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Channel: Cronaca Giudiziaria
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Castellammare, parte il processo Olimpo: il comune parte civile contro Greco

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Castellammare. E’ partito questa mattina il processo ordinario per gli imputati nell’ambito dell’operazione “Olimpo” che hanno scelto di essere giudicai con rito ordinario, Adolfo Greco, Carolei Michele, Carolei Raffaele, Cuomo Umberto, Di Martino Luigi, Di Somma Attilio. La prima udienza è iniziata alle 11.31 alla presenza anche del pm titolare delle indagini Cimmarotta. Tra gli spettatori in aula la moglie di Adolfo Greco, il figlio Luigi ed alcuni parenti. All’udienza hanno partecipato anche gli imputati nel processo attraverso videoconferenza, ad eccezione di Carolei Raffaele e Cuomo Umberto che erano presenti in aula. Molto provato per la carcerazione preventiva, dal carcere di Secondigliano nel quale è rinchiuso da circa 7 mesi, Greco ha assistito alla costituzione di parte civile del comune di Castellammare di Stabia guidato dal sindaco Gaetano Cimmino che ha sostenuto in campagna elettorale poco più di un anno fa e dell’Associazione SOS Impresa. Nonostante le obiezioni degli avvocati difensori il collegio giudicate presieduto da Sena, giudici a latere Sabatino e Marano, ha accolto la richiesta come quella presentata dagli avvocati di Greco Adolfo, Maiello e Stravino, di costituzione di parte civile contro i clan che hanno scelto di essere giudicati con rito abbreviato. Una scelta, commenta la difesa dell’imprenditore, perché riteniamo che “Adolfo Greco è una vittima. Un atto, quella della costituzione civile, in cui siamo soli visto che al nostro fianco non ci sono il Comune di Castellammare di Stabia né altre Associazioni”. Le parti saranno chiamate in aula la prossima settimana, il tribunale ha calendarizzato udienze fino al prossimo novembre. Al termine dell’udienza è arrivato anche il commento del sindaco Cimmino che ha parlato di “tutela dell’immagine della città, perché il clima di ombre e di sospetti che fino a qualche tempo fa aleggiava su Castellammare va definitivamente dissipato. Noi – ha detto il Sindaco – chiediamo verità e giustizia e trasparenza. Lo Stato c’è, in tutte le sue forme. Noi stiamo liberando Palazzo Farnese dal degrado politico e burocratico che affliggeva l’Ente, denunciando in Procura e pubblicamente tutto ciò che non va, agendo sul territorio per mandare un chiaro messaggio: il registro è cambiato e nessun imprenditore colluso, poco attento o abusivo ci fermerà. Chi c’era prima di noi, nel migliore dei casi, ha lasciato correre. Sulla pelle dei cittadini stabiesi. Buon lavoro a giudici, magistrati e forze dell’ordine: grazie per tutto ciò che fanno ogni giorno per la nostra città”.

Cronache della Campania@2019


Camorra, omicidio dell’innocente Romanò: depositati nuovi verbali dei pentiti che inchiodano Marco Di Lauro

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Sono state depositate le dichiarazioni di due collaboratori di giustizia, Gennaro Puzella e Antonio Accurso (fratello del boss Umberto,  latitante per anni e che si rese protagonista degli spari contro la caserma dei carabinieri a Secondigliano, perchè avevano tolto i figli alla moglie) oggi nell’udienza di Appello del processo sull’omicidio di Attilio Romanò, assassinato il 24 gennaio 2005 nel negozio di telefonini dove lavorava, nella zona di Capodimonte, a Napoli, per un errore di persona. In questo processo l’ex latitante Marco Di Lauro, figlio del fondatore dell’omonimo clan Paolo di Lauro, è accusato di essere il mandante di quel raid nel quale, in realtà, sarebbe dovuto morire il nipote di un boss degli “scissionisti”, titolare dell’esercizio commerciale. La deposizione dei verbali da parte del sostituto procuratore generale Carmine Esposito ha fatto registrare l’opposizione degli avvocati di Di Lauro, Gennaro Pecoraro e Sergio Cola, che hanno puntati il dito contro gli inquirenti: “Si tratta di dichiarazione risalenti al 2014 che potevano essere tranquillamente inserite tempo fa”. Presenti in aula i familiari di Romanò e le parti civili mentre Marco Di Lauro ha rinunciato al collegamento in video conferenza. Prossima udienza il 7 ottobre.

Cronache della Campania@2019

Processo Olimpo, è subito scontro tra Dda e difesa sugli atti e sui verbali senza omissis

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Mancherebbe agli atti del processo il provvedimento originario di iscrizione nel registro degli indagati dell’indagine Olimpo. Questa mattina per gli imputati Adolfo Greco, Carolei Michele, Carolei Raffaele, Cuomo Umberto, Di Martino Luigi, Di Somma Attilio che hanno scelto di essere giudicati con rito ordinario è iniziato ufficialmente il dibattimento. Una prima udienza caratterizzata da un acceso dibattito, nelle fasi conclusive, nell’aula Giancarlo Siani del Tribunale di Torre Annunziata, tra difese e il pubblico ministero Giuseppe Cimmarotta. Gli avvocati difensori hanno chiesto che vengano forniti dagli investigatori le intercettazioni senza omissis per esercitare, senza limitazioni, il diritto di difesa dei propri assistiti. Ad avanzare la richiesta l’avvocato Francesco Romano al quale si sono anche aggiunti gli avvocati di Adolfo Greco, il professore Maiello e Stravino. Inoltre l’avvocato Romano ha anche richiesto di mettere a disposizione delle parti gli atti di iscrizione nel registro degli indagati senza omissis e soprattutto quelli completamente mancanti al Tiap, il sistema di trattamento informatico degli atti processuali. Il pubblico ministero si è opposto sostenendo che la difesa lo stesse “invitando a compiere un reato, ovvero la produzione di atti che non posso produrre. E’ un induzione a commettere, seppur con gentilezza, un reato – ha detto Cimmarotta – il reato di rivelazione di segreto d’ufficio”. Si è espressa, sulla questione anche la difesa di Greco Adolfo. “Noi chiediamo di conoscere l’atto con il quale siamo stati iscritti nel registro degli indagati – ha esordito Maiello – per fare le nostre valutazioni. Greco ha diritto di sapere se si sono maturate le condizioni di inutilizzabilità per acquisizioni probatorie successive. E se questo significa istigare il pubblico ministero a commettere un reato io mi auto denuncio per istigazione di reato con tutte le conseguenze che ne possono derivare anche sul piano della credibilità di un soggetto pubblico. Io rabbrividisco davanti a certe dichiarazioni. Mi auto denuncio per istigazione di rivelazione di segreti di ufficio. Insistere in una richiesta che integra un diritto di difesa, non capisco perché può essere considerata un’incriminazione”. Siccome esisterebbe solo l’atto di proroga delle indagini, la difesa chiede l’atto del 24 aprile 2013 con il quale iscriveva gli imputati nel registro degli indagati senza omissis perché così come sostenuto anche dagli avvocati di Greco “perché a partire da quella data possiamo ricavare degli elementi utili per verificare la legittimità delle indagini. E’ la data a partire dalla quale inizia a decorrere il termine delle indagini preliminari dopo due anni ogni ulteriore attività investigativa è affetto da invalidità”. Inoltre gli avvocati difensori hanno chiesto all’accusa di avere le intercettazioni, telefoniche ed ambientali, senza omissis. Il pm ha fatto sapere che trasferirà al tribunale tutti gli atti che la difesa ha chiesto specificando che “le parti con omissis rimarranno omissate perché presenti soggetti che non hanno nulla a che fare con il processo in corso”. (Emilio D’Averio)

Cronache della Campania@2019

Napoli, 30 anni di carcere per l’istigatore dell’omicidio della discoteca a Coroglio: tensione in Tribunale

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Napoli. E’ stato condannato a 30 anni di carcere il 20enne Francesco Esposito responsabile nello scorso giugno di aver causato la morte all’esterno di una discoteca di Coroglio del 28enne di Secondigliano Agostino Di Fiore. Non fu lui a fare fuoco contro il giovane ma istigò il killer Michele Elia junior rampollo della nota famiglia di trafficanti di droga del pallonetto di Santa Lucia (e che essendo minorenne all’epoca è stato processato e condannato a 18 anni di carcere presso il Tribunale per i minori). Esposito è  stato condannato per concorso in omicidio e alla lettura della sentenza sono scoppiati tafferugli in aula tanto che è stato necessario l’intervento delle forze dell’ordine. Dalle indagini è emerso che la lite in discoteca, poi sfociata nell’omicidio di Di Fiore, sarebbe stata innescata dalla sua intromissione, non gradita, in una lite scoppiata tra Francesco Esposito e la sua fidanzata. Ci fu una rissa durante la quale Esposito ebbe la peggio da parte un gruppo di ragazzi di Secondigliano, di cui faceva parte anche la vittima. Esposito dopo l’accaduto, chiamò più volte, nel cuore della notte, l’amico diciassettenne, per chiederne l’intervento. Nel corso di queste telefonate sia la fidanzata di Esposito che altre ragazze, avevano cercato di evitare che il diciassettenne intervenisse, soprattutto cercando di convincere Francesco ad andare via: “‘o chiatto (questo il soprannome di Esposito, ndr) non lo chiamare, stammi a sentire a me”). Ma Esposito insiste: “ho litigato, ho litigato…”, “Mi puoi venire a prendere fuori al locale?”, e ancora “quelli sono di Secondigliano, sto fuori al locale”. Il minorenne, dopo le insistenze dell’amico, prende un taxi e si reca a Coroglio, dove l’amico lo stava aspettando. Poco prima dell’omicidio una pattuglia della polizia si reca nella discoteca di Bagnoli per eseguire dei controlli; alle 5,30, quando erano già a bordo delle proprie vetture, i poliziotti sentono colpi d’arma da fuoco e urla in lontananza. Corrono sul luogo da cui provenivano le urla e trovano, su una strada in salita che va verso Posillipo, non molto lontano dalla discoteca, un’auto nera impattata contro il muro destro, con lo sportello del lato passeggero aperto e, all’interno, Agostino Di Fiore, accasciato, privo di vita. Gli agenti vedono anche un giovane, di circa 20 anni, poi identificato in Francesco Esposito, allontanarsi con una pistola infilata nella cintola. Il ragazzo, malgrado il tentativo di fuga, viene bloccato. Ma dell’arma nessuna traccia. Verrà trovata poco dopo in un cespuglio. A terra vengono trovati anche tre bossoli calibro 9, dello stesso calibro della pistola trovata dai carabinieri a cui vengono delegati gli accertamenti. Subito dopo l’omicidio uno dei poliziotti accorsi sul luogo della tragedia, è costretto a soccorrere un giovane,Michele Elia junior, che all’agente riferisce di essere stato investito: ed effettivamente il ragazzo aveva delle ferite alle gambe e i pantaloni strappati. Il giovane, però, fugge. Viene successivamente rintracciato, portato nell’ospedale Vecchio Pellegrini, per essere medicato e poi viene fermato.

Cronache della Campania@2019

Napoli, sit-in di protesta davanti al Tribunale per il processo di Appello per la morte dalla giovane ballerina di Melito

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Napoli. Parte oggi il processo di Appello nei confronti di Giuseppe Varriale il giovane di Mugnano condannato a 4 anni e otto mesi di carcere per l’omicidio colposo della sua ex fidanzata  Alessandra Madonna di Melito. E stamane è previsto un sit-in per chiedere giustizia per la giovane ballerina. Ci saranno anche i suoi genitori Enzo Madonna e Olimpia Cacace davanti al Palazzo di Giustizia di Napoli.La tragedia si consumò l’otto settembre 2017 Mugnano sotto casa del ragazzo dopo un incontro ad una festa di comuni amici. Alessandra fu trascinata dalla vettura dell’ex fidanzato e rimase uccisa. Oggi è prevista l’udienza del processo di Appello e l’associazione “La forza delle donne”, con il presidente Elisa Russo ha deciso di scendere in piazza. Oltre ai genitori di Alessandra saranno presenti anche criminologa Antonella Formicola. Il pm aveva chiesto la condanna a 30 anni per omicidio volontario, per l’ex fidanzato di Alessandra, Giuseppe Varriale, che è stato condannato a quattro anni e otto mesi inflitta per omicidio colposo.

Cronache della Campania@2019

Investita e uccisa dall’ex fidanzato: in Appello chiesti 20 anni di carcere

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Venti anni di carcere per omicidio volontario: è questa la richiesta avanzata al termine della requisitoria dal sostituto procuratore generale della Corte di Appello di Napoli, Carmine Esposito nell’ambito del processo di secondo grado per la morte di Alessandra Madonna, la ragazza deceduta l’8 settembre 2017, a Mugnano dopo essere stata trascinata dalla vettura dell’ex fidanzato, Giuseppe Varriale, che è condannato in primo grado a quattro anni e otto mesi inflitta per omicidio stradale colposo. Per Varriale il pm aveva chiesto la condanna a 30 anni per omicidio volontario. Nel corso dell’udienza l’avvocato di parte civile Massimo Batragliola ha fatto istanza di rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale attraverso una superperizia medico legale realizzata per la famiglia Madonna dal professore Bolino de La Sapienza. Chiesta anche l’acquisizione di una puntata della trasmissione “Le Iene”, relativamente a un passaggio che fa riferimento a un messaggio di cui parla una amica di Alessandra. Entrambe le richieste sono state però rigettate dalla Corte d’Appello di Napoli che ha acquisito invece una memoria difensiva. Le prossime udienze si terranno il 9 e il 15 luglio. Stamattina davanti al Palazzo di Giustizia, prima dell’inizio del processo di secondo grado, si è tenuto un sit-in organizzato dall’associazione “La forza delle donne”. “Vogliamo innanzitutto capire come è morta questa ragazza – ha detto la presidente Elisa Russo – vogliamo capire cosa e’ realmente successo quel giorno e vogliamo anche essere vicini alla famiglia. La madre di Alessandra – ha concluso la presidente – rappresenta per noi un motivo di vera preoccupazione: legge ossessivamente i messaggi che si scambiava via cellulare con la figlia. Olimpia Cacace sta vivendo in un limbo da quel tragico giorno e come sapete ha già tentato di farsi del male”.

Cronache della Campania@2019

Camorra, il clan Contini ‘perse’ le elezioni di Casalnuovo del 2015 pur pagando 50 euro a voto

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Il clan Contini aveva provato ad infiltrarsi nel comune di Casalnuovo durante le elezioni del maggio 2015. E’ l’inedito retroscena che emerge dall’inchiesta Cartagena che la scorsa settimana ha sgominato l’intero sistema criminale dell’Alleanza di Secondigliano composto dalle famiglie malavitose dei Contini, Mallardo e Licciardi. Pagarono 50 euro a voto ma non riuscirono ad eleggere il proprio referente. Tra i candidati consiglieri comunali nel partito “Unione di Centro” che faceva parte della coalizione che sosteneva la rielezione a sindaco di Antonio Peluso vi era Giacomo D’Inverno consigliere uscente eletto nel 2010 nel partito “Lista Civica”, che aveva sostenuto la maggioranza politica del sindaco uscente Peluso.
A quelle elezioni Giacomo D’Inverno ottenne 280 voti, risultando il secondo candidato del partito “Unione di Centro”. Il candidato sindaco Antonio Peluso ottenne il 48,62% dei voti per cui  andò al ballottaggio con l’altro candidato, Massimo Pelliccia.
Secondo la Dda la candidatura di Giacomo D’Inverno fu sostenuta anche dal clan Contini attraverso la mediazione di Salvatore Percope elemento di primo piano del clan e arrestato nel blitz Cartagena.
Scrive il gip Roberto D’Auria nell’ordinanza: ‘D’Inverno ha ottenuto i voti dal sodalizio malavitoso dietro il pagamento di circa 50 euro a preferenza. Gli elementi posti a fondamento della tesi accusatoria provengono dagli esiti delle intercettazioni disposte nei riguardi dell’utenza cellulare in uso a Salvatore Percoipe. L’esponente continiano risulta infatti risiedere nel Comune di Casalnuovo di Napoli, motivazione per cui il D’Inverno si rivolge proprio al Percope”. Dalle intercettazioni telefoniche allegate all’ordinanza emerge come D’Inverno abbia pagato 50 euro a Giuseppe Percope giovane figlio di salvatore promettendo la stessa cifra per gli amici che lo avrebbero votato. Ci fu anche un incontro presso un bar dove i ragazzi si ritrovavano ma non c’è prova effettiva del pagamento dei 50 euro agli altri ragazzi. “Perchè io poi sabato vado a prendere .. inc . a me mi interessa i compagni tuoi …”. Salvatore Percope il giorno delle consultazioni elettorali accompagnò personalmente al seggio alcune delle persone che poi avrebbero espresso -dietro compenso economico, deve ritenersi- il voto in favore di Giacomo D’Inverno.  Ma al ballottaggio il dottor Antonio Peluso fu sconfitto e quindi  D’Inverno non  riuscì ad entrare in consiglio comunale. Del cattivo esito del ballottaggio elettorale D’Inverno faceva ampio riferimento nel corso della telefonata intercettata il 16 giugno 2015 nella quale esprimeva tutto il suo rammarico a Salvatore Percope che a sua volta chiedeva all’esponente politico quanti voti aveva preso l’avversario candidato sindaco nella zona evidentemente lui controllata. Scrive il gip: “E’ chiaro, sulla base delle frasi pronunciate dal malavitoso continiano, che l’unico interesse del clan era quello di garantire, attraverso una vera e propria compravendita di voti, un consistente numero di preferenze elettorali grazie ai quali poter avere, in seguito, un potere contrattuale con la componente politica nella circostanza qui rappresentata da Giacomo D’Inverno, di maggior peso. Le intercettazioni telefoniche predisposte nei riguardi delle utenze cellulari in uso a Salvatore Percope hanno consentito, al di là della vicenda relativa al voto di scambio, di evidenziare la profonda conoscenza tra l’affiliato al clan Contini e Giacomo D’Inverno anche in epoca antecedente alla tornata elettorale.In una telefonata intercettata del del 3 febbraio 2015 D’Inverno chiese all’amico Percope  se avesse potuto avere un’agevolazione dal titolare delle “Gioiellerie Esposito” di corso Meridionale, ossia da Gaetano ESPOSITO, sul prezzo d’acquisto di un oggetto verosimilmente di valore. Salvatore Percope si mostrava accondiscendete, tanto da esortare l’amico a non pagare la merce, perché poi lui, in un secondo momento, avrebbe avvicinato il titolare delle gioiellerie per concordare il prezzo finale. Scrive ancora il gip: “Il contenuto inequivocabile della telefonata induce a ritenere che D’Inverno, all’epoca dei fatti consigliere comunale in carica, era consapevole che Salvatore Percope fosse organico al clan Contini e che le gioiellerie, in qualche maniera, erano ricollegabili alla consorteria mafiosa. D’altra parte non vi è alcun nesso logico se si considera che Salvatore Percope non ha alcuna attinenza ufficiale con i titolari delle gioiellerie Esposito se non quella di essere l’uomo di fiducia di Vincenzo Tolomelli attuale reggente del clan Contini”.

Cronache della Campania@2019

Corruzione al Tribunale di Napoli: ecco chi sono gli arrestati

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Napoli. Dalle prime ore di questa mattina e’ in corso un’operazione della Polizia di Stato, coordinata dalla Procura della Repubblica di Roma, nei confronti di un giudice napoletano ed altri quattro soggetti indagati, a vario titolo, per corruzione per l’esercizio della funzione, corruzione per un atto contrario ai doveri d’ufficio, corruzione in atti giudiziari, traffico di influenze illecite, millantato credito, tentata estorsione, favoreggiamento personale.n Al termine di un’articolata attivita’ investigativa coordinata dalla locale Procura della Repubblica. Sono finiti in manette: Alberto Capuano, nato a Napoli il 3.03.1959, Gip presso il Tribunale di Napoli – sezione distaccata Ischia (Napoli); Antonio Di Dio, nato a Napoli il 25.11.1953, consigliere circoscrizionale della X municipalita’ di Bagnoli (Napoli); Valentino Cassini, nato a Nocera Inferiore (Salerno) il 24.09.1967 libero professionista nel commercio al dettaglio di prodotti via internet; Giuseppe Liccardo, nato a Napoli il 4.12.1989 pregiudicato appartenente al clan Mallardo di Giugliano). I quattro sono stati condotti in carcere. E’ finito agli arresti domiciliari Elio Bonaiuto, nato a Napoli il 2.04.1948, avvocato del Foro di Napoli. I particolari dell’operazione saranno illustrati alle ore 12 presso la Procura della Repubblica di Roma alla presenza del Procuratore aggiunto Paolo Ielo.

Cronache della Campania@2019


Processo carburanti: assolti i fratelli Cosentino

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Processo “carburanti» in Campania”. I consiglieri della seconda sezione della Cassazione hanno depositato le motivazioni della sentenza, emessa il 4 giugno scorso relativa all’assoluzione degli imputati, fra cui i fratelli Nicola, Giovanni e Antonio Cosentino. Il primo, ex sottosegretario all’economia del governo Berlusconi, gli altri due: imprenditori nel settore della distribuzione dei carburanti.
Le assoluzioni sono arrivate a cinque anni di distanza dalla maxi retata di imprenditori, funzionari regionali e dipendenti della Q8 accusati, a vario titolo, dalla Procura di Napoli, Dda, di estorsione e illecita concorrenza, reati aggravati dal metodo mafioso. L’ipotesi della Procura Antimafia però non ha retto fino al terzo grado di giudizio. La Suprema Corte ha ritenuto infondati i ricorsi della pubblica accusa.

Cronache della Campania@2019

Omicidio di camorra: arrestati 7 esponenti delle “Cinque famiglie di Secongliano

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I carabinieri di Castello di Cisterna  hanno arrestato sette persone per l’omicidio di Emilio Forino, del 4 agosto del 2011. Si tratta di esponenti di primissimo piano delle “cinque famiglie di Secondigliano” della camorra. Le misure cautelari sono state emesse dal GIP del Tribunale di Napoli, al termine di articolate indagini svolte dalla Direzione distrettuale antimafia – fondate su dichiarazioni di collaboratori di giustizia, intercettazioni ed un’ampia messe di riscontri – che hanno consentito di ricostruire mandanti ed esecutori materiali del delitto. Forino era un affiliato del clan Ferone, imperante nella zona nord di Napoli, sorto dalla scissione degli Amato/Pagano. La dinamica dell’omicidio fu particolarmente efferata perché l’uomo venne portato dai suoi assassini, che egli credeva suoi compagni, a Casavatore, dove pensava di dover subire una punizione minore a causa dei dissapori con Ernesto Ferone, mentre fu invece assassinato a sangue freddo e lasciato sul marciapiede.

Per come ricostruito Emilio Forino si era allontanato dai Ferone per avvicinarsi ai Marino e la sua uccisione venne richiesta da Ernesto Ferone e da Vincenzo Pagano al cartello delle Cinque Famiglie. L’omicidio portò alla marginalizzazione temporanea del gruppo criminale che operava sulle Case Celesti sino alla spaccatura interna che esplosa con l’omicidio di Ciro Nocerino del settembre 2011.

I soggetti colpiti da misura cautelare sono tra gli esponenti di primissimo piano delle Cinque Famiglie di Secondigliano.

1. ABETE ARCANGELO, detto Angioletto,nato a Napoli il 06.10.1969;
2. ABBINANTE ARCANGELO, di Antonio, nato a Napoli il 17.11.1990
3. ESPOSITO GIOVANNI, detto o’ muort nato a Napoli il 6.02.1963;
4. MARINO ANGELO, nato a Napoli 23.11.1972;
5. MANGANIELLO ROBERTO, nato a Napoli 25.06.1981;
6. PAGANO VINCENZO, detto sce sce, nato a Casavatore il 14.03.1964
7. FERONE ERNESTO, nato a Napoli il 28.5.1967;

Cronache della Campania@2019

Maxi evasione fiscale: Scavone agli arresti domiciliari

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Luigi-Scavone

Luigi Scavone, ex presidente della Pallacanestro Trieste, arrestato il 26 marzo scorso per una maxi evasione fiscale, ha ottenuto il beneficio degli arresti domiciliari e ha lasciato il carcere di Poggioreale (Napoli). Lo riporta il quotidiano Il Piccolo oggi in edicola precisando che la scarcerazione e’ stata accolta dall’autorita’ giudiziaria su richiesta della difesa dopo gli ultimi interrogatori resi dall’indagato al pool di pm della Procura di Napoli. Questi ultimi avevano avviato indagini sul giro di affari della societa’ di lavoro interinale di Scavone.

Cronache della Campania@2019

Slot machine imposte nel modenese, condanna di secondo grado per quattro esponenti del clan dei Casalesi

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Casal di Principe. Arriva la condanna in secondo grado per quattro esponenti dei Casalesi ritenuti autori di imposizione di slot machine nel modenese.  Si tratta di Nicola Schiavone che ha incassato una condanna di  9 anni e 2 mesi di carcere mentre Massimo Dell’Aversano una pena complessiva di 8 anni e 2 mesi, in continuazione con un’altra sentenza. Condannati anche Renato Grassoa 8 anni e 8 mesi sempre in continuazione con un’altra sentenza; confermata la condanna rimediata in primo grado per Roberto Vargas.
La sentenza è stata pronunciata ieri dalla Quarta Sezione della Corte di Appello di Napoli.

Cronache della Campania@2019

Corruzione, il giudice arrestato è gip ad Ischia

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GIP-CAPUANO

Napoli. Il giudice arrestato nell’ambito dell’operazione “San Gennaro” è assegnato al tribunale di Napoli ed è gip di Ischia. Si tratta di Alberto Capuano, finito in carcere nell’ambito di un’indagine anticorruzione coordinata dalla Procura di Roma in cui sarebbero emersi collegamenti con la camorra. Il magistrato, 60enne, è in servizio presso la  sede distaccata del tribunale di Napoli sull’isola di Ischia  Il giudice Capuano, già in passato, era finito al centro di una inchiesta ma la sua posizione dopo qualche anno venne archiviata. Il reato ipotizzato nei suoi confronti era stato di corruzione: gli inquirenti lo accusavano di avere agevolato alcuni noti imprenditori, i Ragosta, in cambio di favori. Il procedimento però fu archiviato dal gip di Roma su proposta della Procura capitolina.

Cronache della Campania@2019

Eco4, una nuova inchiesta coinvolge attuali ed ex amministratori dell’Agro caleno e rispunta Cosentino

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Nelle aule giudiziarie continua a manifestarsi periodicamente il fantasma del braccio operativo dell’ex consorzio per i rifiuti Ce4 (Caserta 4), l’Eco4, la società al centro di tante inchieste sul rapporto tra politica, imprenditoria e camorra, e che al momento hanno coinvolto pesantemente l’ex sottosegretario all’Economia, Nicola Cosentino, e l’ex ministro Mario Landolfi (su quest’ultimo penderebbe una richiesta di condanna a 3 anni e sei mesi di reclusione). In questi giorni, invece, la stampa provinciale ha riferito dell’esistenza di una nuova inchiesta sul consorzio che inglobava una ventina di comuni tra il litorale casertano e l’Agro caleno. La Procura distrettuale antimafia avrebbe inviato a venti persone l’avviso di conclusione di indagini nell’ambito di una inchiesta sul fallimento della società Eco4. Tra gli indagati, accusati – pare – di bancarotta fraudolenta, ci sarebbero nomi in vista del passato e del presente politico della zona. Il giornale online dell’Alto casertano riferisce i nomi degli ex sindaci Giuseppe Di Bernardo (Camigliano), Antonio Bonaccio (Pastorano) e Antonio Merola (Sparanise), dell’ex assessore Francesco D’Alonzo (Pignataro Maggiore), dell’allora delfino politico dell’ex ministro Landolfi, Mattia Di Lorenzo, di Pasquale Cammuso di Giano Vetusto e di Antimo D’Errico di Bellona. A questi si aggiungerebbero Sergio Orsi di Casal di Principe e Giuseppe Valente di Mondragone. Per alcuni si ipotizza, in qualità di componenti del consiglio di amministrazione del consorzio Eco Quattro – dichiarata fallita con sentenza del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere del 1/4/08 – di aver contribuito a determinare il dissesto della società.

Cronache della Campania@2019

Vacanze da favola e vita nel lusso con i soldi del clan dei Casalesi: chiesta la condanna per le parenti di Zagaria

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Vacanze da favola e vita nel lusso con i soldi del clan dei Casalesi. Secondo la tesi accusatoria la sorella del boss Michele Zagaria detenuto al 41 bis, e le cognate, quattro donne, questa mattina sotto processo in Corte di Appello a Napoli, avrebbero ricevuto stipendi, di cui sapevano la provenienza illecita, che avrebbero consentito loro di condurre una vita agiata. Il Procuratore generale ha chiesto la conferma delle condanne per le donne del capoclan. Sei anni e 8 mesi alla sorella Beatrice Zagaria, detenuta, accusata di associazione di tipo camorristico. Chiesta la conferma della pena ricevuta con il primo grado di giudizio, a tre anni per Francesca Linetti e Tiziana Piccolo, rispettivamente mogli di Pasquale e Carmine Zagaria (fratelli del boss) accusate di ricettazione senza l’aggravante mafiosa. Tre anni per Paola Martino, moglie di Antonio Zagaria, lo stesso accusata di ricettazione senza l’art.7 aggravata camorristico. La sentenza è fissata per il 16 luglio

Cronache della Campania@2019


Napoli, ucciso dalla pietra caduta dalla Galleria Umberto: il processo a rischio prescrizione

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Napoli. “Sono passati ormai 5 anni dalla tragica morte del piccolo Salvatore Giordano, ucciso dallo stato di gravissima incuria in cui versava la Galleria Umberto di Napoli e di cui era ben informato il Comune grazie anche alle numerose interrogazioni degli stessi consiglieri comunali che purtroppo rimasero del tutto inascoltate”. Così in una nota gli avvocati Sergio e Angelo Pisani, legali della famiglia Giordano, commentano il quinto anniversario della morte del giovane Salvatore Giordano, colpito e ucciso, mentre passeggiava con alcuni amici, da un pesante pezzo di stucco staccatosi da un edificio della Galleria Umberto I di Napoli. Per i due legali si è trattato “di una morte annunciata cui non si è posto rimedio in alcun modo. Anzi, a cinque anni di distanza dal tragico evento, nonostante la chiara evidenza delle responsabilità per quanto accaduto, la tragedia di Salvatore grida giustizia ogni giorno, in quanto i familiari sono ancora vittima del pretestuoso rimpallo di responsabilità tra i due colossi assicurativi rispettivamente del Comune di Napoli e del condominio, che continuano a negare il dovuto risarcimento per le negligenze dei propri assicurati”. “Il processo penale, – continua il legale della famiglia – rischia ora addirittura di prescriversi se non si programmeranno udienze straordinarie con cadenza settimanale”. “Salvatore probabilmente non faceva comodo a nessuno, – ammoniscono Sergio e Angelo Pisani – ecco perchè nessuno alza la voce per lui, Salvatore era ‘solo’ un ragazzino amato dalla sua famiglia e dai suoi amici. E allora abbiamo il dovere di farlo noi – dichiarano gli avvocati – non permetteremo che venga negata giustizia ad un minore vittima di una Napoli che non fa onore a nessuno, chiediamo che su questa vicenda intervenga il Capo dello Stato. La Galleria oltre ad essere un complesso condominiale è un importante monumento, addirittura sito Unesco, Salvatore, poco più di un bambino è vittima dell’incuria istituzionale e di colossi assicurativi indifferenti ai diritti dei suoi familiari”

Cronache della Campania@2019

Giro di prostituzione a Firenze, assolto agente penitenziario napoletano

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Firenze. Assolto dalla corte di appello di Firenze, per non aver commesso il fatto, un agente di polizia penitenziaria di Napoli condannato in primo grado a 4 anni e mezzo di reclusione con l’accusa di essere coinvolto in un giro di prostituzione a Firenze. I giudici hanno dichiarato inoltre prescritte le accuse a carico di una donna residente nell’Aretino, all’epoca dei fatti amministratore delegato della società proprietaria delle abitazioni che sarebbero state messe a disposizione per gli incontri tra prostitute e clienti. Sul banco degli imputati anche una donna brasiliana, accusata di aver reclutato nel suo paese d’origine ragazze da destinare alla prostituzione, che ha patteggiato una condanna a 2 anni. L’agente della penitenziaria, nato a Napoli ma residente a Scandicci in provincia di Firenze, difeso dall’avvocato Filippo Cei, era accusato di essersi occupato dei permessi di soggiorno delle prostitute, ricevendo anche una sorta di stipendio periodico per i suoi servizi. Nel dicembre del 2007 fu arrestato nell’ambito dell’inchiesta, finendo ai domiciliari.

Cronache della Campania@2019

Quarto, ragazza violentata dopo la discoteca: archiviata la posizione dell’amico dello stupratore

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Era indagato per false informazioni al pm nell’ambito della vicenda di violenza sessuale avvenuta a Quarto, l’8 dicembre scorso, ai danni di una ragazza del posto, e per il quale risulta essere imputato un 25enne incensurato di Villaricca, adesso agli arresti domiciliari.
Il 25 marzo scorso si è tenuto l’interrogatorio, così come richiesto dal sostituto procuratore della Repubblica di Napoli Titta Ferrante, nel quale il giovane ragazzo G. C. aveva risposto a tutte le domande, chiarendo il perché aveva omesso di dire una circostanza quando fu chiamato a deporre come persona informata sui fatti, lo scorso 21 febbraio, in merito alla spinosa vicenda che coinvolge il suo amico, tutt’ora.
Da qui la richiesta di archiviazione del suo avvocato di fiducia Massimo Viscusi, del Foro di Benevento, che è stata accolta dalla Procura.
L’inchiesta riguarda un caso di abuso sessuale denunciato dalla ragazza che la sera dell’otto dicembre scorso dopo aver trascorso una serata in una discoteca di Napoli e aver fumato hashish e bevuto alcolici aveva chiesto un passaggio a un ragazzo conosciuto durante la serata. Nel tragitto il ragazzo approfittando dello stato confusionale della giovane l’avrebbe violentata. Dopo la denuncia della ragazza a lui si sarebbe risaliti grazie alle testimonianze e alla visione dei filmati delle telecamere della discoteca.Almeno per il giovane G.C. è stata messa la parola fine.

Cronache della Campania@2019

Crac Deiulemar: la Cassazione conferma la condanna, ma le pene sono da rivedere

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Condanne confermate, anche se le pene inflitte agli imputati dovranno essere riviste (probabilmente al ribasso), per il fallimento – dichiarato il 2 maggio del 2012 – della Deiulemar, la compagnia di navigazione di Torre del Greco al centro di uno scandalo finanziario da oltre 800 milioni di euro che corrisponde a quanto hanno perso nei loro investimenti, attraverso l’acquisto di obbligazioni, quasi 13 mila persone. La quinta sezione penale della Cassazione ha sostanzialmente convalidato la sentenza pronunciata dalla Corte d’appello di Roma nel novembre 2017, che aveva condannato a 13 anni di reclusione Giuseppe Lembo, unico fondatore della società ancora in vita, a 11 anni e 8 mesi i fratelli Pasquale e Angelo Della Gatta (figli di uno dei tre fondatori del gruppo di armatori, Giovanni Battista Della Gatta), a 5 anni e 4 mesi di reclusione la loro sorella Micaela Della Gatta e Giovanna Iuliano, figlia dell’ex amministratore unico della Deiulemar Michele Iuliano. I giudici del ‘Palazzaccio’ hanno disposto un processo d’appello-bis soltanto per la rideterminazione delle pene, constatando – come già aveva fatto nella sua requisitoria il sostituto pg Luigi Orsi – un erroneo calcolo nell’applicazione del cumulo tra l’aggravante speciale prevista dalla legge fallimentare e la continuazione dei reati. La sentenza di oggi apre la strada ai risarcimenti: sono decine e decine le parti civili, e nell’Aula magna del Palazzaccio erano presenti alla lettura del verdetto circa 60 risparmiatori giunti stamane in pullman da Torre del Greco. Il processo, iniziato a Roma nel marzo del 2013, era stato trasferito per competenza nella Capitale poiché tra le vittime della truffa c’era anche un giudice napoletano. Secondo l’accusa, la Deiulemar aveva emesso obbligazioni al portatore irregolari promettendo ai risparmiatori interessi che andavano dal 7 al 15%, ma il denaro sottratto ai 13 mila risparmiatori sarebbe finito in investimenti personali per acquisti di beni mobili e immobili. Nella fase di appello, le pene per gli imputati erano state notevolmente ridotte a seguito della prescrizione di alcune imputazioni. Dopo il deposito delle motivazioni, che di norma avviene entro 90 giorni, la Corte d’appello di Roma dovrà quindi riprendere in mano gli atti del processo per il ricalcolo delle pene.

Cronache della Campania@2019

La piccola Chiara Mirto morta al Pronto Soccorso: pediatra accusato di omicidio colposo

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Caserta. La piccola Chiara Mirto perse la vita per un’improvvisa e fulminante miocardite cardiaca. Lo ha dichiarato il dottor Luca Lepore, consulente del pubblico ministero Nicola Carmelengo, nel processo a carico del pediatra Eugenio De Felice, medico specialista che curò la piccola Chiara Mirto, la bambina di quattro anni di Macerata Campania morta nel marzo il 2 marzo 2015 al Pronto soccorso pediatrico dell’ospedale civile di Caserta.
Il dottor De Felice risponde di omicidio colposo per colpa professionale medica. Stamane, davanti al giudice Discepolo del tribunale sammaritano, oltre al medico legale che effettuò l’autopsia, è stato ascoltato anche il luogotenente dei carabinieri e il comandante della stazione di Caserta, Antonio Morrone, che sequestrò la ricetta medica presso la farmacia dove venne acquistato l’antibiotico prescritto dal pediatra.
Secondo l’accusa, il medico non visitò accuratamente la piccola Chiara, incorrendo in un errore diagnostico dovuto ad imprudenza e superficialità. Presente in aula anche l’avvocato Raffaele Crisileo che rappresenta la famiglia. L’udienza è stata aggiornata al 3 ottobre prossimo per sentire i nonni che accompagnarono la bimba dal pediatra.

 Gustavo Gentile

Cronache della Campania@2019

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