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Channel: Cronaca Giudiziaria
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Pochi uomini per combattere ‘camorra connection’, il Procuratore Melillo sentito dalla commissione antimafia: audizione secretata

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“Nella ‘stesa’ si esprime da un lato una sfida alla capacità di controllo dell’ordine pubblico, che è dello Stato, e ovviamente anche una minaccia grave alla sicurezza dei cittadini. Ma si esprime anche un esercizio di violenza retto da logiche di controllo. La ‘stesa’ non produce mai, o quasi mai, eventi sanguinosi. Sono esercizi militari a bassa intensità”. Lo ha detto il procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Napoli, Giovanni Melillo, nel corso di un’audizione davanti alla commissione parlamentare Antimafia. “Gli organici delle forze di polizia sono notevolmente ridotti rispetto al passato” ha detto il procuratore della Repubblica spiegando che “vanno disperdendosi straordinari patrimoni di conoscenza dei fenomeni criminali” anche a causa dei pensionamenti. “Stanno scomparendo generazioni di eccezionali investigatori. La squadra mobile di Napoli è composta da circa 360 unità e solo pochi anni fa erano 450 unità”. A Napoli da parte della Dda “operano 30 magistrati, e solo nel 2019 sono state eseguite ordinanze di custodia cautelare nei confronti di oltre 620 persone, credo con una discreta qualità degli esiti investigativi, almeno a giudicare dalle percentuali di accoglimento da parte dell’Ufficio del giudice delle indagini preliminari, che è di circa il 75%, e soprattutto dalle conferme, che ruotano intorno al 90%”.
“Molti si affannano a stilare classifiche di pericolosità delle mafie, come se esistesse una speculare graduatoria di tollerabilità dei fenomeni mafiosi. Con questa via si perdono di vista i processi di integrazione dei mercati delle strutture criminali. E si perde di vista anche la vera dimensione di pericolosità del fenomeno camorristico, perchè la struttura flessibile della camorra rappresenta il modello originario dei processi di aggregazione criminale che statutariamente ripudiano la contrapposizione frontale con lo Stato, ma si concentrano nella più lucrosa ricerca delle migliori posizioni di controllo dei mercati illegali – di stupefacenti innanzitutto – ma principalmente nell’espansione, che è continuamente alimentata dai proventi dei traffici criminali, di una gigantesca rete di imprese”. Ha spiegato il procuratore nel corso dell’audizione. “La camorra è uno straordinario veicolo di continua trasformazione della violenza in ricchezza, in forza economica e in reti di relazioni affaristiche e collusive che condizionano pesantemente i processi decisionali che regolano la spesa pubblica a livello locale, ma che sono anche capaci di innescare profonde trasformazioni strutturali del fenomeno. Oggi i cartelli camorristici coincidono con ramificate e sofisticate costellazioni di imprese. Esprimono modelli estremamente moderni di espansione affaristica, attraverso i quali si realizzano forme di controllo del territorio, molto più sofisticate di quelle affidate all’esercizio della violenza. La violenza è destinata a regolare le forme di controllo territoriale marginali”.
“La stessa leadership dei cartelli criminali camorristici, una volta costretta all’emarginazione attraverso i processi e l’azione repressiva, coincide con la leadership di reti di imprese. Queste reti racchiudono fenomeni gravissimi di asservimento agli interessi prettamente mafiosi di amministrazioni e istituzioni pubbliche, chiamate a svolgere sempre più deboli funzioni di regolazione, ma racchiudono anche pezzi significativi del mondo delle professioni, chiamate a svolgere le funzioni di intermediazione impropria, tipiche del più vasto circuito dell’economia illegale”. “La camorra ha una straordinaria capacità di espansione affaristica anche nelle altre regioni italiane e nei mercati internazionali. Diversamente rispetto a quanto avviene per ‘ndrangheta e mafia siciliana, questa espansione non comporta ramificazioni o il radicamento territoriale, ma unicamente l’esportazione dei metodi tipici dell’impresa criminale. Sono proprio le caratteristiche di flessibilità della criminalità organizzata campana che sono alla base dei processi di modernizzazione di circuiti criminali che moltiplicano le opportunità e gli schemi di collaborazione”.
“Da anni nella camorra prevalgono le spinte alla composizione delle tensioni e alla mediazione dei conflitti violenti, che sono relegati in aree marginali dove si lascia che si sprigionino scontri armati a bassa intensità. Il ricorso all’omicidio, che storicamente era consueto nelle logiche camorristiche, negli ultimi anni è diventato – e i dati lo dimostrano – un indice eloquente di nuovi e più evoluti equilibri criminali, che sono segnati dalla comune disponibilità alla mediazione e alla cogestione delle partite di interesse comune”. Lo ha detto il procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Napoli, Giovanni Melillo, nel corso di un’audizione davanti alla commissione parlamentare Antimafia.”Il cartello camorristico Amato-Pagano gioca un ruolo di grande player internazionale, anche al riparo dalla giurisdizione italiana. Lo stato non cooperativo delle relazioni con alcuni Stati sta lì a dimostrarlo”. Poco dopo, l’audizione è stata secretata.

Cronache della Campania@2019


Ridusse in fin di vita il baby calciatore con un proiettile vagante: 6 anni di carcere

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Il Tribunale di Napoli Nord ha condannato a sei anni di reclusione il 35 enne Vincenzo Russo, imputato del ferimento del 14 enne Luigi Pellegrino, colpito da un proiettile vagante esploso da Russo il 24 dicembre 2017, mentre passeggiava con amici in una strada centrale di Parete (Caserta). Il pm della Procura di Napoli Nord Vittoria Petronella aveva chiesto ieri 9 anni di carcere al termine della requisitoria. Russo risponde di lesioni gravi e detenzione illegale di armi comuni da sparo. I giudici hanno accolto la ricostruzione della Procura, secondo la quale Russo, quel giorno, all’interno di un terreno agricolo di sua proprieta’ a circa 300 metri di distanza dal luogo in cui si trovava il minore, esplose tre colpi con una pistola semiautomatica illegalmente detenuta. Il 35 enne voleva esercitarsi. Uno dei proiettili colpi’ un veicolo in transito, senza ferire nessuno, un secondo raggiunse Luigi alla testa, un terzo ando’ a vuoto. L’adolescente, una promessa del calcio, resto’ in coma per settimane ed ha dovuto sottoporsi ad una lunga riabilitazione

Cronache della Campania@2019

Camorra, la sorella della vittima innocente Attilio Romanò: ‘Non cerchiamo vendette’

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“Non cerchiamo vendetta, non vogliamo che per la morte di Attilio siano incriminate persone che non hanno colpa. Ci rimettiamo alla decisione di questo ulteriore processo, fiduciosi che la giustizia faccia il suo corso”. Lo ha detto Maria Romano’, sorella di Attilio Romano’, oggi nel Palazzo di Giustizia di Napoli, dopo l’udienza del processo in corso in Corte di Appello sull’omicidio del fratello, assassinato per errore dai killer della camorra che lo scambiarono per il vero obiettivo dell’agguato. L’omicidio avvenne il 24 gennaio del 2005, nel negozio di telefonini dove Attilio lavorava. Per questo crimine e’ stato condannato in via definitiva, all’ergastolo, Mario Buono, indicato come esecutore materiale. Unico imputato di questo processo è l’ex primula rossa della camorra, Marco Di Lauro (difeso dagli avvocati Gennaro Pecoraro e Gaetano Cola), catturato lo scorso marzo dopo una latitanza durata 15 anni. Nella prossima udienza (il 30 ottobre), il pg Carmine Esposito depositerà alcune sentenze in cui si confermerebbe l’attendibilitè di due pentiti che indicano Marco Di Lauro come il mandante dell’agguato in cui sarebbe dovuto morire il nipote del boss scissionista Rosario Pariante e invece perse la vita Romano’.

Cronache della Campania@2019

Sentenza definitiva: finisce in carcere lo stalker di Quagliarella

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La Polizia di Stato di Castellammare di Stabia, unitamente all’Arma dei Carabinieri di Santa Maria Capua Vetere, nel tardo pomeriggio di ieri ha dato esecuzione all’ordine per la carcerazione nei confronti di PICCOLO Raffaele, di 54 anni, ritenuto responsabile di atti persecutori, calunnia e sostituzione di persona.

I reati contestati, perimetrati in un arco temporale compreso tra il 2006 ed il 2010, sono stati consumati dal predetto in danno di numerosissimi imprenditori e professionisti, tra cui il noto calciatore Fabio Quagliarella e Guido Lembo, il gestore dell’altrettanto noto locale di Capri, ‘Anema e Core’

Le laboriose indagini, coordinate dalla Procura di Torre Annunziata e condotte dalla squadra investigativa del Commissariato di Polizia di Castellammare di Stabia, hanno consentito di documentare le responsabilità del PICCOLO che per anni, fingendosi amico delle vittime, le ha perseguitate con lettere e messaggi anonimi contenenti false accuse di pedofilia e di collusioni con la criminalità organizzata.

L’arrestato, appartenente alla Polizia di Stato, già sospeso dal servizio, dovrà scontare la pena di 4 anni e 6 mesi.

Cronache della Campania@2019

Giovane di Secondigliano investito e ucciso: fu omicidio preterintenzionale. Le motivazioni della sentenza

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Napoli. Non fu omicidio volontario ma preterintenzionale e per questo motivo che le condanne sono quasi dimezzate dai giudici della quarta sezione della Corte di Assise di Appello (presidente Roberto Vescia) nei confronti dei tre giovani di Secondigliano che la notte tra il 9 e 10 aprile 2016 uccisero il 21enne Fabio Giannone, travolgendolo con un’auto e poi organizzarono un finto incidente stradale. E’ quanto emerge dalle 42 pagine delle motivazioni della sentenza. I magistrati hanno accolto in gran parte i motivi di Appello proposti dall’avvocato Marco Argirò (difensore di Vincenzo De Luca). In primo grado erano stati tutti condannati a 30 anni di carcere ma la Corte di Assise di Appello ha quasi ribaltato le condanne riducendole sensibilmente. Vincenzo De Luca detto o’ rannat è stato condannato a 19 anni e otto mesi; Pasquale Paolo condannato a 17 anni e infine a Simone Scaglione la pena minore, ovvero 14 anni di reclusione. Una storia di violenza e di vendette familiari incredibili all’interno di un contesto criminale e camorristico anche se lo sfortunato Fabio Giannone era estraneo a quel contesto. Una storia incredibile. I primi due avevano investito con un’ auto rapinata Giannone, che viaggiava in sella uno scooter, per vendicarsi di un pestaggio subito ad opera di Giannone e del fratello il 4 gennaio 2016, nel quale De Luca aveva riportato numerose fratture. Il pestaggio era stato causato dal danneggiamento delle vetrine di un negozio di abbigliamento di proprietà di uno zio dei fratelli Giannone, avvenuto nella notte del Capodanno 2015 da parte di De Luca. Il cadavere di Giannone fu trovato sotto una “Citroen C3”, abbandonata al centro della carreggiata con le porte aperte. Accanto vi era uno scooter “Honda SH” di proprietà di Giannone. Dal processo di Appello e dalla motivazioni è emerso chiaramente la non volontarietà dell’investimento da parte di De Luca che del resto dopo il fatto  scoppiò in lacrime. Aveva sempre sostenuto che voleva dare una lezioni a Giannone e non ucciderlo anche alla luce del fatto che i due erano amici di vecchia data e anche le famiglie.

Cronache della Campania@2019

Castellammare, 5 pentiti accusano l’imprenditore delle pompe funebri: ‘Alfonso Cesarano era a disposizione del clan D’Alessandro’

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Castellammare di Stabia. A descrivere la figura di Alfonso Cesarano, finito nel penitenziario di Secondigliano per un’ordinanza di misura cautelare, sono i collaboratori di giustizia Raffaele Polito, Salvatore Belviso, Roberto Perrone, Giuliano Saturnino, e Cavaliere Renato. Gli altri indagati, Cesarano Saturno, il 62enne Cesarano Alfonso, Cesarano Giulio, Cesarano Catello e Cioffi Michele sono ai domiciliari. Sono tutti ritenuti responsabili a vario titolo di concorso nel trasferimento fraudolento di valori, con l’aggravante dell’aver commesso il fatto per agevolare il raggiungimento delle finalità illecite dell’associazione di tipo mafioso denominata clan D’Alessandro, nonché avvalendosi della forza intimidatrice della predetta organizzazione.
Tutti parlano di Alfonso Cesarano come soggetto contiguo alla criminalità organizzata stabiese e disposizione di essa in cambio del mantenimento della gestione, in forma monopolistica, del servizio di onoranze funebri. Raffaele Polito ha riferito agli investigatori del rapporto di amicizia tra Cavaliere Alfonso, uno dei killer del Consigliere Comunale Gino Tommasino, e Alfonso Cesarano che metteva a disposizione dei D’Alessandro una sua struttura alberghiera dove il clan si incontrava e occultava armi e munizioni. Alfonso “non l’ho mai visto fisicamente – racconta Polito – in una sola occasione Cavaliere Renato mi mandò giù alle pompe funebri per chiedere al predetto Cesarano Alfonso la disponibilità dell’albergo. Cavaliere Renato era molto amico di Cesarano Alfonso”. “Ci appoggiavamo all’albergo per stare tranquilli in quanto in quel periodo spesso eravamo ricercati dalle forze dell’Ordine. In un’occasione vi ha trovato rifugio anche Lucchese Antonio, latitante ricercato dai carabinieri per un’estorsione ai danni di un ristorante. Devo precisarvi che, dopo l’arresto avvenuto all’intento di quella struttura alberghiera di Lucchese Antonio, il predetto albergo era oggetto di indagine da parte dei Carabinieri. Nei giorni che seguirono, su indicazione di Cavaliere Renato, mi recai nuovamente all’albergo per prelevare un’ arma, una pistola calibro 7.65 che era del clan, che avevamo lasciato incustodita in una delle stanze dell’albergo e che i carabinieri non avevano trovato perché si trovava all’interno di una stanza adiacente a quella dove era nascosto Antonio Lucchese. In quella occasione, il portiere dell’albergo, sempre Io stesso, unitamente ad urta donna che conoscevo per essere di Scanzano ma che non avevo mai visto all’interno dell’albergo, mi impedirono di salire e fu proprio la signora a dirmi che eravamo stati noi a far chiudere l’albergo. Avvisai di ciò Cavaliere Renato che l’indomani mi disse di andare nuovamente all’ albergo, bussare al citofono e la persona che mi avrebbe aperto, evidentemente mi aspettava, sapeva che dovevo andare sotto al garage, un posto preciso che mi spiegò il Cavaliere, dove avrei trovato la predetta pistola avvolta in un fazzoletto bianco che evidentemente qualcuno dalla stanza aveva spostato laggiù. In quella occasione vi era un’altra persona che mi apri perché il portiere che conosciamo noi di solito lavorava di notte. Devo dirle che nel periodo in cui ho frequentato il predetto albergo ho visto all’interno Maria D’Alessandro, figlia di Luigi e sorella di Pasquale D’Alessandro alias ‘o nir, che, tuttavia, non faceva mai nulla e infatti, benché assunta come donna di pulizia, tali mansioni venivano svolte esclusivamente da un’altra signora. Devo aggiungere che, dopo l’arresto di Cavaliere Renato e l’arresto di Antonio Lucchese, “perdemmo” la disponibilità dell’albergo: infatti Belviso Salvatore mi disse che avevamo perso tale disponibilità e che quindi, ora, potevamo chiedere una tangente all’albergo che cadeva in zona Scanzano. Di lì a poco siamo stati arrestati e quindi non so dirvi se questa tangente è stata mai chiesta”. Secondo la Procura le dichiarazioni del collaboratore di giustizia sono lineari, cronologicamente corrette e coerenti con gli esiti investigativi. Salvatore Belviso nel raccontare il rapporto tra l’imprenditore e il clan dice che “Il rapporto era gestito soprattutto da Renato Cavaliere” e che “doveva – dice Belviso – presentarmi a Cesarano Alfonso quale suo referente. Cesarano Alfonso era a disposizione del clan D’Alessandro proprio in quanto esponente del clan amico dei Cesarano”.
(1.Continua)

Cronache della Campania@2019

Camorra, “o’stregone” di Sant’Erasmo: spendeva il suo stipendio da boss al Casinò di Montecarlo

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Nel suo quartiere vigono due regole. La prima è pace. Nessuno deve mai pensare di scatenare una guerra di Camorra, oppure organizzare una sparatoria come invece avviene negli altri quartieri. La seconda è il pagamento del ‘pizzo’. Tutti, anche con poco, ma devono piegarsi alla regola imposta anche perché Carmine Montescuro, detto ‘Zio Menuzzo’ ha il vizio del gioco e spesso è a Montecarlo a spendere il suo ‘stipendio’ da capoclan. E nonostante la veneranda età di 84 anni, il gip Ferrigno del tribunale di Napoli ha autorizzato il suo arresto e il trasferimento in carcere. Perché è da Montescuro che tutti i capiclan passano per chiedere non solo ‘consigli’ ma anche autorizzazioni. Per fare le guerre, per conquistare territori, per saldare o chiudere alleanze. Sembra un personaggio di edoardiana memoria, e invece è il ruolo che per ben 4 decenni si è costruito Carmine Montescuro, tant’é che non ha mai perso un suo uomo in un omicidio e mai ha avuto faide nel suo quartiere, Sant’Erasmo, rione cuscinetto tra piazza Mercato e le ‘polveriere’ dei quartieri Ponticelli, San Giovanni e Gianturco. Da lui nel 2000 si sedettero allo stesso tavolo i Misso, i Mazzarella e i Contini che si stavano combattendo in ogni quartiere con 200 agguati mortali l’anno. Da lui poi si sedettero i Sarno, che avevano perso il controllo del rione Ponticelli dopo i pentimenti dei capoclan. Con lui ha avuto rapporti Marco Mariano, boss pentito dei Quartieri Spagnoli durante la faida degli anni Novanta. Un personaggio “pericoloso” e “rischioso” come lo ha definito il gip motivando la misura cautelare più dura nonostante la sua età. Montescuro non rinunciava ad essere “mandante e partecipe in prima persona di azioni pesantemente intimidatorie”. Come quando, riferendosi a un imprenditore impegnato nei lavori di via Marina, diceva al suo fedelissimo Nino Argano: “Gli butto una latta di benzina, lo incendio”. E al suo interlocutore che gli suggeriva “’o zi’, ma dobbiamo andare carcerati? Perché dovete andare voi a buttare la latta?”, Montescuro rispondeva tranquillo: “Non mi vede nessuno, non ti preoccupare. Me la vedo io”.

Come personaggio di notevole carisma personale e criminale — scrive ancora il giudice — è stato capace di affermare e mantenere nel tempo, a dispetto dei mutamenti degli equilibri nel contesto geocriminale locale, un peculiare ruolo di paciere e mediatore tra consorterie camorristiche in contrasto tra loro”. Il vero segreto di Montescuro, avverte però il giudice, il suo spessore criminale, è nella “saldissima rete di contatti, anche al di là dei contesti più strettamente camorristici” di cui l’anziano boss dispone e che gli permette, come sostiene il collaboratore di giustizia Maurizio Overa, di “gestire tutti gli affari del porto. Nel senso – spiega – che da una parte divide le quote delle estorsioni pagate dagli imprenditori ai clan, dall’altra gestisce il sistema delle mazzette destinate ai pubblici ufficiali”. Un filone, questo, ancora tutto da sviluppare, che viene evocato da più collaboratori. Afferma Overa che Montescuro “nel porto è una vera potenza. È in grado di far entrare e uscire droga e altro”. Un altro collaboratore di giustizia, l’ex boss dei Quartieri Spagnoli Marco Mariano, racconta che l’ottuagenario padrino “è il referente della camorra in tutti gli affari del porto, di cui è gelosissimo. Nessun clan entra nel porto di Napoli senza il viatico di Montescuro”. Chissà come reagirà il sistema, ora che “zi Minuzz”’ è in carcere. Il figlio Antonio, di 53 anni, ora a sua volta in cella, aveva un’idea molto chiara sulle ripercussioni di un’uscita di scena del genitore. “Speriamo che papà muoia fra cent’anni – diceva in un’intercettazione – se no là fanno tutti quanti la fame, vedrai…”.

Cronache della Campania@2019

Castellammare, la difesa di Alfonso Cesarano davanti al giudice: ‘Non sono un camorrista’

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Castellammare di Stabia. “Non sono un Camorrista” ha provato così a difendersi, Alfonso Cesarano, ieri sentito dal gip Giovanna Cervo che l’ha interrogato per l’interrogatorio di garanzia. Cesarano è stato destinatario di un’ordinanza di applicazione di misura cautelare insieme ad i suoi parenti Cesarano Saturno, Cesarano Alfonso (62enne), Cesarano Giulio, Cesarano Catello e Cioffi Michele. Tuttavia Cesarano, classe ’58, è l’unico ad essere finito in cella mentre gli altri sono ai domiciliari. Questa operazione messa a segno dai carabinieri di Torre Annunziata ha scosso un’intera città. Nessuno non ha mai avuto a che fare con Alfonso Cesarano che da anni gestisce in città i servizi cimiteriali. Le accuse sono di trasferimento fraudolento di valori in concorso, con l’aggravante dell’aver commesso il fatto per agevolare il raggiungimento delle finalità illecite dell’associazione di tipo mafioso denominata clan D’Alessandro, nonché avvalendosi della forza intimidatrice della predetta organizzazione. Cesarano, assistito dai suoi avvocati, ha provato a difendersi sostenendo di non aver alcun rapporto con la criminalità organizzata. Nella prossima settimana saranno ascoltati gli altri arrestati. A raccontare la figura di Alfonso Cesarano sono stati Raffaele Polito, Salvatore Belviso, Roberto Perrone, Giuliano Saturnino, e Cavaliere Renato che hanno dato il via alle indagini.

Cronache della Campania@2019


Napoli, inquinamento delle prove: finisce in carcere il noto commercialista Gelormini

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Napoli. Nella mattinata odierna, nell’ambito di indagini coordinate dalla Procura della Repubblica di Napoli, militari del Nucleo di Polizia Economico-Finanziaria della Guardia di Finanza di Napoli, congiuntamente a personale della Capitaneria di Porto-Guardia Costiera , hanno eseguito un’ordinanza di sostituzione di misura cautelare per aggravamento delle esigenze cautelari, emessa dal G.I.P. del Tribunale partenopeo, con la quale è stata disposta la misura della custodia cautelare in carcere nei confronti del noto commercialista napoletano Alessandro Gelormini, già agli arresti domiciliari con provvedimento del 23 settembre 2019 perché ritenuto coinvolto in un episodio di corruzione.
Ulteriori attività investigative svolte dalla Guardia di Finanza e dalla Capitaneria di Porto-Guardia Costiera, coordinate dalla Procura della Repubblica di Napoli, hanno permesso, infatti, di accertare che il Gelormini ha posto in essere comportamenti idonei a condizionare, attraverso contatti con terzi soggetti, la ricostruzione degli accadimenti oggetto di indagine.

Cronache della Campania@2019

Camorra, strage di Pescopagano: ergastolo per il boss Augusto La Torre

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Il gup di Napoli Vincenzo Caputo ha condannato all’ergastolo Augusto La Torre, ex capo dell’omonimo clan attivo a Mondragone, comune del litorale Casertano, e nel Basso Lazio, e a 20 anni il cugino Tiberio Francesco La Torre, per la cosiddetta strage di Pescopagano (località di Mondragone, ndr), avvenuta il 24 aprile del 1990. Una “mattanza” a colpi di mitra e pistole voluta dal clan La Torre durante la quale persero la vita cinque persone e altre otto rimasero ferite; tre delle vittime erano tanzaniane, poi c’era un iraniano e l’italiano Alfonso Romano, questi ultimi due colpiti per errore in quanto si trovavano nel bar dove inizio’ la strage; fu colpito anche il figlio 14enne del gestore del locale, poi rimasto paralizzato. L’eccidio avvenne perche’ il boss Augusto La Torre voleva ripulire la zona dagli spacciatori di droga africani, che iniziavano allora a farsi strada nel panorama criminale casertano. La Torre, detenuto dal 1996, noto come il boss psicologo per aver conseguito la laurea in psicologia in carcere, e’ stato riconosciuto dal magistrato come mandante ed esecutore della strage; per lui il sostituto della Dda Lalia Morra aveva chiesto 18 anni di carcere. La Torre e’ assistito da un legale, Rosanna Mazzeo, che difende i collaboratori di giustizia; in passato le sue dichiarazioni hanno contribuito a smantellare parte del clan, ma poi e’ stato dichiarato parzialmente inattendibile per quanto riguarda il proprio patrimonio, mai ritrovato. In questo processo, La Torre ha prima confessato per poi ritrattare. Al cugino Tiberio (difeso da Carlo De Stavola), per cui il pm aveva invocato l’ergastolo, e’ stato invece riconosciuto il concorso nell’esecuzione della strage.

Cronache della Campania@2019

Bruciò vivo l’ex sindaco di un comune del Casertano: chiesti 14 anni di carcere

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Cervino. Il processo d’Appello ha fatto emergere i gravi indizi di colpevolezza a carico di Pietro Esposito Acanfora. Questa la conclusione a cui è giunto il procuratore generale al termine della sua requisitoria nel processo a carico dell’ex dirigente dell’ufficio tecnico del comune di Cervino accusato dell’omicidio del sindaco Giovanni Piscitelli, ucciso e bruciato in auto. La richiesta è stata di quattordici anni di reclusione.
Alla base della pena invocata dal Procuratore Generale ci sarebbero alcune contraddizioni emerse nel corso del processo tra quanto riferito dallo stesso Esposito Acanfora e le dichiarazioni di altri testimoni. Incongruenze che hanno spinto il procuratore a chiedere la conferma dell’intero quadro indiziante e quindi di condannare l’imputato (assolto in primo grado).
A metà novembre ci saranno le arringhe dei difensori. Il 28 febbraio del 2008 Piscitelli fu ritrovato in località Durazzano, a qualche metro di distanza dalla propria vettura data alle fiamme. L’allora primo cittadino era riuscito a scendere dal veicolo per tentare di porsi in salvo, ma le ustioni non gli diedero scampo. Venne trovato bruciato dalle gambe in su.
Al termine del processo celebrato con il rito abbreviato, infatti, Esposito Acanfora fu assolto in primo grado “per non aver commesso il fatto” dal giudice Marcello De Chiara.

Cronache della Campania@2019

Napoli, il pg chiede una condanna per omicidio volontario della ballerina di Sant’Antimo e fa ricorso in Cassazione

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Napoli. Il procuratore generale di Napoli Carmine Esposito ha depositato ieri motivi di ricorso per Cassazione rispetto alla condanna a 8 anni di reclusione inflitta in secondo grado a Giuseppe Varriale ritenuto colpevole di omicidio preterintezinale dalla Corte di Assise di Appello di Napoli nell’ambito del processo sulla morte della ex fidanzata Alessandra Madonna. La Procura Generale – che ritiene la sentenza di secondo grado è “contraddittoria e illogica” – ha chiesto l’annullamento della decisione con rinvio finalizzato alla riqualificazione del reato da omicidio preterintezionale a omicidio volontario con dolo eventuale e, quindi, un nuovo processo. Anche la difesa di Giuseppe Varriale, rappresentata dagli avvocati Nicola Pomponio e Raffaele Chiummariello, ha depositato di recente motivi di ricorso per Cassazione per la riqualificazione del reato da omicidio preterintezionale in omicidio stradale cosi’ come fu deciso, in primo grado, dal Tribunale di Napoli Nord.

Cronache della Campania@2019

‘Trattamento disumano’, scarcerata prima della scadenza la moglie del boss Belforte

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Scarcerata, 20 giorni prima della scadenza pena, la moglie del boss Salvatore Belforte di Marcianise, Concetta Zarrillo. Dopo otto anni di carcere, condannata per associazione camorristica, la donna ha lasciato, qualche giorno fa, il carcere di Reggio Emilia, però ha l’obbligo di firma in una provincia dell’Emilia Romagna dove ha chiesto la residenza. “Ha ottenuto lo sconto di pena, si legge nel provvedimento – come ha spiegato il suo difensore l’ avvocato Romolo Vignola – per il trattamento disumano ricevuto quando è stata reclusa nel carcere di Santa Maria Capua Vetere”. Proprio qualche giorno fa alla Zarrillo era stata notificato insieme al marito, ergastolano, ex collaboratore di giustizia, un avviso di chiusura indagine per abusivismo edilizio per aver costruito una mega piscina senza alcun permesso edilizio, nella loro villa a Marcianise che poi è stata confiscata dall’autorità giudiziaria.Al marito Salvatore Belforte è stato revocato il programma di protezione per non aver detto la verità sul delitto di Angela Gentile, amante del fratello Domenico Beforte, vittima di lupara bianca dove risulta essere indagata a piede libero un’altra donna del clan Maria Buttone, la cognata della Zarrillo e nonché moglie di Mimì Belforte (libera). Una potente famiglia criminale dei Belforte da anni attenzionata dalle forze dell’ordine. Zarrillo e Buttone in passato, quando vennero arrestate, sono state detenute anche al 41 bis, nel carcere dell’Aquila, e oggi sono entrambe libere

Cronache della Campania@2019

Faida di Scampia, il boss Lello Amato a’ vicchiarella annuncia una lettera ‘chiarificatrice’

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Il duplice omicidio di Fulvio Montanino e Claudio Salierno, che il 28 ottobre 2004 diede origine alla prima sanguinosa faida di Scampia, secondo il boss scissionista Raffaele Amato: ha preso la parola prima che il procuratore generale iniziasse la requisitoria, Lello Amato, collegato in video conferenza con la Corte di Appello di Napoli dalla casa circondariale dove è detenuto, proprio per annunciare una sua missiva “chiarificatrice”. In questo procedimento giudiziario di secondo grado il capo dell’ala scissionista che si oppose al clan Di Lauro è imputato con l’accusa di essere tra i mandanti di quel duplice assassinio. Tutti gli altri camorristi coinvolti in quella vicenda sono stati condannati in via definitiva per questi due delitti. Per lui, invece, l’iter giudiziario iniziò in ritardo a causa dell’estradizione dalla Spagna, dove era stato arrestato nel 2009. Oggi, il procuratore generale Carmine Esposito, al termine della requisitoria, ha chiesto alla Corte di confermare la condanna all’ergastolo inflitta in primo grado. Ha poi discusso l’avvocato Dello Iacono, legale di Amato, il quale ha chiesto le attenuanti generiche per il suo cliente. Ora c’e’ grande attesa per questa lettera che dovrebbe essere acquisita dai giudici in occasione della prossima udienza, fissata per il 5 novembre.

Cronache della Campania@2019

Napoli, utero in affitto alla camorra: condanne per 20 anni di carcere

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Napoli. Venti anni di carcere complessivo per  una coppia e una donna accusati di sostituzione di persona e falso. Si tratta di un caso di utero in affitto che vede appunto coinvolti una coppia di napoletani della periferia orientale di Napoli e una donna di origini rumene che avrebbe ricevuto in cambio 10mila euro. Soldi pagati -come racconta Il Mattino- da un boss della zona (attualmente in carcere per camorra e omicidio) per fare un “regalo” a un suo affiliato. Marito e moglie sono stati condannato a sei anni di carcere ciascuno mentre la donna rumena a otto anni nel processo che si è svolto con rito abbreviato davanti al gup Paola Piccirillo. Il boss invece è a processo con rito ordinario. L’indagine della magistratura nella mani del pm Antonella Fratello della Dda di Napoli vuole fare luce su un presunto giro di “utero in affitto” in cui sarebbe coinvolta proprio la donna rumena.

 

Cronache della Campania@2019


Il resort in Sardegna torna nelle mani dei “legittimi proprietari” che erano sospettati di essere collusi con i Casalesi: dissequestrati immobili per 20 milioni di euro

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Non ci fu riciclaggio dei soldi dei Casalesi nel villaggio turistico sulla spiaggia di S’Incantu a Villasimius, in Sardegna. Questa la decisione dei giudici della prima sezione penale del tribunale di Cagliari, presieduta dal giudice Tiziana Marogna, che ha assolto i 15 imputati coinvolti nell’inchiesta Alessandro Falco, di Parete, e l’imprenditore di Casapesenna Bartolomeo Piccolo.
Disposto il dissequestro di tutti i beni finiti sotto chiave nell’ambito dell’inchiesta per un ammontare complessivo di circa 20 milioni di euro. Con Falco e Piccolo la corte ha assolto Nicola Fontana, di Casapesenna, Antonino Di Martino, di Piano di Sorrento, Gilda Piccolo, di Casapesenna, Alessandra Coronella, di Aversa, Rosa Garofalo, di Casapesenna, Angela Miccio, Luisa Di Martino, di Vico Equense; Rosa Fontana, di Casapesenna, Luciano Passariello, di Napoli e Salvatore Venturino. Sentenza di assoluzione anche per l’europarlamentare di Forza Italia Salvatore Cicu (Nel processo sembrerebbe essere collegato al ex. Presidente Fini) l’ex sindaco di Sestu Luciano Taccori e l’ex assessore dello stesso comune Paolo Cau.
Una cordata di imprenditori campani che poi ha realizzato il villaggio turistico S’Incantu, successivamente sequestrato in via cautelare dalla Direzione distrettuale antimafia ed oggi restituito ai proprietari. Il pubblico ministero aveva chiesto 77 anni di carcere complessivi per 12 imputati, tre erano però già stati assolti.

Cronache della Campania@2019

Inchiesta Romeo: chiesto il giudizio per 55 persone. Ci sono Caldoro, Bocchino, Verdoliva e lo stesso imprenditore

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La Procura di Napoli ha chiesto il rinvio a giudizio di 55 persone, tra cui l’ex parlamentare Italo Bocchino, l’ex governatore Stefano Caldoro, l’imprenditore Alfredo Romeo e l’attuale direttore dell’AslNa1 Ciro Verdoliva, nell’inchiesta dei sostituti Carrano e Woodcock sul cosidetto “Sistema Romeo” per compiere delitti contro la PA. Tra i reati contestati, a vario titolo, corruzione e turbata libertà degli incanti, finalizzati all’assegnazione e aggiudicazione di appalti per servizi di pulizia di edifici pubblici. Viene contestata dai pubblici ministeri Celeste Carrano ed Henry John Woodcock anche l’emissione e l’utilizzazione di fatture per operazioni inesistenti. Ciò al fine di costituire fondi da utilizzare per il pagamento di tangenti. Ad Alfredo Romeo, al suo collaboratore Ivan Russo e all’ex parlamentare di An Italo Bocchino, i pm Celeste Carrano, Francesco Raffaele e Henry John Woodcock contestano l’associazione per delinquere finalizzata a delitti contro la pubblica amministrazione, alla corruzione e alla turbata libertà degli incanti in relazione all’assegnazione e aggiudicazione di appalti relativi ai servizi di pulizia di edifici e strutture pubbliche​, ed altri servizi connessi con la formula del “global service”, e alla gestione di patrimoni immobiliari di pubbliche amministrazioni. Romeo viene individuato dai pm napoletani come ​”promotore e organizzatore” dell’associazione, mentre Bocchino rivestirebbe il ruolo di “organizzatore con il compito di provvedere alla pianificazione e alla gestione dell’attività”.
Richiesto il rinvio a giudizio anche per Ciro Verdoliva, attuale direttore generale della Asl NAPOLI 1 Centro e, all’epoca dei fatti oggetto dell’indagine, direttore dell’Ufficio Economato dell’Azienda ospedaliera “Cardarelli” di NAPOLI, e per l’ex presidente della Regione Campania Stefano Caldoro, per il quale, come sottolineato dai suoi difensori, avvocati Alfonso Furgiuele e Fabio Carbonelli, “il pubblico ministero ha escluso definitivamente la configurabilità della corruzione e limitato l’accusa alla più lieve fattispecie del traffico di influenze, peraltro nella ancora più tenue formulazione originaria”. Per i legali di Caldoro si tratta di “un primo importante passo per escludere ogni tipo di responsabilità. Ora che si è concluso il lavoro dell’accusa, dimostreremo davanti al gup che non vi è stato nulla di penalmente rilevante nella condotta del presidente Caldoro”, concludono.

Cronache della Campania@2019

Processo per la morte del piccolo Giuseppe Dorice, il testimone: ‘Scene raccapriccianti’

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Si è trovato davanti “una scena raccapricciante, la bimba era totalmente sfigurata dalle botte, aveva lividi dappertutto e faceva fatica anche a vedere, aveva gli occhi gonfi e per guardare doveva aprirsi le palpebre con le manine”. Con queste parole un agente della Polizia di Stato ha descritto la terribile scena che si è trovato davanti il 28 gennaio scorso nell’ospedale Santobono di Napoli dov’era stata portata la sorellina di Giuseppe, il bimbo ucciso il 27 gennaio a Cardito, nel Napoletano. Il poliziotto e’ tra i testimoni del processo a carico di Tony Essobti Badre e Valentina Casa, rispettivamente il patrigno di Giuseppe e la madre del bimbo ucciso. Badre è accusato dell’ omicidio di Giuseppe, il tentato omicidio della sorellina e i maltrattamenti. Di comportamento omissivo è invece accusata Valentina Casa “Dovete portate in prigione mio padre, la sera beve la birra e ci picchia, e mamma deve chiamare i carabinieri”. E’ un grido d’aiuto giunto troppo tardi, quello della piccola sorellina di Giuseppe. A riferire le sue parole, è lo stesso teste. Queste parole la bimba le riferisce al poliziotto, mentre sta disegnando, nel reparto dove la piccola è ricoverata e dove sarà sottoposta a un intervento per suturare una parte dell’orecchio parzialmente staccata, verosimilmente per le botte ricevute.  “Mi sembrava un mostro, era irriconoscibile” e poi “non pensavo che una persona potesse arrivare a tanto”. Lo ha detto una vicina di casa del piccolo Giuseppe, pure lei testimone al processo. La circostanza fa riferimento al giorno in cui Giuseppe venne ucciso, precisamente al momento in cui intervennero i sanitari del 118. “Quando ho visto la bambina – ha detto ancora la donna – ho pensato a mio figlio che ha otto anni…aveva i capelli strappati, dietro la nuca, l’ho vista per pochi istanti ma fa male ricordare”. La donna ha poi ricordato le volte che li vedeva andare a scuola: “avevano sempre gli occhi bassi, sembravano impauriti”. Quel giorno (quello dell’omicidio), ricorda la donna, “non mi e’ stato chiesto aiuto” e neppure “ho sentito urlare”. La testimone ha poi confermato alcune dichiarazioni rese alle forze dell’ordine quando venne ascoltata nell’immediatezza dei fatti: “quella era la casa degli orrori: lui (Badre, ndr) che urlava sempre tantissimo e diceva parolacce”.

Cronache della Campania@2019

Operazioni fiscali illegali: nuovo arresto per il commercialista Gelormini

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Nuova misura cautelare, questa volta in carcere, a carico di un noto commercialista napoletano, Alessandro Gelormini, 77 anni, giá coinvolto lo scorso luglio in una inchiesta per bancarotta fraudolenta della Procura della Repubblica di Napoli Nord (Caserta) insieme a tre imprenditori e a due militari della Guardia di Finanza accusati di aver preso una tangente per aggiustare un verbale. Il nuovo arresto questa volta è scattato per reati legati a tributari e fallimentari. L’operazione è stata eseguita dalla stessa Guardia di Finanza di Napoli che aveva già individuato sette società detentrici del patrimonio illegale gestito dal professionista. Secondo l’accusa, il commercialista avrebbe svuotato il patrimonio di società insolventi prima della dichiarazione di fallimento.

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Sistema Romeo, per i pm Bocchino pianificava attività illecite. L’ex deputato: ‘Finalmente potrò spiegare a un giudice’

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Era l’ex parlamentare Italo Bocchino, secondo l’ipotesi accusatoria della Procura di Napoli, a pianificare la gestione di tutta l’attività illecita dell’associazione a delinquere ipotizzata dai pm Carrano, Raffaele e Woodcock che oggi hanno chiesto 55 rinvii a giudizio nell’ambito dell’inchiesta sul cosiddetto “Sistema Romeo”, facente capo all’imprenditore napoletano Alfredo Romeo. Il giudizio è stato chiesto, tra gli altri, per l’ex governatore della Campania Stefano Caldoro, a cui si contesta il traffico di influenze, e per il manager Ciro Verdoliva, attuale direttore dell’Asl Napoli 1, a cui invece si contesta, tra l’altro, il favoreggiamento. ‘La richiesta di rinvio a giudizio avanzata dalla Procura di Napoli è l’occasione per andare finalmente dinanzi a un giudice. Le accuse nei miei confronti sono frutto di errori di valutazione da parte della Procura, che dal 2015 ad oggi non ha mai ritenuto di interrogarmi per avere un chiarimento. L’accusa di associazione per delinquere è già stata esclusa categoricamente e motivatamente dal Tribunale di Napoli in sede cautelare. La seconda e ultima accusa, di traffico illecito di influenza, è errata perché non tiene conto che un Decreto della presidenza del consiglio dei ministri aveva già sancito l’obbligo di annullamento della gara a cui si fa riferimento e che pertanto le interlocuzioni con l’ente in questione erano legittime e rispondenti alla legge in vigore”. È quanto ha dichiarato l’ex parlamentare Italo Bocchino.

Cronache della Campania@2019

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