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Faceva il ‘cambio assegni’ per il clan Zagaria: in carcere imprenditore di Villa Literno

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I militari del Nucleo Speciale Polizia Valutaria della Guardia di finanza di Roma, su richiesta della Procura della Repubblica di Napoli – Direzione Distrettuale Antimafia, hanno eseguito un’ordinanza del Gip del Tribunale partenopeo che impone la custodia cautelare in carcere nei confronti di un imprenditore di Villa Literno, Michele Patrizio Sagliocchi di 70 anni, per ”concorso esterno” nell’organizzazione camorristica ”clan dei Casalesi”. Il quadro indiziario ricostruito dagli investigatori, anche sulla base di diverse dichiarazioni di collaboratori di giustizia e delle risultanze delle intercettazioni svolte, ha consentito di accertare come l’imprenditore, operante da anni nel settore immobiliare e del commercio dei carburanti, abbia contribuito al rafforzamento del cla, in particolare della fazione di Michele Zagaria. Ciò soprattutto attraverso l’attività di ‘monetizzazione’ di assegni e cambiali, anche di provenienza estorsiva, consegnatigli da esponenti del clan (tra cui, Carmine, Antonio e Pasquale Zagaria). In tal modo l’organizzazione criminale ha potuto ottenere immediata disponibilità di somme liquide senza passare per gli ordinari canali bancari; una compartecipazione dei ”casalesi”, per il tramite di imprese di loro fiducia, ai profitti delle sue iniziative economiche. Parallelamente, l’imprenditore ha ricevuto in modo continuativo favori di vario genere, come il sostegno per il recupero dei crediti vantati, anche con modalità estorsive,, interventi delle imprese di movimento terra della ”fazione Zagaria” nelle sue iniziative edilizie nonché la protezione da eventuali richieste illecite di altri gruppi criminali. Nell’ambito della stessa ordinanza, il Gip ha riconosciuto a Sagliocchi la sussistenza di gravi indizi di colpevolezza relativamente alla commissione di condotte corruttive, verificatesi in connessione con la realizzazione del parcheggio ”San Carlo” di Caserta. Secondo quanto emerso dalle indagini, l’imprenditore, amministratore di fatto delle società che si sono succedute nella costruzione del centralissimo parcheggio interrato su tre piani, avrebbe complessivamente corrisposto, a titolo corruttivo, 200.000 euro in contanti a due architetti, direttori dei lavori, uno dei quali ”uomo di fiducia” della fazione di Zagaria, e all’ex dirigente del settore urbanistico del Comune di Caserta, per agevolare il rilascio del permesso a costruire e degli altri atti connessi e susseguenti, nonché per evitare controlli sul cantiere da parte delle autorità preposte.

Cronache della Campania@2019


I legali bel boss: ‘Zagaria sta male, stop all’isolamento in carcere’

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Questa mattina al tribunale di Santa Maria Capua Vetere, dinanzi alla prima sezione, presidente Giovanni Caparco, è stato discusso “l’incidente di esecuzione pena” per il capoclan dei Casalesi, Michele Zagaria, detenuto a regime di 41 bis nel carcere di Tolmezzo in provincia di Udine e in isolamento diurno. Gli avvocati difensori del boss Paolo Di Furia del foro di Santa Maria Capua Vetere e Piera Farina del foro de L’Aquila, hanno chiesto la sospensione del regime dell’isolamento diurno per motivi di salute. Il giudice sulla richiesta si è riservato. La vicenda procedurale è molto complessa, infatti, il magistrato di sorveglianza di Udine a seguito della richiesta dei difensori si era dichiarato incompetente in questa richiesta. Invece di tutt’altro parere è la difesa che ha sostenuto “il magistrato di Udine si è dichiarato incompetente illegittimamente e il tribunale di SMCV non ha alcun tipo di competenza sul differimento pena per motivi di salute”.

Cronache della Campania@2019

Bimba uccisa nel Salernitano la mamma ‘complice’ del marito incastrata dalle intercettazioni

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La Procura di Nocera Inferiore è convinta che Immacolata Monti sia complice del marito per la morte della loro figlioletta di otto mesi avvenuta nella notte tra il 21 e il 22 giugno in un’abitazione di Sant’Egidio del Monte Albino in provincia di Salerno. Tesi che ha fatto scattare l’esecuzione della misura cautelare personale della custodia in carcere nei confronti della donna, indagata per omicidio pluriaggravato e maltrattamenti in famiglia in concorso con il marito Giuseppe Passariello, già recluso a Fuorni dallo scorso 23 giugno. Le indagini, dirette dal procuratore capo Antonio Centore e coordinate dal sostituto procuratore Roberto Lenza, hanno permesso di raccogliere ulteriori elementi dai quali emergerebbe il coinvolgimento della mamma. La tesi prospettata dalla Procura e accolta dal gip è che Immacolata Monti non si sia limitata a coprire il marito ma che sia complice di tutta la vicenda. Ipotesi suffragata da alcune conversazioni ambientali tra i coniugi che sono state captate dagli investigatori nelle ore successive alla morte della neonata e che hanno fatto scattare la misura cautelare anche nei confronti della madre. Ulteriori elementi, poi, arriveranno dagli esiti della perizia autoptica e dall’esame dei reperti istologici effettuati dal medico legale, fondamentali per chiarire le cause del decesso. L’autopsia, tra l’altro, potrebbe dare risposte anche in merito alle patologie di cui, pare, soffrisse la piccola che era stata visitata più volte all’ospedale Santobono di Napoli. Aspetti su cui continuano a lavorare gli agenti della Squadra Mobile di Salerno e quelli del commissariato di Nocera Inferiore che hanno provato subito a far luce su questa tragica vicenda. La piccola, trasportata da un’ambulanza del 118 che l’aveva soccorsa nella sua abitazione di Sant’Egidio del Monte Albino, era giunta all’Umberto I già priva di vita. I medici del pronto soccorso avevano notato varie lividure ed escoriazioni. Le successive indagini hanno fatto emergere un quadro difficilissimo. Il papà, all’indomani della morte della figlioletta, era stato sorpreso alla stazione di Salerno da dove, pare, si stesse allontanando. Fermato dagli agenti, era stato trasportato in carcere in quanto gravemente indiziato di “ripetuti maltrattamenti che hanno causato la morte” della figlioletta “quale conseguenza delle lesioni riportate, aggravate dall’omissione reiterata dei necessari soccorsi”. Fermo poi convalidato dal gip che aveva disposto la reclusione in carcere. Dove, a poco più di una settima di distanza, è finita anche la moglie con l’accusa di concorso in omicidio pluriaggravato e maltrattamenti in famiglia.

Cronache della Campania@2019

Morì dopo aver assunto un medicinale: il pm chiede l’assoluzione della dottoressa Panella

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Si è tenuto davanti al Giudice Monocratico, Fallarino, presso il Tribunale di Benevento, il processo a carico della dottoressa Marisa Panella, di Bucciano, difesa dall’Avvocato Vittorio Fucci jr. La dottoressa Panella, è imputata dell’omicidio colposo della signora Addolorata Marinelli, verificatosi nell’aprile del 2013, a seguito della prescrizione di un medicinale.La Marinelli, a seguito della presunta assunzione del medicinale, veniva ricoverata presso l’Ospedale S. Alfonso Maria de’ Liguori di S. Agata de’ Goti, dove, dopo diverse ore, decedeva.

All’inizio dell’udienza, il figlio della signora Marinelli, assistito dal suo difensore, ha revocato la costituzione di parte civile, dichiarando di non voler proseguire nei confronti della dottoressa Panella. È stato poi sentito il consulente della difesa, il professor Cinquegrani, il quale ha spiegato le ragioni della insussistenza di qualsiasi responsabilità da parte della dottoressa Panella per la morte della Marinelli.È stato escusso, altresì, un teste e poi vi è stata la requisitoria del Pubblico Ministero, dottoressa Maria Amalia Capitanio, la quale ha chiesto l’assoluzione a formula piena per la dottoressa Panella, sostenendo che sin dalle indagini preliminari non emergeva alcun elemento di responsabilità a carico della dott.ssa Panella. Il processo, poi, è stato rinviato in prosieguo all’udienza del 18 ottobre di quest’anno, in cui ci sarà l’arringa dell’avvocato Vittorio Fucci e, a seguire, sarà pronunciata la sentenza.

Cronache della Campania@2019

Non accettavano che fosse femmina perciò uccisero la piccola Iolanda. LE INTERCETTAZIONI CHOC

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“…Gli hai detto quelle pa­role? Qua ci arrestano tutte e due.. ..Siamo a posto”. . ..La verità non deve mai venire fuori…ci facciamo cinquanta anni di carcere”. Giuseppe Passariello e Immacolata Monti avevano appuntato un piano ben preciso, una fiction da interpretare al fine di evi­tare di ritrovarsi a doversi di­fendere dalla grave accusa di aver ucciso la figlioletta di ap­pena 8 mesi. Iolanda è spirata la notte tra il 21 ed il 22 giu­gno scorso nella abitazione dei coniugi Passariello di Sant’Egidio del Monte Al­bino. Per la donna, arrestata due giorni fa, le accuse sono di maltrattamenti, omissione di soccorso e di omicidio della figlioletta. “Con le aggravanti – scrive il gip – di aver commesso il fatto per motivi futili consistiti nella mancata accettazione della circostanza che la figlia fosse femmina, di aver agito con crudeltà verso la piccola sottoponendola a continui atti lesivi”. Le frasi pronunciate prima da Passariello e successivamente dalla moglie e intercettate nel commissariato di Nocera Inferiore dove i due sono stati lasciati da soli in più occa­sioni, il 22 giugno scorso, non lasciano adito ai dubbi. I due hanno pianificato come com­portarsi dinanzi ai alle forze dell’ordine al fine di evitare una incriminazione. Lo sottolinea chiaramente anche il Gip del tribunale di Nocera Inferiore, Luigi Levita, che ha firmato l’ordinanza di custo­dia cautelare richiesta dai ma­gistrati Lenza e Loconte. “Gli indagati, dopo aver incon­trato la madre di Passariello restano da soli nella stanza: in particolare il Passariello si premura di capire se la Monti abbia dichiarato quanto con­cordato”. Entrambi mostrano il timore di una lunga deten­zione. “Frasi che, pronun­ciate a poche ore dalla morte della piccola Iolanda, anche per tal motivo difficilmente si prestano a qualsivoglia lettura alternativa”. Ma nella stanza del commissariato vengono intercettate anche altre frasi “L’omicidio lo abbiamo fatto”. Di fronte a tale frase di Passariello, per il Gip, sa­rebbe stato naturale atten­dersi una immediata dissociazione da parte della donna, un moto di distacco ovvero di repulsione rispetto a quanto udito.
E ancora il Passariello, il giorno della morte della figlia, in commissariato, rivolgen­dosi alla moglie (sono soli nella stanza) dice “Non apriamo bocca o andiamo in galera” e dopo pochi secondi, i due fanno riferimento al cu­scino: “Il cuscino lo dovevo buttare”, poi Immacolata ag­giunge “Tutto in faccia”, avvi­cinando la mano destra alla bocca come per simulare il gesto di qualcosa che si ap­pone sul viso. Serio pericolo della reitera­zione del reato. Per questo mo­tivo il giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Nocera ha firmato l’ordinanza di custodia cautelare in carcere accogliendo la richiesta formu­lata dai magistrati titolari del­ l’inchiesta. Inoltre, per il Gip la misura cautelare trova il suo fondamento anche nella ne­cessità di garantire l’acquisi­zione e la genuinità delle prove “giacché la situazione di con­flittualità familiare gli esiti delle ulteriori indagini scientifiche in corso di svolgimento costitui­scono un evidente e concreto rischio di compromissione della ricerca della verità”. Per il Gip risulta di difficile comprensione il motivo per il quale “Immacolata Monti nella sua posizione di garan­zia di madre di Iolanda, non si sia concretamente attivata per porre rimedio alle vio­lenze, ovvero per intervenire con la cura adeguata, tanto più che della difficile situa­zione familiare erano a cono­scenza anche i locali servizi sociali (il che avrebbe ancor di più agevolmente consen­tito alla madre, ove davvero avesse voluto, di allertare le autorità e di scongiurare qualsivoglia eventi lesivi a danno di sua figlia)”.

Cronache della Campania@2019

Allarme bomba per impedire l’udienza: a processo l’amante del latitante

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La procura della Repubblica di Benevento, retta da Aldo Policastro, ha formulato richiesta di rinvio a giudizio nei confronti di una 32enne beneventana, che deve rispondere di minaccia aggravata al corpo giudiziario, procurato allarme, interruzione di pubblico servizio, favoreggiamento personale e sostituzione di persona. La vicenda in cui è coinvolta è legata al collocamento di un finto ordigno costituito da un candelotto in cartone nastrato a forma di dinamite da cui fuoriuscivano dei fili a mo di innesco a distanza, rinvenuto in uno dei servizi igienici del tribunale di Benevento il 20 dicembre 2016, dopo due telefonate minatorie, e alla latitanza dell’imprenditore Paolo Messina junior. Le indagini delegate dai pm alla Squadra Mobile, anche attraverso attività tecniche, hanno permesso di accertare che il cellulare utilizzato dall’anonimo che segnalò la presenza della finta bomba fosse proprio nella disponibilità della donna che intratteneva una relazione sentimentale con Messina. L’obiettivo della segnalazione era quello di evitare che quel giorno si celebrasse l’udienza del processo in cui Messina era imputato per l’omicidio di Antonello Rossiello, un imprenditore suo rivale, nel 2013. Il tribunale infatti fu evacuato. Quando Messina è stato catturato in Croazia, nel novembre 2017, gli inquirenti accertarono anche l’esistenza della sua relazione sentimentale e risalirono alle utenze utilizzate dal latitante e dalla donna per colloquiare tra loro, risultate intestate entrambe a dei minori completamente estranei ai fatti ma di cui erano stati copiati i documenti. La donna tentò anche di recuperare una cospicua somma di denaro dovuta da un creditore a Messina, in modo che potesse proseguire la sua latitanza. Messsina è stato condannato poi dalla corte d’Assise di Benevento a 25 anni di carcere, pena ridotta a 22 anni e sei mesi in Appello.

Cronache della Campania@2019

Processo troppo lento, gli orafi Borrelli di Portici chiedono un risarcimento di 850mila euro al Ministero

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Ci sono state solo due udienze celebrate finora del processo e sono trascorsi ben sei anni e otto mesi dal primo atto noto agli indagati (ottobre 2012) dell’inchiesta Fort Knox di procura e GdF di Arezzo che mostro’ un traffico di oro tra Italia e Svizzera con 118 indagati e accuse di riciclaggio avario titolo nella compravendita di metallo prezioso. Oggi, lamentando la lentezza del processo, un gruppo di imputati, difesi dagli avvocati Irene Lepre e Donato Laino di Napoli, ha depositato un ricorso alla corte di appello di Firenze, sezione civile, chiedendo al Ministero della Giustizia l’equa riparazione del danno per violazione del termine ragionevole del processo (secondo la legge Pinto). Per i due difensori, che considerano sia il danno morale sia il danno materiale subito da aziende orafe di Portici (Napoli), il danno chiesto al Ministero ammonterebbe a circa 850.000 euro. Gli avvocati Lepre e Laino assistono nel processo pendente al tribunale di Arezzo gli imputati Luigi Borrelli, Gianfranco Borrelli, Pietro Borrelli, Agnese Borrelli e Gianluca Ronconi. “Abbiamo presentato ricorso – spiegano i due legali – perché sono trascorsi circa sei anni e mezzo da quando furono sequestrati a costoro più di 12 milioni di euro ed ancora non si e’ celebrato il processo di primo grado. Negli anni sono state restituite delle somme ma gli imputati si vedono ancora sequestrati più di 8 milioni di euro. Hanno deciso di difendersi nel processo ma il ritardo della celebrazione ha prodotto a loro, soprattutto alle loro aziende, rilevanti danni economici per cui sono stati costretti a porre in liquidazione le società”. Gli imputati, accusati di riciclaggio di metalli preziosi, vennero a conoscenza delle indagini con la perquisizione del 30 ottobre 2012 e con un sequestro preventivo dell’8 novembre 2012. Il procedimento si è poi trascinato nel tempo. Nel ricorso alla corte di appello si evidenzia, tra l’altro, che “dalla richiesta di rinvio a giudizio al decreto che dispone il giudizio al netto delle sospensioni trascorsero quasi 2 anni: una durata talmente irragionevole da eguagliare il termine massimo indicato dalla Corte Edu per il compimento di un giudizio più complesso di primo grado” mentre i tre anni di durata massima del primo grado sono decorsi già all’8 novembre 2015 con un ritardo che, all’udienza del processo prevista domani ad Arezzo, diventa di 3 anni e 8 mesi

Cronache della Campania@2019

Bimba morta bel Salernitano, la madre: ‘Quando mi sono svegliata era già morta’

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Iolanda-Passariello

La mamma di Iolanda Passariello, la bimba di otto mesi morta a Sant’Egidio del Monte Albino, nel Salernitano, per presunti maltrattamenti, ha ribadito al gip quanto aveva già riferito al pm nel corso del precedente interrogatorio. La donna, Immacolata Monti da venerdì rinchiusa in carcere a Salerno con l’accusa di omicidio pluriaggravato e maltrattamenti in famiglia in concorso con il marito Giuseppe Passariello, quest’oggi è stata sottoposta all’interrogatorio di garanzia. Assistita dall’avvocato Vincenzo Calabrese, la donna ha spiegato al gip del Tribunale di Nocera Inferiore, Luigi Levita la sua versione su quanto accaduto nella notte tra il 21 e 22 giugno nella loro abitazione di Sant’Egidio del Monte Albino. In particolare – stando a quanto si apprende – la donna ha raccontato che quando si è svegliata la figlia era già priva di vita e che si è adoperata immediatamente per chiedere l’intervento dei soccorsi. La Procura di Nocera Inferiore, però, ritiene che la donna non si sia limitata a coprire il marito (in carcere dallo scorso 23 giugno) ma che sia complice. L’avvocato Calabrese nei prossimi giorni esaminerà gli atti per valutare la possibilità di presentare ricorso al Riesame.

Cronache della Campania@2019


Processo Olimpo: i giudici respingono la richiesta di scarcerazione di Greco per motivi di salute

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Torre Annunziata.Resta in carcere l’imprenditore stabiese Adolfo Greco, nonostante le precarie condizioni di salute dovute alla permanenza da dicembre nel carcere di Secondigliano. Tuttavia il PM ha presentato una relazione medica che evidenza uno stato di salute buono. I legali hanno chiesto al collegio giudicante, presieduto da Riccardo Sena, di raccogliere tutte le relazioni mediche e valutarle per un’eventuale richiesta di scarcerazione. La difesa di Greco, ha inoltre ribadito la volontà di “celebrare il processo” in modo rapido per dimostrare l’innocenza ma anche perché c’è “una persona malata sottoposta ad un processo lungo”. Udienza del Processo Olimpio fatta ancora di schermaglie quella che si è celebrata oggi nell’aula Siani del Tribunale di Torre Annunziata. “Greco è una vittima dei clan, e non è stato tutelato” la difesa dell’imprenditore lattiero caseario ha impostato  tutta la fase dibattimentale su questa posizione. Tuttavia non è cambiato molto rispetto all’udienza, la prima, celebrata la scorsa settimana. Assenti nel processo ordinario che vede imputati Adolfo Greco, Carolei Michele, Carolei Raffaele, Cuomo Umberto, Di Martino Luigi, Di Somma Attilio, le parti lese. Assente l’associazione SOS Impresa che, nella prima udienza, si era costituita parte civile con il comune di Castellammare di Stabia, in aula oggi con il suo legale.
Nel corso del dibattimento si è parlato delle intercettazioni e degli episodi riportati nelle documentazioni del fascicolo a carico di Greco che sarebbero carenti di prove capaci di contestare all’imprenditore stabiese la natura di alcuni reati. “Mancherebbero – secondo gli avvocati – gli elementi tali da configurare la notizia di reato. E’ la tesi sostenuta dalla difesa, avvocati Stavino e Maiello, che raccontano di un imprenditore vittima del malaffare. Durante il dibattimento sono state lette, inoltre, anche alcune dichiarazioni del collaboratore di giustizia Belviso che sarebbero alla genesi dell’inchiesta. Il collaboratore Francesco Belviso riferisce agli investigatori il 22 marzo del 2012 e racconta dell’imprenditore Greco costretto a pagare delle tangenti al clan D’Alessandro. “Adolfo Greco è un grosso imprenditore che gestisce camion e si occupa dei rifornimenti ai supermercati di latte e di altri prodotti alimentari, se non sbaglio della Kinder, aveva un contatto diretto con Paoluccio Carolei. […]Paoluccio Carolei ci ha dato un paio di tranche da cinquemila euro ciascuna provenienti da Adolfo Greco. Le due quote di cinquemila euro ciascuna sono state consegnate da Paoluccio Carolei direttamente a me. Il denaro che Paoluccio Carolei riceveva da Adolfo Greco era di importo superiore. Infatti, il denaro consegnato da Adolfo Greco veniva diviso tra D’Alessandro Vincenzo e Paoluccio Carolei e quindi quello che veniva dato a noi costituiva soltanto la parte spettante a D’Alessandro. Le consegne delle tranche di denaro provenienti da Adolfo Greco sono avvenute a fine aprile e ad inizio maggio del 2009. Adolfo Greco aveva pagato anche a Natale del 2008”. Dopo circa un anno da queste dichiarazioni gli investigatori iniziano ad indagare anche su Greco e sul rapporto con i clan locali. La difesa, che parla di lesione dei diritti dell’imprenditore, ha chiesto di sapere se sono stati eseguiti tutti gli accertamenti necessari prima di passare all’autorizzazione a procedere nei confronti del Greco e se il Gip prima di procedere abbia avuto il quadro chiaro della situazione e tutti gli elementi utili per emettere l’ordinanza di custodia. Per l’avvocato Stavino “Greco non è stato tutelato come cittadino nel momento in cui veniva vessato dai tre clan che dominano, sembra, il territorio di Castellammare”. Alla luce di questo e delle dichiarazioni l’avvocato ha chiesto “di conoscere sulla base di che ipotesi e argomentazioni è stato ipotizzato il reato di partecipazione all’associazione per delinquere di stampo criminale”. Gli avvocati dell’imprenditore hanno sostenuto, più di una volta, che la figura di Greco non è di carnefice bensì di vittima così come descritta anche dal collaboratore di giustizia tanto da portare alla costituzione, mediante l’avvocato Salvatore Pane, parte civile nel processo. “Gli atti a noi a disposizione parlano di Greco come periodicamente estorto dal clan D’Alessandro” dice l’avvocato Maiello. Il Pm ha rigettato tutte le eccezioni sollevate dalla difesa perché ritenute “prive di fondamento”.

Cronache della Campania@2019

‘Avvisate a Nicola che lo vanno a prendere stasera’, un poliziotto corrotto fece scappare il boss Rullo. LE INTERCETTAZIONI

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” ah …. non sai niente di ieri sera ….. cosa è successo …noi lo salvammo a Nicola …. venne una guardia e disse avvisatelo dov’è sta perché adesso lo vanno a prendere … stasera “. Il dialogo è tra il reggente del clan Contini, Vincenzo Tolomelli e il nipote omonimo detto Harry Potter. Il Nicola di cui parlano i due è il boss Nicola Rullo o’ nfamone che sfuggì alla cattura nel 2012 grazie alla soffiata di un poliziotto corrotto. L’episodio è contenuto nelle oltre 2000 pagine dell’ordinanza cautelare firmata dal gip Roberto D’Auria che due settimane fa ha smantellato con oltre 100 arresti l’Alleanza di Secondigliano. Un capitolo dell’ordinanza è dedicato al ruolo di Tolomelli e ai rapporti all’interno del clan e con le forze dell’ordine corrotte. E a tale proposito scrive il gip: “Uno degli aspetti più inquietanti dei gruppi camorristici è rappresentato dalla contiguità con servitori infedeli dello Stato, siano essi esponenti delle forze di polizia o di uffici giudiziari. Durante la presente attività investigativa venivano captate conversazioni relative a tale preoccupante aspetto”. Non a caso in quella circostanza Nicola Rullo riuscì a sfuggire alla cattura perché fu prelevato da Antonio Grasso detto il Cuozzo e portato al sicuro. In un altra conversazione sempre tra i due Tolomelli n cui si faceva riferimento alla notizia della prossima esecuzione di un’operazione di polizia che avrebbe portato all’arresto di numerose persone. Preliminarmente  Vincenzo Tolomelli Senior osservava di non aver più visto a “quelli là di Nicola”, riferendosi ai sodali di Nicola Rullo e chiedeva al nipote se, in particolare, avesse visto Umberto, ossia Umberto Falanga. Nella circostanza il nipote riferiva che Umberto, gli aveva riferito che avevano solo 48 ore prima che venissero eseguito un blitz nel quartiere di Secondigliano e di San Giovanni e Paolo detto San Giovanniello; l’Umberto aveva precisato che era l’ultima sera che avrebbe dormito a casa, così da sottrarsi all’eventuale arresto ” … quello Umberto .inc … ha lasciato mercoledì sopra alla festa … ha detto teniamo 48 ore di tempo …. un blitz a Secondigliano e San Giovanniello ci alzano a tutti quanti ………. disse questa è l’ultima sera che dorme a casa da domani non ci dormo più …… disse abbiamo avuti l’imbasciata da certi di Secondigliano ….. ci sta un blitz imminente però disse entro 48 ore ….. ci arresteranno tutti quanti … “. La Dda ora sta invece cercando la talpa che due settimane fa ha ‘avvisato’ Maria Licciardi ‘a piccirella, diventata latitante ed inserita nell’elenco dei più ricercati d’Italia.

Cronache della Campania@2019

Sgozzò il suo amico per gelosia: confermati i 30 anni di carcere

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Agropoli. Trenta anni di carcere per il giovane tunisino Nezar Mrabet, da tempo residente nel Cilento e accusato dell’omicidio di Marco Borrelli, avvenuto nell’aprile del 2017 per motivi di gelosia. Lo hanno deciso i giudici della Corte di Appello di Salerno che hanno confermato la sentenza del processo di primo grado Il processo si era svolto con il rito abbreviato davanti al  Tribunale di Vallo della Lucania.Il giovane fu fermato poche ore dopo il ritrovamento del corpo di Marco Borrelli e confessò di aver ucciso il suo amico perché tradito dallo stesso e dalla sua ex dalla quale aveva avuto due figli.  “Ci eravamo dati appuntamento, con Marco, nei pressi della chiesa Sacro Cuore per un chiarimento. Era stato ac­compagnato, con la macchina, dalla mia ex compagna, che ora aveva intrapreso una relazione sentimentale con lui. Abbiamo iniziato a passeggia­re. Una volta arrivati nei pressi del secondo cavalcavia, ci siamo diretti verso l’area del Parco Le Ginestre. Stavamo ragionando con calma, da vecchi amici. Ma durante il percorso dopo alcune affermazioni di Marco, che non ne voleva sape­re di lasciare perdere Cristina le parole sono diven­tate urla e siamo venuti alle mani. A quel punto ho tirato fuori dalla tasca della felpa un coltello. L’ho fat­to con la mano sinistra, sebbene io non sia mancino, e ho col­pito Marco alla gola. Lui  ha cominciato a vacillare. Ho cercato di tamponargli la ferita, di fermargli l’emorragia, ma il sangue continuava a fuoriuscire dal collo. Marco, impaurito ed agoniz­zante, ha cercato di fuggire ma è inciampato ed è caduto. E’ morto in poco tempo. In preda al panico ho preso il corpo e ho cercato di nasconderlo tra i cal­cinacci e la vegetazione, ma in maniera molto approssimativa, quindi preso il telefono sono scappato via.Ho gettato il coltello li vicino  e poi il telefono di Marco un cas­sonetto, nei pressi del pub Tre Conchiglie”.

(nella foto l’assassino Mrabet Nezar e la vittima Marco Borrelli)

Cronache della Campania@2019

Mazzette e favori sessuali al comune di Castel Volturno: in 20 rinviati a giudizio

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Il gup del tribunale di Santa Maria Capua Vetere, Orazio Rossi, ha rinviato a giudizio 20 persone, tra cui alcuni funzionari del Comune di Castel Volturno, nell’ambito di un’inchiesta per corruzione in cui emergono anche favori sessuali richiesti da un dipendente in cambio del rilascio di una documentazione. Il processo inizierà il prossimo ottobre davanti ai giudici del tribunale di Santa Maria Capua Vetere ed è coinvolto anche il comandante della locale polizia municipale. L’indagine della Procura di Santa Maria Capua Vetere sfociò a gennaio scorso, nell’arresto di sei persone, tra cui il dirigente dell’Utc del Comune di Castel Volturno, Carmine Noviello e il dipendente Antonio Di Bona, il primo ritenuto figura centrale di un ‘consolidato sistema corruttivo’ che per anni avrebbe caratterizzato la prassi amministrativa del comune del litorale domizio, noto soprattutto per il degrado socio-ambientale legato alla presenza di almeno 15mila immigrati clandestini. Verazzo e Noviello erano stati coinvolti dieci anni fa con vari amministratori, tra cui l’ex sindaco-magistrato Francesco Nuzzo, in un blitz della Dda sugli appalti e poi tutti prosciolti nel 2014. Tra i 20 capi di imputazione, ognuno dei quali sviluppati in vari episodi, spuntò anche un’attività di Noviello a favore del complesso ospedaliero della Clinica Pinetagrande, in fase peraltro di ampliamento con nuove palazzine destinate ad ospitare uffici, una scuola infermieri e un Obesity Center.

Cronache della Campania@2019

Napoli, il boss Misso chiede 100 mila euro di risarcimento alla giornalista

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“Il giudice ha rinviato ad ottobre la sentenza sulla richiesta di risarcimento del boss pentito Giuseppe Misso nei confronti della giornalista Giuliana Covella per un articolo apparso su “il Mattino” e per quanto scritto nel libro “Rapido 904, la strage dimenticata”. L’ex padrino, prima condannato e poi assolto in quel processo, ha chiesto di parlare in aula e si è dichiarato “vittima tra le vittime”, un’offesa alle 17 persone che sono morte su quel treno il 23 dicembre del 1984 e che non hanno mai ottenuto pienamente giustizia. Misso chiede un maxi-risarcimento di 100mila euro alla collega che ha solo riportato quanto affermato in sentenze e atti processuali pubblici. A nostro avviso si tratta dell’ennesima lite temeraria nei confronti di una cronista che ha fatto semplicemente il suo lavoro. A ottobre saremo con Giuliana e con l’avvocato Vincenzo Arino in aula per testimoniare la nostra vicinanza alla giornalista del Mattino e a tutti i colleghi minacciati”. È quanto affermano in una nota la Federazione nazionale della Stampa italiana e il Sindacato unitario giornalisti della Campania.

Cronache della Campania@2019

Colpo ai “Casalesi”, emesse sei custodie cautelari per estorsione aggravata

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arresto-aversa

Nelle prime ore della mattina a Roma, Villaricca, Sant’Antimo,, Parete e San Marcellino, a conclusione di un’indagine coordinata dalla Dda di Napoli, i carabinieri del Nucleo investigativo del Gruppo di Aversa, hanno dato esecuzione a 6 ordinanze di custodia cautelare, emesse dal gip del Tribunale di Napoli nei confronti di esponenti dell’associazione camorristica denominata clan dei “Casalesi” fazione Schiavone e Bidognetti, ritenuti responsabili di estorsione aggravata dal metodo mafioso ed intestazione fittizia di beni al fine di eludere la normativa antiriciclaggio. Più in particolare, i provvedimenti restrittivi costituiscono il risultato di una prolungata attivita’ investigativa che ha consentito di raccogliere un quadro indiziario nei confronti degli indagati ed ha permesso di accertare la consumazione di numerose estorsioni ed intimidazioni a danno di imprenditori e commercianti per il recupero di crediti e l’imposizione del servizio di vigilanza privata dei locali commerciali attraverso la forza intimidatrice dell’appartenenza al clan dei “Casalesi”. Nel corso dell’operazione e’ stato sottoposto a sequestro preventivo la quota del capitale sociale il complesso aziendale nei confronti di tre società che le indagini hanno accertato essere tutte attività di vigilanza privata nella piena disponibilità del clan.

Cronache della Campania@2019

Calunniava in tv il suo ex avvocato: chiesto il processo per Lucio Varriale, il ‘patron’ di Julie

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Napoli. Una campagna denigratoria nei confronti del suo ex avvocato Domenico Ciruzzi e nei confronti di esponenti di forze dell’ordine e magistrati: nuovo guai giudiziari per Lucio Varriale, l’avvocato editore di fatto dell’emittente televisiva Julie rischia un processo per calunnia e diffamazione aggravata nei confronti di Ciruzzi. La Procura di Napoli ha chiesto il rinvio a giudizio Varriale e per due giornalisti della tv accusati di diffamazione. Al gip Francesco De Falco Giannone gli inquirenti partenopei hanno chiesto il rinvio a giudizio per tutti e tre. Secondo l’ipotesi accusatoria, l’avvocato Varriale avrebbe posto in essere una vera e propria aggressione mediatica nei confronti del collega. La prossima udienza del processo nei confronti di Varriale, che è agli arresti domiciliari per associazione per delinquere, frode e false fatturazioni dallo scorso novembre nell’ambito di un procedimento per truffa ai danni del Mise, è stata fissata per il 10 settembre.

Cronache della Campania@2019


Regione Campania: indagati dalla Corte dei Conti, De Luca, Caldoro e altri 32 consiglieri regionali

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Figurano anche il presidente della Regione Campania, Vincenzo De Luca, e l’ex presidente e attuale consigliere regionale, Stefano Caldoro, tra i destinatari delle 34 contestazioni formali emesse dalla Procura della Corte dei Conti della Campania in relazione alla costituzione, nel 2015, e alla proroga per oltre due anni, di una commissione speciale d’inchiesta sulle societa’ partecipate ritenuta dagli inquirenti “illegittima e dannosa”. L’inchiesta e’ nata da un esposto del M5s.

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Napoli, uccise il cugino e gettò il corpo: 17anni di carcere per il killer Cutarelli

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Napoli. Una sola condanna per l’omicidio di Francesco Sabatino, il figlio del ras Ettore (poi diventato collaboratore di giustizia), brutalmente ucciso il 5 ottobre del 2013. I giudici della quarta sezione della Corte d’Assise d’Appello di Napoli hanno condannato per il delitto Luigi Cutarelli, giovane killer del clan Lo Russo, a 17 anni e 20 giorni di reclusione. A Cutarelli – che figura anche nel commando che uccise l’innocente Genny Cesarano e che è anche cugino della vittima – sono state concesse le attenuanti generiche. Dall’accusa di omicidio sono stati assolti il boss pentito Carlo Lo Russo (che era stato condannato in primo grado) e Antonio Buono (che era stato assolto) difeso dall’avvocato Enrico Di Finizio. Buono, anche lui componente del commando che uccise il giovane Cesarano, però, è stato condannato a due anni per l’occultamento del cadavere di Sabatino.

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Gestivano la piazza di spaccio a Maddaloni: 11 condanne e due assoluzioni

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Undici condanne e due assoluzioni. Questa la sentenza pronunciata dalla Corte d’Appello di Napoli per un gruppo di 14 persone accusate di spaccio di droga a Maddaloni.
I giudici della Terza Sezione della Corte Partenopea hanno rideterminato la sentenza pronunciata in primo grado dal gup Rossi del tribunale di Santa Maria Capua Vetere e condannato: Antonietta Ciardiello a 7 anni; Salvatore Cioffi a 1 anno e 4 mesi (pena sospesa); Michele Di Caprio a 6 mesi assolvendolo per un altro reato già giudicato con un’altra sentenza e concedendo il beneficio della continuazione della pena; Nicola Loffredo a 10 anni e 6 mesi; Valerya Petrova Markova a 2 anni; Giuseppe Martino a 9 anni e 6 mesi; Ciro Micillo a 6 anni ed 8 mesi; Francesco Pisanti a 6 mesi da aggiugersi in continuazione con un’altra sentenza di condanna (con pena complessiva di 5 anni); Maria Rosaria Vitale a 1 anno e 4 mesi. Confermata la condanna Domenico Loffredo e Michele Cerreto. Assolti Giovanni Maiello e Francesco Merola. Sentenza di non luogo a procedere per un altro imputato deceduto nel corso del processo d’Appello.
Gli imputati erano accusati, a vario titolo, di concorso in associazione per delinquere di stampo mafioso, plurime condotte estorsive, reati inerenti le armi, associazione per delinquere finalizzata all’acquisto, alla detenzione ed allo spaccio di stupefacenti; delitti, questi, aggravati dal fine di agevolare il clan camorristico dei Belforte.

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Sfregia una ragazza per non avergli concesso l’amicizia su Facebook: condannato a 5 anni e quattro mesi

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Condannato a cinque anni e quattro mesi di reclusione il commerciante di 49 anni di Pontecagnano, E. P le sue iniziali, accusato di aver sfigurato, con una spranga di ferro, una ragazza che non aveva accettato la sua richiesta di amicizia su Facebook. La sentenza è stata emessa ieri dal gup Albarano del tribunale di Salerno al termine del rito con il giudizio abbreviato. Non solo. Ma il giudice ha disposto anche una provvisionale di 15mila euro a favore della giovane vittima dell’aggressione e di 7mila euro per il fidanzato.

L’episodio risale al 28 gennaio 2017 ed avvenne davanti ad un noto pub della zona. Lesioni personali gravissime e minacce sono le accuse formulate a carico dell’imputato, incastrato dalle indagini dei carabinieri della stazione di Pontecagnano.
Colpevole di non aver concesso l’amicizia sul noto social network. Bastò questo a scatenare la reazione dell’uomo che, in evidente stato di ubriachezza, cominciò ad urlare contro la giovane che lo aveva “rifiutato”, facendo scattare l’intervento del titolare del pub che lo invitò prima a non infastidire i clienti e poi, ad uscire dal locale. Di qui la brutale aggressione.

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Giudice corrotto, mister preferenze di Scafati Alfonso Di Massa pagò 10mila euro per aiutare una parente a superare il concorso da carabiniere

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Favori, pastiere, sentenze aggiustate e concorsi pilotati per giovani magistrati o allievi carabinieri: la longa manus della cricca del giudice Alberto Capuano e di Antonio Di Dio, consigliere della X Municipalità di Napoli (Bagnoli) passa anche per Scafati. Coinvolto nell’inchiesta che ha portato all’arresto di Capuano, ex gip del Tribunale di Napoli poi trasferito nella sede distaccata di Ischia, anche il politico-imprenditore scafatese Alfonso Di Massa, l’uomo più votato alle ultime amministrative con oltre 700 voti, eletto nella lista Fratelli d’Italia a sostegno del neo sindaco Cristoforo Salvati. Del neo consigliere Di Massa si parla nell’ordinanza firmata dal Gip romano Costantino De Robbio per uno dei capitoli di accusa contestati ad Antonio Di Dio, l’uomo ritenuto il tramite tra esponenti del clan Mallardo e il giudice ‘corrotto’. Anche nel caso di Di Massa emerge un episodio di corruzione: lo scafatese fa da tramite presso Di Dio per ‘agevolare’ il superamento del concorso come allievo carabiniere di una sua parente. A far emergere l’episodio nell’indagine curata dai poliziotti della Squadra mobile una conversazione intercettata tra Di Massa e Di Dio in cui si parla di un accordo, evidentemente preso prima dell’avvio delle intercettazioni, per ‘aiutare’ la parente a superare il concorso. Diecimila euro per un aiuto che sarebbe partito dopo il superamento dei quiz. E’ il 28 marzo scorso, quando Di Massa chiama Antonio Di Dio per sapere qual è l’esito della richiesta di raccomandazione e il consigliere della municipalità spiega: “Allora io ho parlato per quanto riguarda questa storia dei carabinieri. Nei carabinieri ci sono due prove lo scritto e poi un’altra cosa che… . Allora mi hanno detto che non ci sono problemi. Devono fare i quiz. Una volta passati i quiz può stare tranquilla al 100% però deve passare i quiz. Poi viene da me le faccio conoscere questa persona ed è garantita al mille per mille”.
Di Dio pattuisce con Alfonso Di Massa il prezzo di questo interessamento: 5mila euro nel momento dell’iscrizione al concorso e 5mila euro dopo il concorso. Il contenuto di quell’intercettazione viene provato pochi giorni dopo quando Di Massa e Di dio si incontrano per il primo scambio di danaro. Cinquemila euro in contanti e la restante parte con un assegno a garanzia della restante parte del ‘debito’. Ricevuti i soldi, ad aprile scorso, Di Dio – lo stesso giorno – chiama Di Massa mentre è in compagnia del comandante della capitaneria di Porto Giuseppe Menna che ringrazia il politico scafatese per delle ‘regalie’ Pasquali e per parlare direttamente con l’aspirante carabiniere. E’ proprio il comandante Menna ad indirizzare la ragazza verso il segretario particolare di un alto ufficiale dell’Arma per presentarsi come ‘quella persona del comandante Menna”. Una frase che le ‘avrebbe cambiato la vita’. Secondo il Gip De Robbio che ha firmato l’ordinanza di custodia cautelare in carcere per Di Dio i dialoghi intercettati sono di una chiarezza estrema, e questo sarebbe l’ennesimo caso di un accordo corruttivo concluso dal consigliere della X municipalità di Napoli che ha ricevuto danaro in cambio della sua intermediazione tra un privato – Alfonso Di Massa – e un pubblico funzionario.

Cronache della Campania@2019

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