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Channel: Cronaca Giudiziaria
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Il bombarolo di Vico: ‘Sono stato costretto altrimenti mi licenziavano’

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Vico Equnese. Aveva una busta tra le mani con gli indumenti che aveva indossato la notte del 17 febbraio quando ha piazzato una bomba davanti al garage del padre di un imprenditore edile. “Sono stato costretto altrimenti mi licenziavano”. Ha provato a giustificarsi, ma gli investigatori non gli hanno creduto. Ha confessato pero’ di essere l’autore di uno degli atti intimidatori che tra gennaio e febbraio hanno terrorizzato Vico Equense “teatro di una inquietante attivita’ di intimidazione di natura estorsiva nei confronti di una ditta di costruzioni”, come ha scritto il gip Emma Aufieri nell’ordinanza che ha portato agli arresti domiciliali Pasquale Cioffi, 35 anni. Lui e’ il terzo destinatario di una misura cautelare che a luglio aveva portato gia’ in carcere Michele Ferraro e Rosario Salan, imprenditore edile e suo tuttofare perche’ aveva minacciato un altro imprenditore con l’obiettivo era quello di bloccare l’esecuzione dei lavori di rifunzionalizzazione dell’ex convitto dei padri Carmelitani Scalzi a Montechiaro. Cosi’ la notte tra il 21 e il 22 gennaio all’esterno del cantiere veniva incendiato un veicolo industriale. Quattro giorni dopo venivano effettuate due telefonate anonime dai toni minacciosi al direttore dei lavori e al fiduciario della societa’. La notte del 31 gennaio veniva danneggiato il portone d’ingresso dell’hotel Torre Barbara, sempre riconducibile alla stessa ditta edile. In questo caso fu piazzato uno ordigno artigianale che ne distrusse l’entrata. Stesso modus operandi usato il 17 febbraio in via Avellino: questa volta fu preso di mira il garage di proprieta’ del padre del titolare della ditta. Il 26 gennaio furono fatte due telefonate al fiduciario della ditta, erano i due arrestati a luglio, che furono individuati da una telecamera nella stazione della Circumvesuviana, da dove partirono le telefonate minatorie. “Pronto buongiorno, statemi a sentire, dite al vostro capo che si deve fare vivo per quell’offerta a Vico Equense, va bene? Lui lo sa, altrimenti poi ce la prendiamo anche con voi. Senno’ fate la fine del camion”. In tutta la storia c’e’ l’ombra della camorra e del clan Di Martino. Ci sono infatti diversi contatti tra Ferraro e il boss Leonardo detto ”o lione’, estraneo pero’ all’inchiesta.

Cronache della Campania@2019


Di Pietro parla al processo Stato-Mafia: ‘Salvo Lima incassò la tangente Enimont attraverso Paolo Cirino Pomicino’

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“Anche Salvo Lima incassò una tangente Enimont da Raul Gardini, attraverso i Cct che gli girò Cirino Pomicino”. A rivelarlo in aula, al processo d’appello sulla trattativa tra Stato e mafia è l’ex pm Antonio Di Pietro, sentito come teste dalla difesa del generale Mario Mori. Di Pietro parlando dell’inchiesta Tangentopoli nel 1992 ha riferito dei “collegamenti tra affari e politica” e ha ribadito che “i soldi di Gardini finirono anche a Salvo Lima”. All’epoca Di Pietro aveva avuto anche dei rapporti di collaborazione con i giudici Paolo Borsellino e Giovanni Falcone. “Il primo che mi disse ‘dobbiamo fare presto, dobbiamo chiudere il cerchio’ fu Paolo Borsellino”, racconta Di Pietro. “L’elemento predominante del collegamento Nord-Sud o affari e mafia, l’ho avuto quando ho avuto il riscontro della destinazione della tangente Enimont da 150 miliardi di lire – dice Di Pietro – e il mio impegno allora era di trovare chi erano i destinatari, perché avevamo trovato la gallina dalle uova d’oro, la cosa che avevamo davanti era la necessitò di trovare i destinatari”. E spiega: “L’ultimo destinatario fu proprio Salvo Lima che però incassò attraverso Cct. Non potemmo sapere molto perché nel marzo 1992 Lima venne ucciso a Palermo e Gardini si uccise”. “Ma si trattava di vedere chi quella parte di tangente di provvista di 150 miliardi di lire li aveva incassati e abbiamo trovato che 5,2 miliardi li aveva incassati Cirino Pomicino, e fu Cirino Pomicino che diede i cct a Salvo Lima”. “Nel 1992, da febbraio a maggio e fino all’omicidio Di Falcone, l’inchiesta ‘Mani pulite’ si allargò e assunse una rilevanza nazionale – dice ancora Antonio Di Pietro nel corso della deposizione rispondendo alle domande dell’avvocato Basilio Milio – Io mi confrontai con Giovanni Falcone che mi disse che le rogatorie erano l’unico strumento per individuare le provviste e mi accennò che da lì si arrivava anche in Sicilia. Ecco perché bisognava controllare gli appalti anche in Sicilia”. Di Pietro parlò anche con Paolo Borsellino “degli stessi argomenti”. “Man mano che si sviluppava l’indagine era più opportuno andare a cercare dove si formava la provvista”.

Cronache della Campania@2019

Consip: a processo Lotti, Del Sette e altri tre. Prosciolto Scafarto: ‘E’ un giorno bellissimo’. La Procura ricorre in appello

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L’ex ministro dello Sport, Luca Lotti, e l’ex comandante generale dei carabinieri, Tullio Del Sette, sono stati rinviati a giudizio dal gup della capitale Clementina Forleo che ha fissato l’inizio del processo al 15 gennaio prossimo. Prosciolto invece da tutte le accuse Giampaolo Scafarto, attuale assessore alla legalità a Castellammare di Stabia. Proscioglimento anche per il colonnello Alessandro Sessa. Il processo inizierà il prossimo 15 gennaio davanti alla seconda sezione. A processo andranno anche l’imprenditore Carlo Russo per millantato credito, Filippo Vannoni per favoreggiamento e il generale dei carabinieri Emanuele Saltalamaccia per favoreggiamento. Scafarto, oggi prosciolto, era accusato di rivelazione del segreto, falso e depistaggio. Accusa, quest’ultima, caduta anche per il colonnello dell’Arma, Alessandro Sessa anch’egli prosciolto. Il procedimento è legato al filone di indagine relativo alla fuga di notizie sul fascicolo che era stato avviato dai pm di Napoli sul maxiappalto Consip. Davanti ai giudici della seconda sezione penale del tribunale, Lotti risponderà del reato di favoreggiamento: secondo la procura, il 3 agosto del 2016 avrebbe rivelato all’allora ad di Consip Luigi Marroni “l’esistenza di una indagine penale che interessava gli organi apicali passati e presenti di quella società e, in particolare, di una attività di intercettazione telefonica sull’utenza in suo uso”. Circostanza sempre negata dall’ex ministro dello Sport (“Non potevo dire ciò che non sapevo”). Favoreggiamento e rivelazione di segreto sono i reati attribuiti al generale Del Sette che nell’estate del 2016, stando all’impostazione accusatoria, avrebbe informato Luigi Ferrara, all’epoca presidente di Consip, che c’era un’inchiesta penale sul conto dell’imprenditore campano Alfredo Romeo e di essere cauto “nelle comunicazioni a mezzo telefono”. Anche il generale Saltalamacchia dovrà fare i conti con l’accusa di favoreggiamento per aver rivelato nell’estate del 2016 a Marroni che la procura di Napoli indagava su Consip.
“Sono contentissimo, perché c’é finalmente la parola fine su questa vicenda. Oggi é un giorno bellissimo, si dal principio mi sono dichiarato estraneo a questa vicenda. Non guardo dietro, ma solo avanti”. Lo ha detto ai giornalisti il maggiore dei carabinieri, attuale assessore alla Legalità a Castellammare di Stabia, Gianpaolo Scafarto, prosciolto da tutte le accuse dal gup di Roma, Clementina Forleo nell’ambito della vicenda Consip.
La Procura di Roma ricorrerà contro la decisione della gup Clementina Forleo che ha prosciolto il maggiore Gian Paolo Scafarto, coinvolto nell’indagine Consip per i reati di rivelazione del segreto, falso e depistaggio, e l’ex colonnello del Noe Alessandro Sessa che rispondeva di depistaggio. È quanto si apprende da Nello stesso procedimento sono stati rinviati a giudizio l’ex ministro Luca Lotti, l’ex consigliere di Palazzo Chigi Filippo Vannoni, l’ex comandante generale dei carabinieri Tullio Del Sette, il generale dell’Arma Emanuele Saltalamacchia e l’imprenditore Carlo Russo.

Cronache della Campania@2019

Investì capitali dei Casalesi, il Pg chiede la conferma della condanna a 5 anni per Cosentino

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Casal di Principe. Reimpiego di capitali illeciti con l’aggravante mafiosa: il procuratore generale di Napoli, Carmine Esposito, chiede la conferma della condanna di primo grado per l’ex sottosegretario all’Economia Nicola Cosentino condannato in primo grado a 5 anni nell’ambito del processo denominato ‘Il principe e la scheda ballerina’. Il politico del Pdl fu condannato dal tribunale di Santa Maria Capua Vetere in relazione al finanziamento da cinque milioni di euro per la costruzione di un centro commerciale a Casal di Principe, denominato “Il Principe”, voluto secondo l’accusa dal clan dei Casalesi, ma mai realizzato. Il pg ha chiesto la conferma della sentenza di primo grado anche per gli altri venti imputati. L’indagine realizzata dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Napoli portò nel dicembre 2011 all’arresto di quasi 50 persone, non solo per la realizzazione del centro commerciale, ma anche per voto di scambio in relazione alle elezioni comunali di Casal di Principe del 2007 e del 2010. In cella finirono alcuni politici, tra cui l’ex sindaco di Casal di Principe Cipriano Cristiano, già condannato insieme ad un’altra quarantina di imputati. Oggi ha discusso uno dei legali di Cosentino, Stefano Montone, che ha chiesto l’assoluzione dell’ex politico, sperando che accada quanto avvenuto in un altro processo d’appello in cui era coinvolto Cosentino, quello cosiddetto “Carburanti”, in cui l’ex coordinatore del Pdl è stato assolto dopo aver preso una condanna in primo grado a 7 anni e mezzo. Si tornerà in aula il 19 novembre per il prosieguo delle discussione degli avvocati degli imputati.

Cronache della Campania@2019

Resta in carcere il manager russo detenuto a Poggioreale per spionaggio: la decisione della Corte d’Appello di Napoli

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Napoli. L’ottava sezione penale della Corte di Appello di Napoli, presieduta da Giovanna Grasso, si è pronunciata contro l’istanza di scarcerazione presentata dai legali del manager russo Aleksandr Korshunov (avvocati, Nicola Di Mario, Natale Perri e Carlo Cornicchia) arrestato alla fine dello scorso agosto dalla polizia italiana, appena dopo il suo arrivo nell’aeroporto di Capodichino con un visto turistico, in quanto accusato di spionaggio industriale dall’Fbi. A confermare la misura cautelare del carcere è stato il collegio giudicante composto da Rosa Maria Caturano (presidente), da Mario Roberto Gaudio (giudice relatore) e da Carlo Alifano. Secondo le indagini dell’Fbi, Korshunov (dirigente della società russa per la produzione di motori Odk) si sarebbe appropriato di informazioni coperte da segreto che riguardano la realizzazione del componente di un propulsore a reazione che la società Avio Aero progetta e produce per conto dell’americana General Electric Aviation System.

Cronache della Campania@2019

Partite truccate con il clan della Vanella Grassi: in aula testimonia l’ex procuratore di Izzo

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Sentito come teste in aula a Napoli l’ex procuratore del calciatore Armando Izzo, accusato di concorso esterno in associazione camorristica e frode sportiva per aver favorito il clan di camorra della Vanella Grassi che puntava a manipolare partite dove il calciatore giocava da titolare. Izzo ha legami di parentela con alcuni affiliati e secondo la tesi della Procura di Napoli sarebbe stato contatto per combinare alcune partite sulle quale la camorra aveva scommesso. A testimoniare è stato Paolo Palermo, interrogato dal pm della Dda Maurizio De Marco, che ha chiesto all’ex procuratore il motivo per il quale Izzo avesse lasciato l’Avellino. Il teste ha sostenuto che la ragione era legata a problemi di spogliatoio, tesi che invece, secondo l’accusa, non coinciderebbe con quanto emerso invece dalle intercettazioni. Conversazioni nelle quali Palermo, tra le altre cose, appare piuttosto arrabbiato dal fatto che il difensore continuasse a mantenere rapporti con una certi personaggi dai quali, invece, lui, più volte lo aveva invitato a restare lontano. Il legale di Izzo, Rino Nugnes, durante il controesame, ha invece chiesto a Palermo di descrivere Armando Izzo come uomo. L’ex procuratore, che conosce il calciatore dall’eta’ di 16 anni, ne ha descritto, tra le altre cose, il basso livello di istruzione, aspetto questo che lo stesso Izzo ha rimarcato in una lettera: “Sono ignorante ma sono onesto”.
Un aspetto, quest’ultimo, rimarcato dal presidente della giuria: “E’ risaputo che gli spogliatoi non sono certo la Sorbona”. La prossima udienza, davanti alla sesta sezione penale del Tribunale di Napoli è in programma il 17 ottobre.

Cronache della Campania@2019

Fallimento Gesema: avviso di conclusione indagini a ex amministratori e tecnici

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Avviso conclusione indagini a ex amministratori e tecnici per la vicenda di una bancarotta fraudolenta che interessa Gesema ambiente e patrimonio srl, società in house del comune di Mercato San Severino, nel Salernitano, il cui capitale sociale era interamente detenuto dell’ente territoriale. La srl è stata dichiarata fallita il 7 febbraio di due anni fa dal tribunale di Nocera inferiore. La società gestiva il servizio di raccolta dei rifiuti e la manutenzione del patrimonio comunale ed era sottoposta al controllo del Comune e beneficiaria di affidamento diritto dei servizi. Il sindaco, in base a un regolamento e a una delibera del Consiglio Comunale del 2009 aveva il ruolo di dominus e gestore della società, con rappresentanza all’interno dell’assemblea dei soci e potere di nomina di amministratori, collegio sindacale amministratore delegato. Le indagini hanno mostrato che dal 2010 Gesema aveva subito una significativa erosione del capitale sociale per mancati pagamenti proprio dal Comune, socio unico e unico fruitore dei servizi. Secondo gli inquirenti, l’ente territoriale scaricava sulla società i costi dell’erogazione dei servizi, facendole accumulare debiti, senza pagare i corrispettivi per i servizi e attribuirle le risorse necessarie per riportare il bilancio in equilibrio. I fondi risparmiati venivano impiegati per finalità diverse, dicono i pm, “verosimilmente dirette alla visibilità alla costruzione del consenso politico”. Una gestione che si è protratta per anni, falsificando anche scritture contabili fino al dissesto di Gesema determinato dal omesso versamento di imposte tasse e contributi con un accumulo di debito con il fisco per circa 2 milioni di euro. Inoltre ci sono stati contratti di factoring con cessioni di crediti non pagati, con un conseguente aggravio di costi, una ricapitalizzazione fittizia con il conferimento di immobili di proprietà dell’ente in cui c’erano scuole e che non potevano essere impiegati dalla Gesema. Sono poi state svendute partecipazioni ad altre società, generando una vicenda giudiziaria che e’ al centro di un procedimento pendente alla procura di Milano che ha chiesto il sequestro preventivo di due società. Tra le vicende oggetto di questa indagine della Guardia di finanza salernitana, anche la cessione a titolo gratuito in favore della Fondazione Teatro Comunale Mercato San Severino, che non ha mai ottenuto il riconoscimento di personalità giuridica e una iscrizione nel registro specifico del ramo di azienda costituito dalle beni materiali e immateriali del nuovo teatro comunale, e cioè la sala teatro, quella cinematografica, la sala conferenze, camerini e spogliatoi. In questo modo sono stati addossati alla società fallita i costi di gestione e le obbligazioni connesse al complesso aziendale ceduto.

Cronache della Campania@2019

Strage bus, gip Avellino: no a dissequestro delle barriere sull’A16

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La semplice riqualifica non e’ sufficiente, occorre che le barriere siano completamente sostituite. A queste conclusioni e’ giunto il gip del tribunale di Avellino Fabrizio Ciccone, che ha respinto l’istanza di dissequestro temporaneo delle barriere a bordo ponte dei 12 viadotti autostradali compresi nel tratto della A16 Napoli- Canosa tra i caselli di Baiano e Benevento. L’istanza era stata avanzata dai legali di Autostrade per l’Italia l’opera di riqualifica presentata con un progetto complessivo sulla rete da circa un miliardo di euro sarebbe sufficiente a consentire il dissequestro, mantenendo gli standard di sicurezza stradale. Una tesi che il gip ha respinto, anche alla luce del parere negativo espresso dai pm Rosario Cantelmo e Cecilia Annecchini, che conducono le indagini su i due filoni scaturiti dal processo per l’incidente del 2013, nel quale persero la vita 40 persone a bordo di un bus turistico che perse il controllo e precipito’ dal viadotto Acqualonga della A16. I due magistrati hanno acquisito documentazione presso il Ministero delle Infrastrutture senza trovare riscontri positivi e attivita’ di controllo sul piano di riqualifica presentato da Aspi. D’altro canto la societa’ concessionaria della rete autostradale insiste sull’efficacia dei sistemi di ancoraggio delle barriere. Un tema dibattuto a lungo e al centro di ben 4 perizie durante il processo per la strage del bus. In base alle decisioni del gip di Avellino, il dissequestro delle barriere con la riapertura delle carreggiate, interdette per motivi di sicurezza, puo’ avvenire solo con la sostituzione delle misure di protezione.

Cronache della Campania@2019


Accusati di traffico internazionale di droga: clamorosa assoluzione dell’Imprenditore Carlo Ceglia e di Rosaria Colombo di Montesarchio

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Il Tribunale di Benevento (Presidente Pezza, Giudice al latere Polito e Loffredo) accogliendo la tesi dell’Avv. Vittorio Fucci jr ha assolto l’Imprenditore Carlo Ceglia, di anni 45 , e Rosaria Colombo, di anni 27 entrambi di Montesarchio , che erano accusati il primo di spaccio aggravato di sostanze stupefacenti e la seconda di associazione per delinquere finalizzata a traffico internazionale di stupefacenti, per fatti commessi tra il 2013 e il 2016.Il Pubblico Ministero della Procura Distrettuale Antimafia aveva chiesto la condanna dell’Imprenditore Carlo Ceglia a 8 anni di reclusione e la condanna di Rosaria Colombo a 12 anni di reclusione.

Come si ricorderà Rosaria Colombo è la figlia del Boss Giovanni Colombo , che nell’ambito dello stesso procedimento, celebratosi davanti al Giudice dell’udienza Preliminare del Tribunale di Napoli con il rito abbreviato, era stato già condannato perché ritenuto il capo dell’associazione finalizzata al traffico internazionale di stupefacenti, operante tra la Spagna, il Marocco e le Province di Benevento ,Napoli e Avellino.Le indagini relative al procedimento portarono nel 2016 a decine di ordinanze di custodie cautelari in carcere, emesse dal Giudice dell’Indagini Preliminari di Napoli su richiesta della Procura Distrettuale Antimafia di Napoli , in ordine ai reati di spaccio aggravato di stupefacenti e associazione per delinquere finalizzata al traffico internazionale.Le Indagini, che portarono agli arresti, furono caratterizzate da intercettazioni telefoniche ed ambientali, da appostamenti dei Carabinieri e da dichiarazioni di tossico dipendenti.Con la sentenza di assoluzione Rosaria Colombo , difesa anch’essa dall’Avvocato Vittorio Fucci jr, è tornata in libertà dopo circa 3 anni durante i quali ha subito prima la custodia cautelare in carcere e poi gli arresti domiciliari.

Cronache della Campania@2019

Caso Consip, la confessione di Romeo: ‘Sono finito nel tritacarne mediatico per colpire Renzi’

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“Sono stati fatti danni a me e alle mie aziende nel tentativo sotteso, ma palese, di danneggiare Renzi”. Lo dice Alfredo Romeo l’imprenditore napoletano coinvolto indirettamente ma di fatto all’origine del cosiddetto caso Consip e la ‘fuga di notizie’ con la recente decisione del gup Clementina Forleo che ha disposto 5 rinvii a giudizio (Lotti, Del Sette, Saltalamacchia, Russo e Vannoni) e 2 proscioglimenti (Scafarto e Sessa). “Si è capito veramente – si sfoga Romeo – che cosa è la vicenda Consip? C’e’ qualche giornalista che abbia davvero approfondito le carte al di là delle indiscrezioni delle Procure, e abbia dipanato i lati oscuri – ancora tanti – che si possono intra-leggere nei documenti? Detto cio’, potrei dirle quali danni sono stati fatti a me e alle mie aziende nel tentativo sotteso, ma palese, di danneggiare Renzi e la sua leadership. Infatti le suggerirei di fare a lui la stessa domanda: magari la sua risposta avrebbe più senso e significato per capire come stanno le cose”. “Io – ricorda Romeo rispondendo ad una domanda sui 60 mila euro di finanziamenti a Renzi – ho sempre finanziato, apertamente e in forma ufficiale, la politica. Ritengo che sia una indispensabile forma di supporto alla democrazia e alla dialettica politica, percé senza una buona politica non si può fare una buona impresa. Quando ho affermato che sono stato ‘mal ripagato’ per aver visto con favore il vento di rinnovamento che Renzi voleva portare nel Pd, dico una cosa evidente: quel mio contributo a una ventata di giovinezza nella arcaicità delle dinamiche di quel partito, è stata usato per spacciarmi per un ‘cacciatore di favori'”. “Nessuno ha mai detto – sottolinea Romeo – che quel contributo fu dato quando Renzi non era ancora sostanzialmente nessuno, non aveva potere reale, e stava cercando di dare concretezza a istanze che nascevano dai girotondi e da voci come quella di Nanni Moretti che aveva gridato: ‘con questa classe dirigente non vinceremo mai!!’. Ricordate? Strumentalmente, quell’imprenditore che finanziò giovinezza, entusiasmo ed energie forse utili al paese, è stato poi descritto come un postulante alla corte di Renzi. Il quale, come ho detto, mi ha pubblicamente rinnegato su Report, assecondando il pregiudizio e non la verità”, chiosa Romeo. “Sono finito nel tritacarne perché ero strumentale per portare un attacco politico alla leadership di Matteo Renzi da una parte, mentre dall’altra mettermi alla gogna serviva a tenere lontani i riflettori dal vero marcio di Consip”. Il “vero marcio di Consip”, spiega Romeo, “era stato da me denunciato negli esposti, e cioè il cartello di aziende che era contro di me, e non mosso da me, come risulterebbe evidente se le carte fossero lette con attenzione”. Nelle maglie del cosiddetto caso Consip, aggiunge l’imprenditore, “c’è un risvolto politico che mi coinvolge, o meglio mi travolge strumentalmente. Sarebbe interessante, infatti, capire che cosa si intenda per caso Consip. Tutte le cose di cui sono accusato sul fronte delle gare, infatti, sono state denunciate da me con esposti che hanno avuto seguito solo quando il sottoscritto era finito nel tritacarne”.
Uno “sguardo ‘favorevole'” per il quale “sono stato mal ripagato”. Romeo sostiene che “per gettare quelle ombre usano sistematicamente il mio nome. Si vedano i giornali di Travaglio e Belpietro in particolare: si potrà verificare, infatti, che c’è stata una recrudescenza di articoli su di me e sui miei presunti incroci con il papà di Renzi a cavallo della scelta di fare una scissione nel Pd. Il Fatto, la Verità, sparano su di me che sono la Croce Rossa, per sparare ‘missili stampa-Renzi’, contro un uomo che con abilità tutta politica è ritornato al centro della scena e potrà determinare infinite azioni future del governo, e non solo”.

“Le mie aziende sono state rivoltate come calzini in questi anni e non è stato trovato uno spillo fuori posto. Migliaia di pagine di analisi, indagini e controlli incrociati dimostrano che il Gruppo è sano e opera correttamente sul piano amministrativo, fiscale e contrattuale. Dunque noi continuiamo a lavorare con pieno diritto e trasparenza non solo con enti pubblici in Campania, ma in tutta Italia”. “Lì dove ci sono stati dei rallentamenti – spiega Romeo – è perché alcuni committenti, con iniziative arbitrarie e del tutto temerarie, hanno tentato di agire in nostro danno, senza che ci fosse una ragione di diritto o di fatto che potesse avallare quelle stesse iniziative. Con la forza della ragione, del buon titolo e del diritto, ci siamo opposti e chiederemo i danni. Anche su questo fronte sono sereno”. Romeo sottolinea però che “questa autodeterminazione sregolata, fondata su presupposti errati e senza rispetto delle regole e delle controparti, provoca danni spaventosi, Non solo alle aziende, ma al sistema economico in generale, che perde le tutele e gli automatismi di garanzia per far funzionare il sistema dell’impresa e del lavoro, mettendo a rischio migliaia di posti di lavoro, con una indifferenza alla vita delle persone e dell’apparato produttivo che lascia esterrefatti”. Nel caso Consip “c’è un reo confesso, Marco Gasparri, che mi chiama in correità nel tentativo di capire i meccanismi delle gare Consip. Anche qui i riscontri alle accuse di Gasparri sono nulli, ma negli atti i giudici già potrebbero individuare l’assoluta inaffidabilità di quel signore”. Alla “inaffidabilità” dell’ex dirigente di Consip Marco Gasparri, secondo Romeo, andrebbero aggiunte le “manipolazioni evidenti delle indagini: non dimentichiamo che questo filone di inchiesta è stato tolto al pm Woodcock che l’aveva avviato e al suo fedelissimo, ma a dir poco sciatto, maggiore Scafarto”. Questo, sottolinea l’imprenditore, “dovrebbe indurre i giudici a considerare con angolazione diversa tutta la vicenda. E se si fa la ricostruzione del presunto ‘scandalo’, si rimane basiti dall’inconsistenza dell’impianto accusatorio. Ma – conclude – ci vorrebbe una giornata a descriverlo”.

Cronache della Campania@2019

Napoli, il boss ‘regala’ un neonato a un proprio affiliato

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Napoli. Un capoclan avrebbe ‘regalato’ un neonato a un proprio affiliato, versandogli i 10mila euro necessari per pagare una donna dell’est europeo disposta a cedere il frutto di una sua gravidanza. La vicenda, raccontata oggi dal quotidiano “Il Mattino”, emerge da una delle inchieste della Dda di Napoli sulle cosche della zona orientale della citta’. Il boss, secondo quanto riferisce il giornale, sarebbe accusato di falso e alterazione di stato civile, aggravati dal fine mafioso. Avrebbe agito, scrive il gip, per “fornire la dimostrazione sul territorio della forza della propria organizzazione, tanto da mostrarsi in grado di procurare un figlio a uno dei suoi affiliati”. Una vicenda che, scrive il magistrato, e’ indice “dell’esistenza di un contesto criminale organizzato, avente a oggetto un traffico illegale di bambini che, trovando avallo nelle dichiarazioni rese da collaboratori di giustizia e da altre fonti investigative, appare suscettibile di un approfondimento investigativo”. Insomma, la procura partenopea è ancora al lavoro e non si escludono ulteriori sviluppi.

Cronache della Campania@2019

Chiuse le indagini sugli abusi sessuali e violenza domestica su una bimba di 5 anni: indagata un’intera famiglia

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Una intera famiglia, rischia il processo per violenza sessuale aggravata e maltrattamenti nei confronti di una bambina di 5 anni: la Procura di Salerno ha infatti chiuso le indagini nei confronti del padre e della madre della piccola, del fratellastro e della moglie. I quattro furono arrestati nel gennaio scorso dai carabinieri della compagnia di Salerno in collaborazione con i militari dell’Arma di Amalfi e Nocera Inferiore: nei confronti del padre della bambina, un uomo di 62 anni, la Procura dispose la custodia cautelare in carcere, mentre per gli altri tre indagati, la madre della piccola, il fratellastro e sua moglie, fu disposta la custodia cautelare agli arresti domiciliari.
Le indagini di magistrati e carabinieri sui presunti maltrattamenti avvenuti all’interno del nucleo familiare ai danni della bambina iniziano nel 2017: la piccola sarebbe stata oggetto di violenza sin dall’età di 5 anni. la piccola fu trivata malnutrita e costretta a vivere in un ambiente degradato e costretta anche ad eseguire faccende domestiche a badare alla sorellina più piccola. Come se non bastasse, c’è anche la violenza fisica: oltre a botte e percosse, la piccola era sottoposta anche a veri e propri abusi sessuali, non solo da parte dei genitori, ma anche del fratellastro e della moglie, tra l’altro questi ultimi due già gravati da una misura cautelare di obbligo di dimora.

Cronache della Campania@2019

Napoli, mancano le autorizzazioni alle intercettazioni: assolti e scarcerati i Casella. Fuochi d’artificio a Ponticelli

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Napoli. Le autorizzazioni per i decreti di intercettazione erano solo per le telefonate. Tutta l’inchiesta si reggeva, invece, su quando il boss Giuseppe Casella diceva in casa con i fratelli Eduardo e Vincenzo, con la moglie e gli affiliati. Così il gup del tribunale di Napoli Enrico Campoli li ha assolti per non aver commesso il fatto e scarcerati nonostante le dichiarazioni di tredici collaboratori di giustizia, le conversazioni captare in casa, le intercettazioni in carcere. Nulla che potesse confermare l’esistenza del clan. Eppure il pm della Dda aveva chiesto per tutti pene superiori ai dieci anni e per i tre fratelli 20 anni a testa. Quando ieri mattina la notizia è arrivata dal Tribunale fino al quartiere d’origine sono stati esplosi fuochi d’artificio e per tutta la notte a Ponticelli è stata festa. Tredici scarcerazioni, come anticipato stamane dal quotidiano Il Roma, che adesso mettono a repentaglio l’equilibrio criminale di questi mesi nella zona orientale di Napoli. Sono stati gli avvocati a dimostrare che il giudice, in fase preliminare, aveva autorizzato le intercettazioni solo per le telefonate e non per gli ambienti. Oltre alla casa era stata piazzata una microspia anche nell’auto del boss. Ordini agli affiliati, divisione dei soldi, gambizzazioni e sparatorie ai nemici dei De Micco. C’era tutto nelle pagine che hanno riempito l’ordinanza firmata ad ottobre del 2018 dal gip Egle Pilla. Mancavano i decreti. Ora sono tutti liberi.

Cronache della Campania@2019

‘Devi metterti apposto con gli amici di Sant’Antimo’, preso esattore del pizzo

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Nell’ambito di un’indagine coordinata dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Napoli, i Carabinieri della Compagnia di Giugliano in Campania hanno dato esecuzione ad una ordinanza di custodia cautelare in carcere, emessa dal Tribunale di Napoli, nei confronti di un soggetto di Sant’Antimo ritenuto responsabile del reato di tentata estorsione aggravata dal metodo mafioso.
Le indagini, che scaturivano dalla denuncia presentata da un imprenditore titolare di una società edile, sono state condotte dai militari della Sezione Operativa che, attraverso numerosi servizi di osservazione e controllo e, soprattutto grazie alle testimonianze di alcuni operai della ditta, riuscivano ad identificare l’uomo che è ritenuto vicino ai gruppi criminali organizzati operanti su Sant’Antimo, Casandrino e Grumo Nevano.
L’arrestato, nel mese di maggio, si era presentato, unitamente ad un complice in fase di identificazione, sul cantiere dei lavori di rifacimento del manto stradale che la ditta stava facendo per conto del comune di Casandrino, intimando la sospensione del lavori per la regolarizzazione del pagamento estorsivo da effettuarsi “agli amici di Sant’Antimo”.
La ditta, con sede legale a Quarto, aveva vinto una gara di appalto dell’importo di circa 90 mila euro per il ripristino dell’asfalto e l’apposizione della segnaletica stradale di un tratto di strada del centro cittadino.

Cronache della Campania@2019

Il legale di Zagaria in aula: ‘A Casapesenna nessun condizionamento’

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“A Casapesenna non c’è stato alcun condizionamento della camorra, e Michele Zagaria va assolto perche’ non ha mai dato alcun ordine contro l’ex sindaco Giovanni Zara”. Lo ha detto al tribunale di Santa Maria Capua Vetere l’avvocato Paolo Di Furia, legale del boss dei Casalesi detenuto al 41bis al carcere di Tolmezzo, nel corso dell’arringa tenuta al processo in cui Zagaria è imputato insieme all’ex sindaco di Casapesenna Fortunato Zagaria (i due sono solo omonimi) e all’ex consigliere Luigi Amato per violenza privata con l’aggravante mafiosa commessa ai danni di un altro ex primo cittadino di Casapesenna, Giovanni Zara. Il processo, giunto alle battute conclusive, nacque proprio dalla denuncia di Zara alla Dda di Napoli, relativa ai condizionamenti e alle minacce subite mentre era sindaco del paesino del Casertano dove è nato e cresciuto e ha trascorso parte della sua latitanza il boss Michele Zagaria; una carica ricoperta per meno di dodici mesi, da aprile 2008 a febbraio 2009, quando fu sfiduciato dalla maggioranza dei consiglieri comunali perché si era messo apertamente contro il boss. Per la Dda di Napoli, i condizionamenti e le minacce sarebbero stati ordinati dal boss ed eseguiti dal vice-sindaco di Zara, Fortunato Zagaria, che prima del 2008 era stato sindaco di Casapesenna per 10 anni, e lo sarà poi per altri dodici mesi, fino all’arresto del 2010, in seguito alla caduta di Zara; per gli inquirenti Fortunato Zagaria, cui nel corso del processo è stato contestato il reato di concorso esterno in camorra, era la longa manus del boss a Casapesenna. Zara invece, una volta eletto, iniziò a svolgere una concreta azione anticamorra, partecipando a manifestazioni contro i clan, appellandosi più volte, attraverso interviste, alle forze dell’ordine perché catturassero il boss Zagaria, allora latitante; condotte che a Fortunato Zagaria e al boss non piacquero, tanto che Zara fu minacciato dal suo vice allo stadio di Casapesenna di “fare la fine di Antonio Cangiano”, ex assessore gambizzato nel 1989 e poi morto sulla sedia a rotelle. “Non c’é la prova oggettiva che Michele Zagaria abbia dato ordine a Fortunato Zagaria di minacciare Zara. Casapesenna non era controllato dal clan, lo dicono ufficiali di polizia giudiziaria sentiti nel processo. Per questo va assolto”, ha concluso l’avvocato.

Cronache della Campania@2019


Affari in Romania: due condanne nel Salernitano

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I movimenti finanziari effettuati in Romania avevano insospettito le autorita’ locali che, con una rogatoria, chiesero informazioni all’Italia. Nove anni dopo i giudici della seconda sezione penale del Tribunale di SALERNO (presidente Lucia Casale) hanno condannato a 13 anni Liberato Marcantuono, ed a 7 anni il suo piu’ stretto collaboratore Albino Lardo. Il primo e’ stato ritenuto colpevole di usura (due gli episodi contestati), esercizio abusivo di attivita’ finanziaria, associazione per delinquere e intestazione fittizia di beni con l’aggravante della transnazionalita’. Il secondo e’ stato condannato per associazione per delinquere e intestazione fittizia di beni. Le indagini, coordinate all’epoca dal pm Antonio Centore (ora alla guida della Procura di Nocera Inferiore e sostituito dal collega Francesco Rotondo), furono effettuate dai carabinieri del Ros con il coordinamento internazionale dell’ufficio di cooperazione giudiziaria Eurojust. Gli investigatori, dopo aver ricevuto la richiesta di rogatoria internazionale proposta dall’autorita’ giudiziaria romena, avviarono intercettazioni telefoniche sia in Italia che in Romania, effettuando anche varie trasferte nel paese balcanico. Indagini iniziate nel 2010 e che, grazie agli elementi raccolti, dopo due anni portarono all’arresto di sei persone. Per due di queste il Tribunale di SALERNO ha emesso condanne di primo grado al termine di un lungo e complesso dibattimento, mentre le altre posizioni erano gia’ state definite.

Cronache della Campania@2019

Napoli, il killer del clan Amato-Pagano è latitante a Dubai: il processo non può iniziare

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Napoli. E’ ritenuto un killer, colpevole di avere ucciso Andrea Castello, braccio destro del boss Mariano Riccio, e di avere ferito il guardaspalle Ruggiero Castrese, ma non c’e’ la prova giuridica che sappia di essere imputato per quei fatti e il processo a suo carico non puo’ iniziare. Si e’ concluso con un rinvio, all’8 aprile 2020, nell’aula 115 del Tribunale di Napoli, il dibattimento che vede alla sbarra Raffaele Mauriello, 23 anni, latitante da un anno. Per il pm antimafia Vincenza Marra, che ne ha chiesto l’estradizione, Mauriello si trova a Dubai. Oggi dovevano essere ascoltati 5 agenti di polizia giudiziaria e un consulente tecnico ma a causa di un difetto di notifica il presidente del collegio giudicate, Giuseppe Provitera (prima sezione Corte di Assise), ha rinviato e disposto nuove ricerche. L’agguato risale al 14 marzo 2014 a Casandrino, durante la faida intestina degli Amato-Pagano. Da ormai 5 anni non si puo’ piu’ procedere in contumacia e il processo a questi punto potrebbe non iniziare mai

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Scambio di voto politico-mafioso, i pentiti scafatesi Ridosso e Tammaro parlano dei ‘politici’ Paolino e Aliberti

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Scafati. Pentiti in aula al processo Aliberti + altri che si sta celebrando al Tribunale di Nocera Inferiore per scambio di voto politico mafioso. Stamane in videoconferenza due collaboratori di giustizia le cui dichiarazioni erano state acquisite nel corso delle indagini. E’ stato sentito – dopo il consenso all’acquisizione dei verbali – Romoletto Ridosso, uno dei capi della vecchia guardia del clan Ridosso-Loreto, al quale sia i difensori che il pm hanno fatto delle domande ulteriori per chiarire quanto aveva già raccontato al pm dell’antimafia che lo aveva ascoltato in merito alla campagna elettorale per le elezioni Regionali fatta a favore di Monica Paolino, moglie dell’ex sindaco Pasquale Aliberti. Ridosso ha confermato di aver promosso la candidatura dell’allora candidata di Forza italia poi eletta. “Avevo i bigliettini – ha detto – era nel 2013”. Poi, ha corretto il suo ricordo sostenendo che l’anno poteva essere il 2014. I difensori, in particolare l’avvocato Cardiello per Monica Paolino, hanno chiesto più volte al testimone di ricordare in quali paesi avesse promosso la candidatura della candidata e Ridosso ha in sostanza confermato quanto già dichiarato ‘Pompei, S. Maria la Carità, Marcianise’, paesi del napoletano e del casertano dunque che non coincidono con il collegio in cui la moglie di Aliberti era candidata. Una circostanza che la difesa degli imputati ha sempre sottolineato per ribadire l’inattendibilità del collaboratore Romolo Ridosso. L’ex ras, ora pentito, su richiesta dell’avvocato Roberto Acanfora ha anche ribadito che Andrea Ridosso, suo nipote, era estraneo al contesto malavitoso del clan tanto da essere definito ‘lo straniero’ dagli stessi componenti della sua famiglia.
Chiamato a ricordare la sua conoscenza con l’ex sindaco Pasquale Aliberti anche uno dei vecchi pentiti della camorra scafatese, Saverio Tammaro ‘o principe. Tammaro ha ricordato di aver incontrato Aliberti, in un’occasione, davanti ad un bar. Era la fine degli anni ’90, inizio degli anni 2000. A presentarglielo fu uno dei Ridosso. Tammaro si ricordava di un Aliberti-giornalista che era entrato in politica. Dopo la dichiarazione del collaboratore di giustizia Pasquale Aliberti ha reso una brevissima dichiarazione spontanea sostenendo di essere stato candidato per la prima volta nel 2003 e di essere stato eletto consigliere nell’opposizione, prima di allora non aveva mai fatto politica.
Il processo continuerà il 9 gennaio prossimo in quell’occasione saranno ascoltati gli ultimi tre collaboratori della lista testi del pubblico ministero: Luigi Cassandra e Antonio Iovine del clan dei Casalesi e Andrea Spinelli. Col nuovo anno si registreranno alcuni cambiamenti, già annunciati oggi: il pubblico ministero che seguirà il processo sarà Silvio Marco Guarriello della Dda che sostituisce Vincenzo Montemurro, il sostituto che ha seguito tutta la fase delle indagini ed inoltre vi sarà anche un cambio al vertice del collegio giudicante. Il presidente Raffaele Donnarumma lascerà Nocera Inferiore per un altro incarico e sarà sostituito. Rimarranno intatte nel fascicolo dibattimentale le prove e le testimonianze già acquisite nel corso delle udienze che si sono celebrate fino ad ora.

Cronache della Campania@2019

Napoli, appalti al Cardarelli: al processo scontro sulle intercettazioni

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Il prossimo 2 dicembre sarà un giorno importante per il processo sui presunti appalti truccati all’ospedale Cardarelli di Napoli. Il giudice del collegio C della prima sezione penale del Tribunale, Antonia Napolitano Tafuri, si dovrà pronunciare riguardo l’utilizzabilità di tantissime intercettazioni che sono state captate con un virus spia, il cosiddetto trojan, inoculato nei telefoni degli indagati. L’indagine riguarda anche le infiltrazioni della camorra negli appalti del nosocomio, ed è imputato tra gli altri (non per associazione a delinquere) l’imprenditore Alfredo Romeo. Sono stati proprio i suoi legali Alfredo Sorge, Gianbattista Vignola e Francesco Carotenuto a sollevare l’eccezione di inutilizzabilità del virus spia, così come risultato anche da un recente pronunciamento della Corte di Cassazione. I pm, Celeste Carrano e Francesco Raffaele, hanno ribattuto punto su punto alle eccezioni. Le intercettazioni riguardano conversazioni captate negli uffici romani e napoletani dell’imprenditore Romeo ma non solo. Il virus spia, infatti, era su disposizione degli inquirenti anche nei telefoni di altri due indagati nell’ambito dello stesso procedimento. Le intercettazioni riguardano conversazioni captate negli uffici romani e napoletani dell’imprenditore Romeo ma non solo. Il virus spia, infatti, venne inoculato su disposizione degli inquirenti anche sui telefoni di altri due indagati.

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Violentò e minacciò con una pistola la moglie che aveva scoperto i suoi abusi su alcune prostitute: a processo 36enne di Scafati

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Scafati. Violentava e picchiava le prostitute e quando la moglie lo scoprì cominciò ad abusare anche di lei. Al via il processo per V. V., 36enne scafatese, accusato di violenza sessuale, maltrattamenti, minacce, lesioni, ai danni dell’ex moglie. Domani mattina è prevista la prima udienza del processo dinanzi ai giudici di Nocera Inferiore – presidente Russo Guarro – a carico dell’uomo – detenuto per detenzione di stupefacenti – e con gravi precedenti per violenza sessuale e lesioni. A denunciarlo, l’ex moglie una giovane donna scafatese, che dopo aver scoperto che il marito era stato protagonista di gravi episodi ai danni di alcune prostitute nel napoletano comincia a subire le stesse violenze. L’uomo infatti è stato condannato, in primo grado a 12 anni di reclusione, dimezzati a sei anni in secondo grado, per violenza sessuale e lesioni ai danni di alcune donne. Fatti avvenuti nel 2011 in cui l’uomo era coinvolto insieme ad altri giovani e di cui la donna non aveva saputo nulla. 
Venuti alla luce i gravi trascorsi, la donna – madre di due bambini – aveva subito le stesse violenze tra il luglio del 2017 e il febbraio del 2018. Spaventata dal marito che in alcune occasioni l’aveva anche aggredita, malmenata e minacciata con una pistola era stata salvata dal suo arresto per detenzione di un grosso quantitativo di stupefacenti. A quel punto si è decisa a denunciare anche quanto aveva subito. Domani, inizierà il processo a carico del 36enne e la donna – costituitasi parte civile con l’avvocato Roberto Acanfora – potrebbe essere già sentita dai giudici nocerini. (r.f.)

Cronache della Campania@2019

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