pervenire all’acquisizione di un quadro probatorio inequivocabile nei confronti dell’imputato, del quale è stata affermata la personale responsabilità, in ordine al delitto di omicidio pluriaggravato, perpetrato nei confronti della moglie Katia Tondi.
In particolare il Lavoretano, dopo aver simulato una finta rapina in casa, allertava i soccorsi riferendo di aver trovato la moglie, riversa sul pavimento della medesima abitazione, in un lago di sangue e priva di vita. A seguito delle immediate indagini coordinate da quest’Ufficio ed espletate dalla Squadra Mobile casertana, corroborate da attività tecniche d’intercettazione, escussioni di persone informate sui fatti, servizi di o.c.p. ed altro, è stata ricostruita l’intera vicenda, supportando un impianto accusatorio che ha visto nell’arrestato il responsabile del delitto e condiviso da questa Procura della Repubblica. Tale quadro indiziario, all’esito di un lungo e articolato dibattimento, ha trovato riscontro nella sentenza di condanna sopra descritta con la quale è stata inflitta la pena della reclusione, pari a 27 anni, l’interdizione legale e la sospensione dall’esercizio della responsabilità genitoriale del condannato per l’intera durata della pena. Dopo l’emissione della condanna, questa Procura della Repubblica ha chiesto l’applicazione di emissione di custodia cautelare ritenendo sussistere il pericolo di fuga e le esigenze probatorie. Ciò a dato luogo all’emissione del provvedimento restrittivo reso esecutivo in data odierna.

Cronache della Campania@2019

Greco intercettato parlando dei nipoti di Zagaria con i dirigenti Parmalat: ‘Vi faccio parlare con gente di serie A…’

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 Per Adolfo Greco, il noto imprenditore di Castellammare di Stabia a cui la DDA di Napoli, ha notificato stamattina un nuovo provvedimento di arresto, i fratelli Nicola e Filippo Capaldo, nipoti del boss Michele Zagaria, erano soggetti “di alto livello… gente di serie A… non munnezzaglia (spazzatura, ndr)”. La circostanza emerge nell’ordinanza di custodia cautelare con la quale il gip di Napoli, Leda Rossetti ha autorizzato l’arresto in carcere dei due nipoti di Michele Zagaria e di Adolfo Greco. Il giudice ha disposto invece gli arresti domiciliari per due dirigenti locali della Parmalat, Lorenzo Vanore e Antonio Santoro, e per due prestanome, Giuseppe Petito e Teresa Zazzaro a cui si contesta il trasferimento fraudolento di valori. Secondo quanto emerso dalle indagini della Guardia di Finanza e della Polizia di Stato (Squadra Mobile della Questura di Napoli e Commissariato di Castellammare di Stabia), Greco, i nipoti del boss Zagaria e i dirigenti locali Parmalat avrebbero preso parte a degli incontri tra Castellammare di Stabia e la Penisola sorrentina. La ditta di distribuzione Euromilk, sotto altre forme societarie, avrebbe continuato ad avere rapporti con la Parmalat (che non risulta coinvolta in questo procedimento) malgrado il sequestro disposto nell’ambito di un’altra inchiesta continuando a produrre guadagni per i fratelli Capaldo i quali hanno continuato ad avere il controllo camorristico della distribuzione del latte in Campania anche grazie all’aiuto fornito da Adolfo Greco. Sarebbe stato lui, infatti, a consigliare ai nipoti di Zagaria, figli di sua sorella Beatrice, di costituire una cooperativa di lavoratori – poi trasformata in srl, la Santa Maria srl – alla quale far “ereditare” i contratti che Euromilk aveva con Parmalat, quest’ultimi portati avanti malgrado il sequestro e l’amministrazione giudiziaria. Per agevolarli, sempre secondo la DDA (sostituti procuratori Giordano e Cimmarotta), Greco avrebbe concesso loro il latte da distribuire praticamente a prezzo di costo, per un paio di mesi. Soldi che poi gli sarebbero stati corrisposti solo diverso tempo dopo.

Cronache della Campania@2019

Camorra, ucciso 27 anni fa per aver rubato dalla cassa del clan dei Casalesi: 4 arresti

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Aveva bisogno di soldi, chiese un incremento dello ‘stipendio’ al clan, ma al diniego iniziò a rubare dalle casse delle attività illecite, come le estorsioni a nome dell’associazione criminale. E’ per questo che uno degli elementi di spicco dei Casalesi, Walter Schiavone, ordinò la sera del 29 ottobre del 1992 l’uccisione di un affiliato, Michele Borriello. Ventisette anni dopo i carabinieri del Nucleo Investigativo di Caserta hanno eseguito una ordinanza di custodia cautelare, emessa dal gip di Napoli nei confronti di 4 persone, ritenute, a vario titolo, responsabili dell’omicidio aggravato dal metodo mafioso. Nell’agguato, rimase gravemente ferito anche un ragazzo che si trovava occasionalmente in compagnia della vittima, al quale le gravi lesioni riportate hanno portato danni fisici permanenti.

Nella mattinata odierna, nelle province di Caserta e Latina nonché presso le Case Circondariali di Milano “Opera” e L’Aquila, i Carabinieri del Nucleo Investigativo di Caserta hanno eseguito un’ordinanza di custodia cautelare, emessa dal Tribunale di Napoli su richiesta della Direzione Distrettuale Antimafia partenopea, nei confronti di 4 (quattro) persone, ritenute, a vario titolo, responsabili dell’omicidio (aggravato dal metodo mafioso) di BORRIELLO Michele classe 1963, avvenuto in Vitulazio (CE) la sera 29 ottobre 1992.

La misura cautelare colpisce elementi di spicco del clan dei Casalesi, tra i quali SCHIAVONE Walter, detto “Walterino”, ritenuti responsabili dell’omicidio di Michele BORRIELLO, detto Pellecchione. La vittima era stata uccisa mentre si trovava nei pressi di un rinomato locale del posto, venendo attinta da numerosi colpi di arma da fuoco (ben 11). Nell’agguato era rimasto gravemente ferito anche un giovane del posto, che si trovava occasionalmente in compagnia della vittima, al quale le gravi lesioni riportate procuravano danni fisici permanenti.

I provvedimenti restrittivi costituiscono il risultato di un’attività investigativa coordinata dalla Procura della Repubblica di Napoli – Direzione Distrettuale Antimafia, avviata nell’anno 2017, che ha consentito di accertare che:

  • SCHIAVONE Walter, attualmente detenuto, è stato il mandante dell’omicidio;
  • PANARO Sebastiano detto “camardone”, esponente di primo piano del clan dei Casalesi, attualmente detenuto presso la Casa Circondariale di L’Aquila, è stato l’autore materiale dell’omicidio;
  • BUONAMANO Domenico e DI GAETANO Giovanni hanno trasportato sul luogo del delitto PANARO Sebastiano, a bordo di un’autovettura rubata poi data alle fiamme;

La decisione era stata presa poiché BORRIELLO, probabilmente a causa di una non florida situazione economica, aveva chiesto un maggior coinvolgimento nella compagine associativa e, a causa del diniego ricevuto, aveva iniziato ad appropriarsi dei proventi dell’attività estorsiva eseguita per conto del clan.

I soggetti colpiti da ordinanza di custodia cautelare in carcere sono:

  1. BUONAMANO Domenico, nato a SS. Cosma e Damiano (LT) il 03.01.1958;
  2. DI GAETANO Giovanni, nato a Pastorano (CE) il 02.10.1960;
  3. PANARO Sebastiano, nato a Casal di Principe (CE) il 10.08.1969;
  4. SCHIAVONE Walter, nato a Casal di Principe (CE) il 23.08.1961.

Per l’omicidio in questione, nell’anno 1999, è già stato condannato in via definitiva alla pena della reclusione di anni 10 e mesi 8 ABBATE Antonio, altro elemento di spicco del “clan dei Casalesi”, ora collaboratore di giustizia.

Cronache della Campania@2019

Inchiesta sul matrimonio di Tony e Tina: interrogato il comandante dei vigili indagato

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Un interrogatorio durato oltre tre ore e iniziato alle 11 di questa mattina negli uffici del pubblico ministero della Dda di Napoli, Maurizio De Marco. Ha risposto a molte domande, chiarito alcuni aspetti legati alle autorizzazioni e molte vicende burocratiche il comandante della polizia municipale di Napoli, Giovanni D’Ambrosio, indagato per omissioni di atti d’ufficio nell’ambito dell’inchiesta sul concerto abusivo in piazza del Plebiscito del 25 marzo 2019, registrato al Comune come flash mob, in cui si è esibito il cantante neomelodico Tony Colombo in onore della sua promessa sposa Tina Rispoli; un evento al centro di numero polemiche non solo per il mini show non autorizzato. L’esibizione del Plebiscito e’ avvenuta nel giorno prima del matrimonio con la vedova di Gaetano Marino, il boss del quartiere di Secondigliano ucciso il 23 agosto 2012 nel lungomare di Terracina durante la terza faida di Scampia. “Il capitano D’Ambrosio ha risposto a tutte le domande che gli sono state rivolte e spiegato agli investigatori le attività svolte il giorno in cui si e’ tenuto il concerto. D’Ambrosio si è dichiarato estraneo ai fatti contestati. Inoltre ha riferito di non conoscere nessuno delle altre persone indagate dalla Procura”, fa sapere l’avvocato Bruno Cervone che assiste il comandante. 

Cronache della Campania@2019

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