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Channel: Cronaca Giudiziaria
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Colpì a martellate un cliente del bar: condannato a 7 anni

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carcere-

Ferì, per futili motivi, con tre colpi di martello alla testa un cliente in un bar di Parete . La Cassazione, al termine di un lungo procedimento durato diversi anni, ieri, ha condannato in via definitiva a sette anni di carcere, Paolo Della Corte 50 anni di Aversa per tentato omicidio ai danni di Raffaele Di Sarno di Parete. Gli ‘ermellini’ hanno respinto il ricorso presentato dalla difesa dell’imputato, attualmente a piede libero, riconoscendo le ragioni della parte civile. Di Sarno stava chiacchierando con la barista di un noto locale a Parete, quando fu la vittima della brutale aggressione, finì in ospedale ad Aversa con un grave trauma cranico.

Cronache della Campania@2019


Clan Belforte: chiesti 109 anni di carcere per il gruppo di Giovanni Capone

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Nove condanne. Questa la richiesta del pm Luigi Landolfi nei confronti di altrettanti imputati, che hanno scelto di affrontare il processo con rito abbreviato, coinvolti nella maxi inchiesta sull’affissione elettorale e la compravendita di voti oltre che per lo spaccio di droga nel capoluogo.
Il pubblico ministero della Dda ha invocato 20 anni per Giovanni Capone, considerato il referente del clan Belforte sul capoluogo; 14 anni per Antonio Merola; 16 anni per Antimo Italiano; 16 anni per Vincenzo Rea; 4 anni e 9 mesi per Ferruccio Coppola; 10 anni per Mario De Luca, di Casal di Principe; 9 anni per Modestino Santoro; 8 anni per Virginia Scalino; 6 anni per Clemente Vergone.
Il giudice Marro del tribunale di Napoli ha rinviato per le discussioni dei difensori degli imputati all’inizio di ottobre. Nel collegio difensivo sono impegnati gli avvocati Nello Sgambato, Gaetano Laiso, Davide De Marco, Alessandro Diana, Domenico Antonucci e Giuseppe Foglia.
Secondo l’accusa Giovanni Capone, all’epoca detenuto, utilizzando dei “pizzini” aveva dato precise disposizioni al fratello Agostino affinché si occupasse dell’affissione dei manifesti elettorali nella città di Caserta per le regionali del 2015. Quest’ultimo, avvalendosi della collaborazione materiale di Vincenzo Rea, Antimo Italiano, Antonio Merola e Antonio Zarrillo, avrebbe imposto ai candidati di fare riferimento alla società di servizi “Clean Service”, intestata alla moglie di Agostino Capone, Maria Grazia Semonella. L’imposizione avveniva sia con intimidazioni esplicite, come captato nel corso delle intercettazioni, sia attraverso minacce rivolte ai singoli soggetti sorpresi ad affiggere i manifesti a tarda notte, sia coprendo i manifesti affissi senza ricorrere alla loro società, facendo poi arrivare il messaggio che tale inconveniente non si sarebbe verificato se si fossero rivolti alla loro ditta. Nel corso delle indagini sono state captate anche conversazioni che hanno permesso di ricostruire un giro di sostanze stupefacenti nel capoluogo.

 Gustavo Gentile

Cronache della Campania@2019

Pizzo ai commercianti della Valle Caudina: torna in libertà D’Onofrio

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IL Giudice delle Indagini Preliminari, presso il Tribunale di Benevento, accogliendo l’istanza dell’Avv. Vittorio Fucci jr, ha revocato la misura cautelare dell’obbligo di dimora nei confronti di Claudio D’onofrio di 30 anni, di Arpaia, rimettendolo in libertà. D’onofrio, unitamente ad un’altra persona, fu arrestato dai Carabinieri il 26/06/2018, su ordinanza di custodia cautelare del GIP presso il Tribunale di Benevento, e sottoposto alla misura degli arresti domiciliari, perché ritenuto presuntivamente responsabile di due episodi di estorsione aggravata, violenza privata e furto aggravato ai danni di due esercizi commerciali di Montesarchio e S. Martino Valle Caudina, nonché perché ritenuto presuntivamente responsabile di detenzione illegale di armi, avendo presuntivamente utilizzato una pistola per esplodere dei colpi all’indirizzo di una persona che era a bordo di un’autovettura nel territorio del Comune di Airola. Successivamente la misura degli arresti domiciliari fu sostituita con quella dell’obbligo di dimora, che oggi il GIP ha revocato rimettendo in libertà il D’onofrio.

Cronache della Campania@2019

Why Not, i legali di de Magistris: ‘Attendiamo le motivazioni della Cassazione’

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“E’ necessario poter leggere la integrale motivazione prima di commentare la decisione”. Lo scrivono in una nota i legali del sindaco di Napoli, Luigi de Magistris, Elena Lepre e Stefano Montone, riferendosi alla sentenza con la quale la Cassazione ha annullato senza rinvio quella della Corte di Appello di prescrizione dal reato di abuso per gli ex vertici della procura di Catanzaro in merito alla revoca e all’avocazione di due inchieste (Why Not e Poseidon) all’allora pm de Magistris. “La Suprema Corte ben potrebbe aver comunque riconosciuto il buon diritto di Luigi de Magistris di adire il Giudice Civile per il ristoro dei danni da lui subiti in conseguenza di operazioni che la Corte di Appello di Salerno, con una ricostruzione del fatto e un giudizio storico sul merito (giudizio che, invece, la Cassazione non poteva effettuare, essendo giudice non del fatto ma della sola legittimita’ formale della sentenza), ha definito essere illegali. E quella ricostruzione di merito, quel giudizio sul fatto, rimangono e rimarranno, quale che sia la valutazione che sul piano formale possa aver svolto la Cassazione – aggiungono – del resto, contrariamente a quanto riportato da taluni in modo erroneo, la sentenza di primo grado aveva assolto gli imputati dalla accusa di corruzione in atti giudiziari non essendovi prova di passaggio di denaro o altre utilita’, ma non aveva affatto sancito la legittimita’ dei provvedimenti di revoca e di avocazione dei quali, anzi, aveva evidenziato consistenti criticita’. Non rimane dunque che attendere, sottraendosi alla tentazione di chiosare una decisione che dovra’ essere letta e analizzata nella sua compiuta integralita’”.

Cronache della Campania@2019

Processo voto di scambio Acerra: l’appello sarà fissato prima della prescrizione

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Acerra. Sarà fissato prima che sopraggiunga la prescrizione (prevista a novembre) il processo di secondo grado sul presunto voto di scambio ad Acerra, risalente alle elezioni del 2012, il cui fascicolo è, al momento, irreperibile: la Corte di Appello di Napoli, infatti, con l’ausilio degli atti in possesso degli avvocati e del pubblico ministero, e delle registrazioni delle udienze, sta ricostruendo tutta la documentazione del processo di primo grado, celebrato nel Tribunale di Nola , e conclusosi con la condanna (10 mesi con la condizionale) di un imprenditore ed ex consigliere comunale. Affronteranno l’Appello anche due dipendenti dell’imprenditore, uno condannato a 4 mesi mentre l’altro ha patteggiato una pena di sei mesi. Si tratta, comunque, di un procedimento giudiziario non prioritario in quanto riguarda imputati non detenuti. Secondo quanto si apprende, la fase di ricostruzione degli atti, peraltro, è a buon punto: per quanto riguarda i verbali si farà ricorso alla ditta che ha assicurato la stenotipia. A segnalare lo smarrimento del fascicolo, la cui ricerca negli stracolmi archivi sta continuando, è stata la dirigente della quinta sezione della Corte di Appello.

Cronache della Campania@2019

Ferisce madre e la sorella con delle forbici: giudizio immediato per un 50enne dopo l’ennesima violenza

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Giudizio immediato per un 50enne di Piedimonte Matese che, lo scorso mese di marzo, aveva aggredito la madre e la sorella con un paio di forbici. La prossima settimana l’uomo dovrà presentarsi, accompagnato dal suo legale, l’avvocato Vincenzo Russo, dinanzi al giudice Francica del tribunale di Santa Maria Capua Vetere per rispondere ai reati di maltrattamenti in cucina famiglia e lesioni aggravate. Nel corso dell’udienza saranno ascoltate le vittime dell’aggressione.
Secondo l’accusa il 50enne avrebbe aggredito prima la sorella, colpendola con calci e pugni. Successivamente prese una forbice e la ferì ad una mano. Nel corso del litigio intervenne anche l’anziana madre dei due che nel tentativo di placare la folle ira dell’uomo, disoccupato, si tagliò ad un dito.
L’immediato intervento dei carabinieri evitò che la situazione degenerasse oltre, con conseguenze ben peggiori. Le due donne, in fase di denuncia, avevano riferito si trattava dell’ennesimo episodio di una scia di violenza domestica durata anni.

 Gustavo Gentile

Cronache della Campania@2019

Voto scambio a Torre del Greco, la Cassazione respinge quasi tutti i ricorsi

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Torre del Greco. La Cassazione (quinta sezione penale) ha respinto ieri quasi tutti i ricorsi (13 su 14) presentati dai legali delle 14 persone finite al centro delle indagini su un presunto voto di scambio a Torre del Greco in occasione delle elezioni amministrative del 2018. L’indagine dei carabinieri, coordinata dalla Procura di Torre Annunziata, porto’ all’esecuzione di 14 misure cautelari (arresti in carcere, ai domiciliari e divieti di dimora, ndr) nei confronti di due consiglieri comunali di maggioranza, ex assessori e imprenditori. Secondo gli investigatori i voti vennero venduti in cambio di promesse di posti di lavoro, di cifre variabili tra 20 e 35 euro e anche semplicemente in cambio di generi alimentari. Solo la posizione di Gerardo Ramondo, difeso dagli avvocati Gennaro De Falco e Marialaura Masi, passerà, invece, al vaglio delle sezioni unite della Cassazione. Il gip dispose l’arresto in carcere per Ramondo, successivamente commutato con gli arresti domiciliari dal Tribunale del Riesame. I legali, in Cassazione, hanno sollevato eccezioni relativamente a questioni procedurali e di gravita’ indiziaria.

Cronache della Campania@2019

Melillo: ‘Il tesoro dei Casalesi è in mano ad imprenditori collusi che lo amministrano per conto dei camorristi’

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“Il tesoro dei Casalesi è in mano ad imprenditori collusi che lo amministrano per conto dei camorristi”. Loi ha detto Giovanni Melillo, procuratore della Repubblica di Napoli, intervenuto ieri alla Summer Schoool di Casal di Principe, nell’ambito della tre giorni sul giornalismo investigativo. Melillo, moderato dal giornalista Claudio Coluzzi ha parlato su “Mafie, corruzione e pubbliche amministrazioni”. All’incontro di ieri hanno partecipato il generale Giuseppe Governale comandante della Dia, il Senatore Pietro Grasso, già procuratore nazionale Antimafia, Giacomo Di Gennaro, Università Federico II di Napoli, curatore del “Rapporto criminalità grandi aree urbane italiane”, il Generale Umberto Rapetto, già comandante Nucleo Frodi Telematiche Guardia di Finanza e Alessandro D’Alessio, Sostituto procuratore della Dda di Napoli.

“Il giornalismo è un pilastro del tessuto democratico del nostro Paese che va difeso. Le varie mafie hanno in comune un tratto spesso dimenticato: la capacità di trasformare la violenza in ricchezza. Ciò esige il ricorso alla corruzione. Le mafie- ha spiegato ancora Melillo- hanno un servizio di intelligence per carpire informazioni sulle indagini in corso. Le organizzazioni criminali, attraverso gli imprenditori, cercano approvazione sociale e soprattutto una via di ingresso nel sistema legale. Nel 1980 i procuratori della Repubblica neanche pronunciavano la parola ‘mafia’, combattuta esclusivamente dalla società civile, dai sindacati e da alcuni partiti politici. La lotta alla mafia è un fenomeno relativamente recente.
Oggi lo Stato è molto più forte ed autorevole di alcuni anni fa, la nostra legislazione antimafia è considerata un modello a livello mondiale. Quando si diffonde tra i cittadini il convincimento che l’intervento dello Stato porta ad un impoverimento, o comunque a qualcosa di negativo, la mafia trova terreno fertile. Le organizzazioni mafiose sono un fenomeno estremamente complesso, intrecciato con la società, con la politica, con l’imprenditoria. La mafia minaccia pesantemente il patto di coesione sociale su cui si fonda la nostra nazione. Per questo la mentalità camorristica va combattuta ad ogni costo. Cogliere il nesso che esiste tra mafia, corruzione e pubblica amministrazione sarebbe un buon punto di partenza. La mafia- ha concluso Melillo- è fatta di valori sostitutivi rispetto a quelli dello Stato, e tali valori non sono solo quelli dei mafiosi ma rappresentano una spaventosa normalità che riguarda molti cittadini. Per combattere la mafia bisogna migliorare il filtro amministrativo, spesso composto da funzionari impreparati e quindi non in grado di opporsi allo strapotere mafioso”.

Cronache della Campania@2019


‘Fine pena mai’ per il 20enne del rione Sanità accusato dell’omicidio di Diamante

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Fine pena mai per il 20 del rione Sanità, Francesco Schiattarelli. E’ la richiesta avanzata dal pm Maria Francesca Cerchiara della procura di Paola in provincia di Cosenza, nell’ambito del processo, che si sta svolgendo con il rito abbreviato, per l’omicidio del 23enne cosentino Francesco Augieri, figlio di un noto medico dell’Asp di Cosenza, avvenuto il 22 agosto 2018 a Diamante. La vittima intervenne per difendere il suo amico delle vacanze Raffaele Criscuolo, 28enne di Boscotrecase (difeso dall’avvocato Elio D’Aquino) e che sarà sottoposto a processo con rito ordinario a fine ottobre e accusato di concorso anomalo in omicidio perché secondo gli inquirenti avrebbe esposto l’amico al pericolo di morte. Presso la Procura per i Minori pende invece un altro procedimento nei confronti di F. D’A. un giovane della provincia di Caserta, amico di Schiattarelli, che avrebbe partecipato alla rissa. Schiatarelli si costituì nel carcere di Secondigliano dopo alcuni giorni di latitanza. “Sono stato ferito dai napoletani” così riferì Francesco Augeri prima di essere messo in ambulanza e morire pochi minuti dopo. A riferirlo agli investigatori fu successivamente una donna che lo aveva soccorso. La vittima fu ucciso per aiutare il suo amico, Raffaele Criscuolo, pestato e accoltellato da tre napoletani. A scatenare la scintilla una spallata e una frase: ‘Tagliati questi capelli ricchione’. E’ il ‘la’ per una notte di follia. Quella frase, pronunciata da Raffaele Criscuolo  ferito ad un gluteo durante la rissa di quella notte, nei confronti di F. D’A., minorenne e amico di Francesco Schiattarelli, fu il banale quanto folle inizio di una tragedia. Una spallata, davanti alla statua di Padre Pio alla discesa Corvino, nel centro abitato di Diamante, fu il movente di un omicidio. A raccontare il primo ‘contatto’ tra il gruppo di napoletani e Criscuolo, amico di Augeri, proprio un’amica del giovane dai capelli lunghi che indossava una felpa a strisce rosse. La ragazza era in compagnia del minorenne e di un’altra coppia quando Criscuolo, risalendo la rampa ha urtato F.D’A., senza un motivo apparente. Una spallata poi il minore della provincia di Caserta si è diretto verso il bar Ketty – forse inseguendo – proprio Criscuolo, per risalire alcuni minuti dopo insieme ad altri ragazzi. La prima testimone ha raccontato ai carabinieri che arrivata dinanzi alla statua di Padre Pio ha visto il ragazzo con il pantalone beige (cioè Criscuolo) con la coscia sanguinante, mentre tutti scappavano nella direzione opposta. “So che F. D’A. è amico di Francesco Schiattarelli – dice a ragazzina – che quella sera era al bar Ketty verso le 2,30, ma a Schiattarelli non l’ho visto risalire insieme agli altri. Non conosco i ragazzi che sono risaliti con F. D’A. dopo l’episodio della spallata. Posso solo dire che si trattava di sei o sette ragazzi presumo tutti minorenni”.

 

Cronache della Campania@2019

Napoli, all’assassino del vigilante fu dato anche il permesso per un provino nella squadra di calcio

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Napoli. Sono cinque i permessi di uscita dall’istituto penale dov’e’ ristretto, concessi al giovane neo 18enne condannato per l’omicidio del vigilante Francesco Della Corte. Uno l’ha utilizzato per sostenere un provino per una società calcistica del Beneventano. In un altro ha pranzato con la famiglia in un ristorante dello stesso comune dove si trova il carcere minorile in cui sta scontando la pena e dove ha iniziato un percorso di riabilitazione che, secondo la famiglia del vigilante, non avrebbe ancora prodotto frutti. Nei giorni scorsi i familiari di Domenico Della Corte avevano sollevato il problema dei permessi dopo la pubblicazione delle foto della festa dei 18 anni del ragazzo, Ciro U, che insieme con i due complici è stato condannato a 16 anni e sei mesi di carcere, nel processo di primo grado. La prossima settimana inizierà il processo di Appello. In conseguenza delle polemiche il ministro Bonafede ha inviato gli ispettori che hanno fatto la nuova scoperta di altri permessi concessi al ragazzo. Tutte le volte che è uscito di cella il giovane, cosi’ come prevede la normativa, è stato sempre accompagnato dalla scorta. invece, secondo quanto si apprende, non sarebbero stati finora concessi permessi d’uscita dalle carceri minorili di Napoli e provincia dove si trovano. Il neo diciottenne, con altri due giovani, prese a sprangate e ridusse in fin di vita Franco della Corte, il 3 marzo 2018. La guardia mori’ in ospedale, dopo 12 giorni di agonia, lasciando la moglie e due figli.

Cronache della Campania@2019

Estorsioni di camorra sul Litorale, sei condanne confermate in appello al ex clan Belforte

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Sei condanne ridotte in Corte d’Appello ad altrettanti imputati accusati, a vario titolo, di essere stati protagonisti di un nuovo gruppo criminale, interno alla fazione Bidognetti del clan dei Casalesi, che aveva cercato di espandersi da Castel Volturno fino a San Nicola la Strada, zona notoriamente controllata dal clan Belforte, reclutando anche esponenti di questo gruppo per le estorsioni. I giudici della Corte d’Appello di Napoli hanno ridotto le pene a 9 anni per Ernesto Caprio di Casal di Principe, 13 anni per Gaetano Cerci di Casal di Principe, 13 anni per Gabriele Cioffi di San Nicola la Strada, 11 anni a Carmine Micillo di Castel Volturno, 16 anni per Dionigi Pacifico, 8 anni e 6 mesi per Americo Quadrano di Castel Volturno. L’inchiesta riguardava una serie di estorsioni ai danni di un caseificio. Le indagini condotte dalla Questura d Caserta hanno dimostrato come il gruppo Bidognetti abbia reclutato alcuni esponenti del clan Belforte di Marcianise per riscuotere il pizzo nel litorale Domizio

Cronache della Campania@2019

Duplice omicidio deciso dal carcere. La Dda ‘annuncia’ i verbali di Raffaele Bidognetti

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Tirato in ballo da Anna Carrino, è stato ascoltato davanti ai giudici della Corte d’Assise Aniello Bidognetti sugli omicidi di Nicola Baldascini ed Antonio Pompa, per i quali è sotto processo il killer stragista dei Casalesi, Giuseppe Setola, difeso dall’avvocato Paolo Di Furia.
Aniello Bidognetti ha detto di non sapere nulla relativamente a questi due delitti che, secondo la ricostruzione della Carrino, dopo la scissione di Salvatore Cantiello detto Carusiello dal gruppo Bidognetti e dopo un doppio agguato che, secondo la collaboratrice di giustizia, vide come destinatari Setola ed Aniello Bidognetti.
Secondo la ricostruzione dei magistrati dell’Antimafia il duplice omicidio fu decretato in carcere dal boss Francesco Bidognetti, alias Cicciotto ‘e Mezzanotte. Il capoclan diede ordine di uccidere da dietro le sbarre, durante un colloquio con la sua compagna Anna Carrino (che ha patteggiato la pena). Fu la donna a farsi portavoce dell’ordine con Giuseppe Setola che eseguì l’omicidio sparando i due con una pistola 9X21.
Ma per far luce su questi due omicidi, il pm della Dda presente in aula ha annunciato che nella prossima udienza (prevista per novembre) saranno depositati i verbali del neo collaboratore di giustizia Raffaele Bidognetti che potrebbe aiutare a far luce su questi fatti di sangue.

Cronache della Campania@2019

Napoli, c’è anche il ras del clan Mazzarella tra i 13 arrestati per la maxi rissa nel carcere di Salerno. I NOMI

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Napoli. C’è anche il ras del clan D’Amico di San Giovanni a Teduccio, Demetrio Sartori tra i 13 identificati e raggiunti da ordinanza cautelare per la maxi rissa che si verificò lo scorso 5 aprile nel carcere di Salemo-Fuorni . In quell’occasione si fronteggiarono due gruppi: uno composto da 10 detenuti salernitani e l’altro da 3 napoletani. Subito dopo la rissa fuono tutti trasferiti in altre strutture di detenzione. Per 3 dei 13 indagati era anche arrivata la libertà ma sono stati rintracciati a Salerno. Pagani e San Giovanni a Teduccio. Adesso però sono stati nuovamente raggiunti da una misura cautelare. Sono accusati, a vario titolo, di resistenza e violenza a pubblico ufficiale, danneggiamento e rapina. Alcuni di loro, infatti, riuscirono a sottrarre agli agenti della Penitenziaria le chiavi di alcune celle per far si che altri detenuti partecipassero alla rissa. Uno scontro che scoppiò dopo il pestaggio di un detenuto partenopeo. Solo il tempestivo intervento degli agenti di polizia penitenzia ria e della direttrice, che rimase anche ferita a una mano, evitò il peggio. Per identificare i partecipanti alla rissa sono stati fondamentali i filmati delle telecamere di videosorveglianza e le testimonianze degli agenti penitenziali.
A distanza di 5 mesi da quelle violenze, la Procura chiude il cerchio e mette sotto inchiesta 13 persone, raggiunte ieri mattina da misura di custodia cautelare in cella. Solo tré erano liberi e sono stati quindi ammanettati: si tratta di Demetrio Sartori, 35 anni, nativo di San Giorgio a Cremano e ritenuto esponente di spicco del clan D’Amico, del paganese 29enne Vincenzo Contaldo e del salernitano di 40 anni Giulio Savastano.
Altri 10 erano e restano in carcere. Il blitz è stato firmato dagli agenti della Polizia di Stato che hanno eseguito un’ordinanza del gip Giovanna Pacifico del Tribunale di Salerno accogliendo le richieste del pm Luigi Cannavaie. Tra i destinari, inoltre, ci sono Salvatore Velotti, 28enne napoletano, il 25enne sempre di Napoli Alfonso Rubino, quindi Francesco Memoli, 30 anni di Salerno, Luigi Pastore 20enne salernitano. Salvatore Pepe 20 anni paganese, Matteo Fortunato 37enne di Salerno, Gianluca Forino 34 anni di Pagani, Massimiliano Schiavone di Salerno e Gennaro Ferraro 28 anni salernitano. Si trattò di uno scontro tra detenuti napoletani e salernitani. Il giorno prima, un giovane partenopeo era stato aggredito da altri “ospiti” di Fuorni del secondo piano, sezione B, in larga parte salernitani. La rissa del giorno successivo sarebbe stata la risposta dei detenuti napoletani. La violenta lite, nella quale rimase contusa la direttrice Rita Romano, andò in scena nella Prima sezione della casa circondariale, dove erano collocati i detenuti accusati di reati non gravi. Fu inevitabile e anche provvidenziale l’intervento di numerosi agenti della Polizia Penitenziaria per far ritornare la calma. I detenuti di Salerno e dell’Agro cercarono e ottennero il contatto con i rivali dopo essere entrati in possesso per tre volte delle chiavi dell’area detentiva dove si trovavano gli antagonisti: una prima volta per far uscire i compagni di sezione, successivamente per far accesso alla sezione contrapposta e infine per fare ingresso nella sezione A dei “napoletani” e per ingaggiare con loro una rissa. La sezione interessata venne devastata dagli indagati che distrussero tutto ciò che trovarono, azionando anche un estintore per evitare di essere identificati. Fu possibile riportare l’ordine solo grazie all’intervento del personale in servizio e della stessa direttrice del carcere salernitano. Le chiavi furono sottratte agli agenti di polizia penitenziaria.

Cronache della Campania@2019

Ottiene i domiciliari il ristoratore di Sorrento accusato di stupro e traffico di droga

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Sorrento. Dopo circa un anno di carcere ha ottenuto gli arresti domiciliari il ristoratore di Sorrento, Pepe Mario accusato di stupro e traffico di droga. L’imprenditore ascoltato dal tribunale di Torre Annunziata su istanza del suo avvocato, Raffaele Chiummariello, è tornato a casa.
Mario Pepe era in carcere dallo scorso 4 dicembre con l’accusa di aver drogato ed abusato di una ragazza di Piano di Sorrento all’interno del suo locale. Pepe, secondo quanto emerso dalle indagini, si sarebbe avvalso anche di una complice: Chiara Esposito, 23enne che è attualmente agli arresti domiciliari. Era il 12 novembre del 2016 quando una 22enne di Piano di Sorrento avrebbe cenato e sniffato cocaina nel ristorante di Pepe. In un secondo momento la giovane avrebbe accusato un malore e si sarebbe svegliata nuda sul bancone del locale. Solo dopo qualche settimana la scoperta agghiacciante. A rivelare i fatti alla ragazza un amico. “Chiara ti ha venduto a Mario per 100 euro, non volevi fare sesso con lui così ti ha sciolto la cd. ‘droga da stupro’ nel vino e sei stata violentata”. Il caso è seguito dagli agenti del commissariato di Sorrento che hanno sequestrato i cellulari dell’imprenditore e della 23enne e si sono avvalsi anche di perizie tecniche come quella tossicologica sul capello della vittima.

Cronache della Campania@2019

Camorra, l’avvocato di Zara: ‘Zagaria ha tentato due volte di far uccidere l’ex sindaco’

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“L’esperienza amministrativa di Giovanni Zara, durata pochi mesi, con il suo essere realmente contro i clan, ha provocato profonde lacerazioni a Casapesenna, regno del boss Michele Zagaria, che per ben due volte ha pensato di ucciderlo”. Usa parole forti l’avvocato Domenico Cesaro nel corso dell’arringa tenuta al processo, in corso al Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, in cui assiste l’ex sindaco del comune casertano Giovanni Zara, parte offesa, e in cui sono imputati per violenza privata con l’aggravante mafiosa un altro ex primo cittadino, Fortunato Zagaria, e lo stesso boss omonimo Michele Zagaria. Cesaro ripercorre i dieci mesi – dall’aprile 2008 al febbraio 2009 – in cui Zara, allora appena 33enne, fu sindaco del paesino in cui il boss dei Casalesi ha trascorso indisturbato per 15 anni la sua latitanza, finita nel 2011 proprio in un’abitazione di Casapesenna; Zara fu mandato a casa da 13 consiglieri con la regia – secondo la Dda – di Fortunato Zagaria, vice dello stesso Zara, e su ordine del boss, che non vedeva di buon occhio la politica anticamorra fatta da Zara, “una reale condotta di contrasto ai clan”, concretizzatasi in manifestazioni anticamorra, interviste di condanna alle cosche rese ai giornali. “Una politica che fece infuriare Zagaria – spiega Cesaro – che avrebbe voluto ucciderlo, tanto che c’era un progetto di attentato ad ottobre 2008 con mitra e pistole, ma si decide di farlo cadere politicamente; il secondo progetto era di aprile 2009, dopo la sfiducia, e riguardava anche la moglie di Zara, la giornalista Tina Cioffo, ma anche in questo caso il boss decise che era meglio soprassedere”. Cesaro si sofferma poi su quanto avvenne il primo ottobre 2008, quando Zara incontro’ allo stadio comunale di Casapesenna Fortunato Zagaria e il consigliere comunale Luigi Amato, anch’egli imputato nel processo. Il giorno prima erano stati catturati tre esponenti dei Casalesi facenti parte dell’ala stragista guidata da Giuseppe Setola, e Zara fece una nota in cui plaudeva all’operazione e auspicava la cattura di Zagaria e dell’altro latitante di allora Antonio Iovine (oggi collaboratore di giustizia); il primo ottobre la nota usci’ sui giornali, e il pomeriggio, alle 15, Zara fu convocato allo stadio da Fortunato Zagaria. “Questi – ricorda il legale – lo minaccio’, dicendogli: ‘sei un cornuto, un uomo di merda, questo te lo manda a dire Michele Zagaria’. E ancora: ‘farai la fine di Antino Cangiano’, un ex vice-sindaco di Casapesenna gambizzato nel 1989 dalla camorra, poi rimasto sulla sedia a rotelle fino alla morte, perche’ non aveva voluto concedere un appalto alla ditta del clan”. Cesaro ricorda anche che “Zara, subito dopo l’elezioni, ando’ in Dda mettendosi a disposizione dei pm, e che in uno degli incontri, la funzionaria della polizia Silvana Giusti, gli rinfaccio’ di non sapere che Fortunato Zagaria era vicino al boss. Ma Zara – aggiunge Cesaro – era molto giovane, ed anzi era stato proprio Fortunato Zagaria ad individuarlo come sindaco, non potendo presentarsi perche’ aveva gia’ fatto due consiliature; pensava infatti di poterlo manovrare a suo piacimento e continuare a curare gli interessi del boss. Ma Zara cambio’ marcia, tento’ di smuovere le coscienze da un appiattimento generale, e fu fatto cadere”.

Cronache della Campania@2019


Napoli, estorsioni alla pizzeria Di Matteo: condannati il padre di Sibillo e i tre complici

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Trentacinque anni di carcere complessivi sono stati inflitti dal gup del Tribunale di napoli Tommaso Perrella nel processo che si è svolto con rito abbreviato per il pizzo richiesta alla pizzeria Di Matteo di Forcella.Giovanni Ingenito e Giovanni Matteo sono stati condannati a 10 anni a testa, Giosuè Napoletano, invece a 8 anni mentre Vincenzo Sibilio, padre di Pasquale e del defunto Emanuele ES17 è stato condannato a 7 anni. Sono tutti accusati di estorsione e tentata estorsione aggravata dalla modalità mafiosa. Durissima la requisitoria dalla Dda (pm Urbano Mozziilo) che ha definito “non quantificabile” il numero di episodi estorsivi messi a segno contro la nota pizzeria di via dei Tribunali ed “allarmante” la condotta degli imputati. Il locale, praticamente, era diventato una sorta di ‘bancomat’ del gruppo criminale: dal 2015 al 2019 le visite con la pretesa di soldi erano settimanali con la maxitangente di Pasqua e Natale ‘fissata’ in 5mila euro. “Ci hanno spremuto come i limoni, stiamo scendendo a lavorare solo per pagare gli operai”, aveva raccontato ai carabinieri nel marzo scorso dopo l’episodio degli spari, uno dei titolari della pizzeria. E ieri finalmente sono arrivate le condanne.

 

Cronache della Campania@2019

“Cocaina e camorra” nel casertano, mano pesante della Dda: tutte le 57 condanne richieste

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Mano pesante della Dda nel processo a carico del gruppo di spacciatori che operava tra Santa Maria Capua Vetere, San Tammaro Curti, Casapulla, San Prisco e Macerata Campania che sono finiti nella rete dei carabinieri nell’ambito dell’inchiesta Whithe Stone. Il magistrato della Dda Landolfi chiesto 57 condanne, con pene dagli 8 ai 20 anni di carcere, per gli imputati accusati, a vario titolo, associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti e produzione, detenzione e spaccio di sostanze stupefacenti. L’indagine ha permesso di scoprire il gruppo che si era organizzato dopo la disarticolazione del gruppo che faceva capo a Fava nel 2013 e si basa sulle dichiarazioni di collaboratori di giustizia, riscontrate da intercettazioni telefoniche e pedinamenti. In particolare il gruppo provvedeva allo spaccio di cocaina e crack, che veniva smerciate anche in alcune zone delle province di Napoli ed Avellino. Nel collegio difensivo ci sono, tra gli altri, gli avvocati Angelo Raucci, Raffaele e Gaetano Crisileo.
LE RICHIESTE DI CONDANNA DELLA DDA
ALISE Agostino, classe 1974, 12 anni
ALTOBELLI Luca, classe 1987, 12 anni,
AMBRA Antonietta, classe 1983, 10 anni
AMBRA Giuseppe, classe 1984, 14 anni
AURIEMMA Sandro, classe 1989, 8 anni (con assoluzione per il capo 2)
BIANCO F. classe 1988, 12 anni
BUONOCORE E. classe 1969, 10 anni
BOSONE Fabio, classe 1992, 10 anni
BUONPANE Oreste, classe 1996, assoluzione
BUONPANE Oreste, classe 1988, assoluzione
CAIAZZO Anna, classe 1971, 12 anni
CAPOLONGO Felice, classe 1986, 10 anni
CARAMIELLO Antonio, classe 1966, 10 anni
CECERE Cesare, classe 1990, 10 anni
D’ALESSIO Mario, classe 1990, 12 anni
D’AURIA Lorenzo, classe 1973, 20 anni
DE FALCO Giuseppe, classe 1984, 10 anni
DE MASI Anna, 18 anni
DE MASI Mario, classe 1991, 20 anni
DE MASI Salvatore, classe 1965, 18 anni
DE VATTIMO Biagio, classe 1984, 12 anni
DI PALMA Vincenzo, classe 1976; 20 anni
DIODATO Maria Carmina, classe 1983, 10 anni
FASANO Giuseppe, classe 1979, 10 anni
FONICIELLO Claudia, classe 1977, 10 anni
FORMISANO Angelo, classe 1988, 10 anni
GABRIELE Michele, classe 1987, 12 anni
GALLUCCIO Patrizia, classe 1968, 12 anni
GIGLIO Carmine, classe 1991, 10 anni
GIGLIO Carmine, classe 1981, 10 anni
GIORDANO Domenico, classe 1979, 12 anni
GRIMALDI Alessandro, classe 1982, 10 anni
GUERRAZZI Rosario, 8 anni (con assoluzione per capo 1)
ERCOLANI Alfredo, 8 anni (con assoluzione capo 4)
MAIETTA Irene, classe 1986, 10 anni
MANZI Antonietta, classe 1991, 10 anni
MANZI Valentina, classe 1995, 10 anni
MARINO Paolo, classe 1972, 10 anni
MENNA Felice, classe 1975, 8 anni (assoluzione capo 3)
PALERMO Fabio, classe 1984, 20 anni
PAPALE Vincenzo, classe 1987, 12 anni
PITIROLLO Andrea, classe 1986, 20 anni
PITIROLLO Giuseppe, classe 1978, 20 anni
JLIASI Stesi, 10 anni
REA Roberto, classe 1988, 10 anni,
ROMANO Marco, 10 anni
ROMANO Raffaele classe 1968, 12 anni
RUOTOLO Margherita, classe 1973, 10 anni
SCANNAPIECO Francesca, classe 1985, 10 anni
SOMMA Eduardo, classe 1982, 20 anni
STELLATO Fabiola, classe 1994, 8 anni (assoluzione capo 1)
STELLATO Francesca, 8 anni (assoluzione capo 1)
TAGLIALATELA Giovanni, classe 1989, 20anni
TEDESCO Giovanni, 10 anni
TIGLIO Bruna, classe 1981, 12 anni,
TRAMONTANO Antonio, classe 1974, 20 anni
TASSANO Giuseppe, 12 anni
VASTANO G., classe 1981, assoluzione
VENTURINI Vincenzo, classe 1985, 14 anni
VITA Riccardo, classe 1974, 10 anni

Cronache della Campania@2019

Fine pena mai per il boss Rinaldi e i suoi 7 complici per il duplice omicidio del circoletto a Ponticelli

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Otto ergastoli: questa la sentenza emessa nel pomeriggio dal gup di Napoli Luana Romano nei confronti degli otto imputati, tra cui il boss Ciro Rinaldi detto mauè, ritenuti mandanti ed esecutori materiali del duplice omicidio della vittima innocente Ciro Colonna, 19 anni, e di Raffaele “Ultimo” Cepparulo, elemento di vertice del gruppo camorristico dei cosiddetti “barbudos” del rione Sanita’, inizialmente legato al boss Genidoni e poi confluito nel clan De Micco di Ponticelli. Una tragedia consumatasi nel pomeriggio del 7 giugno 2016, in un circolo ricreativo del quartiere Ponticelli di Napoli, dove il giovane Ciro Colonna stava aspettando un amico giocando a biliardino. Con Rinaldi sono stati condannati al massimo della pena anche Michele Minichini detto el tigre e che è ritenuto l’esecutore materiale dell’omicidio Cepparulo. E poi ancora la matrigna di quest’ultimo, Anna De Luca Bossa, , Cira Cippolaro (mamma naturale di Michele Minichini) , Antonio Rivieccio detto cocò, colui che invece uccise per errore l’innocente Ciro Colonna e ancora Luisa De Stefano e Vincenza Maione.

Cronache della Campania@2019

Uccisa dall’uomo che le aveva salvato la vita: pena ridotta per l’assassino di Maria Tino

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“Purtroppo c’è ancora troppa clemenza nei confronti di questi delitti efferati, di questi uomini che uccidono in nome dell’amore”. Così, la criminologa Antonella Formicola, commenta la sentenza di appello emessa ieri dal Tribunale di Santa Maria Capua Vetere con la quale è stata ridotta di due anni (in primo grado furono comminati 19 anni) la pena inflitta all’assassino ed ex compagno di Maria Tino, uccisa a Dragoni, nel Casertano, il 13 luglio del 2017. Un destino inesorabile quello toccato alla donna, che aveva 49 anni: Massimo Bianchi, l’ex compagno di Maria, diventato il suo assassino, un anno prima l’aveva salvata dal marito violento. “Occorre certezza della pena per questi omicidi, non devono esistere attenuanti (in secondo grado non e’ stata riconosciuta la premeditazione, ndr) – aggiunge la criminologa – ma quell’uomo ha dato un appuntamento alla compagna che era decisa a lasciarlo”. “E lui – ricorda la criminologa – si è presentato armato all’appuntamento e con lucida freddezza l’ha uccisa colpendola alla testa con la pistola nella piazza del Paese. Maria e’ morta subito accasciandosi sulla panchina che oggi è ancora lì per ricordare lei e tutte le vittime della violenza di genere”.

Cronache della Campania@2019

Spavone chiede lo sconto di pena: uccise il suocero accusato di aver violentato la nipotina

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Ha chiesto di essere processato in abbreviato, rito che consente lo sconto di un terzo della pena, Emanuele Spavone, il 35enne, che lo scorso febbraio ha ucciso l’ex suocere Antonio Crisanti, originario di Secondigliano e attirato in una trappola a Rozzano nel milanese. Con lui a processo c’è il complice, il 27enne Achielle Mauriello che era in sella allo scooter. La vittima  era indagata per avere abusato della nipotina. La prima udienza davanti al gup Luigi Gargiulo è stata fissata per il prossimo 31 ottobre. I due sono accusati di omicidio premeditato aggravato. L’omicidio è avvenuto lo scorso 25 febbraio, in un parco a Rozzano, in provincia di Milano. Lo stesso giorno, al palazzo di Giustizia, si era concluso un incidente probatorio nel quale la bimba di otto anni aveva parlato degli abusi che avrebbe subito dal nonno. E in quell’occasione, davanti al giudice e alla madre della piccola, figlia del 63enne ucciso, era arrivata, in sostanza, la conferma dei racconti già resi dalla bambina alla polizia in un’audizione protetta. Poco dopo il nonnoè’ stato ucciso come in una “esecuzione”. “Quando l’ho visto, ho avuto un black out improvviso, immediato”, aveva detto, in sostanza, il padre della bimba davanti ai pm e al gip subito dopo il suo arresto. L’uomo ha sostenuto anche che il suo amico, e presunto complice, non era a conoscenza di ciò che lui avrebbe fatto. I pm, invece, hanno contestato la premeditazione a entrambi, aggravante che non era stata inserita in precedenza nel decreto di fermo.

Cronache della Campania@2019

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