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Channel: Cronaca Giudiziaria
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Alleanza di Secondigliano e clan Cesarano: il riesame annulla l’ordinanza per Luigi Di Martino o’ profeta

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Il Tribunale di Napoli, dodicesima sezione Riesame, accogliendo in pieno le argomentazioni giuridiche dell’avvocato Dario Vannetiello ha annullato la ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa dal Giudice per le indagini preliminari per Luigi Di Martino o’ profeta,
Eppure la direzione distrettuale antimafia di Napoli aveva convinto in prima battuta la Autorità Giudiziaria in ordine agli stretti rapporti tra il clan Contini ed il Clan Cesarano, individuando in Luigi Di Martino il fondamentale anello di collegamento tra le due consorterie.
L’intesa tra il clan stabiese e la cupola napoletana era già emersa qualche mese orsono allorquando, su richiesta della direzione distrettuale antimafia di Salerno, era stata emessa nei confronti di Luigi Di Martino e Luigi Mallardo la ordinanza di custodia cautelare per l’omicidio di Aldo Autuori, avvenuto a Pontecagnano il 25 agosto del 2015.
Ciò nonostante la difesa è riuscita ad ottenere l’annullamento del titolo custodiale, seppur “o profeta”, che come si ricorderà si rese protagonista della clamorosa evasione dall’aula bunker del carcere di Salerno in favore del boss Cesarano, rimane detenuto a causa di altre ordinanze custodiali sia per omicidio che per plurime estorsioni, senza che però a suo carico ci sia alcuna condanna definitiva da scontare.

Cronache della Campania@2019


Bimba violentata e annegata, non si trovano i reperti degli organi della prima autopsia: la denuncia

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Benevento. Bimba violentata e annegata: nuova autopsia sul corpo della bambina uccisa nel 2016 ma non si trovano i reperti degli organi analizzati nel primo esame e l’avvocato della famiglia Ungureanu e la criminologa Roberta Bruzzone denunciano il caso. Per le conclusioni dei periti nominati dal tribunale mancano quei reperti che al momento non sono stati trovati. La nuova autopsia svolta sul corpo di Maria ha fatto emergere che mancano “alcuni degli organi interni”. L’avvocato Fabrizio Gallo, legale del padre di Maria Ungureanu, la bambina rumena di 9 anni, che venne ritrovata senza vita intorno alla mezzanotte del 19 giugno 2016 all’interno di una piscina di un casale a San Salvatore Telesino, un piccolo comune della provincia di Benevento denuncia il caso insieme alla criminologa, consulente della famiglia che rivela a Giallo “sono spariti tutti gli organi interni, i vetrini della prima autopsia, tutti i reperti”. “Il primo esame autoptico accertò che la piccola era stata violentata e poi uccisa – aggiunge l’avvocato Gallo – I risultati non furono del tutto chiari al punto che la Procura di Benevento ha chiesto ed ottenuto la riesumazione della salma. La nuova autopsia ha fatto emergere questa verità agghiacciante: non sono stati rinvenuti gli organi interni. Chiediamo con forza che venga fatta chiarezza in una vicenda da contorni ancora tutti da chiarire”. La seconda autopsia è stata eseguita a Foggia nei giorni scorsi. La bimba la sera del 19 giugno del 2016 si era allontanata da casa per recarsi nella piazza del paese dove c’erano le giostre. I genitori erano tranquilli. Maria lo aveva fatto già in precedenza tante altre volte: da sola si recava anche nella vicina chiesa (la sua abitazione era distante solo qualche centinaia di metri) dove faceva da chierichetta o si intratteneva a parlare con le sue amiche. Ma quella sera, mentre il tranquillo paesino di San Salvatore si preparava per la festa patronale, non rientrò ed il padre fece scattare l’allarme mobilitando, oltre agli uomini delle forze dell’ordine, decine di persone che collaborarono alle ricerche Il corpo della piccola fu trovato qualche ora dopo nella piscina. Per quell’omicidio venne indagato un giovane rumeno all’epoca dei fatti 21enne, anche egli residente in zona, che – secondo la ricostruzione degli investigatori – fu l’ultimo ad aver visto la piccola.
Intanto l’incidente probatorio disposto su richiesta del procuratore aggiunto della Procura di Benevento, Giovanni Conzo, è già fissato in prosieguo per il prossimo 17 settembre. Per quella data dovrebbero essere disponibili, se nel frattempo saranno recuperate alcune parti di organi (già utilizzate per la prima autopsia), le conclusioni dei tre periti ai quali il giudice ha affidato l’incarico di procedere ad una serie di accertamenti anche di carattere biologico. Si tratta dei professori Cristoforo Pomara, Ciro Di Nunzio e Francesco Sessa, che hanno già eseguito a Catania le analisi di oltre trenta vetrini relativi ai vari tessuti dei panni indossati da Maria e lo scorso 3 luglio, a Foggia, una nuova autopsia della salma della piccola, fatta riesumare. Le operazioni sono avvenute alla presenza dei professori Fernando Panarese, consulente di Daniel Ciocan (indagato da tre anni per omicidio e violenza sessuale della piccola Maria), Tatiana Mangiullo e Marina Baldi per i genitori di Maria. “Siamo sconcertati e ora andremo fino in fondo. Presenteremo una denuncia, perché qualcuno deve dirci come è possibile che, con le indagini ancora in corso, non si trovino più i reperti custoditi dagli inquirenti, utili a fare luce sul caso”, ha detto Bruzzone alla rivista.

Cronache della Campania@2019

Napoli, maxi frode fiscale col gruppo Alma: revocati i domiciliari al commercialista

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Napoli. Il gip di Napoli Valentina Gallo  della 43esima sezione ha rimesso in libertà il consulente fiscale Pietro Di Monda, arrestato dalla Guardia di Finanza lo scorso marzo nell’ambito dell’inchiesta della Procura di Napoli sulla maxi frode fiscale da oltre 70 milioni di euro che ha coinvolto il gruppo Alma e una decina di persone, tra cui gli imprenditori Luigi Scavone e Francesco Barbarino. Il giudice ha accolto l’istanza presentata dall’avvocato Bruno Cervone, legale di Di Monda, e ritenute cessate le esigenze cautelari nei confronti del commercialista. Lo scorso 3 luglio e’ stato scarcerato e messo ai domiciliari anche Scavone, che era ristretto nella casa circondariale di Poggioreale da circa tre mesi. Barbarino, invece, e’ stato scarcerato e messo ai domiciliari lo scorso primo maggio.

Cronache della Campania@2019

Vigilantes dei ‘Casalesi’ a Cinecittà: domani gli accusati davanti al gip

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E’ stato fissato per domani mattina, dinanzi al gip Campanaro, al tribunale di Santa Maria Capua Vetere, l’interrogatorio di garanzia per rogatoria di Enrico Verso, 56 anni nato a Villaricca  capozona a Parete , cognato del collaboratore di giustizia Raffaele Bidognetti, figlio del boss dei Casalesi Francesco, alias “Cicciotto e Mezzanotte” detenuto al 41 bis. Verso, difeso dall’avvocato Fabio della Corte, è stato arrestato insieme a Salvatore Fioravante ieri, nell’ambito di un blitz dei carabinieri di Aversa su ordinanza della Dda di Napoli a firma del gip Emilia Di Palma e del pm Alessandro D’Alessio. Verso e Fioravante insieme ad altre due persone sono accusi di estorsioni per conto del clan dei Casalesi ai danni di imprenditori e commercianti dell’agro aversano ma le attività illecite si erano estese fino nella Capitale dove è stato sequestrato dai carabinieri, diretti dal tenente colonnello Donato D’Amato, uno dei tre di istituti di vigilanza ‘Roma Security Srl’. A Roma, emerge una figura importante nell’inchiesta, finita all’obbligo di dimora, Carlo Verdone, omonimo del noto attore romano. E lui che chiede i soldi a Verso nell’agosto del 2016 e fondano la nuova società, con guardie armate e va sostenere l’esame per la licenza. Secondo le intercettazioni telefoniche i Casalesi arrivano con questo istituto persino ad aver contratti di vigilanza a Cinecittà per migliaia di euro al mese con degli impresari che hanno lavorato addirittura al colossal Ben Hur e ai film di 007. In un’intercettazione Verdone dice a Verso ‘gli ho fatto firmare un bimestrale da 53mila euro’. Oltre a Verso e Fioravante, la misura cautelare ha colpito Antonio D’Abbronzo di Mugnano di Napoli ma residente a Villaricca, ed Eugenio Di Laura, di Gricignano d’Aversa, residente a Sant’Antimo; per loro il gip ha disposto i domiciliari. Divieto di dimora in Campania, invece, per Carlo Verdone, di Roma, e Vincenzo Siano di Sant’Antimo.

Cronache della Campania@2019

Fioraio ucciso a fucilate a San Cipriano di Aversa, condannate 4 persone

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San Cipriano di Aversa. Quattro condanne sono state inflitte dal gup Miranda, terza sezione tribunale di Napoli, dopo la richiesta di rito abbreviato, agli esecutori del delitto di Luigi Diana, un fioraio di San Cipriano di Aversa in provincia di Caserta ucciso a fucilate il 29 maggio del 1992. Sedici anni è stata la pena per Francesco Carannante, uno degli esecutori dell’omicidio, 10 anni a testa ai tre collaboratori di giustizia Salvatore Venosa (esecutore) Raffaele Venosa (mandante del delitto) e Pietro Paolo Venosa (colui che ha fornì l’arma). Sono stati i tre collaboratori a permettere dopo tanti anni la ricostruzione del fatto di sangue avvenuto nel corso della faida all’interno del clan dei Casalesi tra il gruppo Schiavone e Venosa. Il fioraio fu ucciso a colpi di fucile a canne mozze da due sicari in sella ad una moto, i quali si dileguarono subito dopo l’agguato avvenuto nei pressi del cimitero di San Cipriano.

Cronache della Campania@2019

Droga e camorra nel Casertano: undici condanne

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Maddaloni. La sera del 25 maggio 2015, Daniele Panipucci, fu ucciso con un colpo di arma da fuoco. Dopo l’omicidio, sono state avviate delle indagini, che hanno portato all’arresto di 19 persone accusate di associazione a delinquere finalizzata al traffico ed alla commercializzazione di stupefacenti, aggravato dal metodo mafioso, con il favore del clan Belforte, nelle palazzine Iacp. Per l’omicidio, Antonio Esposito è stato condannato alla pena dell’ergastolo e Antonio Mastropietro a 30 anni di reclusione in primo grado. Il Giudice Roberta Attena per l’udienza preliminare della seconda sezione del Gip del Tribunale di Napoli nel processo con rito abbreviato, ha inflitto: 6 anni e 6 mesi per Pietro Belvedere, 31 anni di Maddaloni, assolto dall’accusa di associazione di stampo mafioso; 5 anni e 8 mesi per Vincenzo Cecere, 55 anni di Maddaloni; 7 anni e 2 mesi per Giuseppe Madonna, 27 anni di Maddaloni; 12 anni e 10 mesi per lo chef Antonio Mastropietro, 41 anni di Maddaloni, a cui è stato escluso il ruolo di capo; 13 anni e 8 mesi per Antonio Padovano, 42 anni di Maddaloni; 11 anni per Fabio Romano, difeso da Franco Liguori, 29 anni di Maddaloni; 10 anni per Antonietta Stefanelli, 44 anni di Maddaloni; 10 anni e 6 mesi per Antonio Tagliafierro, 30 anni di Maddaloni; 4 anni per Mariano Tagliafierro, 23 anni di Maddaloni; 7 anni per Biagio Tedesco, 27 anni di Maddaloni; 10 anni e 8 mesi per Aniello Zampella, difeso da Mario Mangazzo, 20 anni di Maddaloni, 20 anni per Antonio Esposito, assolto Luigi Belvedere,difeso dall’avvocato Gerardo Marrocco.

Cronache della Campania@2019

Genny Cesarano: confermati tre dei 4 ergastoli

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La IV Corte di Assise di Appello di Napoli (Vescia presidente, Ciocia giudice a latere) ha confermato tre delle quattro condanne all’ergastolo emesse in primo grado nei confronti di Luigi Cutarelli, Ciro Perfetto e Antonio Buono, imputati per l’omicidio del giovane Genny Cesarano, vittima di una ‘stesa’ (raid intimidatorio della camorra finalizzato al controllo del territorio) in piazza Sanita’, il 6 settembre 2015. Ridotta la pena, dall’ergastolo a 16 anni, per Mariano Torre, in virtu’ dello sconto di pena previsto per i collaboratori di giustizia. Confermati anchei 16 anni di reclusione inflitti in primo grado al boss Carlo Lo Russo, mandante del raid, anche lui collaboratore di giustizia. Il verdetto in primo grado e’ stato emesso dal gup Alberto Vecchione, il 6 dicembre 2017 al termine del processo con rito abbreviato. “E’ una sentenza che deve rappresentare un esempio per la citta’ – ha commentato Antonio Cesarano, papa’ di Genny – non dobbiamo dimenticare che dopo mio figlio ci sono state altre vittime innocenti l’ultima delle quali e’ stata una bimba. Si sentivano impuniti e impunibili”. I familiari degli imputati, in attesa all’esterno dell’aula 320, una volta appreso l’esito del processo hanno rivolto proteste piuttosto accese all’indirizzo dei magistrati. Antonio Cesarano, difeso dall’avvocato Marco Campora, dopo la lettura della sentenza ha voluto rivolgere i propri ringraziamenti al procuratore generale Maria Di Addea per “la straordinaria attivita’ investigativa svolta”. Solidarieta’ istituzionale, infine, e’ stata espressa dal magistrato nei confronti della famiglia Cesarano.

Cronache della Campania@2019

Giuseppe Borrelli prossimo procuratore di Salerno

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Giuseppe-Borrelli

Giuseppe Borrelli sarà il prossimo procuratore di Salerno, Borrelli già procuratore aggiunto di Napoli sarà il nuovo capo della Procura di Salerno. La Commissione per gli incarichi direttivi del Consiglio superiore della magistratura ha proposto la sua nomina al plenum all’unanimità. Si tratta della prima decisione sul vertice di una procura che viene presa a Palazzo dei marescialli dopo la bufera che ha investito il Consiglio superiore della magistratura proprio sul terreno delle nomine e che ha portato alle dimissioni di quattro consiglieri e all’autosospensione di un quinto togato. La vicenda è quella delle riunioni organizzate dal pm di Roma Luca Palamara, ora indagato a Perugia per corruzione, con Luca Lotti e Cosimo Ferri e in cui si discuteva degli assetti futuri delle procure, a partire dalla nomina a Roma del successore di Giuseppe Pignatone. Perchè la nomina di Borrelli possa diventare definitiva, servono due passaggi: il parere del ministro della Giustizia e il voto del plenum, da cui non dovrebbero arrivare sorprese vista l’unanimità dei consensi registrata in Commissione.

Cronache della Campania@2019


Napoli, tre medici vincono causa da 128mila euro contro la Presidenza del consiglio dei Ministri: ma c’é impignorabilità

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Tre medici, ex specializzandi, vincono la loro causa contro la Presidenza del Consiglio dei Ministri, si vedono riconosciuto dalla Giustizia il diritto ad essere risarciti di 128mila euro, ma non vedranno mai quei soldi a causa di leggi ‘blindate’ di impignorabilità. A raccontare la storia, iniziata qualche anno fa, sono gli avvocati Carmen Posillipo e Vincenzo Della Morte, legali dei tre medici, ora tutti affermati e con un lavoro stabile. “Coloro che invitano continuamente i contribuenti a pagare, anche attraverso la cosiddetta ‘rottamazione’, – spiega Carmen Posillipo – abusano della propria posizione dominante rendendo illegittimo un diritto acquisito anche attraverso una sentenza passata in giudicato”. Tempo fa agli specializzandi in medicina non veniva riconosciuta la cosiddetta “borsa lavoro” e ai tre medici campani veniva corrisposta una somma molto inferiore rispetto a quella che gli sarebbe spettata durante il loro periodo di specializzazione, percependo pochi euro e alcuni neppure un centesimo. Successivamente pero’ e’ stato posto rimedio a questa ingiustizia e proposto agli ex specializzandi una transazione che i tre medici hanno rifiutato in quanto, a loro parere, ingiusta. Non vedendosi riconosciuta la somma che ritenevano gli spettasse hanno quindi intentato e vinto una causa. “Si è dovuto ricorrere alla Giustizia – dice ancora l’avvocato Posillipo – ma quei soldi finora non ci sono stati mai pagati malgrado la sentenza a favore del Tribunale competente, che e’ quello di Roma. Rivolgo un appello al ministro Salvini e al premier Conte: i medici rappresentano lo Stato, curano la salute degli italiani, ed é giusto venga riconosciuto loro quanto un Tribunale ha stabilito con una sentenza non più appellabile”. Nel corso del procedimento, inoltre, al danno si é aggiunta pure la beffa: “Per non avere pagato interamente la registrazione della sentenza che per legge e’ a carico della parte soccombente – spiega Posillipo – i tre hanno tutti ricevuto una cartella esattoriale. Noi, per adire alla Giustizia, siamo stati messi in mora e abbiamo dovuto adempiere immediatamente. Loro, invece, malgrado abbiano perso la causa, si blindano e non pagano. Questo non è uno stato di ‘Diritto'”, conclude l’avvocato Posillipo.

Cronache della Campania@2019

La villa di Nicola Schiavone restituita alla famiglia Pirozzi che secondo la DdA era un prestanome

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Casal di Principe – Per la Dda i 15 milioni di euro sequestrati, tra cui una lussuosa villa, proprio al centro di Casal Di Principe, erano di proprietà del delfino di Francesco Schiavone, Nicola Schiavone.
Per questo motivo vennero sequestrati nel 2016. Oggi, a distanza di tre anni dai sigilli, i giudici hanno rigettato la richiesta di confisca di quei beni di proprietà di Giuseppe, Nicola, Francesco, Lucia e Giovanni Pirozzi e Gesualda Buonpane.
I giudici, infatti, hanno accolto le tesi dei difensori degli imprenditori, gli avvocati Mario Griffo e Davide De Marco, e disposto la restituzione di quei beni mobili ed immobili a quelli che secondo la sentenza sono i legittimi proprietari.

Cronache della Campania@2019

Blitz al Piano Napoli di Boscoreale: i Padovani fanno scena muta davanti al gip

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Boscoreale – Si è svolto in mattinata, nel carcere di Poggioreale, l’interrogatorio di garanzia dei 13 spacciatori del rione popolare di Boscoreale che erano stati arrestati all’alba di martedì dai carabinieri di Torre Annunziata. Un giro d’ affari di 2.400 euro al giorno e quindi da 72mila euro al mese, pari a 850.000 euro all’anno. Questo è quello che rendeva la piazza del Piano Napoli di via Passanti Scafati a Boscoreale gestita dalla famiglia Padovani.
La più pericolosa piazza di spaccio del sud Italia che non è secondo neppure a Scampia. È quanto scoperto dalla Compagnia carabinieri di Torre Annunziata che hanno eseguito un’ordinanza di custodia cautelare emessa dal gip del tribunale oplontino su richiesta della locale procura nei confronti di 13 indagati ritenuti responsabili di detenzione di stupefacenti a fini di spaccio. Centinaia le cessioni di droga documentate, prevalentemente di cocaina, che avvenivano nel rione popolare “Piano Napoli” di Boscoreale. Le consegne erano a domicilio, previa richiesta telefonica.
In carcere sono finiti Umberto, Giovanni e Gennaro Padovani, 24, 28 e 30 anni, ritenuti i capi del gruppo di spacciatori di cocaina, tutti imparentati con il boss “Carletto” Padovani, detenuto perché sta scontando una pena definitiva per traffico di stupefacenti. Il motore di tutta l’organizzazione era Giovanni Padovani, figura di vertice del sistema di approvvigionamento.In cella anche Salvatore Russo, 39 anni, Giuseppe Borriello, 45, Gennaro Riccio, 31, Ivan Ranieri, 34, tutti residenti in via Passanti; e ancora Luigi Pecoraro, 43 anni, di Pompei; Giuseppe Faraco, 28, di Giugliano in Campania; Raimondo Caso, 42 anni, e Cesare Barbarito, 34, entrambi di Scafati. Ai domiciliari, invece, sono finiti Giuseppe Buono, 45enne di Boscoreale, i cugini Gennaro Rapuano (stesso nome, 25 e 21 anni), entrambi dei Quartieri Spagnoli; e Gaetano Padovani, il 23enne, più giovane della famiglia di pusher boschesi.
Nella maggior parte dei casi, le consegne di droga agli acquirenti venivano concordate al telefono, ma i pusher utilizzavano sempre utenze diverse, intestate a persone inesistenti.
Gli spacciatori si dirigevano poi nell’area vesuviana e nell’agro nocerino-sarnese, da dove venivano effettuate le richieste. Una cinquantina erano i clienti “fissi” che venivano contattati direttamente dagli spacciatori dopo il cambio di numero telefonico, che avveniva una volta a settimana. I Padovani vendevano “quasi esclusivamente cocaina, sempre con le stesse modalità e a prezzo fisso di 20 euro a dose”. I pusher utilizzavano un linguaggio cifrato a telefono per definire quantità e qualità dello stupefacente che doveva essere ceduto.
“Vieni ci possiamo prendere un caffè e porti un caffè” oppure “Tre caffè” . Era questo lo scambio che avveniva telefonicamente con i clienti. E tra questi anche un noto medico locale della guardia medica.
I Padovani difesi dall’avvocato Gennaro De Gennaro si sono avvalsi della facoltà di non rispondere. Stessa strategia difensiva seguita dai correi tra cui Ranieri Ivan difeso dall’avvocato Francesco De Gregorio.

Cronache della Campania@2019

Castellammare, fine pena mai per gli ex Cutoliani protagonisti della faida contro i D’Alessandro

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Castellammare. Fine pena mai per i due boss ex cutoliani che agli inizia degli anni Duemila avevano deciso di vendicare i “loro morti” degli anni Ottanta aprendo una violentissima e sanguinosa faida contro il clan D’Alessandro. La Cassazione ha confermato quindi l’ergastolo per Masismo Scarpa o’ napulitano e Michele Omobono o’ marsigliese. I due sono ritenuti mandanti e killer di due omicidi eccellenti avvenuti in quel periodo. Quello di Giuseppe Verdoliva detto Peppe l’autista (era l’accompagnatore ufficiale del defunto padrino Michlele D’Alessandro) avvenuto il 4 giugno del 2004 e quello di Antonio Martone, cognato di D’Alessandro in quanto fratello di Teresa moglie del boss, ucciso il 20 ottobre dello stesso anno. I due, entrambi ex cutoliani erano usciti dal carcere da pochi mesi dopo una ventina passati in cella e avevano deciso di vendicare i loro morti subiti durante la guerra nella zona stabiese persa dai cutoliani appunto negli anni Ottanta. In particolare Scarpa doveva vendicare la plateale uccisione del fratello avvenuto in stile Chicago anni Trenta mentre era seduto dal barbiere in via Allende. I due si allearono con gli altri ex cutoliani stabiesi ovvero i Fontana meglio conosciuti come i ‘Fasano’ di via Brin e con quello che poi è passato alla storia come il clan dei ‘falsi pentiti’  della zona del Centro Antico fondando un cartello criminale che aveva come scopo quello di eliminare i D’Alessandro da Castellammare. Cosa che nonostante la loro forza militare in quel momento e gli omicidi eccellenti non riuscita.  Ma messa in atto da magistrati e forze dell’ordine grazie a una serie di blitz che tiene in carcere da anni tutti i vertici della cosca. Scarpa e Omobono sono stati quindi condannati all’ergastolo con l’accusa di omicidio pluriaggravato, con recidiva infraquinquennale, ma senza aggravante mafiosa. Perché, i giudici della Suprema Corte hanno ritenuto che seppure il contesto fosse chiaramente camorristico, i due killer stavano costituendo il nuovo gruppo, ma non avevano ancora creato il loro clan vero e proprio.
Dopo un annullamento parziale, era tornato in appello e poi di nuovo in Cassazione il processo anche per gli altri tre imputati. Raffaele Martinelli, Giovanni Savarese o’ cicchiello e Raffaele Carolei, tutti appartenenti alla cosca dei ‘falsi pentiti’ del centro antico guidati da Raffaele Di Somma o’ ninnillo e da Ernesto Maresca detto o’ guaglione. Per loro è arrivata la conferma della seconda condanna di secondo grado: sedici anni e mezzo i primi due, un anno in più per il cugino di Paolo Carolei, uno dei pezzi grossi del clan D’Alessandro. Quest’ultimo, però, è irreperibile ormai da sette anni. Era il 2012, quando si sono perse le sue tracce. Residente al rione Moscarella, appena scarcerato per decorrenza dei termini proprio per questi fatti, Carolei è letteralmente scomparso.

(nella foto da sinistra Michele Omobono, Massimo Scarpa, Giuseppe Verdoliva, Antonio Martone)

Cronache della Campania@2019

Operazione Fantacalcio, interdizioni e sequestri per le false plus valenze dei giocatori del Cesena e del Chievo Verona

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Forlì. I militari del Comando Provinciale della Guardia di Finanza di Forlì stanno eseguendo l’ordinanza con la quale il Gio del Tribunale di Forlì, Monica Galassi, su richiesta della Procura della Repubblica, ha disposto una misura interdittiva di “divieto di esercitare attività d’impresa” nei confronti del principale indagato ed il sequestro preventivo di beni per il valore complessivo di circa 9 milioni di euro.
L’attività eseguita dal Gruppo di Cesena giunge nell’ambito di complesse indagini che hanno interessato la società di calcio del Cesena che è stata dichiarata fallita nell’agosto del 2018.
Le indagini effettuate dalle fiamme gialle hanno tratto origine da attività informativa svolta nel mese di febbraio del 2018, in merito a possibili condotte illecite connesse alla compravendita di giovani calciatori avvenute tra la società fallita (già militante nel campionato di calcio di serie B) e il Chievo Verona.
In ragione delle informazioni acquisite la Procura della Repubblica di Forlì ha immediatamente avviato il relativo procedimento penale che ha indotto a ipotizzare i reati di bancarotta fraudolenta, falso in bilancio e i reati tributari di emissione ed utilizzo di fatture false.
Nello specifico è emerso che, negli anni dal 2014 al 2018, il Cesena Calcio ed il Chievo Verona hanno effettuato delle reciproche compravendite di calciatori minorenni che, in realtà, si verificavano solo cartolarmente (atteso che il giocatore non si trasferiva mai presso la nuova società in ragione della contestuale stipula del “prestito”) ed a valori del tutto sproporzionati. I giovani atleti, infatti, oltre a non venir mai utilizzati dalla società acquirente venivano addirittura “prestati” a squadre dilettantistiche.
In tale ambito è ad esempio significativa la vicenda di un giovane calciatore, ceduto dalla squadra veneta alla romagnola al prezzo di 1,8 milioni di euro, che ha deciso addirittura di smettere di giocare a calcio in quanto mai schierato proprio a causa del suo scarso valore tecnico.
Le false plusvalenze ricostruite nel periodo 2014-2018 ammontano a quasi 30 milioni di euro e costituivano l’escamotage per mantenere in vita una società che avrebbe dovuto richiedere l’accesso a procedure fallimentari da diversi anni e che continuava ad omettere con sistematicità il versamento delle imposte trasformando tale espediente straordinario nella normalità della gestione imprenditoriale. Il debito accumulato con l’Erario ammontava a oltre 40 milioni di euro.
Tali illecite operazioni, confermate da alcuni indagati nel corso di conversazioni telefoniche intercettate, hanno comportato la completa alterazione dei bilanci delle due società che hanno potuto così riportare in positivo i risultati di esercizio pur essendo, in realtà, in perdita ed omettendo così l’adozione delle misure di ripristino del patrimonio previste dalla legge.
Inoltre, grazie agli artifici contabili adottati, le due società hanno potuto formalmente rispettare le norme imposte dalla Federazione Italiana Gioco Calcio ed ottenere così l’iscrizione ai campionati di serie A e B nelle ultime 4 stagioni sportive.
Ai reati tributari si sommano – come già anticipato – quelli di natura fallimentare che, peraltro, avevano portato la Procura della Repubblica di Forlì a richiederne il fallimento che è stato poi disposto nell’agosto del 2018. Numerose le distrazioni ricostruite e poste in essere anche dallo stesso presidente del Cesena Calcio, Giorgio Lugaresi, che, nei giorni caldi del luglio 2018 – allorquando i tifosi erano in apprensione per le sorti della loro squadra, continuava a farsi pagare fatture per operazioni inesistenti al solo fine di svuotare i conti della società ed adottava accorgimenti per tutelare i propri beni personali in vista delle possibili azioni esecutive della magistratura.
Il provvedimento emesso è volto al recupero di somme complessive pari a: 3,7 milioni di euro nei confronti del Chievo Verona e del suo attuale presidente; 5,3 milioni circa nei confronti del Cesena Calcio e società satellite, oltre che del suo ex presidente e di altri 2 indagati.
In totale sono 29 le persone indagate nel procedimento penale.

Cronache della Campania@2019

Napoli, lady boss Maria Licciardi può uscire dal nascondiglio: annullato l’ordine di arresto

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Napoli. Seppur soprannominata “a peccerella”, dagli inquirenti della direzione distrettuale antimafia  Maria Licciardi è collocata  al vertice assoluto di quella che è da oltre trenta anni una delle organizzazioni  criminali d’Italia, la cosiddetta Alleanza di Secondigliano, frutto di una salda unione con  le famiglie camorristiche Contini, Bosti e Mallardo. Solo pochi giorni orsono, è stata destinataria della ordinanza di custodia cautelare che ha raggiunto ben 126 persone, con  oltre 200 persone indagate. Maria Licciardi non fu rinvenuta quando gli agenti bussarono alla sua porta, fu cercata ovunque nei giorni successivi, ma di lei nessuna traccia, tanto da legittimare la emissione del decreto  di latitanza  nei suoi confronti, ulteriore circostanza questa eloquente circa il suo spessore criminale. Solo pochi giorni  dopo gli arresti dei suoi uomini, a sorpresa, il boss in gonnella comunicò che intendeva contrastare le gravissime accuse a lei mosse, attribuendo il delicatissimo compito di difenderla all’avvocato Dario Vannetiello del Foro di Napoli. Ed è proprio grazie al sapiente lavoro difensivo, che si è giunti ad una decisione indubbiamente clamorosa. Infatti, il Tribunale di Napoli, dodicesima sezione riesame, in totale condivisione delle penetranti ed articolate questioni giuridiche sollevate dall’ avvocato Dario Vannetiello, nonostante  l’imponente messe di prove esistente nei suoi confronti e la  latitanza della donna, ha annullato in toto la ordinanza di custodia cautelare emessa nei suoi confronti. E così, da oggi, Maria “a peccerella” è di nuovo libera; può interrompere la fuga ed uscire da quell’ignoto nascondiglio dove si è celata. Una decisione giudiziaria che farà a lungo discutere, anche perchè la posizione di Maria Licciardi era aggravata pure dall’essere stata per ben due volte – nel 2003 e nel 2007 – già condannata proprio per aver diretto ed organizzato la medesima organizzazione delinquenziale. Ma, ciò nonostante, hanno fatto evidentemente breccia nei Giudici le ragioni di diritto e di fatto tracciate dal suo difensore con meticolosa cura,  tanto da privare di  effetto sia le prove intercettate  in questi anni nei suoi confronti, sia la innegabile suggestione che innegabilmente proviene dalle  precedenti e  gravi condanne nonché  dalla  latitanza di cui si è resa protagonista anche questa volta, come nel 2000, allorquando fu iscritta tra i latitanti più ricercati d’Italia.

Cronache della Campania@2019

Napoli, sequestrati 300milioni di euro ad imprenditore vicino ai clan

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La guardia di finanza di Bologna e Napoli ha confiscato un patrimonio del valore di circa 300 milioni di euro riconducibile a P.A., imprenditore 63enne operante nel settore immobiliare condannato nell’ambito dell’operazione ‘Omphalos’ per esercizio abusivo del credito e intestazione fittizia di quote societarie e di beni, quest’ultima con l’aggravante del metodo mafioso per aver agevolato vari clan. Il provvedimento arriva in seguito alle indagini, condotte sotto il coordinamento della Procura distrettuale antimafia di Napoli, che avevano portato a luglio 2017 all’arresto di 17 persone e al sequestro di beni per 700 milioni. Sono stati confiscati 628 tra fabbricati e terreni in 7 province ovvero: Bologna, Ravenna, Napoli, Caserta, Benevento, Latina e Sassari e 16 auto, anche di lusso, rapporti bancari e partecipazioni societarie, il cui valore è risultato nettamente sproporzionato rispetto ai redditi ufficialmente dichiarati dall’imprenditore e dal suo nucleo familiare. Le attività investigative con intercettazioni telefoniche e ambientali, pedinamenti, le ricostruzioni dei flussi bancari e le analisi societarie, nonché le dichiarazioni di diversi collaboratori di giustizia hanno fatto emergere un gruppo criminale legato ai clan camorristici Mallardo, Di Lauro, degli scissionisti, Puca, Aversano, Verde e Perfetto. L’organizzazione operava in diverse regioni – Emilia Romagna, Lazio, Abruzzo, Umbria, Sardegna, Lombardia – ma con base prevalente in Campania ed era attiva in diversi settori, dalle truffe alle assicurazioni all’esercizio abusivo del credito, investimenti immobiliari e intestazione fittizia di beni, con cui reimpiegava sistematicamente enormi somme di denaro di provenienza illecita. Dalle indagini era emerso come il gruppo camorristico fosse riuscito a operare indisturbato anche grazie all’appoggio “stabile e determinante”, secondo gli investigatori, di insospettabili colletti bianchi: funzionari di banca e commercialisti infedeli i cui apporti si erano rivelati cruciali per la vita e l’espansione della compagine criminale. A forze dell’ordine e inquirenti sono arrivati i ringraziamenti del ministro dell’Interno Matteo Salvini: “Nessuna tolleranza per i furbetti”.

Cronache della Campania@2019


La Cassazione conferma i 5 anni di carcere per l’anziano piromane del Faito

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La Corte di Cassazione ha stabilito la condanna definitiva a cinque anni di carcere per Cipriano De Martino, il 61enne di Vico Equense responsabile dell’incendio che, nell’estate del 2017, ridusse in cenere 18 ettari di vegetazione del Monte Faito. Il Wwf – rappresentato dall’avvocato Guido Di Nola – era parte civile nel procedimento, assieme al Comune di Vico Equense, all’associazione Vas e alla Pro Faito. La Corte di Cassazione ha giudicato inammissibile il ricorso presentato dal 62enne contadino residente nella frazione collinare di Moiano, a Vico Equense. nelle prossime ore l’uomo sarà portato in carcere.L’uomo fu incastrato da alcuni video che lo filmavano mentre raggiungeva monte Faito a bordo della sua Apecar prima che divampasse l’incendio e poi mentre faceva ritorno nella sua abitazione dopo lo scoppio delle fiamme. I militari perquisirono la sua abitazione trovando alcune bottiglie di plastica in cui sarebbe stata messa la benzina usata per incendiare. Subito scattò il decreto di fermo e poi l’arresto. A gennaio del 2018 la condanna a termine del procedimento con rito abbreviato.

Cronache della Campania@2019

Importavano droga purissima dalla Colombia in cambio di forni elettrici imbottiti di soldi: due secoli di carcere al gruppo del broker Bruno Carbone

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Importavano droga purissima dalla Colombia in cambio di forni elettrici imbottiti di soldi sotto la regia del broker internazionale del narcotraffico Bruno Carbone, 42enne di Giugliano legato a doppio filo all’altro narcos latitante a Dubai, lo stabiese Raffaele Imperiale. E’ stato condannato  a 20 anni di carcere Carbone nel corso del processo che con ventotto condanne e 4 assoluzioni dal parte dei giudici del Tribunale di napoli ha visto infliggere oltre due secoli di carcere al cartello criminale composto da più clan delle province di Napoli e Caserta e che inondavano l’Italia di cocaina.Con Carbone sono stati condannati 18 anni a Bruno Giugliano, 53enne di Saviano, mentre sono stati comminati 15 anni a testa per Vincenzo Esposito, Marco La Volla, 47enne di Villaricca
Francesco Verderosa, 32enne di Bacoli detto il piccolino al centro in questi giorni di una vicenda che riguarda la sua detenzione. L’uomo che pesa oltre 200 chili, sta male in carcere e la famiglia ha chiesto gli arresti domiciliari. Le altre condanne: 14 anni a Hernán Aguirre, 59enne colombiano, 14 anni a Andres Ayala Gómez, 33enne colombiano, 6 anni e 8 mesi ad Antonio Ayala Gómez, 44enne colombiano, 8 anni a Lucia Barone, 50enne di Qualiano, 7 anni e 4 mesi a Marianna Caprio, 33 enne di Chiaiano, 8 anni a Vittorio Carbone, 77enne di Giugliano, 12 anni ad Arcangelo Colantuono, 59enne dell’Arenella, 6 anni e 8 mesi ad Antonio De Liso, 42enne di Bacoli, 8 anni a Giacomo Di Pierno, 41enne di Giugliano, 4 anni a Luigi Fiorillo, 37enne di Bacoli, 4 anni a Luisa Faggioli, 70enne di Villaricca, 12 anni al boss di Caivano Pasquale Fucito detto shrek, 6 anni ad Antonio Gautieri 45enne di Brusciano, 10 anni ad Antonio Gómez. 47enne spagnolo, 5 anni a Maria lavarone, 46enne del rione Traiano, 5 anni al collaboratore di giustizia Andrea Lollo, 39enne di Melito, 6 anni a Domenico Pirozzi, 50enne di Giugliano, 12  anni ad Antonio Nuvoletto,  figlio del boss, 34enne di Marano, 6 anni a Pasquale Palumbo, 69enne di Giugliano, 4 anni a Violetta Prezioso, 47enne di Giugliano, 9 anni a Fulvio Russo, 53enne del rione Don Guanella, 12 anni a Vincenzo Torino, 26enne del rione Don Guanella , 6 anni e 9 mesi a Fabrizio Ventura, 51 enne di Pavia. Quattro le assoluzioni: Salvatore Avolio, 42enne di Marano , Francesco Carandente, 59enne di Bacoli, Paul Porgaci, 42enne di Pavia, e Mario Mancino, 34enne di Monte di Procida.

Cronache della Campania@2019

Intimidivano i testi di indagine sull’omicidio di Cosimo Nizza: arrestate tre donne

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Avevano messo in atto una serie di gravi intimidazioni nei confronti dei parenti di una delle persone informate sui fatti nell’omicidio di Cosimo Nizza, avvenuto nel 2009, per costringerla a ritrattare le dichiarazioni rese alla polizia giudiziaria e a non confermarle nel corso del processo. Questa mattina la squadra Mobile di Benevento ha dato esecuzione ad una ordinanza di custodia cautelare, emessa dal giudice per le indagini preliminari, su richiesta della procura della Repubblica di Benevento, arrestando tre donne beneventane (attualmente ai domiciliari), parenti di una persona che era finita in manette per l’omicidio, gravemente indiziate dei reati di intralcio alla giustizia, stalking e lesioni personali aggravate. Le minacce dapprima attraverso l’invio di messaggi WhatsApp recanti dei passi delle dichiarazioni rese alla polizia giudiziaria dal testimone. Poi sono passate e vere e proprie aggressioni. Durante due degli ultimi recentissimi episodi, risalenti alla fine di giugno scorso, le vittime sono state oggetto di violente e gratuite aggressioni sia presso il bar da loro gestito, dove erano stati rovesciati arredi e lanciati oggetti e suppellettili, sia nei pressi della loro abitazione; nel corso di una altro episodio, concretizzatosi in violente e minatorie condotte verso la vittima, erano intervenuti anche i capi famiglia delle indagate e un loro parente che, tutti insieme, avevano aggredito e minacciato le vittime Le gravi condottedealle tre donne, aiutate da parenti o altri soggetti a loro vicini, sono del tutto analoghe al modus operandi di soggetti appartenenti ad ambienti della criminalità organizzata per imporre un atteggiamento omertoso, mascherandole da banali liti. Le minacce effettuate attraverso messagi, aggressioni violente verbali e fisiche, e danneggiamenti di beni, “erano chiaramente finalizzate a costringere uno dei testimoni del grave fatto omicidiario a ritrattare le proprie affermazioni e tenere una condotta processuale confacente alle esigenze del detenuto”, scrive chi indaga.Le indagini, coordinate dai magistrati della Procura della Repubblica di Benevento e condotte dalla Squadra Mobile di Benevento, proseguono sia per raccogliere ulteriori elementi a carico di altri soggetti che hanno partecipato alle aggressioni contestate sia per chiarire i contorni di un altro gravissimo episodio avvenuto qualche giorno fa, l’esplosione di tre colpi d’arma da fuoco a Rione Libertà all’indirizzo dell’abitazione delle medesime vittime dei reati contestati.

Cronache della Campania@2019

Progettò il fortino del boss Zagaria: 7 anni di carcere per l’architetto Nocera

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Bisognerà attendere 90 giorni per leggere nella motivazione della sentenza, emessa dal tribunale di Napoli Nord ad Aversa presidente Eleonora Pacchiarini, quali sono state le principali accuse, tra i vari episodi contestati, che hanno portato alla condanna a 7 anni per concorso esterno al clan dei Casalesi, l’architetto Domenico Carmine Nocera di Casapesenna residente a Caserta. E’ accusato dal collaboratore di giustizia Generoso Restina, e dal dichiarante G.L. di aver progetto ‘il nascondiglio-fortino’ di nuova generazione a Casapesenna in via Santagata per il boss Michele Zagaria e di aver predisposto i contratti di locazione delle abitazioni con incontri avvenuti presso il suo studio con esponenti dei Casalesi. Abitazioni usate come nascondigli in cui l’ex primula rossa della camorra casertana ha trascorso la latitanza prima dell’arresto avvenuto il 7 dicembre del 2011. Nocera, attualmente libero difeso dagli avvocati Claudio Botti e Alessandro Barbieri, in passato ha avuto incarichi in diversi comuni campani come Amalfi, Recale, Piedimonte Matese e anche laziali come Cisterna di Latina e nella stessa Capitale per alcuni lavori ristrutturazione in diverse scuole romane. Recentemente, inoltre, è stato coinvolto nell’inchiesta per la costruzione del parcheggio di via San Carlo a Caserta

Cronache della Campania@2019

Processo ai medici dell’ospedale di Sessa: la Cassazione esclude definitivamente l’ipotesi del reato di associazione a delinquere

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La Cassazione ha rigettato il ricorso del Pubblico Ministero, validando il giudizio del Tribunale del Riesame di Napoli che aveva ritenuto infondato il reato di associazione a delinquere per i medici dell’Ospedale di Sessa Aurunca.La seconda sezione della Suprema Corte di Cassazione ha ritenuto inammissibile il ricorso presentato dal Pubblico Ministero Ida Capone avverso l’ordinanza del 19 aprile scorso del Tribunale delle Libertà di Napoli che aveva già escluso l’ipotesi di reato di associazione a delinquere per i dirigenti medici Nives De Francesco, Leone Rocco e Anna Maria Sorrentino, difesi dall’Avv. Luigi Imperato, e Pasquariello Ferdinando, difeso dall’Avv. Gennaro Iannotti. Viene definitivamente escluso, quindi, il patto tra i medici ipotizzato dalla pubblica accusa finalizzato alla truffa a danno dell’Asl e dell’azienda ospedaliera. (ferdinando terlizzi)

Cronache della Campania@2019

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