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Channel: Cronaca Giudiziaria
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Camorra: condannata a 15 anni di carcere ‘zia’ Rosaria Pagano

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E’ stata condannata a 15anni di carcere la “zia” Rosaria Pagano, la donna boss che aveva raccolto le redini dai fratelli e dai parenti della cosca degli Scissionisti. Quelli che inaugurano la stagione delle faide di camorra a Secondigliano e  Scampia. I giudici della IV sezione della Corte di Appello di Napoli al termine del processo di secondo grado hanno ridotto la pena da 20 a 15 anni. La Pagano per questa inchiesta( associazione di tipo mafioso e  traffico di droga) aveva ottenuto, insieme con tutti i suoi complici, nel mese di aprile scorso una clamorosa scarcerazione per scadenza dei termini della custodia cautelare. Ma lei era rimasta in carcere perché stava scontando un residuo di pena di poco più di un anno per riciclaggio. Ma a giugno dello scorso anno sono tornati in carcere 11 dei suoi complici (nel blitz del gennaio del 2018 insieme con la Pagano in cella erano finiti in 18) perché era arrivata la condanna nel processo che avevano scelto di celebrare con il rito abbreviato. E tra questi il suo ex socio i affari Mario Avolio o’ ciuraro condannato pure lui a 20 anni di carcere con Ferdinando Lizza o’ ragiuniere. mentre a 10 anni di cercere è stato condannato il narcos internazionale Giuseppe Iavarone detto peppe o’ gitano arrestato a Malaga in Spagna.

 

Cronache della Campania@2019


La Cassazione: ‘Il boss dei Casalesi può guardare la tv in cella fino a notte’

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Il ras dei Casalesi può guardare la televisione fino a tarda notte. Lo ha deciso la Corte di Cassazione che ha bocciato il ricorso presentato dal Ministero della Giustizia e della casa circondariale di Sassari contro la decisione del magistrato di sorveglianza sardo che aveva concesso a Maurizio Capoluongo, detenuto, la possibilità di poter guardare la tv anche oltre la mezzanotte.
Alla base del ricorso una circolare dipartimentale che inibiva l’accensione del dispositivo televisivo tra la mezzanotte e le 7 del mattino. Per il giudice di sorveglianza tale imposizione era “priva di base legale”.

 Gustavo Gentile

Cronache della Campania@2019

Omicidio dell’innocente Attilio Romanò: ergastolo per Marco Di Lauro

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La Corte di Appello di Napoli (presidente Romano, giudice a latere Taddeo) ha condannato all’ergastolo Marco Di Lauro con l’accusa di essere il mandante dell’agguato nel quale fu ucciso Attilio Romanò, il 24 gennaio del 2005, nel negozio nel quale vendeva telefonini perche’ scambiato dai sicari per il nipote del boss scissionista Rosario Pariante. Presenti in aula, l’assessore comunale Alessandra Clemente, la madre di Attilio, la sorella Maria e il marito di quest’ultima. La difesa di Di Lauro, gli avvocati Pecoraro e Cola, hanno annunciato il ricorso in Cassazione. Marco Di Lauro ha appreso della condanna all’ergastolo emessa dalla Corte di Assise di Appello di Napoli collegato in videoconferenza con il carcere di Sassari, dove è detenuto. Venne condannato in primo e in secondo grado all’ergastolo poi la pena venne cancellata dalla Cassazione che si rifece al pronunciamento del Tribunale del Riesame. La Suprema Corte ha quindi disposto un nuovo processo d’appello per l’ex superlatitante, acciuffato lo scorso marzo, dopo 15 anni di latitanza. L’accusa, rappresentata dal procuratore generale Carmine Esposito, nella scorsa udienza, ha presentato atti riguardanti l’attendibilità di due collaboratori di giustizia, Antonio Accurso e Gennaro Puzella le cui dichiarazioni in relazione all’omicidio Romano’ sono state contestate dai legali di Marco Di Lauro, gli avvocati Gennaro Pecoraro e Sergio Cola. “Non abbiamo messo in discussione l’attendibilità dei collaboratori di giustizia in generale, – ha detto l’avvocato Pecoraro – noi mettiamo in discussione l’attendibilità dei collaboratori in relazione a questa vicenda giudiziaria per la quale riferiscono fatti appresi da terzi e non appresi in prima persona. La stessa Corte di Cassazione – ha ricordato Pecoraro – ha detto per quanto i collaboratori possano riferire circostanze apprese da altri in ordine alla strategia omicidiaria di Marco Di Lauro, comunque non vi è nessun riferimento diretto”. Secondo una ricostruzione l’agguato in cui morì Attilio Romanò, avrebbe avuto un duplice movente: manifestare la forza del clan, nonostante l’arresto del reggente Cosimo e convincere gli investigatori che non fosse Cosimo Di Lauro a decidere le azioni di fuoco, o almeno non solo lui, come si ipotizzava. Le motivazioni della sentenza saranno rese note entro 60 giorni.

“Questa sentenza non ci restituirà mio fratello, ma la riteniamo importante perché fa capire che la giustizia fa il suo corso e che e’ importante scegliere le strade giuste. Chi non lo fa prima o poi si ritroverà a fare i conti con la giustizia”. Lo ha detto Maria Romano’, sorella di Attilio, l’innocente ucciso nel 2005, dopo la condanna all’ergastolo di Marco Di Lauro, figlio del boss Paolo, ritenuto dagli inquirenti il mandante di quell’agguato che aveva come obiettivo il nipote di un boss degli “scissionisti”. In lacrime la madre di Attilio Romano’, che non sperava in questo esito: “ancora non ci credo”, ha detto dopo essere uscita dall’aula abbracciata all’assessore comunale Alessandra Clemente.

Cronache della Campania@2019

A soli cinque anni abusata dai genitori, dal fratellastro e dalla cognata: tutti rinviati a giudizio

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Tramonti. Abusata per anni dai genitori, dal fratellastro e dalla cognata da quando aveva appena cinque anni. Si trasforma in processo la drammatica vicenda venuta a galla l’inverno scorso quando, al termine di una delicatissima attività investigativa, scattarono le manette ai polsi di quattro persone appartenenti allo stesso nucleo familiare. A deciderlo, ieri, è stato il gup del tribunale di Salerno Piero Indinnimeo che, alla fine dell’udienza preliminare, ha disposto il rinvio a giudizio a carico di tutti gli imputati.

Cronache della Campania@2019

‘Ti siedono sulla sedia a rotelle…’, così il clan Cesarano chiedeva il pizzo. I NOMI DEGLI ARRESTATI. IL VIDEO

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Dalle prime ore della mattinata odierna, i militari del Comando Provinciale della Guardia di Finanza di Napoli hanno eseguito un’ordinanza di applicazione della misura di custodia cautelare in carcere ed agli arresti domiciliari – emessa dal Giudice per le Indagini Preliminari presso il Tribunale di Napoli, su richiesta della locale Direzione Distrettuale Antimafia – nei confronti di 20 soggetti ritenuti promotori, affiliati o strettamente contigui al “clan CESARANO”, operante soprattutto nei comuni di Castellammare di Stabia, Pompei, Santa Maria La Carità e Scafati.
L’odierno provvedimento scaturisce da un’articolata attività di indagine partita nel 2014 – sotto il coordinamento della Direzione Distrettuale Antimafia della Procura della Repubblica di Napoli e sviluppata dal Gruppo di Torre Annunziata e dalla Compagnia della Guardia di Finanza di Castellammare di Stabia – allorquando, in concomitanza dell’arresto di ESPOSITO Nicola detto “o’ mostr”, la leadership del gruppo criminale in parola, con il beneplacito dello storico capoclan CESARANO Ferdinando (attualmente recluso al “41 bis”), veniva assunta dal DI MARTINO Luigi, alias “o’ profeta” (parimenti recluso al “41-bis”), proprio in quel frangente tornato in libertà dopo una lunga detenzione.
Le investigazioni, avviate grazie alla denuncia di un imprenditore di Castellammare di Stabia operante nel settore delle “slot machines”, hanno consentito di ricostruire un analitico e voluminoso quadro indiziario sulla riorganizzazione del sodalizio criminale stabiese, sulla nuova struttura della medesima consorteria e sulle modalità operative mediante le quali veniva imposto il controllo sulle attività economiche della zona o venivano gestiti lucrosi traffici delittuosi, accumulando in questo modo ingenti proventi illeciti.
In specie, la compagine criminale dei “CESARANO”, sotto l’egida verticistica della figura carismatica del nuovo leader che riceveva gli affiliati presso il suo quartier generale fissato nella zona stabiese di “Ponte Persica”, è risultata attiva prevalentemente nell’imposizione delle estorsioni alle imprese commerciali, nella conduzione – mediante prestanome – di importanti realtà imprenditoriali locali e nella gestione del traffico di sostanze stupefacenti.
Nell’ambito dell’attività estorsiva – per la quale l’organizzazione criminale si avvaleva anche di un canale informativo “privilegiato” da cui apprendeva ogni nuovo appalto o attività economica di spessore – specifica rilevanza assumono le figure criminali di CESARANO Giovanni detto “Nicola” (classe ‘66) e FALANGA Aniello (classe ‘64), che, mediante minacce e violenze, obbligavano decine di imprenditori a versare periodicamente il “pizzo”, oltre che ad imporre il noleggio di “slot machines”, i cui proventi confluivano nella casse del clan per sostenere le famiglie storicamente affiliate, servivano per pagare gli stipendi agli organici e venivano reinvestiti in altre attività illecite.Questi due sodali, per imporre il controllo “paramilitare” sul “territorio di competenza” del clan, si avvalevano di altri subalterni e, più in particolare, di DI MARTINO Luigi detto “o’ cifrone” (classe ‘61), di VARRIALE Carmine detto “o’ lione” (classe ‘70), nonché di IEZZA Antonio (classe ‘53) e PECORARO Claudio (classe ‘73), questi ultimi due anche con il ruolo di “guardaspalle” deputati a salvaguardare l’incolumità del “reggente” del sodalizio camorristico.
Altro soggetto dedito alle estorsioni specificatamente nei confronti delle società di noleggio di videogiochi, per conto DI MARTINO Luigi detto “o’ profeta”, veniva individuato in LA MURA Luigi detto “Gigino Diabolik” (classe ‘82).
Tali affiliati venivano intimiditi ad eseguire senza alcuna esitazione gli ordini impartiti (“….gli dici a nome dei compagni di Ponte Persica..”) e senza alcun potere decisionale in merito (“..se ti dico struppialo, tu vai là e struppialo..”), ricorrendo – laddove necessario – ad esplicite minacce (“…ti siedono sulla sedia a rotelle, tu ne esci con il cucchiaino”).
Oltre ad imporre il racket nella sua forma tradizionale con pagamenti a cadenza mensile, le indagini hanno dimostrato come il clan controllava, sfruttando la propria forza di intimidazione, la società “ENGY SERVICE S.R.L.”, un’azienda di intermediazione trasporti, allo scopo precipuo di assumere il monopolio totale delle spedizioni di fiori, bulbi e vasellame, con annesso scarico merci da e per il “Mercato dei fiori” di Pompei. Tale società – già emersa in altra indagine sfociata nell’adozione di diverse misure cautelari – risulta gestita dal cognato del “profeta”, ESPOSITO Giovanni (classe ‘66), che risponde di concorso esterno nell’associazione camorristica del “clan CESARANO”.
La sicurezza delle conversazioni del gruppo criminale da possibili intercettazioni telefoniche da parte degli organi inquirenti era garantita da un dealer di una compagnia telefonica di Pompei (VISPINI Antonio, classe ‘78), il quale riforniva periodicamente il sodalizio di svariate “schede sim” solitamente intestate ad extracomunitari.
Parallelamente alle attività estorsive, il gruppo criminale poneva in essere una fervente e remunerativa attività nel settore del traffico di sostanze stupefacenti, unitamente ad esponenti di un gruppo criminale della provincia salernitana affiliati al clan camorristico “PECORARO/RENNA”, oltre che intessendo contatti con alcuni soggetti appartenenti a clan camorristici della provincia di Napoli, quali i “MALLARDO” ed i “CONTINI”.
Attraverso una ricostruzione della filiera di approvvigionamento e distribuzione delle sostanze stupefacenti (cocaina e marijuana), sono stati dettagliatamente delineati i ruoli – non organici al clan – di:
– BARRA Felice (classe ‘71), quale broker che, su disposizione del “profeta” si occupava dell’approvvigionamento delle sostanze stupefacenti, sfruttando i suoi contatti con esponenti del “clan CONTINI” di Napoli;
– AMITA Vincenzo (classe ‘88) e NORATO Filomena (classe ‘85) quali custodi dei luoghi di deposito della droga;
– IODICE Cira (classe ‘61), QUARANTA Adelchi (classe ‘86) e DELLA CORTE Carlo (classe ‘61) quali corrieri utilizzati per il trasporto dello stupefacente;
– BISOGNI Sergio (classe ‘68), MOGAVERO Francesco (classe ‘79) e LANGELLA Giovanni (classe ‘82) quali acquirenti finali che, successivamente, destinavano la droga allo spaccio nelle province di Napoli e Salerno.
Sulla base dell’esito dell’attività investigativa – svolta utilizzando indagini tecniche (quali intercettazioni telefoniche e ambientali) nonché con l’utilizzo di gps installati sugli autoveicoli in uso agli indagati ed eseguendo l’esame dei sistemi di videosorveglianza comunali e privati – il Giudice per le Indagini Preliminari del Tribunale di Napoli emetteva un provvedimento cautelare a carico di 20 soggetti (dei quali 15 in carcere e 5 agli arresti domiciliari), resisi responsabili a vario titolo dei reati di cui agli articoli 416-bis (associazione per delinquere di stampo mafioso), 416-bis 1 (circostanze aggravanti per reati connessi ad attività mafiose) e 629 (estorsione) del Codice Penale e 73 (produzione, traffico e detenzione illeciti di sostanze stupefacenti o psicotrope) o 74 (associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti o psicotrope) del D.P.R. nr. 309/90.
Altri nove soggetti, per il momento indagati a piede libero per le medesime fattispecie delittuose, sono stati destinatari di mirati decreti di perquisizione domiciliare.
Si riportano i nomi dei destinatari delle misure cautelari:
Tradotti in carcere:
1) BARRA Felice, nato a Napoli il 03.04.1971 (indagato per il reato di cui agli articoli 73 e 74 del D.P.R. nr. 309/90 e 416 bis 1 del Codice Penale);
2) BISOGNI Sergio, nato a Montecorvino Rovella (SA) il 28.07.1968 (indagato per il reato di cui all’articolo 73 e 74 del D.P.R. nr. 309/90);
3) CESARANO Giovanni detto “Nicolino”, nato a Napoli il 26.05.1966 (indagato per il reato di cui agli articoli 416 bis, 416 bis 1 e 629 del Codice Penale, 73 e 74 del D.P.R. nr. 309/90);
4) DI MARTINO Luigi detto “o’ profeta”, nato a Castellammare di Stabia (NA) il 25.03.1961 (indagato per il reato di cui agli articoli 416 bis, 416 bis 1 e 629 del Codice Penale, 73 e 74 del D.P.R. nr. 309/90);
5) DI MARTINO Luigi, detto “cifrone”, nato a Castellammare di Stabia (NA) il 21.06.1961 (indagato per il reato di cui all’articolo 416 bis del Codice Penale);
6) ESPOSITO Giovanni, nato a Castellammare di Stabia (NA) il 15.08.1966 (indagato per il reato di agli articoli 110-416 bis del Codice Penale);
7) FALANGA Aniello, nato a Pompei (NA) il 04.06.1964 (indagato per il reato di cui agli articoli 416 bis, 416 bis 1 e 629 del Codice Penale, 73 e 74 del D.P.R. nr. 309/90);
8) IEZZA Antonio, nato a Castellammare di Stabia (NA) il 10.09.1953 (indagato per il reato di cui agli articoli 416 bis e 73 e 74 del D.P.R. nr. 309/90);
9) IODICE Cira, nata a Resina (NA) il 14.03.1961 (indagato per il reato di cui all’articolo 73 del D.P.R. nr. 309/90);
10) LANGELLA Giovanni detto “Giannino o’ paglietta”, nato a Boscoreale (NA) il 01.03.1982 (indagato per il reato di cui agli articoli 73 del D.P.R. nr. 309/90 e 416 bis 1 del Codice Penale);
11) MOGAVERO Francesco, nato a Battipaglia (SA) il 13.01.1979 (indagato per il reato di cui all’articolo 73 e 74 del D.P.R. nr. 309/90);
12) PECORARO Claudio, nato a Castellammare di Stabia (NA) il 30.03.1973 (indagato per il reato di cui agli articoli 416 bis del Codice Penale e 73 e 74 del D.P.R. nr. 309/90);
13) QUARANTA Adelchi, nato a Salerno il 28.01.1986 (indagato per il reato di cui all’articolo 73 del D.P.R. nr. 309/90);
14) VARRIALE Carmine, nato a Castellammare di Stabia (NA) il 25.08.1970 (indagato per il reato di cui agli articoli 416 bis e 629 del Codice Penale);
15) VISPINI Antonio, nato a Pompei (N) il 28.10.1978 (indagato per il reato di agli articoli 110-416 bis del Codice Penale).
Sottoposti agli arresti domiciliari:
1) AMITA Vincenzo, nato a Castellammare di Stabia (NA) il 17.04.1988 (indagato per il reato di cui agli articoli 73 del D.P.R. nr. 309/90 e 416 bis 1 del Codice Penale);
2) DEL GAUDIO Pietro, nato a Pompei (NA) il 15.07.1976 (indagato per il reato di cui all’articolo 416 bis del Codice Penale);
3) DELLA CORTE Carlo, nato a Battipaglia (SA) il 18.11.1961 (indagato per il reato di cui all’articolo 73 del D.P.R. nr. 309/90);
4) LA MURA Luigi detto “Gigino Diabolik”, nato a Vico Equense (NA) il 09.05.1982 (indagato per il reato di cui agli articoli 629 e 416 bis 1 del Codice Penale);
5) NORATO Filomena, nata a Castellammare di Stabia (NA) il 12.06.1985 (indagato per il reato di cui agli articoli 73 e 74 del D.P.R. nr. 309/90 e 416 bis 1 del Codice Penale).

Cronache della Campania@2019

Investì intenzionalmente e uccise il migrante lavavetri al semaforo: chiesti 30 anni di carcere

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Il pm della Procura della Repubblica di Santa Maria Capua Vetere Annalisa Imparato ha chiesto 30 anni di carcere per Giovanni Buonanno, 22 anni, accusato dell’omicidio del 29enne senegalese Modou Diop, avvenuto nel febbraio di quest’anno ad un semaforo del comune di San Nicola la Strada, dove la vittima faceva il lavavetri. Il processo si sta celebrando con il rito abbreviato. Secondo l’accusa, Buonanno avrebbe investito intenzionalmente con la sua auto Diop in seguito ad una lite avvenuta poco prima; il 29enne senegalese mori’ all’ospedale di Caserta per le ferite riportate. In un primo momento la Procura di Santa Maria Capua Vetere ipotizzò l’omicidio stradale, poi le indagini della Squadra Mobile di Caserta, che estrapolo’ le immagini di alcune telecamere di video-sorveglianza presenti in zona che riprendevano l’auto dell’imputato e quella di un gruppo di amici, accertarono che si era trattato di omicidio volontario. Il fatto si verifico’ in viale Carlo III, alla rotonda di San Nicola la Strada, luogo solitamente frequentato da immigrati africani che lavano i vetri delle auto che si fermano ai semafori e vendono fazzolettini. Spesso avvengono liti e discussioni tra immigrati e automobilisti che non vogliono farsi lavarsi vetri, cosa che sarebbe avvenuta anche tra Buonanno e Diop, che avrebbe colpito l’auto di Buonanno con un pugno. Il 22enne, di Marcianise, secondo la Procura, avrebbe fatto finta di investire Diop per poi andarsene, quindi poco dopo sarebbe ritornato alla rotonda per “vendicarsi”, investendo Diop in pieno, per poi fuggire lasciandolo esanime sull’asfalto. Buonanno, incensurato, fu fermato ad aprile dalla Polizia di Stato ed e’ poi finito sotto processo; i suoi difensori (avvocati Massimo Trigari e Mariano Omarto) discuteranno il prossimo 17 dicembre, quindi il Gup Nicoletta Campanaro emetterà la sentenza.

Cronache della Campania@2019

Inchiesta pompe funebri: scarcerati tutti i componenti della famiglia Cesarano tranne Alfonso che resta ancora in cella

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Sono stati tutti scarcerati i componenti della famiglia Cesarano, di Castellammare e Scafati, titolari di imprese di pompe funebri finiti agli arresti domiciliari due settimane fa nell’ambito di una inchiesta della Dda di Napoli che li accusava di legami con il clan D’Alessandro. Cesarano Saturno, Cesarano Alfonso (62enne), Cesarano Giulio, Cesarano Catello e Cioffi Michele. (di Vico Equense e unico non della famiglia) hanno ricevuto la misura cautelare del divieto di esercitare il loro lavoro per un anno. Le accuse nei loro confronti nell’ordinanza firmata dal gip Giovanna Cervo erano di trasferimento fraudolento di valori in concorso, con l’aggravante dell’aver commesso il fatto per agevolare il raggiungimento delle finalità illecite dell’associazione di tipo mafioso denominata clan D’Alessandro, nonché avvalendosi della forza intimidatrice della predetta organizzazione. L’unico che era in carcere e che rimane ancora in cella è Alfonso Cesarano classe 57 accusato di essere il “dominus” di tutta la famiglia e legato a doppio filo alla cosca dei D’Alessandro di Castellammare. L’imprenditore si è difeso a spada tratta e ora si resta in attesa che i giudici del Riesame valutino anche la sua posizione. Il collegio difensivo era composto dagli avvocati Claudio Botti e Antonio Briganti per Cesarano Alfonso ’58, avvocati Paolo Trofino e Marco Longobardi (esperto in diritto amministrativo e societario per I riesami reali) per Cesarano Alfonso ’57, Saturno e Catello Cesarano e Michele Cioffi difesi dagli avvocati Gennaro Somma e Marco Longobardi e infine l’avvocato Bruno La Rosa per Cesarano Giulio.

Cronache della Campania@2019

Ricatti hard al prete: condannati e arrestati due giovani del Casertano

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Ricatto hard al parroco di Succivo  arrestati per esecuzione pena, per il reato di estorsione aggravata, due giovani dell’agro aversano. Questa sera i carabinieri di Marcianise e Casal di Principe hanno eseguito il provvedimento restrittivo emesso dal tribunale di Napoli Nord a carico di Yevheniy Borysyuk, 22enne ucraino residente a Succivo e Mario Donadio, 24 anni, residente a S. Arpino . Dopo aver patteggiato la pena, così come richiesto dalla difesa avvocato Enzo Domenico Spina, qualche mese fa al tribunale di Napoli Nord, dinanzi al giudice Santoro, ora dovranno scontare rispettivamente la condanna ad un anno e tre mesi, il giovane 22enne, un anno e undici mesi, il giovane 24enne. In diverse occasioni avrebbero chiesto a don Crescenzo Abbate parroco della chiesa della Trasfigurazione di Succivo, la somma di 20mila euro per non divulgare una foto di un filmato “a luci rosse” che, sembra, ritraesse l’uomo di chiesa. Fino a che il sacerdote ha deciso di sporgere denuncia permettendo l’arresto in flagranza di reato. Da parte sua la diocesi di Aversa c’è stata la richiesta di “sospensione temporanea dal suo ufficio di parroco” al sacerdote, che aveva denunciato i due ragazzi. In una nota del vescovo di alcuni mesi fa si leggeva: “si attende con rispetto che le indagini condotte dalle autorità giudiziarie facciano chiarezza e accertino l’effettiva consistenza dei fatti e delle responsabilità di quanto accaduto. Nel frattempo, e per il tempo che sarà ritenuto necessario, la diocesi ha disposto di chiedere al sacerdote la sospensione temporanea dal suo ufficio di parroco”. Il tribunale ecclesiastico sta, infatti, accertando con un’indagine interna, eventuali responsabilità morali che avrebbero potuto compromettere l’attività del religioso. I due giovani in serata sono stati tradotti nel carcere di Santa Maria Capua Vetere.

Cronache della Campania@2019


Camorra a Castellammare, il boss Cesarano in carcere e dava ordini lavorando come operaio ai servizi sociali

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“Oggi fai latte, alluminio e legno”: può sembrare la lista della spesa ma in realta’ erano gli imprenditori ai quali Giovanni Cesarano – braccio destro del boss Luigi Di Martino, detto “il profeta” (in carcere al 41 bis) – deve chiedere il “pizzo” attraverso il suo factotum Aniello Falanga. L’intercettazione è negli atti dell’inchiesta giudiziaria della Guardia di Finanza di Castellammare e Torre Annunziata (coordinata dalla DDA di Napoli), che ha portato oggi all’esecuzione di 20 misure cautelari nei confronti di altrettanti appartenenti al clan Cesarano di Castellammare di Stabia. Giovanni Cesarano (anche lui già in carcere), viene considerato il capo degli estorsori del clan: quando viene intercettato é in prova ai servizi sociali. Sta scontando 25 anni di carcere per un omicidio commesso in Germania, quello di Giuseppe Ambruoso. Ogni giorno, alle 8,30, prende servizio come operaio in una ditta che lavora l’alluminio. Ma prima di entrare in servizio si incontra con Falanga e gli fa la lista degli imprenditori, settore per settore, da taglieggiare. Tra questi figura anche Adolfo Greco, l’imprenditore stabiese del latte (finito sotto indagine in un’altra inchiesta, ndr): “Oggi fai latte, alluminio e legno”. La figura di Giovanni Cesarano emerge per la particolare prepotenza che usa anche nei confronti dei suoi sottoposti, quelli incaricati di ritirare il “pizzo”. In un’altra intercettazione viene ascoltato dagli investigatori mentre, con Aniello Falanga, intimidisce i suoi uomini: “Se ti dico struppialo (riducilo male, ndr), tu vai la’ e struppialo… se non paghi (gli dice di riferire alla vittima, ndr) ti siedono sulla sedia a rotelle e ne esci con il cucchiaino”.

Cronache della Campania@2019

Processo Olimpo, la difesa cerca di smontare l’accusa di estorsione per Adolfo Greco

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Castellammare di Stabia. A quasi un anno dal suo arresto Adolfo Greco per l’ennesima volta decide di non partecipare all’udienza che si è celebrata ieri mattina nell’Aula Siani del Tribunale di Torre Annunziata dove le parti si sono riunite per il controesame dell’ispettore Diego Albrizio della sezione anticorruzione della squadra Mobile di Napoli che per un periodo di tempo ha coordinato le indagini dell’operazione Olimpo. Sono proprio le condizioni di salute di Adolfo Greco ad influire sulla scelta di non partecipare, seppur in videoconferenza, all’ udienza di oggi alla quale hanno assistito gli imputati Raffaele Carolei, Michele Carolei, Luigi Di Martino, Umberto Cuomo, Attilio Di Somma, Di Somma Attilio e Carolei Michele detenuti nella stessa casa circondariale. Presente, in viedeoconferenza, Luigi Di Martino detenuto nel carcere di Milano in regime di 41 bis, ovvero carcere duro. Presenti in aula il pm Cimmarotta, gli imputati Raffaele Carolei e Umberto Cuomo. La difesa degli imputati ha svolto il proprio controesame nel quale è stata trattata in modo dettagliato la vicenda relativa all’estorsione all’imprenditore caseario Giuseppe Imperati che si vide rubare due camion carichi di merce e chiese aiuto all’amico Greco. Ed è proprio questo episodio che ha portato l’accusa a sostenere che il comportamento dell’imprenditore Adolfo Greco avrebbe portato un vantaggio al clan degli Afeltra. Una circostanza che sembrerebbe essere smontata già dalla figlia di Giuseppe Imperati, Emilia, che nel corso della precedente udienza aveva affermato che il rapporto tra le due famiglie era, in un primo momento, di natura commerciale per poi diventare anche personale dopo che Greco avrebbe fatto da testimone di nozze ad una delle figlie di Imperati. Nell’episodio in questione Adolfo Greco aveva consigliato – come emerge dall’informativa – ad Imperati di versare una somma di circa 5mila euro prima e 50mila poi a Raffaele Afeltra e a Giovanni Gentile, esponenti del clan locale. Secondo la Procura Greco avrebbe agevolato l’attività del clan Afeltra. Durante il dibattimento è emerso che Adolfo Greco da questo episodio non avrebbe tratto alcun beneficio sia di natura economica che di altra natura.

Cronache della Campania@2019

‘Papà Toni mi ha messo sotto il rubinetto, mi voleva affogare’, il drammatico racconto della sorellina del piccolo Giuseppe

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“Papà Toni mi ha messo sotto il rubinetto tenendomi la bocca aperta, mi voleva affogare”. E’ parte del drammatico racconto fatto dalla sorellina di Giuseppe, il bimbo ucciso dal patrigno Toni Badre, il 27 gennaio, a Cardito alla psichiatra infantile Carmelinda Falco, che ha visitato la sorellina del piccolo Giuseppe, il 29 gennaio scorso nell’ospedale Santobono di Napoli dove la piccola era stata ricoverata dopo l’omicidio del fratellino. La dottoressa che è testimone dell’accusa al processo, in corso a Napoli, sull’omicidio di Giuseppe lo ha riferito oggi rispondendo alle domande della neuropsichiatra in un ambiente protetto dell’ospedale, audizione peraltro videoregistrata. La bimba ha riferito anche di una reazione, ma solo verbale, della madre (“basta, li stai uccidendo”). La bimba, sollecitata dal medico a riferire i comportamenti della madre rispetto alle percosse inflitte ai figli dal compagno, fino a quel momento aveva riportato solo atteggiamenti disinteressati, mai, dice la dottoressa Falco, “di una difesa fisica dei bambini”. La professionista ha anche raccontato altri particolari: “Ho visto Giuseppe sul divano, non riusciva a parlare, aveva gli occhi un pò aperti e un pò chiusi. Gli ho detto respira”. La dottoressa Falco, rispondendo alle domande del pm Izzo, durante il processo in corso a Napoli, ha descritto lo stato psicologico della bimba, ascoltata anche in incontri protetti, nell’ospedale Santobono dove era ricoverata. “Per difendersi aveva creato una strategia – dice la dottoressa Falco – fingeva di svenire. Una strategia che aveva suggerito anche a Giuseppe e a noi, che la stavamo aiutando, in quanto ci riteneva in pericolo”.

Cronache della Campania@2019

Napoli: assolti i 35 imputati di CasaPound accusati di associazione sovversiva e banda armata

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Oggi la seconda Corte d’Assise di Napoli, presieduta dal presidente Barbarano, ha assolto tutti gli imputati del processo istruito nei confronti di alcuni appartenenti napoletani all’associazione di promozione sociale CasaPound Italia. Il giudice, nell’emettere la sentenza, ha rifiutato le richieste del procuratore Catello Maresca che aveva chiesto per i vari reati, tra cui i principali di associazione sovversiva e banda armata, condanne per i 35 imputati. Assieme all’assoluzione il presidente della commissione ha sancito decaduti per prescrizione alcuni dei reati presenti nell’istruttoria del pm, tra cui alcuni che avrebbero fatto riferimento a dei tafferugli avvenuti tra il 2010 e il 2011 tra gli appartenenti a CasaPound e quelli dei centri sociali cittadini. Unica condanna sentenziata da Barbarano è stata quella nei confronti di uno degli imputati, ritenuto colpevole di porto in luogo pubblico di materiale esplosivo.

Cronache della Campania@2019

Non luogo a procedere per Setola & Familiari: il “Tesoro” dell’ala stragista resta blindato

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Non c’è stata intenzione di favorire il clan dei Casalesi. Questa la conclusione a cui è giunto il pm Alessandro D’Alessio della Dda che questa mattina ha pronunciato la propria requisitoria nei confronti di 11 persone, tra cui l’ex capo dell’ala stragista Giuseppe Setola, accusate a vario titolo di intestazione fittizia di beni riconducibili al killer.
Per questo è stata invocata, con l’esclusione dell’aggravante mafiosa, una sentenza di non luogo a procedere per la prescrizione del reato. Adesso la parola passa alle difese degli imputati nell’udienza in programma a metà dicembre.
Con Setola alla sbarra ci sono suo fratello Pasquale, la sorella Immacolata; Massimiliano, Francesco e Cipriano Pagano, della General Impianti; Lucia Caterino; Mario, Emilio, Giovanna, Lucia e Fortunata Baldascino.

Cronache della Campania@2019

Inchiesta pompe funebri: resta in carcere Alfonso Cesarano

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Castellammare. Resta in carcere l’imprenditore delle pompe funebri Alfonso Cesarano di 61 anni accusato di legami con il clan D’Alessandro in una inchiesta della Dda di Napoli che due settimane fa aveva portato all’emissione di sei ordinanze cautelari di cui 5 agli arresti domiciliari. I giudici del riesame hanno respinto l’istanza di scarcerazione presentata dagli avvocati Claudio Botti e Antonio Briganti che chiedevano una misura meno afflittiva come gli arresti domiciliari. L’imprenditore che si è sempre professato innocente è accusato, come tutti gli altri indagati, per i quali ieri gli stessi giudici hanno concesso la scarcerazione dai domiciliari, di trasferimento fraudolento di valori in concorso, con l’aggravante dell’aver commesso il fatto per agevolare il raggiungimento delle finalità illecite dell’associazione di tipo mafioso denominata clan D’Alessandro, nonché avvalendosi della forza intimidatrice della predetta organizzazione. Il Riesame ha annullato cl tutto l’ordinanza cautelare nei confronti di Michele Cioffi e Cesarano Catello (difesi dagli avvocati Gennaro Somma e Marco Longobardi) mentre per Cesarano Alfonso ’57, Saturno Cesarano e Giulio Cesarano pur rimettendoli in libertà dai domiciliari hanno applicato la misura di interdizione per 12 mesi ad esercitare attività imprenditoriale.

Cronache della Campania@2019

Omicidio del piccolo Giuseppe: a processo anche le maestre e la preside per omessa denuncia

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Omissione di denuncia. Con questo reato sono state citate a giudizio dal pm Paola Izzo della procura di Napoli Nord due maestre e la dirigente scolastica dell’istituto frequentato da Giuseppe Dorice, il bimbo di sette anni ucciso di botte dal patrigno Toni Essobti Badre il 27 gennaio scorso a Cardito. L’udienza si terrà davanti al giudice monocratico del Tribunale di Napoli Nord e non è ancora stata fissata. La svolta dopo la raccolta di alcune testimonianze nelle quali si faceva riferimento alla circostanza che la sorellina di Giuseppe aveva raccontato alle maestre e alla preside delle violenze subite in famiglia. Aveva chiesto aiuto e a confermarlo, davanti alla Terza Corte di Assise di Napoli dove è imputato Toni e la compagna, mamma dei due bambini, per il solo reato di omessa vigilanza, è stata la neuropsichiatra infantile Carmelinda Falco, che ha visitato la sorellina di Giuseppe quando era ricoverata nell’ospedale Santobono di Napoli. La dottoressa Falco, consulente in neuropsichiatria infantile della Procura, ha ricordato le frasi che la bimba le ha riferito in occasione di un incontro protetto: “Cosa dicevi alle maestre? E la bimba ha risposto: dicevo chiama i carabinieri e non li hanno chiamati”.  Un’escussione durata diverse ore. Sollecitata dall’avvocato di parte civile Clara Niola, che rappresenta Cam Telefono Azzurro e l’associazione Akira. In tutte le udienze del processo ha sempre assistito il padre naturale della piccola vittima e delle sue due sorelline, difeso dall’avvocato Gennaro Demetrio Paipais, che però non si è costituito parte civile. Un padre che però era assente, come emerge ancora dagli accertamenti della dottoressa Falco. La dottoressa Falco ha anche riferito sull’altra sorellina di Giuseppe, la quale ha mimato, con un suo pupazzetto, le violenze di cui erano stati vittima i due fratellini. Il medico, rispondendo alle domande del difensore di Toni Badre, l’avvocato Pietro Rossi, ha ammesso che i bambini, possono, in taluni circostanze, riferire risposte compiacenti alle domande che le venivano rivolte dai medici, ma ha anche sottolineato che, nel caso della sorellina di Giuseppe, la bambina, “molte volte ha riferito gli stessi eventi con le stesse modalità”.

Cronache della Campania@2019


Stupri sul compagno di cella nel carcere di Carinola, detenuto assolto perché il fatto non sussiste

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Il reato non c’è assolto perché il fatto non sussiste. Questo il verdetto dei giudici della VI sezione penale della Corte di Appello di Napoli che ha riformato, ieri, la sentenza di condanna di primo grado a 8 anni di reclusione, emessa il 31 gennaio scorso dal Tribunale di Benevento. L’imputato è Giovanni Boccolato di 40 anni, detenuto mondragonese, attualmente rinchiuso nel carcere di Carinola per reati contro il patrimonio. Sta scontando la sua pena lì, ma per quell’abuso fra le mura del carcere è stato assolto. Lui stesso aveva negato ogni circostanza. Era stato accusato da un altro detenuto di due presunti episodi di violenza sessuale: la vittima era il suo compagno di cella nel 2017. Insieme, i due, avrebbero condiviso una stanza nel carcere di Benevento. Ma un errore procedurale nella fase di indagine avrebbe mandato a monte il processo.

La difesa ha dimostrato alla Corte partenopea una serie di presunte incongruenze emerse nel corso dell’istruttoria di primo grado, legate alle dichiarazioni del detenuto-vittima delle attenzioni e dalla documentazione medica acquisita. Per i legali, la lettura di quel carteggio aveva portato alla condanna emessa dai giudici beneventani. La Corte di Appello di Napoli, ieri, dopo una lunga camera di consiglio, valutati tutti gli elementi emersi, tenuto conto delle eccezioni formulate dalle difese (tra l’ altro la mancata trascrizione integrale del verbale d’ incidente probatorio del 7 novembre del 2017), ha riformato la sentenza di primo grado, assolvendo con formula piena il detenuto di Mondragone dai reati.

Cronache della Campania@2019

Universiadi, indagato il vice presidente della Campania e un imprenditore alberghiero

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Il vice presidente della giunta regionale della Campania, Fulvio Bonavitacola, e l’imprenditore alberghiero, Rocco Chechile, amministratore unico della Immobiliare Panoramica srl, proprietario del Grand Hotel Salerno, risultano indagati in un’inchiesta della Procura di Napoli su uno dei filoni relativi all’ospitalità degli atleti in occasione delle scorse Universiadi di luglio in Campania. Lo riferiscono Il Mattino e Repubblica Napoli. Nell’inchiesta, con ipotesi di corruzione, si mira a verificare la correttezza nei rapporti tra privati e rappresentanti delle istituzioni nella organizzazione e gestione dell’evento. La Procura ha notificato un decreto di perquisizione all’imprenditore alberghiero (per ordine del pm Henry John Woodcock e Francesco Raffaele, titolari del fascicolo con il coordinamento del procuratore Giovanni Melillo) e un avviso di garanzia a Bonavitacola. Quest’ultimo in una dichiarazione al Il Mattino, spiega: “La struttura commissariale si e’ avvalsa di accordi quadro, affidati dalla Consip ad agenzie specializzate del settore”. Tra i punti da chiarire ci sarebbero, secondo gli inquirenti, le modalita’ con cui sono state scelte alcune strutture per l’ospitalita’ e il presunto soggiorno dello stesso vice presidente e di persone di sua conoscenza nell’albergo salernitano. Bonavitacola in una dichiarazione al Il Mattino, spiega: “Ho appreso di un’indagine volta a verificare mie responsabilita’ in ordine alla scelta di utilizzare una struttura alberghiera salernitana per ospitare una parte degli atleti partecipanti alle recenti Universiadi. La struttura commissariale si e’ avvalsa di accordi quadro, affidati dalla Consip ad agenzie specializzate del settore. Successivamente l’agenzia aggiudicataria della Consip ha individuato con proprie procedure le strutture alberghiere piu’ idonee ad ospitare gli atleti, d’intesa con il comitato organizzatore dei Giochi. Smentisco in modo categorico alcun nesso fra rapporti personali con il gestore della struttura alberghiera e la scelta di ospitare presso tale struttura gli atleti delle Universiadi. Esprimo – conclude – piena fiducia negli organi inquirenti, convinto che si potra’ accertare in tempi anche rapidi la mia assoluta estraneita’ a qualsiasi condotta illecita”.

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Omicidio di Cerciello Rega: chiesto il giudizio immediato per i due americani

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La Procura di Roma ha chiesto il giudizio immediato per Finningan Lee Elder e Christian Gabriel Natale Hjort, accusati del concorso in omicidio del vicebrigadiere Mario Cerciello Rega, avvenuto la notte del 26 luglio scorso. I magistrati di piazzale Clodio, coordinati dal procuratore Michele Prestipino e dall’aggiunto Nunzia D’Elia, hanno chiuso le indagini. I due studenti americani si trovano attualmente detenuti nel carcere di Regina Coeli. Sono accusati anche di tentata estorsione, resistenza a pubblico ufficiale e lesioni. L’aggressione avvenne nel quartiere Prati. Cerciello, che si era recato assieme al collega Andrea Varriale in via Pietro Cossa per recuperare la borsa che i due americani avevano sottratto alcune ore prima all’intermediario dei pusher Sergio Brugiadelli, venne raggiunto da 11 coltellate inferte da Finningan nel corso di una colluttazione. Il giudizio immediato consente di portare il processo direttamente davanti alla corte d’Assise saltando la fase delle udienze preliminari.

Cronache della Campania@2019

Processo Cucchi: prescrizione per 4 medici, uno invece assolto

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na assoluzione e quattro prescrizioni. E’ quanto deciso dai giudici della Corte d’Assise di Appello di Roma per cinque medici dell’ospedale Sandro Pertini coinvolti nella vicenda di Stefano Cucchi. Assolta il medico Stefania Corbi. Accuse prescritte per il primario del Reparto di medicina protetta dell’ospedale dove fu ricoverato il geometra romano, Aldo Fierro, e altri tre medici Flaminia Bruno, Luigi De Marchis Preite e Silvia Di Carlo. Per la Corbi la formula di assoluzione e’ “per non commesso il fatto”. Per tutti il reato contestato e’ di omicidio colposo. Il processo ai medici del ‘Pertini’ ha avuto un iter tortuoso. Tutti furono portati a processo inizialmente per l’accusa di abbandono d’incapace (nello stesso processo erano imputati anche tre infermieri e tre agenti della Polizia penitenziaria, assolti in via definitiva). Condannati nel giugno 2013 per il reato di omicidio colposo, gli stessi medici furono successivamente assolti in appello. E da li’ inizio’ una nuova vita processuale fatta di un primo intervento della Cassazione che rimando’ indietro il processo. I nuovi giudici d’Appello confermarono l’assoluzione che fu impugnata dalla Procura generale. La Cassazione rinvio’ nuovamente disponendo una nuova attività dibattimentale conclusasi oggi.

Cronache della Campania@2019

Il nuovo pentito casertano fra tremare i narcos colombiani e i boss di ‘ndrangheta e camorra

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Depositati, questa mattina, nel corso di udienza preliminare della maxi inchiesta “European Ndrangheta connection”, tribunale di Reggio Calabria, i verbali di un nuovo collaboratore di giustizia di origine casertana, Giulio Fabio Rubino, 35 anni. Detenuto fino a pochi mesi fa nel carcere di Rebibbia, ha un fratello, Serafino, ancora ricercato per questa inchiesta, perché entrambi secondo le accuse, e le nuove rivelazioni, avrebbero istituito un potente cartello del narcotraffico internazionale. I due germani avrebbero, inoltre, costruito una capillare rete di rapporti con narcos colombiani, calabresi, siciliani e napoletani. La polizia panamense, tedesca di Amburgo e quella calabrese è da qualche mese che sta ricostruendo le rotte di questa potente compagnia criminale che trasportava la droga nascosta con la tecnica del “rip off” in nave cargo, grazie anche a queste nuove rivelazioni di Rubino. I due fratelli avrebbero messo in piedi un vero e proprio cartello del narcotraffico internazionale insieme a Maria Rosaria Campagna, napoletana e compagna del boss della mafia catanese Salvatore Cappello detto “Turi”, ed al figlio della coppia.

Secondo gli inquirenti, Serafino Rubino, difeso dall’avvocato Nello Sgambato, avrebbe curato le trattative direttamente con i cartelli colombiani grazie ad una rete di rapporti in Sudamerica. Suo fratello Fabio Giulio si occupava del recupero dello stupefacente in Italia ma anche nelle relazioni d’affari con i co-finanziatori delle partite di droga. Infine Maria Rosaria Campagna oltre a finanziare la consorteria criminale era specializzata nel recupero di considerevoli quantitativi di cocaina in qualsiasi porto d’Italia dove venisse spedita ma principalmente nel porto di Napoli, dove poteva contare, ad avviso dei magistrati, su dei “ganci” interni, allo stato rimasti non identificati.

Nel tempo, il gruppo campano collegato alle cosche di ‘ndrangheta si è dimostrato tanto potente economicamente, da non accusare i durissimi colpi assestati dagli inquirenti: basti pensare che, in un arco temporale relativamente ridotto, sono stati sottratti dalla disponibilità dei criminali oltre 360 chili di stupefacente, tra cui un sequestro effettuato al porto di Gioia Tauro con la droga nascosta con la tecnica del “rip off” in una nave cargo ma anche un carico da 130 chili di cocaina partito da Seattle e “bloccato” a Panama e destinato al porto di Napoli. Questioni su cui Rubino sta cercando di far luce con la sua scelta di collaborare con la giustizia.

Cronache della Campania@2019

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