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Channel: Cronaca Giudiziaria
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Cinquanta chili di droga in auto: pena dimezzata per Lauritano, il naturopata di Castellammare di Stabia

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Castellammare di Stabia. Pena dimezzata per Sebastiano Lauritano, noto naturopata 53enne originario di Castellamare di Stabia ma residente a Castel Volturno (Caserta) attualmente detenuto a Secondigliano. Ieri sera è stato condannato a dieci anni di carcere (rispetto ai 20 anni inflitti in primo grado) perché accusato di essere capo e promotore di un’associazione internazionale  finalizzata allo spaccio e armi in merito a due distinti provvedimenti cautelari che lo hanno visto coinvolto per il trasporto di un grosso quantitativo di droga. Nel primo arresto, il naturopata, che sul litorale casertano si spacciava per un medico specializzato, venne fermato l’11 febbraio del 2017 nei pressi del casello autostradale di Napoli Nord dell’A1 a bordo di una Audi. Nella vettura i finanzieri trovarono ben 50 chili di droga, 30 di marijuana e 20 di hashish. Invece il secondo arresto, lo scorso anno, Lauritano fu raggiunto da un decreto di fermo emesso dalla Dda di Napoli con un’operazione congiunta delle fiamme gialle di Napoli  e la Guardia civil spagnola che portò all’arresto di 18 persone in Italia e 13 in Spagna. L’inchiesta fece emergere la presenza di due gruppi criminali, uno in Italia e l’altro nella penisola iberica, dediti allo spaccio di stupefacenti. Le due bande erano guidate da un napoletano trapiantato a Barcellona.

Cronache della Campania@2019


Frode fiscale: sequestrata una società di calzature e pellami di Grumo Nevano

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Nella mattinata odierna, al termine di un’indagine coordinata dalla Procura della Repubblica di Napoli Nord, militari del Gruppo della Guardia di Finanza di Frattamaggiore (Na) hanno dato esecuzione ad un decreto di sequestro preventivo, emesso dal GIP del Tribunale di Napoli Nord, nei confronti di una società operante nel settore del commercio all’ingrosso di calzature e pellami, avente sede in Grumo Nevano, e del suo amministratore e rappresentante legale. La misura cautelare patrimoniale scaturisce dall’attività ispettiva, condotta dai finanzieri del Gruppo di Frattamaggiore nei confronti della predetta società, durante la quale emergeva che l’impresa aveva operato, sin dalla sua costituzione avvenuta nell’anno 2012, in totale evasione d’imposta. Gli accertamenti svolti consentivano, in particolare, di verificare che la società – risultata peraltro fornitrice di primarie aziende nazionali operanti nel commercio di calzature e pellami – aveva posto in essere, in assenza delle relative dichiarazioni fiscali, operazioni commerciali generando un volume d’affari di circa 10 milioni di euro con un’evasione di IVA di oltre 2 milioni di euro, realizzando, in tal modo, secondo l’ipotesi accusatoria avvalorata dal GIP, un’articolata frode fiscale, realizzata anche attraverso la distruzione e/o l’occultamento della documentazione contabile obbligatoria. Le successive indagini patrimoniali eseguite nei confronti dell’amministratore e gli incroci dei dati presenti nelle banche dati in uso alla Guardia di Finanza consentivano di individuare 3 quote societarie che, nella giornata odierna, sono state sottoposte a sequestro in esecuzione del provvedimento cautelare, unitamente alle somme di denaro e alle altre disponibilità rinvenute sui conti correnti della società e dell’amministratore fino a concorrenza dell’importo di €. 1.827.103,01. Le misure restrittive reali si inseriscono nel quadro di una più ampia e mirata azione di contrasto all’evasione fiscale condotta dalla Procura della Repubblica di Napoli Nord con l’ausilio della Guardia di Finanza. L’evasione fiscale, infatti, oltre a danneggiare gravemente le finanze dello Stato, altera la leale concorrenza tra le aziende ed impedisce l’equa ripartizione del carico fiscale tra cittadini e imprese.

Cronache della Campania@2019

Traffico di droga, rito abbreviato per l’ex superlatitante Marco Di Lauro

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Napoli. Traffico di droga: Marco Di Lauro ha scelto il rito abbreviato. Era stato arrestato a marzo dopo 15 anni di latitanza. Il gip di Napoli Giuseppe Sepe (26esima sessione) ha ammesso il rito abbreviato per Marco di Lauro, figlio del capo dell’omonimo clan Paolo, detto “Ciruzzo ‘o milionario”, nell’ambito del procedimento giudiziario che lo vede accusato dalla Procura di Napoli (pm Dda Maurizio De Marco) di associazione a delinquere finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti. La decisione è stata presa ieri. Reati commessi, secondo la Dda, dal 2006 al 2012, nelle due ordinanze emesse nei confronti di Di Lauro, per lo stesso reato, quando era latitante. Difeso dall’avvocato Gennaro Pecoraro, “F4”, così veniva soprannominato dagli inquirenti Marco di Lauro, è stato arrestato lo scorso marzo dopo una latitanza durata 15 anni. Marco Di Lauro è imputato anche nel processo di appello per l’omicidio avvenuto nel 2005, a Napoli, dell’innocente Attilio Romanò, la cui sentenza è attesa nei prossimi giorni.

Cronache della Campania@2019

San Giuseppe Vesuviano, picchiava la madre per estorcerle i soldi: arrestato 32enne stabiese

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San Giuseppe Vesuviano. Ieri sera gli agenti del Commissariato di San Giuseppe Vesuviano hanno dato esecuzione ad un’ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa dal GIP del Tribunale di Nola, su richiesta della locale Procura della Repubblica, nei confronti di D. D, 32enne stabiese pregiudicato.
L’uomo, in seguito ad una attività investigativa volta alla tutela delle fasce deboli, è ritenuto responsabile di maltrattamenti, lesioni ed estorsione commessi tra il 2017 ed il 2019 a San Giuseppe Vesuviano in danno della madre.
L’uomo è stato rintracciato ed arrestato a Pomigliano D’Arco.

Cronache della Campania@2019

Camorra, ‘solo’ 20 anni di carcere per il boss Raffaele Amato ‘a vicchiarella

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Si è concluso con una condanna a 20 anni di carcere il processo a carico del boss Raffaele Amato, a capo degli scissionisti del clan Di Lauro, per il duplice omicidio di Fulvio Montanino e Claudio Salierno avvenuto nell’ottobre del 2004. Un omicidio che diede il via alla prima faida di Scampia. I giudici della Corte d’Assise d’Appello di Napoli (presidente Rosa Romano) hanno cancellato l’ergastolo che era stato disposto in primo grado, con giudizio abbreviato. Amato aveva inviato una lettera alla Corte nella quale forniva chiarimenti sui fatti. Non una confessione, però. Tanto è vero che in sede di requisitoria il procuratore generale Carmine Esposito ha definito Amato un “irriducibile’ e ha chiesto la condanna dell’ergastolo.

Cronache della Campania@2019

Camorra, l’avvocato dell’ex sindaco di Casapesenna: ‘Fortunato Zagaria va assolto’

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Caserta. “Zara era zero politicamente, voleva fare tutto da solo, e la sua ingratitudine verso Fortunato Zagaria rivela la sua pochezza umana”. Usa parole molto dure l’avvocato Giuseppe Stellato nel corso dell’arringa tenuta al processo in cui assiste l’ex sindaco di Casapesenna, Fortunato Zagaria, imputato al tribunale di Santa Maria Capua Vetere per violenza privata con l’aggravante mafiosa insieme al boss dei Casalesi Michele Zagaria (sono omonimi ma non parenti); parte offesa, costituitasi parte civile, un altro ex sindaco del paese natale del capoclan, Giovanni Zara, primo cittadino di Casapesenna per meno di un anno a cavallo tra il 2008 e il 2009, quando fu sfiduciato dalla sua stessa maggioranza e dal suo vice-sindaco, appunto Fortunato Zagaria, in quanto, secondo la Dda di Napoli che ha coordinato le indagini e retto l’accusa in giudizio – sostituto Maurizio Giordano – si era messo contro il clan. Il processo è partito dalla denuncia di Zara contro Fortunato Zagaria, che per questi fatti fu anche arrestato nel 2010 mentre era sindaco per la terza volta; per la Dda Zara fu più volte minacciato dal suo vice-sindaco per la sua aperta politica contro il boss Zagaria, che tra il 2008 e il 2009 era latitante e si nascondeva proprio a Casapesenna. A Fortunato Zagaria, durante il processo, è stato contestato anche il concorso esterno in camorra, perchè ritenuto colluso con il boss, cosi’ come dichiarato da numerosi ex fedelissimi del capoclan poi divenuti collaboratori di giustizia. “Non si può pensare che Zagaria fosse sindaco del clan – ha proseguito Stellato – in quanto nessun pentito dice per averlo appreso direttamente, ma solo de relato. Fortunato Zagaria ha sempre fatto iniziative anti camorra, mentre Zara solo proclami”. Stellato ha poi chiesto l’assoluzione da tutti i capi di imputazione per l’ex primo cittadino. Il pm, nel corso della requisitoria, aveva chiesto 10 anni di carcere.

Cronache della Campania@2019

Sarno, lite in famiglia degenera e spunta il coltello: un ferito

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Escalation di violenza nel tardo pomeriggio di oggi quando un 30enne,  all’interno dell’abitazione familiare ubicata in via Sarno – Palma, a seguito di un litigio si è scagliato con furia contro il padre. L’anziano nel tentativo di sfuggire alla furia cieca del figlio ha trovato  riparo in un’auto. Per aver tentato di calmare la lite, un parente è stato ferito al braccio da un fendente sferrato dall’aggressore. Il ferito si è presentato al pronto soccorso dell’ospedale Villa Malta, denunciando di essere stato accoltellato durante una lite familiare. Allertate le forze dell’ordine, agenti della polizia di stato hanno arrestato il 30enne per lesioni personali gravi e aggravate.

Cronache della Campania@2019

Morte del piccolo Giuseppe, il medico legale in aula: ‘Contro il bimbo una violenza inaudita’

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“C’è stata una violenza brutale”, sia nei confronti di Giuseppe che della sorellina. Lo ha sottolineato più volte, davanti ai giudici  della Terza Corte di Assise di Napoli (presidente Lucia La Posta), il medico legale Nicola Balzano, teste dell’accusa (pm Paola Izzo), durante un’udienza del processo sulla morte del del piccolo Giuseppe Dorice di 7 anni, ucciso a Cardito, il 27 gennaio scorso, che vede imputati Tony Essobti Badre e Valentina Casa, rispettivamente patrigno di Giuseppe e madre del bimbo ucciso. L’imputato, dalle sbarre, senza mostrare neppure una minima inflessione e lei, invece, quasi assente, seduta, con i gomiti appoggiati sulle ginocchia e lo sguardo basso, hanno assistito all’escussione del medico legale: “Giuseppe è stato afferrato al collo, come nel tentativo di uno strozzamento. Il piccolo ha anche cercato di difendersi, ma erano troppo forti quelle botte alla testa sferrate con un manico di scopa che, alla fine, ne hanno “determinato una condizione incompatibile con la vita” e successivamente “il coma e poi la morte”, “per traumi che hanno determinato l’interruzione delle fibre nervose del cervello”.Secondo Balzano, inoltre, la morte di Giuseppe sarebbe sopraggiunta tra le 9 e le 11, in quella che, nella scorsa udienza, una testimone ha definito “la casa degli orrori”. I soccorsi, però, sono stati chiamati solo alle 14, quindi molte ore dopo. Sul cadavere del bimbo il medico, che ha eseguito anche l’autopsia, ha trovato segni di calci, schiaffi e anche morsi, e danni frutto di colpi ricevuti il giorno della morte ma anche da botte, in particolare sulle gambe, risalenti anche alle settimane precedenti. Balzano, dopo si è recato anche in ospedale per visitare la sorellina di Giuseppe: “ho trovato lo stesso tipo di lesioni – ha detto – la bimba era molto spaventata, aveva difficolta’ ad aprire gli occhi ‘a procione’ (neri, ndr) però la tac non ha evidenziato danni gravi. Anche la bambina – ha aggiunto – aveva ecchimosi al collo, come se fosse stata vittima di un tentativo di strozzamento e sulle scapole segni di colpi sferrati con una mazza da scopa”.

Cronache della Campania@2019


Annullamento bis della condanna per il narcotrafficante Nicola Fallarino

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La Suprema Corte – seconda sezione penale – presieduta dal dott. De Crescenzio e che ha visto come relatore il dott. Pazienza, in totale accoglimento dell’articolato ricorso proposto dagli avvocati Dario Vannetiello e Vincenzo Sguera, ha annullato la sentenza emessa in data i marzo 2018 dalla Corte di Appello di Napoli – IV sezione penale.

Il procedimento riguarda la detenzione di un totale di 312 grammi di eroina e crack, aggravata dalla circostanza che il possesso della sostanza stupefacente era avvenuto allorquando Nicola Fallarino era detenuto agli arresti domiciliari per altro reato.

Non è la prima volta che il sapiente lavoro difensivo è riuscito a fare breccia nei Giudici capitolini in quanto l’annullamento deciso dalla II sezione penale della Suprema Corte segue altro annullamento ottenuto dalla difesa grazie alla sentenza dalla VI sezione della Suprema Corte in data 16 novembre del 2017.

Deve essere anche segnalato che la iniziale condanna ad anni 6 e mesi 8 inflitta con la sentenza di primo grado del 20.03.15 fu ridotta in appello ad anni 5 e mesi 4 di reclusione con sentenza della Corte di Appello del 22 aprile 2016.

Saranno note prossimamente le motivazioni che hanno portato i Supremi Giudici ad annullare per la seconda volta la sentenza emessa dai Giudici partenopei per poi procedere ad un nuovo giudizio, il terzo, innanzi a diversa sezione della Corte di appello di Napoli, giudizio nel quale appaiono, a questo punto, elevate le probabilità di una assoluzione del ritenuto narcotrafficante, il quale già alcuni mesi fa fu scarcerato, in accoglimento della istanza presentata dall’avvocato Vannetiello con la quale fu dichiarata la perdita di efficacia della misura cautelare.

Cronache della Campania@2019

Napoli, Pasquale Sibillo dava ordini dal carcere attraverso la moglie. Le intercettazioni: ‘Ha la pizzeria a Capri e quindi deve pagare di più’

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Era il boss Pasquale Sibillo a dare gli ordini dal carcere ai suoi sodali per mettere in atto il giro di estorsioni a pizzerie e negozi di alimentari di Napoli. Direttive che impartiva con messaggi scritti tramite i parenti che si recavano ai colloqui in carcere. I 22 indagati, per i quali oggi sono scattate le ordinanze, sono ritenuti responsabili, a vario titolo, di essere partecipi del clan Sibillo, di aver più volte estorto denaro ai titolari di pizzerie e negozi di generi alimentari delle zone di San Gaetano e dei Decumani, di partecipazione ad associazione per delinquere finalizzata al traffico di stupefacenti in quelle zone infine di detenzione e porto abusivo di armi da sparo. Figurano anche storiche e famose pizzerie napoletane come “Di Matteo”, “Il Presidente” e “Sofia” tra gli esercizi commerciali di via dei Tribunali, a Napoli, taglieggiate dagli estorsori degli eredi del clan Sibillo. La circostanza emerge dal provvedimento con il quale il gip Tommaso Perrella (39esima sezione) ha disposto, su richiesta della DDA, 16 arresti in carcere, 3 arresti ai domiciliari e 3 divieti di dimora nella provincia di Napoli. Tra coloro per i quali è stato disposto il carcere figurano anche i due reggenti del clan, Giovanni Ingenito e Giovanni Matteo, entrambi cugini del baby boss Pasquale Sibillo (anche lui tra i destinatari delle misure cautelari), della cosiddetta “paranza dei bambini”, (tutti già in carcere), e la moglie di quest’ultimo, Vincenza Carrese, 26 anni, che nel clan occupava una posizione apicale e per la quale le porte del carcere si sono aperte oggi, durante il blitz dei carabinieri scattato all’alba. La consorte del baby boss, che tutti chiamano “Nancy”, portava le cosiddette “imbasciate” (messaggi, ndr) del compagno ai cugini reggenti, teneva sotto controllo la cassa, conteggiando le “entrate” e le “uscite” e, soprattutto, riscuoteva anche il “pizzo” come quando ha convocato a casa dell’abitazione della famiglia Napolitano (tenuta sotto controllo dai carabinieri) i titolari della pizzeria “Il Presidente” per intascare il denaro settimanalmente. Tra l’estate del 2016 e aprile 2017 avrebbero versato ai Sibillo 1900 euro. Oltre alle note pizzerie dovevano pagare il pizzo numerosi negozi di via dei Tribunali, uno dei decumani partenopei e zona turistica particolarmente famosa, come il noto “Bar Max” e la salumeria e macelleria “Sole”. Le date dei “prelievi” sono quelle canoniche; Ferragosto, Natale e Pasqua, e le somme erano destinate, riferivano gli estorsioni ai “carcerati”. Poi, se clan e vittime non si mettevano d’accordo sulle cifre da pagare, scattavano le ritorsioni, come i colpi di pistola sparati contro la saracinesca di Di Matteo la notte dello scorso 25 febbraio.
Aveva aperto un’altra pizzeria a Capri e quindi doveva pagare di più: la circostanza emerge da una intercettazione inserita nell’ordinanza di custodia cautelare. L’intercettazione in questione risale all’aprile 2017 e a parlare di tangenti, tra gli altri, sono Giovanni Matteo e Giovanni Ingenito (entrambi sottoposti a fermo di pm lo scorso marzo, ndr), cugini del baby boss Pasquale Sibillo (già in carcere). Giovanni Ingenito: “…se la capretta (così gli indagati chiamano il titolare della pizzeria “Il Presidente”, ndr) dà altri 500 euro arriviamo a 1000 euro” Giovanni Matteo: “…almeno altri 1000 euro li deve dare, visto che si è aperto la pizzeria a Capri e sta facendo soldi a tonnellate” Dalla stessa intercettazione, a cui prendono parte anche la moglie di Pasquale Sibillo, Vincenza Carrese, che tutti chiamano Nancy, e altre due persone, emerge anche l’esistenza di due liste, una sottoscritta dal baby boss e l’altra invece nelle mani del padre su cui sono annotati cifre, nomi e periodi in cui i negozianti avrebbero dovuto versare il “pizzo”. Tra gli interlocutori c’è un fitto “botta e risposta” sul denaro incassato e da incassare, prendendo in analisi ciascun caso, Antonio Esposito, detto “‘o pop” che si è occupato in prima persona di riscuotere alcune tangenti. Le vittime delle estorsioni hanno perlopiù negato di essere taglieggiati dal clan e solo in un secondo momento hanno ammesso di avere pagato per paura di ritorsioni.

Cronache della Campania@2019

Traffico di farmaci rubati: condanne per 50 anni di carcere per la cricca degli Alfano

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Il Tribunale di Napoli Nord ha emesso sette condanne al termine del processo sul traffico di farmaci rubati – tra i quali costosissimi medicinali oncologici, antireumatici e neurodegenerativi – destinati anche all’utilizzo ospedaliero. Sono stati condannati a 10 anni di reclusione Vincenzo e Pasquale Alfano, padre e figlio, di 65 e 36 anni, ritenuti i capi dell’organizzazione, ad 8 anni Marco Reina, Salvatore De Simone, Giorgio Lucio Grasselli, mentre Concetta Luongo, ritenuta la cassiera del gruppo, è stata condannata ad un anno con pena sospesa; quattro anni infine all’altro imputato Ernesto Pensilino. L’indagine ha coinvolto anche il farmacista Eduardo Lambiase, sorpreso nel giugno 2014 dai finanzieri all’ interno di un capannone di Arzano  mentre catalogava prodotti farmaceutici da rivendere, sia ospedalieri che comuni. Nel deposito c’erano migliaia di farmaci conservati in condizioni non regolari, che secondo l’accusa, sarebbero finiti in farmacie compiacenti. Lambiase nel processo ha gia’ patteggiato la pena. Ad Arzano i finanzieri napoletani arrivarono dopo che le Fiamme Gialle del Gruppo di Fiumicino avevano scoperto che alcuni spedizionieri stavano inviando nei Paesi dell’Est Europa, in particolare Bulgaria, Romania e Albania, farmaci risultati rubati o rapinati ad autotrasportatori nel Nord Italia e diretti agli ospedali campani. Le indagini hanno poi consentito di individuare altri depositi a Casoria e Napoli e di sequestrare 53mila farmaci per un valore di 1,8 milioni di euro. Nel marzo del 2015 la Finanza arrestò su ordine del Gip di Napoli Nord 8 persone: gli Alfano e tutti i componenti della loro organizzazione criminale. Alti i guadagni realizzati con il traffico illecito: gli indagati avrebbe acquistato auto di lusso, trascorrendo le vacanze in luoghi esclusivi, ed avevano una barca con cui incontrare i clienti ormeggiata nel tratto di mare antistante Castellammare di Stabia. Alti pero’ anche i danni arrecati al Servizio Sanitario Nazionale ed a molti ospedali campani, in particolare quelli napoletani come il Cardarelli e il Monaldi, dove erano diretti la maggior parte dei costosi prodotti rubati di un coasto anche da 3mila euro a confezione come il Lucentis, usato per curare la malattia degenerativa della retina.

Cronache della Campania@2019

Camorra, le donne del clan Sibillo gestivano la vendita della droga e la contabilità delle estorsioni alle pizzerie

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Napoli. Che le donne abbiano preso il comando e il controllo dei clan della camorra con la detenzione di mariti e figli non è più una novità e il blitz contro i reduci del clan Sibillo della notte scorsa ne è una ulteriore conferma. Ci sono infatti sette donne tra i 22 destinatari della misura cautelare in carcere eseguita dai carabinieri di Napoli nell’ambito dell’inchiesta sulle estorsioni a ristoranti e pizzerie  dei Tribunali e dei Decumani da parte del clan Sibilio. Donne che hanno ricoperto ruoli di primo piano all’interno della cosca che controlla i Decumani di Napoli. Mogli, compagne e fidanzate di boss in carcere o liberi, e in grado di veicolare all’esterno del carcere i messaggi o di gestire personalmente lo spaccio, ma anche di convocare le vittime di estorsione. La prima fonte di guadagno, così come risulta dall’ordinanza di custodia cautelare firmata dal gip Tommaso Perrella, è proprio il commercio al minuto di cocaina e hashish, principalmente in via dei Tribunali, a casa di Antonio Napoletano detto ‘nannone’. A gestire i traffici il fratello Marco e la sorella Alessia. Enza Grossi, madre di Napoletano, Rita Carrano, Raffaella Criscuolo e Azzurra Venza controllavano invece l’andirivieni degli acquirenti, oltre a nascondere le dosi quando era necessario.Altra fonte di guadagno erano le richieste di ‘pizzo’ ai commercianti dei Tribunali ma soprattutto alle pizzerie. Dalle intercettazioni telefoniche e ambientali nel marzo 2017 di conversazioni tra i maggiori affiliati alla cosca, tra cui Francesco Pio Corallo, Ciro Mariglioni, Giovanni Matteo e Luca Capuano, è emerso che pagavano tutti: la pizzeria Di Matteo “che ha dato prima 500 e poi altre 300”, la pizzeria Sofia, “che ha dato mille euro” e il quella del Presidente “che ha aperto anche a Capri e quindi paga di più”. ‘Pizzo’ anche a macellerie e tabaccai: gli incontri avvenivano nei vicoli del centro storico e chi non pagava riceveva minacce e ricatti. Dall’interno del carcere i messaggi arrivarono grazie alle parole pronunciate dai ras detenuti attraverso le donne: Raffaella Criscuolo, convivente di Daniele Napolitano, Carmela Matteo, moglie di Napolitano ‘nannone’, Anna Ingenito, madre di Pasquale detto Lino Sibillo e Vincenza Carrese, detta Nancy, moglie di Pasquale Sibillo.

Cronache della Campania@2019

Camorra, ‘Mamma perchè non spara?’, intercettazione choc in casa di Pasquale Sibillo e Nancy Carrese. GLI ARRESTATI

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“È come un uomo, vuole sempre stare in mezzo…”, a parlare senza sapere di essere intercettata è Raffaella Criscuolo, convivente di Daniele Napolitano. La donna a cui si riferisce è Nancy per l’anagrafe Vincenza Carrese, moglie del boss detenuto Pasquale Sibillo.Era lei che controllava tutto e dava ordini agli affiliati attraverso i pizini ricevuti in carcere dal congiunto. In un’altra intercettazione in casa si sente addirittura il figlioletto che pistola in mano dopo aver premuto il grilletto chiede: ‘Mamma perché non spara?”. In casa ci sono anche altre persone tra cui un amichetto. Nancy corre a togliere l’arma dalle mani del piccolo e prova a giustificarsi: “E’ del nonno, gli serve per andare a caccia”. Ma un certo fabio presente in casa spiega meglio al piccolo che evidentemente è obbligato a crescere ricevendo tutti i “rudimenti” del clan. “Non spara perché è scarica”. E’ questo lo spaccato di quello che fu la “Paranza dei bimbi”. Quella sgominata dalla Dda di Napoli con 22 ordinanze di custodia cautelari firmate dal gip Tommaso Parrella, è la nuova generazione della Paranza, fatta di donne e nuove leve. Tutti parenti tra di loro. Non solo estorsioni agli imprenditori del “food” del centro stodirco di napoli ma anche traffico di droga e impresa. Perchè la camorra è anche impresa. E quindi il clan aveva riciclato i proventi delle attività illecite nell’affare dei Beb and Breakfast nel centro storico.Sedici appartamenti erano stati occupati abusivamente  in vico San Nicola a Nilo numero 5 alle spalle della chiesa di San Domenico Maggiore e della cappella Sansevero. Una delle abitazioni, sgomberate ieri era stata addirittura trasformata  in casa vacanza e compariva su interent.

DESTINATARI DEGLI ARRESTI IN CARCERE

CIRO ALBANO

LUCA CAPUANO

PATRIZIA CARRANO

RITA CARRANO

VINCENZA CARRESE

FRANCESCO PIO CORALLO

ANTONIO ESPOSITO

ENZA GROSSI

GIOVANNI INGENITO

GIOVANNI MATTEO

ALESSIA NAPOLITANO

GIUSEPPE NAPOLITANO

MARCO NAPOLITANO

DANIELE NAPOLITANO

MARCO NAPOLITANO

ANTONIO NAPOLETANO

GIOSUÈ NAPOLETANO

SALVATORE NASTO

PASQUALE SIBILLO

VINCENZO SIBILLO

AZZURRA VENZA

DESTINATARI DEGLI ARRESTI DOMICILIARI

RAFFAELA CRISCUOLO

ANNA INGENITO

CARMELA BRUNA MATTEO

DESTINATARI DEL DIVIETO DI DIMORA

CIRO MARIGLIANO

PATRIZIO PAGANO

ROBERTO POSTIGLIONE

 

 

 

 

Cronache della Campania@2019

Camorra, partecipò all’omicidio del primo marito di Tina Rispoli: il pentito patteggia 6 anni e 8 mesi

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Ha patteggiato sei anni e otto mesi di carcere il collaboratore di giustizia napoletano Pasquale Riccio, 44 anni, sotto processo perché accusato di avere avuto una parte nell’omicidio di Gaetano Marino, detto o’ moncherino boss del clan camorristico degli ‘Scissionisti’, freddato con 11 colpi di pistola a Terracina ad agosto del 2012. La vittima, fratello del boss Gennaro o’ mecchei, era all’ epoca il marito di Tina Rispoli, salita nell’ultimo anno agli onori della cronaca per il suo matrimonio trash con il neo melodico Tony Colombo.  La sentenza è stata emessa dalla prima Corte d’assise d’appello capitolina, in accoglimento di un concordato di pena tra procura generale e difesa. In primo grado, nel novembre 2018, Riccio era stato condannato a 10 anni di reclusione dopo il processo col rito abbreviato che riconobbe l’attenuante della collaborazione con la giustizia. Oggi al pentito sono state riconosciute le attenuanti generiche prevalenti sull’aggravante della premeditazione contestata. I fatti risalivano al 23 agosto 2012. Intorno alle 17, personale della Squadra mobile di Latina intervenne a Terracina dove, all’altezza di uno stabilimento balneare c’era un uomo che era stato poco prima sparato. La vittima fu identificata in Gaetano Marino, fratello di Gennaro, all’epoca in carcere per associazione mafiosa e omicidio nonché ritenuto elemento di spicco di un clan camorristico e coinvolto in uno scontro violento all’interno dell’ala dei cosiddetti ‘Scissionisti’ di Secondigliano. Le indagini sul fatto di sangue – all’epoca definito ‘clamoroso’ – portarono nel tempo a una serie di arresti e a due diversi procedimenti penali: uno nei confronti dei basisti e degli organizzatori dell’omicidio, un secondo nei confronti del collaboratore di giustizia, oggi definito in appello. Pasquale Riccio è stato ritenuto dall’accusa colui che aveva avuto l’incarico di attendere l’esecuzione dell’omicidio per ripulire l’abitazione utilizzata come base logistica e nascondere le armi. Scelse di essere giudicato col rito abbreviato e fu condannato a dieci anni di reclusione; oggi in appello ha patteggiato 6 anni e 8 mesi di reclusione.

Cronache della Campania@2019

Narcotraffico, la Cassazione conferma le pene agli Amato-Pagano: condanna annullata solo per Raffaele Teatro

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La sesta sezione penale della Suprema Corte presieduta dal dott. Tronci e che ha visto come relatore il dott. Amoroso, nell’ambito di una inchiesta relativa sia alla associazione a delinquere di stampo mafioso, sia alla associazione dedita al traffico internazionale di stupefacenti, ha bocciato tutti i ricorsi proposti dalla difesa degli affiliati della cosca capitanata da Amato Raffaele, con una sola eccezione.
Infatti, Teatro Raffaele, genero del capo clan, difeso dagli avvocati Dario Vannetiello e Luigi Senese, ha ottenuto l’annullamento della sentenza emessa in data 18.10.18 dalla Corte di appello di Napoli – II sezione penale -.
La decisione è sorprendente atteso che trattasi del secondo annullamento deciso dalla Suprema Corte in quanto già in data 20.11.17 la seconda sezione della Suprema Corte aveva disposto un nuovo giudizio innanzi ai giudici partenopei.
Eppure Teatro, come tutti gli altri imputati di quella che una maxi-inchiesta, aveva optato per il rito abbreviato definitosi in data 10.07.14 e nel corso del giudizio di appello aveva ammesso gli addebiti, con conseguente riduzione ad anni 12 della pena di anni 14 inflitta in primo grado.
Appare allora evidente che solo un cavillo giuridico ha potuto portare all’ennesimo annullamento a seguito della convincente arringa svolta dall’avvocato Dario Vannetiello innanzi ai giudici capitolini.
E così per Teatro Raffaele dovrà svolgersi un nuovo giudizio – il terzo – innanzi alla Corte di appello, mentre sono divenuta definitive le sentenze di condanna – che vanno da un massimo di anni 12 ad un minimo di anni 7 – , nei confronti di Baiano Emanuele, Belgiorno Giosuè cl. 89, Belgiorno Giosuè cl. 90, Caso Carmine, De Cicco Gennaro, Imparato Giuseppe, Liguori Attanasio, Liguori Gennaro e Marino Cosimo.

Cronache della Campania@2019


Camorra, la Dia sequestra in Toscana e ad Aversa i beni del ras Giuseppe Di Girolamo

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La Dia di Firenze ha sequestrato beni e conti correnti nei confronti di Giuseppe Di Girolamo, 60 anni, considerato dagli investigatori un esponente della camorra radicato da molti anni in Toscana, nella Maremma. Il provvedimento, emesso dal tribunale di Santa Maria Capua Vetere, scaturisce da una misura di prevenzione patrimoniale firmata dal direttore della Dia, generale Giuseppe Governale. Le indagini economico patrimoniali condotte dalla Dia hanno dimostrato la sproporzione tra la capacità reddituale del 60enne e quella dichiarata al fisco, portando al sequestro di una società con sede legale a Grosseto, tre immobili ad Aversa  e rapporti bancari e finanziari, in Italia e all’estero, per un valore di 300mila euro. Secondo quanto spiegato dalla Dia Di Girolamo, nato ad Aversa, sin dagli anni ’80 avrebbe vantato una posizione di rispetto nell’ambiente criminale del Casertano, dove avrebbe fornito il suo contributo alla criminalità organizzata andando materialmente a riscuotere il pizzo nei cantieri. Nel 1997 è stato condannato a tre anni di reclusione dalla corte di assise d’appello di Napoli per appartenenza alla nuova camorra organizzata. Nel 2000 sempre la corte di assise di appello di Napoli lo condanna a dieci anni di reclusione per omicidio. Alternando periodi di carcerazione ad altri di semilibertà, nel 2000 Di Girolamo di trasferisce con la famiglia a Follonica, in Maremma nella provincia di Grosseto, dove fino al 2006 avrebbe gestito un hotel per il tramite di una società di capitali intestata alla moglie. Ulteriori condanne, anche per associazione a delinquere, generano nei suoi confronti un cumulo di pena a 18 anni di reclusione, terminati nel 2016.

Cronache della Campania@2019

La Cassazione accoglie il ricorso di Raffaele Mazzeo, ritenuto elemento di spicco del clan La Piccirella

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La Suprema Corte, prima sezione penale, presieduta dalla dottoressa Di Tomassi e che ha visto come relatore il dott. Cairo, in totale accoglimento delle argomentazioni giuridiche formulate dagli avvocati Dario Vannetiello del Foro di Napoli ed Ettore Censano del Foro di Foggia, ha annullato la ordinanza emessa dal Tribunale del riesame di Bari in data 04.07.19.
I giudici “baresi” avevano confermato, a loro volta, la ordinanza emessa in data 22.05.19 dal Gip presso il Tribunale di Bari, la quale aveva tratto in arresto Mazzeo per le gravi accuse di appartenenza alla associazione delinquenziale operante in San Severo e zone della provincia di Foggia, promossa, diretta ed organizzato da Giuseppe La Piccirella, oltre a ritenerlo la A.G. concorrente nel delitto di estorsione, avvenuto con modalità particolarmente violente, ai danni dell’esercizio commerciale intestato a D’Onofrio Franco Carmine e sito in San Paolo di Civitate.
Il quadro indiziario appariva consistente essendo rappresentato da numerose conversazioni intercettate, comprovanti sia la partecipazione di Mazzeo a riunioni con il ritenuto boss La Piccirella, sia la percezione da parte di costui di quote dei proventi estorsivi.
Ciò nonostante la difesa, all’esito di una articolata arringa, è riuscita a convincere la Suprema Corte in ordine alla carenza della motivazione assunta dal Tribunale del riesame, soprattutto circa la incertezza di alcuni dati indizianti ritenuti, viceversa, dai giudici baresi sicuramente ascrivibili a Raffaele Mazzeo.
Ora si rimane in attesa del deposito delle motivazioni della sentenza della Corte di Cassazione, per poi procedere ad un nuovo giudizio innanzi al Tribunale del riesame di Bari onde verificare se corrisponde al vero che Mazzeo abbia fatto parte di quella potente organizzazione delinquenziale denominata “Società Foggiana”.
Grazie al successo ottenuto in cassazione sono divenute concrete le possibilità per Raffaele Mazzeo di riacquistare la libertà.

Cronache della Campania@2019

Attentati dinamitardi , pestaggi e droga: ai baby boss dei Ligato 120 anni di carcere nonostante la scelta del rito abbreviato

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Il gup del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere ha condannato a 20 anni di carcere ad Antonio Raffaele Ligato e 18 anni a sua sorella Felicia, entrambi figli del boss di Pignataro Maggiore Raffaele. Condannati anche Michele De Biase (10 anni); Davide Ianuario, l’amico del baby boss divenuto collaboratore di giustizia (6 anni); Daniele Schettini (12 anni); Anna De Fusco (9 anni); Fabio De Gennaro (10 anni); Claudio Di Bernardo (9 anni); Terence Fusco (9 anni); Luigi Mandesi (4 anni); Raffaele Palmieri (10 anni); Giuseppe Valente (10 anni).
L’inchiesta nella quale rimasero coinvolti aveva messo evidenziato come, nonostante l’arresto del capo Raffaele Ligato, i suoi figli abbiano preso in mano le redini della camorra creando una salda struttura organizzativa, con divisione dei ruoli, allo scopo di avere il monopolio del mercato delle sostanze stupefacenti . La configurazione a carattere gerarchico, era costituita da vere e proprie are di spaccio di sostanze stupefacenti gestite da insospettati capaci di smerciare oltre 50 kg di droga al mese.
Gli inquirenti, a seguito della sua scarcerazione (avvenuta il 2 dicembre 2015), Raffaele Antonio Ligato aveva dovuto affermare il proprio nuovo gruppo nel contesto ambientale ricorrendo alla violenza e mettendo in essere attentati dinamitardi e pestaggi affinché fosse che il nuovo gruppo camorristico operante nel territorio di Pignataro ed il ruolo di potere assoluto della famiglia Ligato.
Gustavo Gentile

Cronache della Campania@2019

‘Papà li dobbiamo denunciare, sanno già tutto’, così il macellaio dei Decumani incastrò il clan Sibillo. LE INTERCETTAZIONI

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Napoli. “Ma come fai a dirgli che non sai niente, se sanno addirittura che io gli ho portato i soldi la sopra (casa Napolitano), e sanno anche il fatto del Pop (Esposito Antonio) che a Natale gli abbiamo dato 600,00 euro, mi hanno detto addirittura che quando sono sceso da la (casa Napolitano) Stavo piangendo!”.E’ il pomeriggio del 18 maggio del 2017 quando i carabinieri della compagnia Napoli centro registrano nella sala d’attesa questa conversazione tra  Gennaro Sole e il padre Francesco  titolare di una macelleria dei Decumani costretti come tutti in quella zona a pagare il pizzo al clan Sibillo. L’intercettazione è contenuta nelle 471 pagine dell’ordinanza cautelare firmate pochi giorni fa dal gip Tommasso Perrella su richiesta della Dda di Napoli che ha dato una spallata alla cosca di camorra egemone nella zona dei Decumani e dei Tribunali. la forza intimidatrice del clan era tale che nessuno aveva mai osato dire no. La richiesta estorsiva di 500 euro che i titolari della macelleria furono costretti a pagare era arrivata poco prima della Pasqua perchè vi era da pagare “la settimana doppia ai detenuti del clan in occasione della Pasqua”. Il ragazzo era stato convocato qualche mese prima in casa di Giuseppe Napolitano, padre del famigerato killer Antonio o’ nannone, a pochi passi dalla macelleria.

Un mese prima e precisamente l’’8 aprile 2017 Genny era stato convocato da Giovanni Matteo, che assieme al cugino Giovanni Ingenito ha ricevuto da  Lino Sibilio il controllo di quella che era stata “la Paranza dei bimbi”. I ragazzi erano cresciuti nello stesso rione e aveva giocato a calcio nella stessa squadra. Ma ora uno lavoro e un altro fa il capo clan.
Gennaro: “Cosa è successo, dimmi”.
Giovanni: “Senti, ma un pensierino per Pasqua ce lo puoi fare?”.
Gennaro: “Un pensierino in che senso? Più 0 meno a piacere?”.
Giovanni: “Ti ricordo che a Natale non avete dato niente”.
Gennaro: “Sì, ma ve li siete presi un mese prima! Venne il Pop (Antonio Esposito, ndr) e si prese 5/600 euro! Adesso non lo so, se si tratta di un regalo a piacere e parliamo di 100/200 euro per i carcerati, non ci sono problemi”.
Giovanni: “500 euro ce li puoi mandare?”.
Gennaro: “Non lo so, adesso parlo con mio padre, però penso che sono un po’ esagerati”.
Giovanni, con voce di stupore: “Esagerati?”.
Gennaro: “Ma tu hai capito i problemi che ci sono oggi? Cioè uno non è che per esempio… Siamo amici, siamo cresciuti insieme!”.
Giovanni: “Ed è per questo che ho chiamato direttamente te”.
Gennaro: “Vi voglio venire incontro, voglio anche farvelo questo regalo, ma 500 euro sono troppi. Adesso parlo con mio padre e vediamo»”.
Giovanni: “Ti devo cercare dì più per poi scendere con la cifra?”.
Gennaro: “No, questo no!”.
Giovanni: “Mi sembra brutto, alla fine mi sembra pure brutto. Ti sto cercando il minimo , è inutile che te ne cerco 1000 per poi dire fai 300, fai 400 oppure 500 euro”.
Gennaro: “Adesso vedo papà cosa dice, perché stiamo proprio rovinati”.
Il giovane esce, nell’appartamento si continua a parlare di lui. In casa sono presenti  Grossi Enza, Napolitano Marco, Del Gavio Milena, Matteo Giovanni, Ingenito Giovanni. Quest’ultimo rimprovera il cugino Giovanni Matteo, accusandolo di essere stato troppo buono. Poi quando entra Giuseppe Napolitano dice: “Oh, ma cosa gli avete fatto a quello? È uscito da qua bianco bianco”. E il figlio Marco spiega: “Niente, si è preso collera”. Giovanni Ingenito: “Si è fatto un pianto esagerato”.Giovanni Ingenito: “Io invece penso che gli devo mettere le mani addosso! E ti dico di più, mi deve dare anche la spesa tutte le settimane, anzi tutti i sabati!”.

Padre e figlio sono costretti a denunciare i loro estorsori perché i carabinieri hanno intercettazioni, foto e filmati dai quali si evince che sono andati a casa degli uomini del clan più volte e in una circostanza con la busta con i soldi richiesti. Il 18 maggio del 2017 i Carabinieri della Compagnia di Napoli Centro convocavano Sole Francesco e Sole Gennaro in Caserma (la cui sala d’aspetto era stata preventivamente “ambientalizzata”) per escuterli a sommarie informazioni in ordine alle indebite richieste ricevute. L’ascolto delle conversazioni (captate nella predetta sala d’aspetto) intercorse tra le vittime negli uffici di p.g. (prima e dopo le relative escussioni) riscontrava pienamente gli esiti delle intercettazioni eseguite a casa Napolitano. Difatti, mentre Sole Francesco assumeva un atteggiamento inizialmente reticente, il figlio Gennaro, stanco dei soprusi subiti, riferiva al padre di aver raccontato tutti i fatti agli investigatori e, nel cercare di convincerlo a fare altrettanto, gli ricordava alcuni accadimenti (già emersi dall’ascolto delle conversazioni captate presso l’abitazione della famiglia Napolitano) che li avevano visti loro malgrado protagonisti e, in particolare, l’avvenuta consegna (in occasione delle festività pasquali 2017) ai coniugi Napolitano della busta contenente la somma loro estorta dai Sibillo nonché il pregresso versamento nelle mani di Esposito Antonio alias “ò Pop” (durante il periodo Natalizio del 2016) di una tangente dell’importo di euro 600.00. Così:

GENNARO: Ma cosa ti hanno chiesto?

FRANCESCO: Vogliono sapere se ho mai pagato qualcuno (Estorsione), e io glielo detto che non abbiamo mai pagato a nessuno.

GENNARO: E io non ho capito, mi hanno svegliato per dirci questo?

FRANCESCO: Vogliono sapere, perché dicono di avere i filmati! io glielo detto che si vengono ma gli do i panini la spesa queste cose qua!

GENNARO: Abbiamo pagato?! e a chi poi abbiamo pagato!

FRANCESCO: Hanno detto che abbiamo pagato! ma gliel’ho detto che non abbiamo pagato mai a nessuno a stento andiamo avanti noi figuriamoci se mi metto a pagare alla gente! Ti ripeto mi hanno detto dei filmati, mi hanno detto che mio figlio (Sole Gennaro) è andato a parlare e io li ho detto che mai nessuno è andato a parlare

FRANCESCO: Voi avete pagato, teniamo i filmati e io glielo detto che a stento andiamo avanti noi

GENNARO: E se pure avessimo pagato, cosa succede scusa!

FRANCESCO: Vogliono sapere i nomi e a chi abbiamo pagato, ma cosa gli dico se non abbiamo mai pagato a nessuno! e poi gli ho detto 10 anni fa ci stavano … che poi nemmeno pagammo.

GENNARO: Allora questi qua sanno tutto e hanno tutto in mano, sanno addirittura del fatto mio quando sono andato a portargli la busta con i soldi, e sanno anche che io mi sono fermato a parlare, hanno le foto, i video hanno addirittura le foto mie di quando sono andato a parlare con questi qua (componenti del clan Sibillo), gli ho spiegato che siamo cresciuti insieme, e che siamo dello stesso quartiere, sanno addirittura il fatto tuo, il fatto del debito che hanno Enzina (Grossi Enza) Rita (Carrano Rita/ COMUNQUE IO GLI HO DETTO TUTTO! PAPA’GLJ HO DETTO TUTTO.

FRANCESCO: E cosa vogliono ancora da me?

GENNARO: Vogliono che devi confermare quello che ho detto io!

FRANCESCO: E cosa gli devo dire?

GENNARO: Che hai pagato! (estorsione subita dal clan SIBILLO)

FRANCESCO: Ma ha chi ho pagato Gennaro!

GENNARO: Papà ma sanno tutto! io gli ho detto tutto gli ho fatto nomi, cognomi, tutto! mi hanno fatto vedere le fotografie, i video e sanno anche che i soldi che portai a Enzina (Grossi Enza) glieli misi in una busta.

FRANCESCO: Ma li hai visti i video? Le foto?

GENNARO: No! Ma gli ho detto tutto’

FRANCESCO: Io non gli dico niente!

GENNARO: E allora vuoi inguaiare a me?

FRANCESCO: Non rovinano a nessuno Gennaro! ma non hanno niente in mano

GENNARO: Tengono i video, mi hanno fatto vedere le foto di tutti quanti ma come posso dirgli il contrario se conoscono anche il particolare dei soldi e della busta! Mi hanno detto il fatto dei soldi dei 600,00 euro del Pop (Esposito Antonio).

FRANCESCO: Ma quando mai!

GENNARO: Papà tu fai una cosa, digli di si CHE HAI PAGATO poi quando sarà se ti dovessero chiedere qualcosa (fa riferimento alle persone vicino al clan Sibillo) tu gli dici che hai dovuto parlare, perchè altrimenti denunciavano me per favoreggiamento.

FRANCESCO: Io non gli voglio dire niente!

GENNARO: Come non vuoi dirgli niente! devi dirgli le stesse cose mie.

FRANCESCO: Io vado la e gli dico le stesse cose tue non penso proprio!

GENNARO: Ma come fai a dirgli che no-n sai niente, se sanno addirittura che io gli ho portato i soldi la sopra (casa Napolitano), e sanno anche il fatto del Pop (Esposito Antonio) che a Natale gli abbiamo dato 600,00 euro, mi hanno detto addirittura che quando sono sceso da la (casa Napolitano) STAVO PIANGENDO!

Cronache della Campania@2019

Striano, avvocato aggredito a bastonate in strada

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E’ giallo sull’aggressione a Leonardo Polito all’esterno dello studio legale in via Palma a Striano. Avvocato di professione, del foro di Torre Annunziata, è stato colpito ripetutamente con un bastone da un uomo la cui identità è al momento sconosciuta. Secondo il racconto della vittima fornito agli inquirenti, mentre andava a prendere l’auto sarebbe stato avvicinato da una macchina con a bordo due persone. L’uomo seduto lato passeggero sarebbe sceso per poi colpirlo con un bastone. Alla brutale aggressione avrebbero assistito la mamma e la segretaria di Polito; l’aggressore è stato messo in fuga proprio dalle urla della donna. Soccorso è stato trasportato al nosocomio Villa Malta di Sarno. I medici hanno riscontrato lesioni al braccio e alla spalla giudicate guaribili in 20 giorni. Ignote le cause del gesto, così come l’identità degli aggressori. Sull’episodio indagano i militari dell’Arma.

Cronache della Campania@2019

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