Quantcast
Channel: Cronaca Giudiziaria
Viewing all 6090 articles
Browse latest View live

Il pentito: ‘Cicciariello dopo ogni omicidio si lavava col Jack Daniel’s per cancellare le tracce di polvere da sparo’

$
0
0

“Dopo ogni omicidio Cicciariello Russo si lavava con una bottiglia di Jack Daniel’s per cancellare la tracce di polvere da sparo.Dopo l’omicidio di Mirko Romano fui convocato a casa sua e vidi la bottiglia vuota  e capii che era stato lui e pensando che volesse uccidere anche me dissi ‘fai quello che devi fare e fallo presto. Ma lui mi rispose:”Non ti preoccupare abbiamo già fatto. Sta bene così”. E’ parte del racconto del pentito Fabio Vitagliano, ex componente del gruppo di fuoco del clan Amato Amato. Era amico si di Mirco Romano, il ragazzo delle famiglia bene dell’Arenella diventato spietato killer di camorra nella prima faida di Scampai e che ha ispirato il personaggio di “Vocabulà” nella terza e quarta serie di Gomorra. Romano fu ucciso il 3 dicembre del 2012 dal suo amico  Francesco Paolo Russo detto Cicciariello e con il quale avevano commesso alcuni omicidi. Oggi su richiesta della dda sono state notificate in carcere  ordinanze cautelari allo stesso Russo come esecutore materiale e a Mariano Riccio e Carmine Cerrato takendò all’epoca reggenti del clan Amato Pagano. Oltre al pentito Fabio Vitagliano agli atti dell’inchiesta ci sono anche le dichiarazioni dello stesso Cerrato (pentito da anni) il quale ha raccontato che la decisione di uccidere Romano fu presa da lui e da Riccio perché “gelosi” del carisma che il killer che parlava in italiano aveva verso molti affiliati, anche del pentito Gennaro Notturno detto o’sarracino. Domani Russo sarà interrogato in carcere alla presenza dei suoi difensori (Massimo Autieri e Claudio D’Avino) che proveranno a smontare le accuse, molte “de relato” mosse nei confronti del loro assistito.Secondo le accuse Romano fu eliminato dopo essere stato attirato in una trappola da Francesco Paolo Russo, un altro killer del clan, di cui si fidava. Il cadavere di Mirko Romano fu abbandonato in strada e fu trovato dai carabinieri la mattina del 3 Dicembre 2012.

(nella foto da sinistra il killer Francesco Paolo Russo detto cicciariello, la vittima Mirco Romano detto l’italiano, e i pentiti Fabio Vitagliano, Carmine Cerrato detto takendò e Gennaro Notturno detto o’ sarracino)

Cronache della Campania@2019


La Cassazione annulla la condanna a 6 anni per l’imprenditore D’Angelo accusato di usura ed estorsione aggravata

$
0
0

La VI sezione della Corte di Cassazione , accogliendo il ricorso proposto dall’avvocato Vittorio Fucci , ha annullato, con rinvio, la sentenza di condanna a 6 anni di reclusione nei confronti di Carlo D ‘Angelo, noto commerciante di Montesarchio, di 64 anni, imputato di usura e di estorsione aggravata in concorso con altro imputato di Montesarchio. Il Procuratore Generale presso la Corte di Cassazione, nell’udienza celebratasi ieri, aveva chiesto l’ accoglimento del ricorso con conseguente annullamento della sentenza di condanna in favore di Carlo D’ Angelo, difeso dall’avvocato Vittorio Fucci, e l’inammissibilità del ricorso con conseguente conferma della condanna nei confronti dell’altro imputato , gravato dalla contestazione dei reati in concorso con il D’ Angelo. La Suprema Corte ha annullato la sentenza di condanna a 6 anni di reclusione di entrambi gli imputati, accusati in concorso dei reati di usura e di estorsione aggravata. Già precedentemente la difesa di Carlo D’ Angelo e di Colombo Pasquale, rappresenta dall’avvocato Vittorio Fucci, aveva colto l’ importante risultato della assoluzione del D’ Angelo dall‘aggravante del metodo camorristico, con la riduzione della pena, in Appello, da 9 a 6 anni di reclusione e l’assoluzione con formula piena, sempre in Appello, di Pasquale Colombo  che in primo grado era stato condannato a 9 anni di reclusione per usura ed estorsione aggravata in concorso con D’ Angelo e Maglione Antonio. Sempre in appello era stato assolto Benito Caputo, di Sant’ Agata De’ Goti, che in primo grado, aveva riportato una condanna a 13 anni di reclusione per associazione camorristica. Come si ricorderà la vicenda trattata dalla Suprema Corte di Cassazione riguardava la nota operazione “ La montagna “, che nel 2016 portò in carcere decine di persone con le accuse , a vario titolo , di associazione cammorristica e di estorsione ed usura aggravata anche dal metodo mafioso. Le indagini , che portarono alle diverse ordinanze di custodia cautelare in carcere e ai domiciliari, erano fondate su intercettazione telefoniche ed ambientali, su attività di appostamento dei carabinieri e su dichiarazione accusatorie delle vittime dei vari reati .

Cronache della Campania@2019

Napoli, le donne ai vertici dell’Alleanza di Secondigliano. Un avvocato riciclava i soldi della cosca. I NOMI DEI 214 INDAGATI

$
0
0

Napoli. Anche le donne erano a capo dell’Alleanza di Secondigliano: oggi, come ieri, l’inchiesta sulla federazione camorristica oggetto del maxi blitz di oggi, ha confermato il ruolo apicale delle tre sorelle Anna, Maria e Rita Aieta, mogli di Francesco Mallardo, Edoardo Contini e Patrizio Bosti, e di Maria Licciardi (sorella del defunto boss Gennaro Licciardi e l’unica facente parte dei vertici ad essere sfuggita al blitz). Non solo svolgevano il compito di tenere i contatti con i boss al 41bis ma prendevano decisioni importanti per la vita del potente cartello criminale che controllava le attività illecite in alcuni quartieri di Napoli e che avevano messo in piedi anche attraverso prestanome importanti attività imprenditoriali e commerciali in tutta Italia. C’é anche un avvocato napoletano tra gli indagati nel blitz che ha portato questa mattina all’esecuzione di 126 misure cautelari. Lo ha confermato anche il procuratore capo di Napoli, Giovanni Melillo, che ha spiegato come la cosca si era impadronita di una fetta economica e imprenditoriale della città. Secondo quanto accertato dall’indagine l’Alleanza di Secondigliano svolgeva anche una sorta di tutela sostitutiva dell’ordine pubblico, “nelle loro zone tutte le attività passavano al vaglio dei Contini”. Nei mesi scorsi documentato ruolo “oppressivo del clan sugli immigrati che risiedono nella zona del Vasto Arenaccia”, aggiunge il procuratore. “Le misure cautelari riguardano 126 persone, per 86 sono stati emessi arresti in carcere, per i restanti misure cautelari meno afflittive. L’unico elemento di vertice sfuggito all’arresto è Maria Licciardi, che è attivamente ricercata”. Lo ha detto il procuratore di NAPOLI, Giovanni Melillo, nel corso di una conferenza stampa sul maxi blitz interforze eseguito oggi nei confronti di oltre un centinaio di presunti affiliati alla cosiddetta Alleanza di Secondigliano.
ECCO CHI SONO I 214 INDAGATI
Ciro Acanfora, Salvatore Acanfora, Antonio Aida, Antonio Aieta, Anna Aieta, Rita Aieta, Alessio Alfano, Salvatore Amato, Mario Ambrosio, Vincenzo Ambrosio, Giuseppe Ammendola, Francesco Anatriello, Alberto Aniello, Gaetano Attardo, Giuseppe Arduino, Alberto Aniello, Ivan Barbato, Salvatore Barbato, Giulio Barbarella, Felice Barra, Alessandro Boselli, Patrizio Bosti, Ettore Bosti, Angelo e Ciro Botta, Giovanni Botta, Lucia Botta, Marco Botta, Salvatore Botta, Nicola Botta, Salvatore Botte classe 1950, Vincenzo Botta, Vincenzo Bracale, Raffaele Brusiello, Antonio Calienno, Giovanni Candido, Lamberto Candido, Giuseppe Capece, Rosario Capozzo, Vincenzo Capozzoli, Rosario Capozzoli, Vincenzo Cardillo, Pietro Caso, Giuseppina Cecere, Antonio Ceruti, Pietro Cerbone, Ciro Chiavarone, Leopoldo Chiavarone, Raffaele Chiummariello, Giuseppe Ciccarelli, Gianluca Cimminiello, Pasquale Cino, Giuseppe Ciccarelli, Vito Cinquegrana, Diego Cinque, Ciro Ciotola, Angela Citullo, Mariano Conte, Ciullo Giuseppe, Pietro Colantuono, Luigi Colella, Salvatore Comitato, Eduardo Contini, Carlo Coppola, Ferruccio Corrado, Gennaro Corrado, Gennaro Costa, Alfredo Cuomo, Antonio Cristiano, Fabio Cristiano, Maurizio Cristiano, Tommaso Cristiano, Maurizio Cuccurese, Vincenzo Crupi, Antonio De Carluccio, Alfredo De Feo, Maurizio delle Donne, Adolfo Dello Russo, Carmine De Luca, Gennaro Del Mondo (Marano), Giuseppe Del Piano, Guglielmo De Falco, Salvatore De Luca, Antonio De Rosa, Gennaro De Rosa, Giuseppe De Rosa, Teodoro De Rosa, Rosa Diana, Ciro Di Carluccio, Giacomo D’Inverno, Vincenzo Di Giovanni, Gianluca Di Martino, Luigi Di Martino, Paolo Di Martino, Paolo Di Mauro, Pasquale Di Natale, Luigi Di Palma, Rosa Di Munno, Antonio Esposito, Domenico Esposito, Ettore e Francesco Esposito, Raffaele Esposito, Raffaella Esposito, Raffaele Esposito classe 1975, Gennaro Esposito, Gaetano Esposito (Marano), Umberto Falanga, Domenico Festa, Nunzio Finizio, Massimo Fiorentino, Gennaro Fiorillo, Luigi Folchetti, Fraumeni Carmela, Salvatore Frezza, Francesco Giamminelli, Maria Giglio, Giuseppe Giordano, Angelo Gotti, Antonio e Ciro Granato, Antonio e Emanuele Grasso, Gennaro Grossi, Francesco Gueli, Antonella Imperatore, Gennaro Improta, Maurizio Incarnato, Maria Licciardi, Domenico Lieto, Salvatore Longobardi, Mattia Luciano, Francesco Mallardo, Rosario Maisto, Luigi Manna, Francesco Manzo, Mario Marano, Giuseppe Marsiglia, Mario Matino, Luigi Mazzola, Enrico Mecheri, Salvatore Mendozzi, Salvatore Meolla, Vincenzo Merolla, Cristian Mirra, Pacifico Moccia, Carlo Molinaro, Annunziata Montella, Claudio Morescanti, Gennaro Mosca, Giuseppe Moscati, Roberto Murano, Antonio Muscerino, Giovanni Muscolino, Franco Naddeo, Domenico Natale, Giuseppe Navarra, Pasquale Navarra, Angelina Nolano, Enrico Oriunto, Vito Palma, Concetta Panico, Salvatore Pasquariello, Michele Patierno, Lucio Pellegrino, Gennaro Pelliccio, Antonio Pengue, Salvatore Percope, Giuseppe Perillo, Luigi Persico, Antonio Pesce, Salvatore Petrone, Giovanni Pettisani, Patrizio Picardi, Francesco Poderico, Luciano Poggi, Mario Pomatico, Fabio Ponticelli, Salvatore Prospero, Vincenza Quatto, Benedetta Riccio, Bruno e Gennaro Riccio, Antonio e Psquale Rinaldi, Marco Riva, Raffaele e Salvatore Romano, Nicola Rullo, Fortunato Santoriello, Susanna Saraco, Marco Sivero, Giovanni Solombrino, Antonio Soreca, Giuseppe Spina, Salvatore Staiano, Vincenzo Tarallo, Alberto, Carmine, Giuseppe, Vincenzo e Vincenzo Tolomelli, Luciano Varriale, Vincenzo Ventriglia, Raffaele e Salvatore Vittorio, Francesco Maria Volpe.

Cronache della Campania@2019

Napoli, l’Alleanza di Secondigliano aveva una talpa nell’ufficio gip

$
0
0

Napoli. Nel corso dell’indagine che ha portato oggi all’arresto di 126 membri dei clan di camorra Contini, Licciardi e Mallardo federati nella famosa “Alleanza di Secondigliano”  è stato possibile, spiegano gli inquirenti, documentare come l’organizzazione, attraverso il gruppo facente capo a un esponente di spicco del clan Contini, Antonio Muscerino, aveva la capacità di anticipare l’azione di magistratura e forze dell’ordine. Questo grazie a una fitta rete di fiancheggiatori, tra cui una dipendente del ministero della Giustizia impiegata presso l’ufficio del gip del tribunale di Napoli.Da alcune conversazioni intercettate è stato possibile comprendere ad esempio come Antonio Pengue, uno dei membri del clan, nel gennaio 2014 fosse venuto a conoscenza, attraverso la donna, dell’esistenza di una ordinanza di custodia cautelare emessa nei confronti di 90 esponenti del clan Contini. In quell’occasione Pengue fu rassicurato sul fatto che nell’elenco non figuravano i nomi di Antonio Muscerino né degli uomini del suo gruppo. Le indagini hanno permesso di accertare che in quel periodo la donna era entrata nei file dell’inchiesta utilizzando abusivamente alcune password e consultando l’elenco degli indagati.

Cronache della Campania@2019

Camorra, il tesoro dell’Alleanza: 80 auto, 81 moto, una barca, negozi e ristoranti in tutta Italia, preziosi, edifici. Tutto sequestrato

$
0
0

Figurano anche 80 auto, 81 moto, un natante di lusso, società in tutt’Italia, ristoranti, negozi di abbigliamento, diamanti, preziosi e orologi di lusso, come i Rolex, tra i beni sequestrati dalla Guardia di Finanza, per un ammontare complessivo di oltre 130 milioni, nell’ambito della maxi operazione interforze contro i clan dell’Alleanza di Secondigliano. A mettere i sigilli ai patrimoni sono stati i finanzieri del Nucleo di Polizia Economico Finanziaria di Napoli, coordinati dal colonnello Domenico Napoletano. Tra i reati contestati, a vario titolo, figurano l’associazione mafiosa, il riciclaggio, il traffico e lo spaccio di droga, estorsioni e contrabbando. A fornire i dettagli dei beni sequestrati oggi dalla Guardia di Finanza, sono stati il generale Alessandro Barbera, comandante dello Scico e il generale Gianluigi D’Alfonso, comandante provinciale. Alla conferenza stampa, indetta dal procuratore di Napoli Giovanni Melillo, sono intervenuti il procuratore aggiunto Giuseppe Borrelli, il generale dei carabinieri Pasquale Angelosanto, il direttore della Dia di Napoli Lucio Vasaturo, il questore, Alessandro Giuliano, il colonnello Ubaldo del Monaco, comandante provinciale di Napoli e il tenente colonnello Gianluca Piasentin, comandante del Ros. Il generale Barbera ha anche sottolineato i contatti privilegiati che i clan dell’Alleanza di Secondigliano avevano messo in piedi con la ‘ndrangheta per il traffico e lo spaccio di sostanze stupefacenti, in particolare di cocaina, che veniva importata dal Sud America attraverso le rotte olandesi.

Cronache della Campania@2019

Clan Pagnozzi, la Cassazione annulla la sentenza per Maglione e D’Angelo condannati per estorsione e usura

$
0
0

Benevento. Clan Pagnozzi, annullata la sentenza per Antonio Maglione e Carlo D’Angelo, condannati condannati rispettivamente a sette anni di reclusione per estorsione ed usura. La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso presentato dagli avvocati Dario Vannetiello, Francesco Perone e Vittorio Fucci ed ha annullato con rinvio la sentenza confermata il 22 marzo del 2018 dalla corte d’Appello di Napoli, dopo il giudizio di primo grado del Tribunale di Benevento. I due erano stati condannati sulla scorta delle dichiarazioni della persona offesa, Luigi Di Martino, e da intercettazioni telefoniche disposte nell’inchiesta nei confronti del clan Pagnozzi ramificatosi fino a Roma come emerso nella recente inchiesta denominata “ camorra capitale”. Il verdetto, però, è stato completamente annullato dalla Corte di Cassazione. Infatti, la sesta sezione penale della Suprema Corte, presieduta da Tronci e che ha visto come relatore il giudice Costanzo, a fronte della richiesta del Procuratore Generale  De Masellis che aveva concluso per il rigetto del ricorso di Maglione e l’accoglimento del ricorso di D’Angelo, ha accolto in toto le argomentazioni formulate dal collegio difensivo dei due imputati, difesi dagli avvocati Dario Vannetiello, Francesco Perone e Vittorio Fucci, giungendo ad  annullare in toto la sentenza di condanna. Dovrà  quindi procedersi ad un nuovo giudizio in sede di rinvio innanzi a diversa sezione della Corte di appello di Napoli. Appare probabile che tale procedimento verrà riunito a quello che vedrà,  sempre in sede di giudizio di rinvio, alla sbarra  il boss Pagnozzi Domenico il quale, sempre in accoglimento di un ricorso redatto dall’avvocato Dario Vannetiello, solo pochi giorni fa, precisamente in data 12.06.19, ha ottenuto l’annullamento con rinvio della sentenza di condanna a 16 anni di reclusione per il delitto di associazione di stampo mafioso e violazione alla legge armi. 

Cronache della Campania@2019

La camorra si spartiva anche gli ospedali di Napoli: appalti, affiliati feriti, visite e truffe gestiti dagli ‘infermieri’ dell’Alleanza

$
0
0

“Diglielo sono la nipote di Angelo… mi devo fare l’emocromo”: ospedale usato come un centro di ‘famiglia’ quella malavitosa del clan Contini. Il San Giovanni Bosco era l’ospedale di riferimento della cosca dell’Alleanza di Secondigliano, a due passi dal ‘Rione amicizia’ dove i Contini avevano tutto sotto controllo. Esami diagnostici, visite specialistiche, la gestione dei ‘morti’ e delle ambulanze, i parcheggi, le pulizie e finanche i sindacalisti e i vertici amministrativi: tutto era sotto controllo. Con ‘infermieri’ – così vengono chiamati i referenti della cosca che lavorano come portantini o nella ditta di pulizie – pronti a far fronte ad ogni emergenza. Il centro di prenotazione ‘privato’ per aggirare lunghe liste di attesa e il pagamento delle prestazioni non urgente era affidato ad Angelo Botta, dipendente della ditta di pulizie, spesso veicolato dal nipote Vincenzo ‘il nano’, titolare di una rosticceria nel Rione amicizia, entrambi arrestati nel blitz di oggi. Dal pronto soccorso dell’ospedale San Giovanni Bosco uscivano finanche certificati medici fasulli per mettere a segno truffe assicurative, con la compiacenza di alcuni medici al ‘servizio’ del clan. Ma nella legge della criminalità i cosiddetti ‘piaceri’ erano reciproci. Alla bisogna – emerge dalle intercettazioni telefoniche – i medici del pronto soccorso chiedevano l’aiuto del ras del quartiere quando si sentivano minacciati e in pericolo da parenti di degenti o da utenti ‘arrabbiati’. Gli esponenti del clan Contini e Botta, secondo quanto emerge dall’ordinanza, hanno anche un “illegittimo accesso anche ai farmaci dell’ospedale”. Botta si mette a disposizione quando si tratta di recuperare medicine presenti nella struttura ospedaliera. Quanto emerso nelle indagini ha trovato ‘perfetta corrispondenza’ come scrive il gip nelle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, con un controllo economico e gestionale – il bar e il ristorante erano gestiti dal clan Contini – della struttura ospedaliera inclusa nel Rione amicizia. Ma vie è di più. I pentiti parlano di una vera e propria spartizione degli ospedali napoletani, in mano ai diversi clan che si sono spartiti il territorio. Il pentito Mario Lo Russo parla di una vera e propria spartizione: “L’ospedale San Giovanni Bosco è in mano ai Contini, come impresa di pulizia, forniture, lavanderia; come lo facevamo noi nelle nostre zone, al Policlinico, e Cimmino ai Cardarelli, così lo facevano loro nelle loro zone; già tanti anni fa avvenne questa divisione degli ospedali tra i clan, secondo il controllo territoriale camorristico. Se noi avevamo bisogno di qualcosa dal San Giovanni Bosco bastava chiamare Ettore Bosti e lui chiamava chi di dovere e tutti si mettevano a disposizione … “.
Per quanto riguarda l’ospedale del Rione amicizia, Teodoro e Giuseppe De Rosa, già esponenti del clan Contini, vicini ai capi con ruoli di elevata fiducia e gestori del bar e del ristorante del San Giovanni tracciano con le loro dichiarazioni – scrive il gip – “una desolante mappa di controllo camorristico del nosocomio pubblico, che va dall’utilizzo del medesimo come luogo di incontri mafiosi o di ricezione di pagamenti usurari ed estorsivi, al controllo delle visite mediche e degli interventi chirurgici, con la compiacenza o la sottomissione del personale, in violazione di qualsivoglia regola interna; dai favoritismi illeciti al clan per false perizie o falsi referti al controllo del clan sulle ditte esterne appaltatrici di servizi vari, primo dei quali quello di pulizia”. Dalle dichiarazioni rese dal collaboratore di giustizia Giuseppe De Rosa emerge che uno dei sodali all’Alleanza, ad esempio, era un “portantino dell’ospedale San Giovanni Bosco” che gestiva le “aperture di reparti” oppure “interveniva sui sindacati”. Avvenivano inoltre “assunzioni solo formali” nella ditta delle pulizie per avere “un legame” tra il clan e l’ospedale e non certo per fare le pulizie. Un collaboratore di giustizia, addetto alle pulizie, ha raccontato che il titolare della ditta faceva capo a lui per “le relazioni con il clan Contini e tutto ciò che serviva a tenere buoni rapporti tra il clan e la vita dell’ospedale. La mano del clan era in tutta la vita dell’ospedale”.
“I direttori sanitari – riferiva Teodoro De Rosa – sono sempre stati a disposizione del clan perché altrimenti rischiavano… e anche i medici e l’ufficio amministrativo”. In particolare erano presenti medici nel nosocomio che “hanno prestato la propria opera per feriti da arma da fuoco del clan che non dovevano passare in ospedale”. “Si tratta di un do ut des in cui da parte del clan è assicurata protezione, anche fisica, a coloro che ne facciano richiesta – scrive il Gip – ricevendone in cambio la messa a disposizione (in favore di membri del sodalizio) di strutture e professionalità, accessibili secondo canali privilegiati e non istituzionali, certamente non consentiti alla collettività generalmente considerata”.




Cronache della Campania@2019

Producevano e smerciavano soldi falsi: 8 condanne

$
0
0

Nella giornata di ieri, 26 giugno 2019, è stata pronunciata dal Giudice per le Udienze Preliminari presso il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, nell’ambito di un procedimento definito nelle forme del rito abbreviato, una sentenza di condanna nei confronti di 6 persone, ritenute responsabili di associazione per delinquere finalizzata alla produzione e all’introduzione, nella rete di spendita del territorio nazionale ed estero, di banconote false.
Il suddetto provvedimento giudiziario rappresenta la definizione processuale di un’articolata attività investigativa, condotta dal mese di novembre del 2017 a quello di marzo del 2018, che ha consentito di accertare incontrovertibilmente la sussistenza di un’associazione criminale dedita ad assicurare, in modo particolarmente spregiudicato ed efficiente, la produzione e lo smercio di banconote contraffatte, del valore nominale di € 20, 50, 100 e 500, dalla Campania verso altre località del territorio nazionale ed estero (Francia).
I soggetti condannati sono:
– FRESEGNA Raffaele, anni 8 mesi 1 giorni 10 di reclusione ed € 1333 di multa;
– DE MARTINO Enrico, anni 7 mesi 6 giorni 20 di reclusione ed € 1889 di multa;
– DE MARTINO Vincenzo, anni 4 mesi 5 giorni 10 di reclusione;
– VERRILLO Tommaso, anni 5 mesi 1 giorni 10 di reclusione ed € 1045 di multa;
– MASTROPASQUA Vincenzo, anni 6 mesi 2 giorni 20 di reclusione ed € 933 di multa;
– GALDI Raffaele, anni 2 mesi 10 di reclusione ed € 733 di multa;
Altri due imputati – TODINI Romolo e VAZZA Pasquale – sono stati condannati a pene detentive superiori ai 3 anni a seguito della definizione del procedimento attraverso sentenze di patteggiamento. Nel corso delle indagini, condotte con l’ausilio di attività tecniche, corroborate da servizi di osservazione, controllo e pedinamento, sono stati sottoposti a sequestro:
– circa € 100.000,00 di banconote contraffatte, realizzate con grande maestria ed idonee ad ingannare la pubblica fede;
– materiale vario, composto da stampanti, toner, barattoli di vernice, colori, telai per serigrafia e conta banconote, ritenuto idoneo per la produzione di banconote false;

Cronache della Campania@2019


Annullamento bis della Cassazione in favore del “Re dei  Migranti”

$
0
0
migranti1

La Sesta Sezione della Suprema Corte di Cassazione, accogliendo il ricorso degli Avvocati Vittorio Fucci e Pietro Farina, ha annullato per la seconda volta l’Ordinanza del Tribunale del Riesame di Napoli che aveva confermato la validità dell’Ordinanza di Custodia Cautelare emessa dal GIP del Tribunale di Benevento,  che aveva portato all’arresto di Paolo Di Donato in relazione alle Indagini sui 12 centri di accoglienza  dei migranti allocati nel Sannio .Già mesi orsono la Suprema Corte di Cassazione, accogliendo il ricorso degli Avvocati Fucci e Farina , aveva annullato l’ordinanza del Tribunale del Riesame, con rinvio al Tribunale di Napoli, il quale, però, aveva reiterato l’Ordinanza di conferma della custodia cautelare disposta dal GIP di Benevento. Contro questo secondo provvedimento era stato proposto ricorso innanzi alla Suprema Corte di Cassazione che ha annullato nuovamente l’Ordinanza del Tribunale del Riesame senza rinvio. Come si ricorderà nella vicenda fu coinvolto anche il Brigadiere Salvatore Ruta, assistito dall’Avv. Vittorio Fucci, per il quale  la Suprema Corte di Cassazione aveva annullato, come per Di Donato, l’Ordinanza del Tribunale del Riesame che confermava quella degli arresti emessa dal GIP di Benevento. Per il Ruta, però, il nuovo Riesame si era adeguato al pronunciamento della Suprema Corte ed annullava  l’ordinanza in favore del Ruta . Già prima della celebrazione del primo processo in Cassazione il Di Donato ed il Ruta avevano ottenuto la rimessione in libertà. La vicenda che coinvolse Paolo Di Donato, come si ricorderà   aveva assunto ampio rilievo nazionale. La vicenda, in questa fase, si chiude con l’importante annullamento senza rinvio, e quindi senza celebrazione di un nuovo Riesame, in favore di Paolo Di Donato.

Cronache della Campania@2019

Camorra, un avvocato suicida nel 2014 perché aveva ‘dilapidato’ i soldi del clan Contini che minacciava di morte il figlio. LE INTERCETTAZIONI

$
0
0

Emerge anche la triste storia di un avvocato civilista con sede in via Chiatamone a Napoli che accetta di riciclare i soldi del clan Contini e alla fine si toglie la vita dalle indagini sull’Alleanza di Secondigliano a cui ieri magistratura e forze dell’ordine hanno assestato un duro colpo. La vicenda si conclude con il suicidio del civilista, avvenuto nel 2014, dopo reiterate minacce da parte della camorra. Il professionista si era reso disponibile a riciclare una ingente somma nella disponibilità di Ciro Di Carluccio (destinatario di una misura cautelare) nel settore immobiliare. Dopo avere preso i soldi, il professionista, invece di usarli per gli investimenti promessi, li spende tutti per altro, scatenando l’ira di Di Carluccio che, attraverso uno dei suoi uomini, inizia a fare pressioni fino a minacciare di morte sia l’avvocato che il figlio, ora 17enne. Prima gli fa arrivare una lettera dal carcere nella quale gli chiede  10mila euro al mese per il sostentamento della sua famiglia poi arrivano  una serie di drammatiche telefonate, tra l’avvocato e una delle persone delegate a recuperare le somme, risalenti all’ottobre del 2013, emergono le pressioni e anche il cinismo del clan: “ho lo sfratto da sette mesi per morosità…sfratto per morosità di casa mia … sono sette mesi che non pago i fitti di casa per di riuscire a tenere avanti lo studio per portare avanti quella merda di cosa per riuscire a portare avanti tutto! sette mesi, !.sette mesi!! .. I miei figli non gli ho comprato le scarpette di calcio per far fare le partite di calcio perché non avevo soldi e non ho  potuto più chiedere niente  ai miei fratelli … che mi hanno dato tutto quello che potevano.. tutto l’aiuto di questo mondo. io sto tirando avanti la vita soltanto per il lavoro … lo studio … per riuscire a risolvere .. L’ingegner …. altri due mesi, mi farà l’azione esecutiva e caccerà i miei figli da casa!! Io non so più… non le voglio raccontare queste cose!! E devono morire tutti e due i miei figli di cancro, ..mi sono venduto la catenina e il braccialetto per pagare l’Enel…se uno mi vuole uccidere, mi uccide…però non minacciare i miei figli perche’ sto impazzendo…”. L’avvocato  aveva avuto mandato di investire i soldi di Francesco Esposito, Carlo Piscopo e Ciro Di Carluccio in operazioni mobiliari ed immobiliari. Al professionista erano state affidate cifre enormi e questi le aveva di fatto sottratte alla destinazione originaria, causando un ammanco nelle casse dei finanziatori. Successivamente nel corso di una perquisizione a casa di Piscopo fu trovata una missiva risalente al 2012 con carta intestata dello “Studio Legale omissis”, indirizzata a Ciro Di carluccio ed a firma dell’avvocato omissis, nella quale il professionista implorava perdono per aver “utilizzato in modo arbitrario le somme che mi ha fatto pervenire tramite il comune amico Carlo Piscopo destinate ad un’operazione commerciale, e, cosa più grave, anche le somme ugualmente ricevute per conto di sua nuora, signora omissis per saldare una transazione con la BNL.
La missiva, datata 10 settembre 2012 retrodatava, quindi, nel tempo l’origine dei rapporti tra il legale, Carlo Piscopo e Ciro Di Carluccio  confermava quanto emerso dalle intercettazioni circa il fatto che la somma fosse stata distratta dalla sua destinazione originaria e che il legale stesse cercando, senza riuscirci, di risolvere la situazione. In particolare, relativamente ali’ “operazione commerciale” indicata nella missiva. Il legale, infatti, scriveva che non essendo riuscito a rispettare i termini prescritti per portare a termine le operazioni ed avendo irrimediabilmente distratto il denaro ricevuto era “fuggito da Napoli per il “timore di subire una punizione troppo grave” e, cosa ancor più grave, chiedeva al DI Carluccio il “permesso” di poter tornare, al fine di riprendere in mano le sue attività e di rimediare alla difficile situazione. Alla fine, preso dalla disperazione, nei primi mesi del 2014, si suicida.

Rosaria Federico

Cronache della Campania@2019

Dopo 5 anni in carcere per omicidio assolto per legittima difesa

$
0
0

Accusato di omicidio ma ha sempre dichiarato di aver agito per legittima difesa. Dopo aver trascorso cinque anni in carcere, Antimo D’Agostino, 39 anni, di S. Angelo in Formis in provincia di Caserta, all’epoca dei fatti, un militare dell’Esercito, in servizio nelle forze speciali, questa mattina, è stato assolto dai giudici della terza sezione della Corte di Assise di Appello di Napoli, presidente Martursi. Si tratta di un procedimento di ritorno dalla Cassazione. Nell’agosto del 2009, D’Agostino venne arrestato per l’omicidio di Malay Xhervair, ventisettenne di origine albanese. Secondo le accuse iniziali D’Agostino lo avrebbe ammazzato per un tentativo di rapina. Invece D’Agostino ha sempre dichiarato di essere estraneo alla vicenda e che aveva colpito con un fendente per legittima difesa dopo aver subito un’aggressione dal branco, circa dieci persone, per difendere una donna che si prostituiva a Capua. D’Agostino è stato condannato in primo grado a 24 anni dalla Corte di Assise di Santa Maria Capua Vetere e a 20 anni dalla Corte di Assise di Appello di Napoli. In seguito poi la Cassazione ha annullato la sentenza con rinvio, infatti, nel 2014 D’Agostino dopo cinque anni di carcere veniva scarcerato, fino al verdetto di oggi che ha emesso la riforma della sentenza e ha stabilito non luogo a procedere perché come è scritto nel dispositivo del giudice Martursi “ha agito per legittima difesa” come ha sempre sostenuto il suo difensore avvocato Mauro Iodice.

Cronache della Campania@2019

Il ‘cup’ della camorra negli ospedali: le intercettazioni che inchiodano il clan Contini. Al Viminale si discute il caso Napoli

$
0
0

Ospedali gestiti dai clan bypassando le liste di attesa o gestendo il personale e le attività di ristorazione: i particolari emersi dall’inchiesta che ieri ha portato all’arresto di 126 presunti affiliati all’Alleanza di Secondigliano sono stati oggetto di discussione nel Comitato nazionale per l’ordine e la sicurezza pubblica dedicato alla Campania. “Sono state analizzate fra le altre cose la presenza camorristica all’interno degli ospedali (con interventi di conseguenza) e nella gestione dei rifiuti, le criticità nelle carceri di Poggioreale e Secondigliano, compreso l’uso illegale di telefonini dei carcerati”. Dicono fonti del Viminale. Il ‘Cup’ (Centro unico di prenotazione) gestito dagli uomini del clan Contini, nella fattispecie da Angelo (fratello del boss Salvatore) e Vincenzo Botta, ‘o nano nipote del boss nell’ospedale San Giovanni Bosco di Napoli, è un particolare che sconvolge, se non altro per la facilità con la quale criminalità gestiva con la complicità di chi vi lavorava un servizio pubblico. Il Gip Roberto D’Auria che ha firmato l’ordinanza contro gli affiliati dell’Alleanza di Secondigliano (i clan Contini, Mallardo e Licciardi) censura oltre ai comportamenti degli indagati, molti dei quali arrestati, anche chi è stato con loro connivente.
I Botta – secondo quanto emerso dalle intercettazioni – gestivano anche la priorità per le visite, per i loro parenti (una delle quali è proprio Raffaella, la figlia di Salvatore Botta e riesce ad ottenere rapidamente un appuntamento con un medico in servizio al San Giovanni) e non solo. Sono i Botta a dettare i tempi delle visite: ” … per giovedì, mi vuoi far prendere un appuntamento da (ndr)i! … ” dice Raffaella allo zio. L’indomani la donna è già in ospedale per gli esami riuscendo a bypassare l’ordinaria routine di prenotazione e pagamento della prestazione.
“Non vi sono dubbi che l’accesso a prestazioni sanitarie specialistiche avvenga seguendo canali non istituzionali e certamente privilegiati – scrive il Gip – com’è dato dedurre dalla seguente conversazione telefonica, nel corso della quale una donna, tale “Assunta” telefona ad Angelo Botta evidentemente accreditato in pubblico come una sorta di centro di prenotazioni per “VIP”, chiedendogli di poter eseguire analisi cliniche presso l’ospedale
S. Giovanni Bosco “… senti, se vado sotto all’ospedale a nome tuo e mi faccio fare una BETA, me lo fanno? … “. Il risultato è il medesimo di quello ottenuto da Raffaella Botta ” … eh, diglielo … sono la nipote di Angelo … “. Le stesse circostanze di “prenotazioni facili”, si riscontrano anche in occasione di una conversazione telefonica intercettata nella quale una donna (particolarmente vicina dal punto di vista affaristico-criminale a Botta Salvatore) chiede di poter effettuare una risonanza magnetica ottenendo di potersi recare presso la struttura pubblica accompagnata da Angelo.
Dall’attività investigativa, documentata nell’ordinanza, emergono un numero impressionante di interventi del clan sulle tutte le attività del san Giovanni Bosco. I Contini controllavano le relazioni sindacali, potevano anche ostacolare le decisioni dei manager, imporre assunzioni, ottenere certificati falsi, per esempio, per le truffe assicurative, e anche il sostegno di alcuni medici (compiacente o meno) per far medicare gli affiliati del clan feriti in conflitti a fuoco senza che la cosa trapelasse. In quell’ospedale il clan sostituiva addirittura alle forze dell’ordine: in una intercettazione registrata alle 21,08 del 3 febbraio 2013 un medico, minacciato da due energumeni, invece di chiedere aiuto alla Polizia o ai Carabinieri, telefona a Vincenzo Botta ‘ nano che chiama lo zio Angelo (risultato, peraltro, anche dipendente di una ditta di pulizie che lavora nell’ospedale) al quale dice: “o’ zi’…ti vuole (il medico, ndr)…eh! Mi ha chiamato a me…ha detto fai venire un attimo a tuo zio…stavano due di loro che lo volevano picchiare!…”. L’intervento della famiglia Botta è determinante per evitare il pestaggio del medico da parte di due energumeni “…Tutto a posto!”.

Cronache della Campania@2019

Napoli, anche un funzionario della Regione si rivolse all’Alleanza di Secondigliano per riscuotere un credito

$
0
0

Napoli. Anche un funzionario della Regione Campania si e’ rivolto alla camorra per riscuotere un credito che un suo amico vantava da un socio: la circostanza emerge dagli atti di indagine relativi al maxi blitz interforze, coordinato dalla Procura di Napoli, messo a segno ieri ai danni della cosiddetta “Alleanza di Secondigliano”. Entrambi figurano nella lista dei 214 indagati. L’uomo, ora 65enne, nel 2013 consigliò questa scorciatoia palesemente criminale ad un amico, che ora ha 55 anni, e che lavorava per conto della Regione pur non essendone dipendente. Il 55enne vantava un credito considerevole, (5-600mila euro, secondo un pentito liquidati dalla Regione). I fatti, che si configurano come una tentata estorsione sono accaduti nel Casertano, e vengono documentati attraverso una serie di conversazioni intercettate mentre alcuni dei soggetti criminali coinvolti, tutti di rango, sono in auto. Un comportamento duramente stigmatizzato, nell’ordinanza, dal gip di Napoli Roberto D’Auria: “Sono assolutamente univoche le acquisizioni raccolte nel corso delle indagini in ordine alla modalità ‘camorristica’ con la quale il creditore, su consiglio dell’amico (il funzionario) ha tentato di recuperare il credito vantato…”. Ad essere chiamato in causa è Vincenzo Tolomelli, un esponente di caratura del clan Contini (destinatario di una misura cautelare in carcere). Tolomelli, non ha potere in quella particolare zona a cavallo tra Caserta e Napoli ma dimostra di avere legami con la malavita locale che viene interpellata e coinvolta, in un’ottica di “convergenza di interessi”, scrive il gip nell’ordinanza. Un professionista, dipendente del debitore, viene anche pestato in strada dagli uomini del clan al fine di intimorire il suo datore di lavoro. La tentata estorsione trova conferma nelle parole rese agli inquirenti da un collaboratore di giustizia e, spiega il giudice, “per tutti gli indagati ricorrono i gravi indizi di colpevolezza”. “La vicenda appare di particolare gravità – scrive ancora il giudice – laddove si consideri il contesto istituzionale” nel quale operavano il creditore e il suo amico funzionario regionale, “da cui dunque sarebbe lecito aspettarsi un pur minimo senso delle istituzioni”.

Cronache della Campania@2019

Stangata sul clan Moccia: 244 anni di carcere per i ‘senatori’. TUTTE LE CONDANNE

$
0
0

Duecento quarantaquattro anni di carcere sono stati inflitti dal gup del Tribunale di Napoli, Valeria Montesarchio nei confronti di 25 tra boss e gregari del clan Moccia finiti in carcere nel maxi blitz del gennaio scorso che decapitò la cosca attiva retta dal ‘papa’ Luigi Moccia dal suo esilio forzato e dorato in quel di Roma che hanno scelto di essere giudicati con il rito abbreviato. Pene leggermente inferiori rispetto alle richieste di oltre 3 secoli di carcere invocate dalla Dda nel febbraio scorso. La pena maggiore è stata inflitta ai cosiddetti “senatori” della cosca. E in particolare ad Angelo Pezzullo, 16 anni e 8 mesi in continuazione, Giovanni Castiello, 16 anni in continuazione e Mauro Bencivenga, 16 anni. Poi a seguire: Giuseppe Angelino, 14 anni di reclusione; Corrado Polizzi, 14 anni in continuazione; Giorgio Tranchino, 12 anni in continuazione; Raffaele Laurenza, 10 anni; Alfredo Barile, 10 anni in continuazione; Giovanna Bencivenga, 10 anni; Giuseppe Nobile, 8 anni e 9 mesi in continuazione; Vincenzo Barra 8 anni in continuazione; Antonio Esposito, 8 anni; Luigi Ferraiuolo, 8 anni; Antonio Laurenza, 8 anni;  Carmine Bello, 8 anni in continuazione; Giuseppe Falco, 8 in continuazione; Giuseppe D’Ambrosio, 8 anni in continuazione; Giovanni Del Prete, 7 in continuazione; Gioacchino Cennamo, 6 anni; Raffaele Nobile, 6 anni; Luigi Ro-co, 6 anni; Salvatore Zimbaldi, 6 anni; Maria Favella, 6 anni; Luigi Belardo; 6 anni; Anna Capone, 5 anni e 4 mesi; Vincenzo Del Prete, 3 anni; Sabato Felli, 3 anni in continuazione e infine  Bruno Tuccillo, 3 anni.

Le accuse contestate vanno dall’associazione mafiosa, alla detenzione di armi comuni e da guerra, estorsioni e riciclaggio di ingenti somme di denaro. L’organizzazione attiva da anni nei territori dei comuni di Afragola, Casoria, Arzano, Frattamaggiore, Frattaminore, Cardito, Crispano, Caivano e Acerra e in alcune città del Lazio. Le indagini, che si sono avvalse del contributo di collaboratori di giustizia, ma anche su intercettazioni di colloqui in carcere che hanno portato al sequestro di manoscritti con cui i detenuti del clan comunicavano con l’esterno. Gli inquirenti hanno ricostruito, oltre al gruppo di vertice, anche quello dei cosiddetti ‘senatori’ indicati come ‘affidatari delle direttive’: Salvatore Caputo (deceduto), Domenico Liberti, Maria Luongo, Pasquale Puzio e Antonio Senese. Le indagini hanno portato alla luce i profondi contrasti esistenti tra alcuni dei cosiddetti senatori, ed hanno evidenziato il ruolo di primo piano assunto da Modestino Pellino, sorvegliato speciale domiciliato a Nettuno (Roma) e ucciso il 24 luglio 2012, subordinato solo a quello del capo indiscusso dell’associazione Luigi Moccia, già sottoposto a libertà vigilata a Roma, dove aveva da tempo trasferito i propri interessi. E’ state ricostruita anche la recente conformazione del clan Moccia, le responsabilità  del suo vertice assoluto, dei dirigenti e dei relativi referenti sul territorio, le modalità di comunicazione tra gli affiliati, anche detenuti, la capillare attività estorsiva, l’imposizione delle forniture per commesse pubbliche e private, la ripartizione tra i sodali, liberi e detenuti, dei profitti illeciti, e le infiltrazioni del sodalizio negli apparati investigativi. Non a caso al servizio del clan vi erano anche due poliziotti corrotti.

Queste invece erano state le richieste: Angelo Pezzullo, 25 anni, Giovanni Castiello, 23 anni, 21 per Alfredo Barile e Giuseppe D’Ambrosio; 18 anni per Corrado Polizzi, 16 per Giovanni Del Prete, 15 per Giorgio Tranchino, 14 anni per Giuseppe Angelino, 13 anni per Luigi Ferraiuolo, 11per Sabato Felli, 10 anni per Vincenzo Barra, Mauro Bencivenga, Antonio Esposito, Giuseppe Falco, Antonio Laurenza, Giuseppe Nobile e per Luigi Rocco, 9 anni per Luigi Belardo, Carmine Bello, Gioacchino Cennamo, Maria Favella e per Salvatore Zimbardi, uno dei due poliziotti corrotti . E ancora 5 anni per Anna Capone, 4 anni per Vincenzo Del Prete e per Bruno Tuccillo.

Cronache della Campania@2019

Camorra, con Maria Licciardi ci sono altri 11 latitanti dell’Alleanza di Secondigliano: 7 sono stati individuati all’estero

$
0
0

Si trovano in Sud America e in Europa, ovviamente in Italia ma anche in Spagna, Olanda e nei Balcani, 12 delle 126 persone destinatarie di altrettante misure cautelari emesse due giorni fa nell’ambito del maxi blitz interforze coordinato dalla Procura di Napoli contro la cosiddetta “Alleanza di Secondigliano”. Si tratta di 125 arresti, in carcere e ai domiciliari, e di un divieto di dimora in Campania, emessi dal Gip di Napoli, Roberto D’Auria della X sezione su richiesta della DDA, notificati dai Carabinieri del Comando provinciale di Napoli (diretto dal colonello Ubaldo Del Monaco), dai militari del Reparto Anticrimine del Ros di Napoli (coordinati dal tenente colonnello Gianluca Piasentin), dalla Polizia di Stato di Napoli (questore Alessandro Giuliano) e dai finanzieri del Comando Provinciale di Napoli (generale Gianluigi D’Alfonso). Tra i ricercati figura Maria Licciardi, detta a’ piccirella, sorella del boss deceduto Gennaro Licciardi, detto a’ scigna tra i fondatori dell’Alleanza, costituita dalle famiglie criminali Contini, Bosti e Mallardo tutte imparentate tra di loro attraverso il matrimonio con le tre sorelle Nunzia, Anna e Rita Aieta e apputo dalla famiglia Licciardi della Masseria Cardone a Secondigliano. Sette ricercati, attraverso attività investigative dei miliardi dell’Arma, sono stati individuati oltre i confini nazionali, dove si erano trasferiti in pianta stabile o temporaneamente per gestire attività illecite, come il traffico di sostanze stupefacenti, per conto dell’Alleanza. Per quelli che si erano trasferiti in via definitiva per “motivi di lavoro”, quindi già individuati, sono state avviate le procedure di estradizione. Alcuni invece sono ancora ricercati in collaborazione con l’Interpol. Nelle oltre duemila pagine dell’ordinanza cautelare si traccia uno spaccato della potenza del gruppo criminale che aveva il controllo totale delle attività illecite in città e che aveva fatto dell’ospedale san Giovanni Bosco la propria base operativa.

Cronache della Campania@2019


Sindaco arrestato nel Casertano: indagati anche due delle forze dell’ordine, uno disattivò le microspie

$
0
0

Ci sono anche due appartenenti alle forze dell’ordine tra gli indagati nell’indagine della Procura della Repubblica di Napoli Nord che ha portato agli arresti domiciliari il sindaco di Trentola Ducenta  Andrea Sagliocco. Si tratta del vice-sovrintendente della Polizia di Stato Giuseppe Melucci, delegato alla sicurezza del comune di Trentola, raggiunto dalla misura cautelare del divieto di dimora in provincia di Caserta con sospensione dal servizio, e dell’agente di polizia penitenziaria Luigi Lorvenni, in servizio a Secondigliano, cui é stata notificata la misura dell’obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria. Melucci, é emerso dalle indagini, disattivo’ le microspie piazzate dagli investigatori negli uffici comunali. Lorvenni – hanno accertato gli inquirenti – avrebbe invece fatto da intermediario da imprenditori collusi e amministratori comunali.

Cronache della Campania@2019

Napoli, omicidio Perinelli: 17 anni di carcere all’assassino Alfredo Galasso

$
0
0

Napoli. E’ stato condannato a 17 anni di reclusione Alfredo Galasso il 31enne reo confesso per l’omicidio Raffaele Perinelli, il giovane calciatore di Napoli accoltellato dopo una lite  davanti a un circolo ricreativo di Miano, il 6 ottobre del 2018. Per Galasso il pm aveva richiesto una condanna a 30 anni di reclusione. Il processo si é celebrato con rito abbreviato davanti al gup Pietro Carola., Galasso era reo confesso e nell’udienza del 12 aprile scorso aveva chiesto scusa in aula alla famiglia del giovane calciatore di Miano.. Lello Perinelli, 21 anni, morì l’8 ottobre 2018, accoltellato al cuore dall’omicida 31enne per una lite che risaliva a otto giorni prima. I due facevano parte dello stesso gruppo di amici. Dal giorno del diverbio, Galasso era uscito di casa con un coltello dalla grande lama, mai ritrovato. Quando i due si incontrarono di nuovo per strada, volarono parole grosse, e Galasso estrasse il coltello e uccise Perinelli. Nel corso del processo l’avvocato Enrico Di Finizio per la parte civile Perinelli ha argomentato molto sulla premeditazione e ciò per ottenere l’ergastolo insistendo sul dolo diretto. La difesa, rappresentata dagli avvocati Luca Gagliano e Rocco Maria Spina, ha discusso praticamente su tutta la vicenda partendo dalla lite della settimana precedente e dimostrando come il contesto ambientale della vicenda era di estrema paura intorno al Galasso al punto da far cadere i futili motivi.
Il Gup aderendo alla ricostruzione della difesa ha escluso i futili motivi ma non ha concesso le attenuanti generiche, condannando a 17 anni Galasso. Sia il pm che la parte civile hanno preannunciato appello non soddisfatti della pena che ritengono bassa. La difesa preannuncia appello per escludere sia la recidiva che per avere le generiche. Momenti di tensione in aula tra la famiglia di Perinelli e l’imputato che ha pianto per tutta l’ultima udienza avendo preso coscienza di quello che aveva fatto e cioè quello di uccidere una ragazzo che conosceva.

Cronache della Campania@2019

L’imprenditore napoletano Romano rapito dalle ‘Farc’ in Colombia e mai ritrovato. I legami con Ettoruccio Bosti

$
0
0

Napoli. C’è il cartello rivoluzionario delle “Farc” della Colombia e la richiesta di riscatto di un milione di euro dietro la misteriosa sparizione dell’imprenditore napoletano Raffaele Romano avvenuta il 18 febbraio del 2014 a Bogotà in Colombia. E’ l’inquietante e inedito retroscena che emerge dalla lettura delle oltre duemila pagine dall’ordinanza cautelare firmata dal gip Roberto D’Auria della X sezione del Tribunale di Napoli con la quale tre giorni fa è stato smantellato l’intero sistema criminale dell’Alleanza di Secondigliano. Alla vicenda della sparizione di Romano ma soprattutto ai suoi legami e a quelli del fratello Salvatore con il giovane boss Ettore Bosti figlio di Patrizio è dedicato un intero capitolo dell’ordinanza in cui si parla del riciclaggio dei capitali illeciti di Ettore Bosti appunto, di traffico di droga con i colombiani e dei legami con il famigerato Raffaele Imperiale detto lelluccio o’ parente o lelluccio ferrarelle, il noto narcos stabiese legato agli Amato-Pagano e passato alla storia per i due Van Gogh rubati e per la latitanza dorata a Dubai. I due fratelli Romano gestivano il ristorante Totò&Peppino a Madrid molto frequentato da Vip e calciatori del Real. Salvatore Romano fu arrestato in Spagna nell’agosto del 2014 nell’ambito dell’operazione “Tarantella” condotta dalla Guardia Civil spagnola con la collaborazione delle forze dell’ordine italiane.  E l’altro giorno il gip D’Auria ha confermato i sospetti. Non a caso scrive: “Il complesso delle indagini dimostrava dunque che i Romano, e le loro attività economiche, siano null’altro che un “avamposto” del clan Contini in Spagna, utilizzato all’occorrenza sia come punto logistico per gli affari illeciti in terra spagnola (come il traffico degli stupefacenti) sia come vero e proprio “bancomat” per significative azioni di reimpiego e/o di riciclaggio di denaro di illecita provenienza derivante da attività delittuose perpetrate dallo stesso clan camorristico”. A fare da  anello di congiunzione tra Ettoruccio Bosti o’ russo e i fratelli Romano, secondo quanto emerge dall’ordinanza è Marco Botta, cognato di Bosti e cugino dei Romano. E’ lui che tiene i collegamenti, è lui che porta le “imbasciate” ed è lui a far sapere quanto e come pagare “la rata” del ristorante al giovane boss. E in questo contesto di riciclaggio dei soldi del clan Contini, di un grosso traffico di droga sparito in Francia e della figura di una donna colombiana presunta amante di Raffele Romano che si inserisce la sparizione dell’imprenditore originario di Scampia. Il fratello Salvatore, ben sapendo che c’era la richiesta di riscatto e della probabile morte del congiunto, negli anni scorsi ha anche fatto visita al Ministero degli esteri attraverso amici napoletani chiedendo l’interessamento dell’ambasciata italiana. La mamma e la moglie dello scomparso (che era contraria al viaggio) hanno rivolto appelli attraverso i giornali e la tv anche loro sapendo il probabile triste destino del congiunto.
Non a caso il gip scrive: ‘i fratelli Romano erano ben cosci e consapevoli di essere un’appendice economica del Bosti. Questo lo si evidenzia in tutta la sua interezza allorquando Salvatore, nel mentre comunica alla madre l’ipotesi di ripercussioni motto gravi sulla persona del fratello Raffaele scaturite apparentemente da non giustificati “mancati pagamenti”, le fa capire che, se volevano, gli stessi Botta e Bosti potevano avere dei soldi liquidi nei tempi da loro stabiliti semplicemente nel modo che avevano sempre fatto e dunque recandosi direttamente da loro a Madrid per prelevare quanto desideravano, senza aspettare le scadenze pattuite”. Ma tornando alla sparizione di Raffaele Romano, il Fratello Salvatore tre giorni dopo il 18 febbraio del 2014 nell’interrogatorio  davanti alla Guardia Civil a Madri datato 21 febbraio 2014 spiegò che il fratello si era recato in Colombia per rimanervi un mese e che si era alloggiato in un Hotel nella città di Meddelin. Nello specifico Salvatore dichiarò che Raffaele gli raccontò al telefono il 18 febbraio 2014 che si stava recando nella città di Bogotà, ma senza dare spiegazioni alcuna di questo viaggio e che dall’epoca non riuscì mai a mettersi in contatto con lo stesso. Poi invece nell’interrogatorio datato 7 aprile 2014 spiegò che aveva dei sospetti sulla cittadina colombiana…omissis…, poiché la stessa si era recata in Colombia 2 giorni dopo la sparizione effettiva del fratello Raffaele, denunciandone la scomparsa solamente solo dopo 6 giorni accampando come scusa il fatto che tale denuncia doveva farla il suo di fratello e che lei sarebbe tornata subito dopo altri 2 o 3 giorni. Inoltre riferì agli inquirenti il fatto che la ragazza precedentemente gli raccontò di aver comunicato alle autorità colombiane che ella nella circostanza della scomparsa si trovava con Raffaele Romano in Colombia, mentre a lui risultava che la donna fosse in Spagna.
E ancora nell’interrogatorio datato 8 aprile 2014ì che la colombiana gli aveva comunicato che l’ultima volta che aveva avuto contatti a sua volta Raffaele (il 18.02.2014), quest’ultimo gli aveva riferito, tramite messaggino whatsapp, che “lo stavano portando al monte” ed a riprova di ciò gli fece vedere solo uno stralcio di questo messaggio dove vi erano scritte le testuali parole ed immagini: “mi stanno portando al monte” con 2 faccine emoticons.
La Guardia Civil spagnola, che aveva in essere un attività di Polizia Giudiziaria riferita alla “Operazione Tarantella”, aveva appreso in tale circostanza che Raffaele Romano era sparito in Colombia e che con molta probabilità era stato rapito con scopo di riscatto da malavitosi legati alle forze rivoluzionarie della Colombia “Farc”, i quali chiedevano al fratello Salvatore  per il suo rilascio la somma di “un milione di euro”. Tanto è che presso il ristorante Totò&Peppino di Madrid si era presentata una non meglio identificata ragazza colombiana che aveva consegnato ai presenti un cellulare “dedicato” da usare per la contrattazione. Tutte le utenze che poi avevano contattato il cellulare in questione sono poi risultate di matrice venezuelana. Qualche mese Ettore Bosti chiamerà Salvatore Romano chiedendogli di sbrigarsi, tramite le sue conoscenze nella Polizia di Stato di Napoli, a reperirgli il passaporto precedentemente richiesto con la scusa di andare a vedere i Mondiali di calcio in Brasile. Ma il rilascio del passaporto gli fu negato. Nei mesi seguenti ci sono state tutta una serie di telefonate e incontri tra i familiari di Romano volte a cercare notizie sul loro congiunto. In quel periodo sempre Salvatore Romano aveva detto ai parenti di essere anche disposto a pagare la somma di un milione di euro ai presunti sequestratori del fratello nel caso questo pagamento fosse servito a liberare il fratello Raffaele. Cosa questa mai avvenuto e di Raffaele Romano dal 2014 non si hanno più notizie.

Rosaria Federico

(nella foto i guerriglieri delle Farc e da sinistra lo scomparso Raffaele Romano e il giovane boss Ettore Bosti)

Cronache della Campania@2019

Castellammare, processo Olimpo: solo Greco e altri 4 scelgono il rito ordinario

$
0
0

Castellammare. Saranno solo in cinque domani gli imputati del processo Olimpo che si presenteranno davanti ai giudici del Tribunale di Torre Annunziata. Si tratta dei cinque che hanno scelto di svolgere il processo con il rito ordinario: il noto imprenditore e imputato principale Adolfo Greco (difeso dagli avvocati Maiello e Stravino), i due fratelli Michele e Raffaele Carolei (difesi dall’avvocato Francesco Romano), Luigi Di Martino o’ profeta (avvocato Vannetiello), e Attilio Di Somma (avvocato Schettino),
Tutti gli altri hanno scelto il rito abbreviato che si terrà il 7 ottobre dinanzi al Gup di Napoli dott.ssa Gallo: questo processo diventa ora Di Vuolo + 8 ovvero Teresa Martone, unica ai domiciliari (vedova del defunto padrino stabiese Michele D’Alessandro, e mamma dei boss Pasquale, Luigi ed Enzuccio), l’imprenditore del clan Liberato Paturzo detto cocò, Vincenzo Di Vuolo, Giovanni Cesarano (detto Nicola), Nicola Esposito o’ mostro, Aniello Falanga, i fratelli Raffaele o’ burraccione e Francesco Afeltra, Umberto Cuomo e Giovanni Gentile. Ma già domani sono attesi nuovi colpi di scena in quanto i difensori degli imputati torneranno a sollevare davanti alla corte la nullità di parte delle accuse nei confronti degli imputati in quanto ritengono che non vi sia stata la proroga delle indagini preliminari. Su questo aspetto la Cassazione si è già pronunciata nei mesi scorsi rigettando il ricorso presentato dall’avvocato Romano, difensore dei due fratelli Carolei. Il processo nato dall’inchiesta Olimpo che nel dicembre scorso ha portato in carcere 15 persone oltre ad un’altra mezza dozzina di indagati si basa sulla figura dell’imprenditore Adolfo Greco (che da qualche mese è poggiato nel reparto infermeria del carcere per problemi di salute) e per i suoi rapporti con i vertici di 4 organizzazioni camorristiche operanti tra Castellammare di Stabia e i comuni limitrofi. Gli inquirenti hanno ipotizzato una presunta commistione tra camorra e imprenditori finalizzata alla commissione di estorsioni nella zona stabiese con Greco appunto elemento principale.

Cronache della Campania@2019

Napoli, la perizia choc: ‘Anna Siena morì in ospedale perché non fu sottoposta ad adeguate visite mediche’

$
0
0

Napoli. Anna Siena, la 36enne morta in ospedale a Napoli lo scorso 18 gennaio a causa di una necrosi sviluppatasi in seguito alla morte del feto che non sapeva di portare in grembo, non fu sottoposta ad adeguate visite mediche. E’ la conclusione a cui sono giunti i medici legali incaricati dalla procura di eseguire l’autopsia sul corpo della donna. Nella relazione i medici scrivono che Anna Siena e i genitori non riferirono della gravidanza ai medici perché non ne erano a conoscenza trattandosi di una gravidanza criptica, condizione molto rara nelle donne ma possibile. Tuttavia, i medici legali osservano che chi la prese in cura avrebbe dovuto accorgersi di quanto stava accadendo e avrebbe dovuto accorgersene disponendo approfonditi esami alla luce della sintomatologia lamentata dalla donna. “E’ chiaro che un approfondito ed adeguato esame del distretto anatomico addominale, prima attraverso la palpazione superficiale e profonda dello stesso, poi con un eventuale esame strumentale di I livello (ecografia) non fu mai eseguito. Proprio a fronte di una sintomatologia lombalgica in giovane donna era auspicabile un accurato esame obiettivo dell’addome, proprio per escludere l’esistenza di problematiche cliniche di pertinenza addominale caratterizzate dalla comparsa dolore lombare, tra le quali e’ possibile annoverare per l’appunto una colica renale, una disseccazione artica o una problematica pelvico-uternita (compresa una gravidanza). Se fosse stato adeguatamente palpato l’addome della paziente, non sarebbe assolutamente potuta sfuggire l’apprezzabilita’ del fondo eterni in gravida a termine”, scrivono i medici

Cronache della Campania@2019

Viewing all 6090 articles
Browse latest View live