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Channel: Cronaca Giudiziaria
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Rivelarono i segreti dell’indagine, a giudizio i poliziotti del clan

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Avrebbero rassicurato una persona sul suo mancato coinvolgimento in un’indagine della Procura Antimafia. Arrivando così a violare – secondo le accuse – la riservatezza di certe notizie, che dovevano restare segrete. Ora saranno processati, con il rinvio a giudizio disposto dal gup del tribunale di Nocera Inferiore, Leda Rossetti, per due poliziotti in servizio al commissariato di Cava de’ Tirreni. Con loro anche un terzo imputato, un privato cittadino, che sarebbe risultato il beneficiario di quelle informazioni. Sono accusati in concorso di rivelazione del segreto istruttorio. Il fascicolo d’indagine fu aperto dalla procura di Nocera Inferiore, dopo il lavoro della Dda, che attraverso un’attività investigativa sull’esistenza del presunto clan che avrebbe fatto capo a Dante Zullo, intercettò quel giro di informazioni che sarebbero passate dai due poliziotti alla terza persona. In qualità di pubblici ufficiali e su richiesta dello stesso privato cittadino, i due agenti riferirono allo stesso di star tranquillo, perché estraneo a quell’indagine. La comunicazione di quel suo mancato coinvolgimento è costata cara ai tre, per i quali il gup ha disposto il rinvio a giudizio, come chiesto dalla procura, al termine dell’udienza preliminare. Pur a seguito di una lunga discussione degli avvocati difensori, che avevano fornito elementi a supporto dell’innocenza dei tre. Ora sarà il processo a chiarire le presunte responsabilità dei tre, con l’inizio del dibattimento fissato per il prossimo novembre.

Cronache della Campania@2018


Camorra, il pentito: ‘Alla 44 l’ultima parola spettava sempre a donna Geppina’. I VERBALI

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“Ho conosciuto Enzo Cutolo e Gennaro Carra, che sono gli esponenti di spicco della “44”, nel 2016. Loro sono tra gli esponenti di maggior rilievo ma l’ultima parola spetta sempre a Geppina, madre di Enzo Cutolo e moglie di Salvatore Cutolo,il quale si trova detenuto al regime di 41 bis…”. A parlare è il ras pentito del clan Mele, Salvatore Romano detto muollo muoll. In un verbale datato 7 gennaio 2018, agli atti dell’ordinanza cautelare che due settimane fa ha portato in carcere i vertici dei clan Cutolo il collaboratore di giustizia ha svelato alcuni retroscena inediti degli affari e delle alleanze tra i clan di Pianura, Soccavo, Fuorigrotta e Rione Traiano. “…Li ho conosciuti in occasione di una pace-a raccontato ancora Romano-che noi del clan Mele siglammo con la “44” su ordine di Enzo Mele a seguito delle insistenze del gruppo Sorianiello e in particolare di Simone Sorianiello, Peppe Mazzacagna e altri. La pace si rese necessaria perché in precedenza Giuseppe Mele dal carcere aveva fatto sapere che voleva uccidere Geppina, in quanto la stessa era il vero capozona della 44. Facemmo dunque un incontro nella “44” in un appartamento al primo piano. Eravamo io, Vincenzo Mele, Enzo Cutolo, Genni Carra, il Calone, o’ Bruno e non ricordo se c’erano anche Musella o Pasquale Esposito. In quell’occasione i Cutolo della 44 mi riconobbero un ruolo impor-tante e in seguito mi garantirono che se avessi avuto bisogno di loro mi avrebbero sostenuto in un’eventuale scissione dai Mele…Con riferimento a Geppina, preciso che quando si verificò l’episodio nel quale venne picchiato Fortunato Spina, di cui ho già parlato in un precedente verbale, Vincenzo Mele fu chiamato al cospetto di Geppina che lo umiliò e minacciò dicendogli che non doveva permettersi mai più e che lui al Parco San Paolo era soltanto un ospite…Sempre Geppina, dopo l’omicidio di Pisa, di cui pure ho già riferito, quando noi ci recammo alla “44” a parlare con Genni Carra ed Enzo Cutolo, non ricordo se ci fosse anche Patrizio, che comunque era sempre presente, per chiedere l’autorizzazione a uccidere lo Spina Fortunato, ci mandò a dire, a me e a Vincenzo Mele e a noi tutti dei Mele, di lasciare stare lo Spina perché altrimenti sarebbe successa la guerra, tant’è vero che da quel momento nulla facemmo contro di lui…”.

Cronache della Campania@2018

Corruzione, chiesta la condanna per l’ex ministro Landolfi

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A Mondragone c’era comunanza di interessi tra imprenditori, politica locale e criminalità organizzata. E’ forse questo uno dei passaggi più interessanti da parte del pubblico ministero della Dda Simona Belluccio che ha chiesto 3 anni e 6 mesi per l’ex ministro delle Comunicazioni Mario Landolfi. Il pm nel corso della sua requisitoria, pronunciata dinanzi al collegio presieduto dal giudice Loredana Di Girolamo del tribunale di Santa Maria Capua Vetere, ha ripercorso l’intera vicenda per la quale Landolfi è finito sotto processo, soffermandosi a lungo sulla figura dell’ex sindaco mondragonese Ugo Alfredo Conte e sui suoi rapporti proprio con l’ex ministro.
Landolfi è accusato di concorso in corruzione e truffa, aggravate dall’aver agito per favorire il clan La Torre. Secondo la Procura della Dda avrebbe corrotto un ex consigliere comunale di Mondragone per indurlo alle dimissioni al fine di scongiurare la fine dell’esperienza amministrativa del sindaco Conte. In cambio questi avrebbe ottenuto la promessa di entrare a far parte della Giunta comunale per sè e un contratto di lavoro per la moglie nel consorzio Eco4, ritenuto espressione della criminalità organizzata.
Il processo riprenderà alla fine di settembre per la discussione dei legali di Landolfi, gli avvocati Nicola Buccico e Michele Sarno.

Gustavo Gentile

Cronache della Campania@2018

Camorra, le ‘pazzignane’ in aula: ‘Cepparulo fu eliminato perché ci dava fastidio’

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 Sono state le dichiarazioni spontanee di tre donne di camorra, in particolare della “pazzignana” Luisa De Stefano, a tenere banco oggi, nell’udienza del processo per l’omicidio del ras del Rione Sanità, Raffaele ‘Ultimo’ Cepparulo ma soprattutto dell’innocente Ciro Colonna, entrambi assassinati a Ponticelli, in un circolo privato il pomeriggio del 7 giugno 2016. A rilasciare dichiarazioni spontanee sono state oggi anche altre due imputate coinvolte nel duplice assassinio, e cioè Anna De Luca Bossa e Vincenza Maione (difesa, come anche Luisa De Stefano, dall’avvocato Carmine Danna). Le tre donne hanno tutte confermato che Cepparulo, uomo di vertice del clan dei ‘Barbudos’ del rione Sanità ovvero gli Esposito-Genidoni-Spina autori della stragde delle Fontanelle contro i Vastarella, doveva morire in quanto da tempo ordinava attentati ai loro danni. La De Stefano, in particolare, ha riferito di essere stata anche costretta a chiudere un negozio a causa dei raid. La De Stefano, come anche gli altri sette imputati – tra cui il boss Ciro Rinaldi detto mauè (arrestato di recente e collegato dal carcere in videoconferenza) e il killer Michele Minichini ‘el tigre’ (che invece non era collegato e che nella scorsa udienza ha chiesto scusa alla famiglia Colonna con una lettera, ndr) – sono tutti accusati di avere avuto un ruolo in quel tragico agguato costato la vita a un giovane di appena 19 anni che stava giocando a bigliardino. 

Cronache della Campania@2018

Camorra, omicidio di Cepparulo e dell’innocente Colonna, la donna boss in aula: ‘Chiedo scusa alla famiglia di Ciro, lui non doveva morire’

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“Avevo già perso un figlio, hanno provato a ucciderne un altro davanti alla villa comunale e così abbiamo deciso che doveva morire”. A parlare è una delle Lady camorra più temute ovvero Anna De Luca Bossa, figlia della prima donna boss Teresa, condannata al 41 bis. Ha letto una lettera in aula al processo per il duplice omicidio di Raffaele Ultimo Cepparulo e dell’innocente Ciro Colonna. E’ accusata di essere uno dei mandanti dell’agguato avvenuto il 7 giugno del 2016 in un circolo ricreativo di Ponticelli. Per lei e per gli altri sei complici tra cui il boss Ciro Rinaldi mauè e il figliastro Michele Minichini el tigre , la Dda ha chiesto la condanna all’ergastolo. E così lei come Luisa DeStefano hanno provato a d attenuare la loro posizione in aula “Chiedo perdono alla famiglia di Ciro, lui non doveva morire”, ha detto Anna De Luca Boss. Anche il figliastro, Michele Minichini, accusato di essere ill killer di Cepparulo. nella scorsa udienza che si sta svolgendo davanti al gup di Napoli, aveva letto una lettera ammettendo di aver ucciso Cepparulo. Confessione anche per Vincenza Maione e per Luisa De Stefano. Nel processo sono imputati anche il boss Ciro Rinaldi, mandante dell’omicidio, Cira Cippolaro (mamma naturale di Michele Minichini) e Antonio Rivieccio, colui che invece uccise per errore l’innocente Ciro Colonna.

Intercettata dopo il delitto, Anna De Luca Bossa, finita in carcere come mandante insieme al boss Ciro Rinaldi, si lascia andare ad un sfogo clamoroso; dalle indagini é emerso che sarebbe stata lei a dare il via all’azione di sangue. “C’era uno con la maglietta rossa, quello innocente, poi uno con la maglietta bianca che era ‘o limone, e uno con la maglietta verde che era Cepparulo. E tu che fai? Entri improvvisamente e spari a quello con la maglietta rossa? Avevano tutti e due la barba e non e’ che si e’ sbagliato: ha proprio sparato. Con la pistola in mano tremava tutto, lo ha scostato e gli ha sparato”. La donna, arrestata insieme a tre fedelissime, mogli e parenti di camorristi in carcere, ricostruisce in pratica la dinamica del delitto; il riferimento è al primo dei due sicari che ha fatto fuoco, Antonio Rivieccio, colui che, hanno accertato le indagini, ha sbagliato persona uccidendo con un colpo al petto “quello con la maglietta rossa”, l’innocente Colonna appunto. L’altro sicario, Michele Minichini, pose subito rimedio all’errore del compagno, massacrando Cepparulo con l’intero caricatore della sua pistola. Il cruccio della camorrista non era tanto per la morte di un innocente, quando per il pericolo corso dal nipote, titolare del circolo dove e’ avvenuto il delitto. “Ma se invece di colpire a quello colpivano a mio nipote? Tu che fai? Improvvisamente entri e fai fuoco? Fino alla fine credevamo che l’altra vittima fosse mio nipote”.

Si chiama Ciro Ciambriello ed è il vero testimone oculare del duplice omicidio di Raffaele Ultimo Cepparulo e dell’innocente Ciro Colonna avvenuto il 7 giugno del 2016 in un circolo privato al lotto 0 di Ponticelli. E’ lui che stava giocando a carte con la vittima designata Raffaele Cepparulo. E’ lui che ha sentito il sibilo dei proiettili che gli passavano vicino all’orecchio con la pistola del killer (Michele Minichcini, arrestato nel blitz di 4 giorni fa ndr) vicino alla suo faccia e che ha fatto fuoco contro Ultimo Cepparulo. Il suo racconto agli investigatori due due giorni dopo l’agguato è contenuto nelle 100 pagine dell’ordinanza di custodia cautelare firmate dal gip Alessandra ferrigno e che ha portato in carcere 8 persone. Ovvero il mandante: il boss Ciro Rinaldi my way, i due killer Michele Tiger Minichini per Cepparulo e Antonio Rivieccio cocò per l’innocente Ciro Colonna e Anna De Luca Bossa, in qualità di specchietista e le basiste Cira Cepollaro (mamma di Minichini), Luisa De Stefano, la cugina Vincenza Maione e Giulio Ceglie. Ecco il racconto di Ciro

” … omissis … Quando arrivai c’erano presenti CEPPARULO Raffaele, COLONNA Ciro, una ragazzina di 16 anni di nome Francesca …omissis…, che abita in via Cleopatra, un amico di CEPPARULO Raffaele di nome Ciro, due amici miei di nome Francesco e Daniele, che poco dopo sono andati via senza assistere all’omicidio, e DE LUCA BOSSA Umberto che stava giocando a bigliardino con Ciro, l’amico di Raffaele. Ricordo che a parte Francesco e Daniele, che andarono via prima dell’omicidio, al circoletto rimanemmo le persone che ho anzi descritto senza che vi giungessero o andassero via altre persone. Preciso. però che Umberto al momento dell’omicidio si trovava all’esterno del circoletto momento del mio arrivo CEPPARULO Raffaele giocava a carte con un ragazzo, un amico di COLONNA Ciro di cui non ricordo il nome, che poco dopo è andato via e che non ha assistito all’omicidio. Praticamente al momento dell’omicidio, all’interno del circoletto c’eravamo io, …omissis Francesca, COLONNA Ciro e CEPPARULO Raffaele. Io e Raffaele giocavamo a carte sul bancone che sta vicino alla porta del bagno. Raffaele era dietro al bancone, seduto sullo sgabello, ed io di fronte a lui in piedi, dando le spalle al circoletto ed alle porte di ingresso, mentre COLONNA Ciro e  Francesca stavano giocando al bigliardino. Ad un certo punto entrò sull’uscio dell’ingresso principale un uomo che disse “nun ve muvit chesta è na rapin”. Io mi girai verso l’ingresso alzando le mani incredulo in quanto non capivo cosa si potesse rubare in quel circoletto. Con la coda dell’occhio vidi che CEPPARULO Raffaele si alzò dallo sgabello e si sporse dal bancone per vedere chi era sull’uscio. Mentre ero girato verso l’ingresso principale e la porta del bagno, in una frazione di attimi sentii esplodere due colpi alle spalle vicino a me. L’esplosione era vicinissima a me, infatti da allora ho problemi all’udito dell’orecchio sinistro. Mi girai e vidi una pistola proprio davanti a me all’altezza del viso puntata in direzione di Raffaele che aveva appena fatto fuoco. Capii che dalla porta posteriore del circoletto era entrato un altro killer che aveva sparato a CEPPARULO Raffaele. Se non ricordo male la pistola era a tamburo, ma non ne sono sicuro. In quel preciso momento Raffaele cadde a terra a peso morto accasciandosi tra il muro alle sue spalle e la porta del bagno. Io portai le mani e le braccia al volto mi chinai e rasentando il muro, passando davanti al killer presente sull’ingresso principale, uscii all’esterno e scappai dentro all ‘Eurobet sita sullo stesso marciapiede del circoletto, ma 100 metri più avanti. Una volta che era finito l’agguato tornai nel circoletto a riprendermi il cellulare che mi era caduto nella fuga ed insieme a due persone sopraggiunte subito dopo, se non erro due signore del centro abbronzante e barberia , provai a girare la salma di COLONNA Ciro. In realtà fino a quel momento pensavo che quella vittima fosse Ciro l’amico di Raffaele CEPPARULO, solo in quel momento mi sono accorto che era COLONNA Ciro. Notai che era stato colpito al centro del petto e capii che era morto, così scappai a casa sotto shock. ” In merito al killer entrato dall’ingresso principale CIAMBRIELLO riferiva che era “Snello, alto, ed indossava un giubbino blu modello “riders”, di quel genere che ha gli occhialoni nel cappuccio che, chiudendo tutta la cerniera, il cappuccio copre anche il viso e gli occhialoni capitano davanti agli occhi. Il killer lo indossava proprio così, celando il suo volto. Premesso che io sono alto 1, 70 m, ricordo che il killer entrato dall’ingresso principale era più alto di me.”. Poi aggiungeva” … omissis … sono sicuro che gli assassini sono arrivati a piedi e sono scappati a piedi prendendo la direzione della scuola abbandonata. Mia madre che si era affacciata al balcone, li ha visti scappare in quella direzione a piedi. … omissis … ne ho sentito circa 7 o 8 in tutto, perché ho sentito esplodere altri colpi mentre scappavo. Sono sicuro che DE LUCA BOSSA Anna non era dentro al circoletto ne fuori quando io arrivai. Ma subito dopo l’omicidio ho saputo dai presenti che nel tempo trascorso tra il mio arrivo e l’omicidio, Anna era giunta ed aveva stazionato all’esterno del circoletto. Probabilmente io non l’ho vista poiché ero di spalle mentre giocavo a carte. Ricordo, inoltre, che mi raccontarono che la donna subito dopo l’omicidio se ne salì a casa sua dicendo che si era spaventata che i killer volessero uccidere anche lei.”. In merito alla presenza di CHIAROLANZA Ciro, CIAMBRIELLO dichiarava: “Non ricordo che c’era in quel momento, ma essendo di spalle non ne sono sicuro. Forse era sull’ingresso del circo/etto perché ho sentito dire che il killer che è entrato dall’ingresso principale lo ha spostato per puntare la pistola contro Raffaele. Comunque ora che mi avete fatto riflettere, sono sicuro che
Ciro, l’amico di CEPPARULO, era nei pressi in quanto all’inizio io credevo che il cadavere di COLONNA Ciro, fosse quello di Ciro l’amico del CEPPARULO . … omissis … La panda nera fermata fuori al circoletto è la mia. .. preciso che non ricordo se indossavo qualche abbigliamento color verde nell’occasione . … omissis … Io e Raffaele avevamo la barba. Ma Raffaele aveva una barba molto lunga ed incolta, io invece avevo una barba corta e rasata”.

Cronache della Campania@2018

Camorra, il ministro dispone il carcere duro per il boss Antonio Orlando

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Il ministro della Giustizia ha firmato ieri mattina il decreto con il quale è stato disposto il trasferimento al regime di carcere duro del boss Antonio Orlando detto mazzulillo, E così ieri mattina il capocamorra di Marano e dei comuni vicini, latitante per oltre 15 anni, è stato trasferito dal dal carcere di Milano-Opera a quello di massima sicurezza a L’Aquila. La notizia è stata anticipata dal quotidiano Cronache di Napoli. Il boss ora 60enne era stato arrestato a Mugnano il 27 novembre del 2018 dopo una latitanza durata oltre 15 anni ma nel corso della quale non aveva mai fatto mancare la sua presenza ai summit di camorra. La latitanza era stata coperta dal nipote acquisito Armandino Lubrano. Il 20 febbraio scorso Orlando in un processo che si è svolto con rito abbreviato è sttao condannato a 18 anni di carcere con l’accsua di associazione di tipo camorristico ed estorsione.

Cronache della Campania@2018

Camorra, punito perché faceva estorsioni in proprio: presi mandanti e killer di Francesco Balestrieri

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Nella mattinata odierna il personale della Squadra Mobile della Questura di Napoli, in esecuzione di un’ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa dal GIP del Tribunale di Napoli su richiesta di questa Direzione distrettuale antimafia, hanno proceduto all’arresto di MARFELLA Salvatore, FOGLIA Giuseppe, BRACALE Emanuele, CAMPAGNA Antonio e CARILLO Lorenzo per il delitto di omicidio commesso il 10.04.2014 ai danni di BALESTRIERI Francesco.

Il provvedimento cautelare è stato emesso all’esito di una mirata attività di indagine, coordinata da questa Procura della Repubblica, che ha permesso di individuare, anche attraverso le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia PESCE Pasquale e DELLO IACOLO Raffaele, coinvolti nell’omicidio, i ruoli ricoperti dai destinatari dell’ordinanza cautelare.

In particolare, le indagini hanno consentito di accertare che il PESCE Pasquale ed il MARFELLA Salvatore, quali reggenti del clan Marfella, operante nel quartiere urbano di Pianura,  decretavano l’omicidio del BALESTRIERI poiché gli era addebitato di commettere estorsioni in autonomia nel territorio controllato dall’organizzazione camorristica fondata dal capostipite MARFELLA Giuseppe, in modo da conclamare la supremazia di tale sodalizio camorristico, con l’ennesima dimostrazione di  forza militare e di ferocia.

In tale complesso probatorio, il giudice della cautela  prendeva in esame anche i ruoli degli altri compartecipi quali il DELLO IACOLO Raffaele,  occupatosi, su precisa disposizione del MARFELLA Salvatore, di consegnare al FOGLIA Giuseppe ed al BRACALE Emanuele, le armi utilizzate per commettere l’omicidio; quali il FOGLIA Giuseppe, il  BRACALE Emanuele ed il CAMPAGNA Antonio detto Sasa’,  componenti del gruppo di fuoco con precisa ripartizione dei compiti e, precisamente: il CAMPAGNA Antonio guidando l’autovettura su cui i tre viaggiavano e speronavano il ciclomotore condotto dalla vittima BALESTRIERI Francesco, cosi’ da determinarne la caduta dal mezzo; il FOGLIA Giuseppe ed il  BRACALE Emanuele  scendendo dalla predetta autovettura, contestualmente alla collisione con il ciclomotore del BALESTRIERI, ed esplodendo numerosi colpi di pistola cal. 9 contro la vittima, cagionandone la morte; il CARILLO Lorenzo occupandosi, su diretta disposizione del PESCE Pasquale, del “recupero”, effettuato con altra autovettura,  degli sparatori FOGLIA Giuseppe e BRACALE Emanuele, e conducendoli in località esterna al quartiere di Pianura, in tal modo allontanandoli dal luogo teatro dell’omicidio appena commesso.

Cronache della Campania@2018

Napoli, banda dei falsi permessi di soggiorno: il Riesame conferma il carcere per l’ex poliziotto

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Il Tribunale del Riesame di Napoli ha confermato la misura cautelare del carcere per l’ex poliziotto Vincenzo Spinosa, di 64 anni, coinvolto nell’indagine della Procura di Napoli (pm Catello Maresca e Maria Di Mauro, coordinati dal procuratore aggiunto Giuseppe Borrelli) sui permessi di soggiorno concessi ad extracomunitari dietro compenso. I Giudici hanno anche confermato la misura cautelare degli arresti domiciliari emessa nei confronti di Alessandro Cerrone, 42 anni, e di Weng Qing, detto “Michele, il cinese”, 28 anni, anche loro coinvolto nell’inchiesta che ha portato all’arresto, a metà della scorso maggio, di sette persone (cinque in carcere, tra cui Spinosa) e due (Cerrone e Qing, ai domiciliari). Spinosa, secondo gli investigatori, ha avuto un ruolo primario nell’organizzazione che consentiva a immigrati di varie nazionalità di ottenere un permesso di soggiorno a Napoli che poi gli avrebbe consentito di muoversi in tutta Europa. Viene infatti indicato come promotore e organizzatore della cosiddetta “banda dei permessi di soggiorno”. Qing, invece, si sarebbe occupato di reperire le schede sim e i cellulari “dedicati” che venivano utilizzati per le comunicazioni e, con Cerrone, anche delle pratiche da “agevolare”. Il Tribunale del Riesame ha, in sostanza, confermato le sette misure cautelari emesse dal Gip di Napoli su richiesta dei pm Maresca e Di Mauro. Ancora non e’ stata fissata la data dell’appello presentato dagli inquirenti in relazione alle misure cautelari chiese nei confronti di tre indagati e non concesse dal gip lo scorso maggio.

Cronache della Campania@2018


Consorzio Idrico Terra di Lavoro, inchiesta contabile per le somme percepite da 20 amministratori ‘indagati’

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Sono 20 gli ‘inviti a dedurre’ notificati dalla Guardia di Finanza di Caserta a tutto il management del Consorzio Idrico Terra di Lavoro in relazione ad un’indagine che ipotizza un danno erariale di oltre tre milioni di euro. Si tratti di compensi percepiti indebitamente a presidente, vice-presidente e membri del Consiglio di amministrazione. L’inchiesta contabile del vice Procuratore Generale Ferruccio Capalbo della Procura Regionale della Corte dei Conti per la Campania, coordinata dal Procuratore Michele Oricchio, contesta la responsabilità amministrativa agli amministratori per aver percepito indebitamente emolumenti per circa 900 mila euro, per il periodo dal 2014 al 2019. Per altre somme elargite negli anni precedenti, ovvero dal 2011 al 2014, è invece intervenuta la prescrizione. L’accusa sostiene che le somme non dovevano essere liquidate perché un apposito decreto legge del 2010 aveva previsto la necessaria gratuità dell’attività svolta da ‘amministratori di comunità montane e di unioni di comuni e comunque di forme associative di enti locali aventi per oggetto la gestione di servizi e funzioni pubbliche’.  L’indagine contabile si è mossa anche su un orientamento giurisprudenziale – deciso in passato da diverse sezioni regionali di controllo della Corte dei Conti – riconoscendo l’applicabilità della norma su diversi casi tra cui quello in cui rientra l’ente Consorzio idrico della provincia di Caserta.

Cronache della Campania@2018

Traffico di stupefacenti, sequestro per 400mila euro ad un 64enne di Castellammare di Stabia

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A seguito di complessa attività di indagine di natura patrimoniale, tesa all’aggressione dei patrimoni di mafia, personale del Settore Misure di Prevenzione Patrimoniali della Divisione Anticrimine della Questura di Napoli ha dato esecuzione al decreto di sequestro beni emesso dal Tribunale di Napoli- Sezione Misure di Prevenzione- ai sensi della normativa antimafia, nei confronti di un uomo di 64 anni di Castellammare di Stabia. Il 64 enne, con pregiudizi per omicidio colposo e rissa, appartenente ad un’associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti operante nel territorio di Castellammare di Stabia, con fatti accertati dal settembre 2002 al maggio 2006, al cui interno svolgeva il ruolo di cassiere e finanziatore, per poi assumere funzioni apicali. Al termine dell’iter processuale l’uomo veniva condannato alla pena definitiva di anni dieci ed otto mesi, che scontava in carcere nel periodo dal maggio 2006 al gennaio 2015. II decreto del Tribunale di Napoli, emesso in accoglimento di articolata proposta del Questore di Napoli, formulata a seguito di complessa e prolungata attività investigativa svolta dal Settore Misure di Prevenzione Patrimoniali, ha disposto il sequestro di tre appartamenti con le relative pertinenze ubicati nel comune di Castellammare di Stabia (Na), intestati al 64enne ed ai suoi congiunti, in considerazione dell’esistenza di ampi e concordanti indizi circa la loro provenienza dall’illecita attività svolta dall’uomo. II valore globale dei beni sottoposti a sequestro ammonta a circa 400 mila euro.

Cronache della Campania@2018

Benevento, minacce agli agricoltori: assolto Corrado

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Si è tenuto presso il Tribunale di Benevento, davanti al Giudice Monocratico Dott. Loffredo, il processo a carico di Vincenzo Corrado, di 31 anni, di Arpaia, imputato, insieme ad altre persone, dei reati di lesini gravi, minaccia grave e violenza privata, consumati, nel 2015, ai danni di 2 trasportatori, ai quali avrebbero impedito di uscire da un piazzale di un’azienda di Airola, difeso dall’Avv. Vittorio Fucci.

All’esito dell’udienza, il Giudice, accogliendo la tesi dell’Avv. Vittorio Fucci, ha assolto il Corrado per non aver commesso il fatto.

Cronache della Campania@2018

Napoli, chiesti 25 anni di carcere per i 7 parcheggiatori abusivi di via Sedile di Porto

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 Napoli. Associazione a delinquere finalizzata alle estorsioni e occupazione di suolo pubblico. La procura di Napoli ha chiesto condanne che oscillano tra i cinque e i tre anni di reclusione per sette parcheggiatori abusivi che a Napoli, in via Sedile di Porto, avevano in ‘gestione’ una strada intera. Già a dicembre avevano tutti avuto il divieto di dimora e ora rischiano una pena alta. Secondo l’accusa, incutevano timore agli automobilisti che per evitare danni alle vetture parcheggiate si piegavano al ricatto. Le indagini sono state condotte dai carabinieri della compagnia di Napoli Centro e avevano preso il via dalla denuncia di una donna che, giunta col proprio veicolo a via Sedile di Porto, era stata avvicinata da uno degli indagati che con la minaccia di danneggiarle l’auto aveva tentato di farsi consegnare del denaro. Le attività investigative sono state effettuate anche con l’installazione di un sistema di videosorveglianza. Cinque anni sono stati chiesti per Luciano Liguori e Vincenzo Porcino, considerati dall’accusa i capi e promotori della banda. Tre anni per Mario Liguori, Rosario Sorianiello, Giovanni Cascella, Raffaele Veniero e Vincenzo Solimene. L’ultimo imputato Ciro Porcino, ha scelto il rito ordinario. Il processo davanti al gup Caputo, e’ stato rinviato a settembre

Cronache della Campania@2018

Napoli, virus spia ‘Exodus’: il Riesame conferma i domiciliari per Ansani e Fasano

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 Il Tribunale del Riesame di Napoli ha confermato gli arresti domiciliari nei confronti di Diego Fasano, 46 anni, e di Salvatore Ansani, 42 anni, rispettivamente amministratore di fatto e direttore della infrastruttura IT di E-Surv, arrestati in un blitz congiunto di Ros, GdF e Polizia Postale, lo scorso 22 maggio, nell’ambito dell’inchiestra della sezione cybercrime della Procura di Napoli sul software spia Exodus. Attraverso il ‘captatore’ informatico, ideato dalla società calabrese E-Surv ed usato illecitamente, secondo quanto emerso dalle indagini, circa 80 Terabyte di dati riferibili ad attività investigative e di intercettazione informatica di numerose procure italiane sono stati illecitamente trasferiti sui cloud di Amazon, negli Stati Uniti. A Fasano e Ansani gli inquirenti (i pm Onorati, Curatoli e Pavia, coordinati dal procuratore aggiunto Vincenzo Piscitelli) contestano i reati – continuati e in concorso – di accesso abusivo a sistemi informatici, intercettazioni illecite, trattamento illecito di dati e frode in pubbliche forniture. I circa 80 terabyte di dati sono riferibili a oltre 800 attivita’ di intercettazione molte delle quali, ben 234, realizzate senza che gli inquirenti ne fossero a conoscenza, attraverso ‘infezione’ dei dispositivi come computer, tablet e cellulari. 

Cronache della Campania@2018

Accusato di usura: la Corte di Appello di Napoli revoca la confisca dei beni di Alfonso Masone

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L’VIII Sez. della Corte di Appello di Napoli, accogliendo il ricorso dell’Avvocato Vittorio Fucci, fondato anche su recenti pronunciamenti della Suprema Corte di Cassazione, della Corte Costituzionale e della Corte Europea di Strasburgo, ha revocato, la clamorosa confisca dei beni immobili, del valore circa di un milione di euro, di Alfonso Masone, di 80 anni, di Benevento che era stata disposta con decreto della Sezione Misure Prevenzione del Tribunale di Benevento il 12 gennaio 2015.

Come si ricorderà, il Masone nel 2014 fu arrestato per il reato di usura aggravata, venendo, poi, scarcerato e nuovamente arrestato e successivamente scarcerato. In relazione alla vicenda relativa al procedimento penale, la Sezione Misure Prevenzione del Tribunale di Benevento dispose la confisca anche dei beni immobili. La Corte di Appello di Napoli, però, è stata di diverso avviso ed ha annullato il decreto del Tribunale di Benevento, revocando, con effetto immediato, la confisca dei beni immobili del Masone. 

Cronache della Campania@2018

‘Camorra capitale’, la Cassazione annulla la condanna al boss Domenico Pagnozzi

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La Suprema Corte, sesta sezione penale, presieduta dal Dott. Petitti  e che ha visto come relatore il dott. Costanzo, in completo accoglimento del diffuso ricorso proposto dagli avvocati Dario Vannetiello ed Alfonso Furgiuele, ha annullato la condanna ad anni 16 e mesi 4 di reclusione irrogata a Pagnozzi Domenico in data 12.03.18 dalla Corte di appello di Napoli – IV sezione – .L’accusa oggetto del processo è quella di aver diretto ed organizzato quella storica organizzazione operante oramai da oltre trenta anni nelle due province di Benevento ed Avellino, con propaggini nell’hinterland napoletano, in particolare a S. Giovanni a Teduccio,  con significativa e recente ramificazione nella città di Roma.Più volte in passato è stato indagato e processato più volte per omicidio, senza mai riportare la condanna all’ergastolo.

       Il noto magistrato Raffale Cantone,  allorquando era pubblico ministero in carica alla direzione distrettuale antimafia di Napoli, nel processo al famigerato clan del Casalesi, ne invocò la assoluzione con una sorprendente motivazione: camorrista carismatico che non doveva essere ritenuto intraneo ai Casalesi in quanto  si era opposto con successo al tentativo di costoro di inglobarlo nelle loro impressionanti file.Fu allora che i casalesi decretarono la sua morte alla quale “o professore” scampò in prima battuta per circostanze fortuite, poi per la sua capacità di tessere alleanze nel mondo criminale. La direzione distrettuale della città capitolina da anni sostiene con determinazione che Domenico Pagnozzi, soggetto rispettato da esponenti  di primo  piano della ‘ndrangheta e da quelle che facevano parte della   banda della Magliana, avrebbe esportato metodi e sistemi camorristici  nella capitale d’Italia, iniziando ad imporsi nel lontano 2001 con l’omicidio del boss siciliano Giuseppe Carlino avvenuto sul litorale laziale.

       Proprio nel periodo in cui in Italia destarono scalpore le modalità del funerale a Roma di un noto esponente dei Casamonica, un navigato giornalista di un affermato quotidiano di tiratura nazionale, prima che venissero eseguiti i ben 61 arresti degli affiliati romani di Domenico Pagnozzi, segnalò il potere criminale oramai raggiunto nella città di Roma da colui che tra gli adepti laziali veniva soprannominato “ occhi di ghiaccio”, rispettato e temuto anche dai Casamonica, come era emerso anche dalle intercettazioni del processo  cosiddetto “ camorra capitale”. Con la ultima decisione assunta dalla Suprema Corte, il processo è da rifare completamente innanzi a diversa sezione della Corte di appello di Napoli. Ad oggi Pagnozzi è sottoposto al carcere duro ed attende la fissazione di altro processo in cassazione, quello  per l’appunto relativo alla condanna ad anni 30 di reclusione per aver diretto due associazioni criminali nella città di Roma, una destinata al narcotraffico, l’altra finalizzata ad imporsi nella economia della capitale anche mediante violenza e minaccia. Decisione questa che potrebbe determinare la fine della storia giudiziaria del boss campano o restituirlo di colpo e  per l’ennesima volta  alla libertà, come accaduto più volte in passato.                   

Cronache della Campania@2018


Camorra, Belforte confessa: ‘Carbone e lo zio uccisi per fermare i Casalesi’

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“Ho fondato il clan Belforte, intorno al 1985, con mio fratello Mimì perché dopo l’arresto di Raffaele Cutolo e di altri cutoliani, noi di Marcianise che eravamo stati sempre fedeli a quel gruppo, si temeva che il controllo criminale dei territori di Marcianise, Caserta, Portico, Macerata passasse nelle mani dei Casalesi, quindi, organizzammo il nostro clan. Un gruppo di fuoco che si consolidò dopo la strage di San Martino 11 novembre 1986 con la morte di Paolo Cutillo”. E’ il racconto fatto dall’ex boss Salvatore Belforte, ex collaboratore di giustizia di Marcianise, che ha ricostruito nel fascicolo del delitto di Orlando Carbone, ucciso 33 anni fa dai Belforte la storia del clan dei Mazzacane. L’ex capoclan è stato presente, questa mattina, per l’udienza preliminare in tribunale a Santa Maria C.V., dinanzi al gup Ivana Salvatori, proprio per questo omicidio ma per l’ultima volta per questo procedimento, infatti, dalla la prossima udienza, sarà processato  in videoconferenza così come richiesto dalla difesa, avvocato Salvatore Piccolo. Inoltre, è stata accettata dal gup la richiesta fatta di rito abbreviato. Quindi il procedimento per Belforte, precedente agli anni 1992, seguirà il vecchio rito. Rito alternativo, con sconto di un terzo della pena non consentito, invece, con la recente legge proprio per i delitto di mafia. Soprattutto è stata accordata la videoconferenza che si celebrerà a novembre non perché Salvatore Belforte è un ex collaboratore di giustizia ma perché lo prevede la legge per chi è stato condannato in passato con l’art.7 per reati mafiosi. Carbone, secondo l’accusa, fu ucciso dal clan dei Mazzacane insieme allo zio, Giuseppe Tammariello, 33 anni fa, perché entrambi testimoni scomodi e inaffidabili. Dopo la strage di S. Martino con 4 morti e 4 feriti, (avvenuta nel novembre del 1986 proprio il giorno di San Martino e proprio in via S. Martino a Marcianise) in un conflitto a fuoco con le forze dell’ordine nella stessa giornata fu ucciso Paolo Cutillo alias ‘Jack la belva’ il perno principale a Marcianise dei cutoliani e Orlando Carbone insieme allo zio Giuseppe Tammariello (originari di Marcianise ma trasferiti all’epoca Roma dove erano stati assoldati dai Belforte) che avevano partecipato alla strage erano stati fermati ad un posto di blocco e subito rilasciati dai carabinieri. Episodio che destò troppo sospetto ai fratelli Belforte che ne decretarono la morte per inaffidabilità Il cadavere di Carbone è stato fatto ritrovare proprio da Salvatore Belforte, nel periodo della sua collaborazione, quello dello zio Tammariello non è mai stato trovato perché forse sciolto nell’acido. Fino al ritrovamento del cadavere di Orlando Carbone, unico delitto di cui si è accusato Salvatore Belforte, era ancora possibile reperire a Roma il certificato di residenza del giovane dichiarato morto solo nel 2015 quando in un pozzo sono stati rinvenuti i resti delle ossa.

Cronache della Campania@2018

Camorra, sconto di pena in Appello per il ras del clan Puca

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E’ arrivato lo sconto di pena nel processo di Appello per Antonio Paciolla, alias “’o russ”, considerato dagli investigatori legato al clan Puca. Confermate, invece, le sentenze che erano state emesse in primo grado nei confronti di Francesco Bellomo, Antimo Di Biase e Claudio Lamino, alias “’o mericano”, quest’ultimo collaboratore di giustizia. Davanti alla terza sezione della Corte d’Appello di Napoli, presieduta dal giudice Eugenia Del Balzo, l’unico ricorso accolto è stato quello redatto per Antonio Paciolla, difeso dall’avvocato Dario Vannetiello, la cui pena è passata dagli 8 anni incassati con la sentenza di primo grado, che era stata emessa con rito abbreviato dal gip Anna Tirone, a 6 anni e 8 mesi. Un sostanzioso sconto di pena quello incassato da Paciolla che, secondo l’ipotesi accusatoria, avrebbe svolto il ruolo di raccogliere estorsioni nei comuni di Sant’Antimo, Grumo Nevano e Casavatore. Confermate, invece, le sentenze che erano state emesse in primo grado ai danni di Francesco Bellomo, che ha incassato 11 anni e 8 mesi, di Antimo Di Biase (6 anni e 10 mesi) e infine di Claudio Lamino: quest’ultimo, collaboratore di giustizia, dovrà espiare una pena di 3 anni e 4 mesi di reclusione. Nell’attesa di conoscere le motivazioni della sentenza, che saranno depositate entro i prossimi 45 giorni, va sottolineato che il pm aveva chiesto la conferma delle con-danne di primo grado per tutti. Le accuse sono di aver partecipato ad un’associazione a delinquere denominata clan Puca, operante a Sant’Antimo, Grumo Nevano, Casandrino e comuni limitrofi. Contro gli imputati c’erano le dichiarazioni dei pentiti Vincenzo e Antonio Marrazzo, di Raffaele Tixon, dello stesso Lamino e soprattutto le dichiarazioni rese dall’ex presunto capoclan, Pasquale Puca.

Cronache della Campania@2018

Camorra, il figlio dell’ex boss pentito ‘punito’ per uno sgarro al gruppo Cifrone-Perfetto

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Napoli. Ha riferito alla polizia di aver reagito a una rapina e per questo che gli avrebbero sparato. Ma il suo curriculum criminale e il suo cognome hanno fatto propendere fin da subito verso la pista di un agguato di camorra, anzi verso una vendetta trasversale. Perché il pregiudicato ferito la notte scorsa a Miano è Luigi Torino, 41 anni, figlio dell’ex boss Salvatore detto o’ gassusaro da oltre dieci anni collaboratore di giustizia e prima ancora capocamorra del rione Sanità e protagonista di una sanguinosa faida con i Misso. E’ stato ferito al polpaccio ed all’addome mentre, in corso Secondigliano, secondo quanto ha riferito alle forze dell’ordine, sarebbe stato avvicinato da due persone in sella di uno scooter che avrebbero tentato di rapinarlo. E’ stato trasportato all’ospedale Cardarelli e la sua versione non ha convinto gli investigatori che hanno iniziato a indagare. Precedentemente erano arrivate alle forze dell’ordine segnalazioni su spari in via Marsala, nella zona tra Scampia e Miano e poi c’era stato il ritrovamento al Rione San Gaetano, all’interno di un tombino, di una pistola Beretta calibro 9, di quattro bossoli e di una moto abbandonata e risultata rubata. Poco dopo le 21 dell’altra sera alcuni residenti di via Marsala, piccola traversa di via Janfolla, segnalano l’esplosione di colpi d’arma da fuoco alla centrale operativa. Sul posto arriva una volante del commissariato ‘Scampia” che, però, non trova tracce della sparatoria. Si pensa a un falso allarme ma dopo circa un’ora un’altra telefonata spiega che in via Janfolla qualcuno ha nascosto un’arma all’interno di un tombino. I controlli, questa volta, danno esito positivo. Gli agenti recuperano una pistola semiautomatica calibro 9×21 e ritrovano anche 4 bossoli e alcune
tracce di sangue mentre, distante qualche metro, i poliziotti trovano uno scooter che dalle successive verifiche risulta rubato. Dopo nemmeno un quarto d’ora, presso il pronto soccorso del ‘Cardarelli’, si presenta Torino. Il 41enne pregiudicati è tornato in libertà da poco più di un anno, e avrebbe cercato di ritagliarsi uno spazio autonomo a Miano con il vuoto di potere criminale venutosi a creare dopo la decapitazione dei Lo Russo e scontrandosi con i Cifrone-Perfetto. E per questo sarebbe stato punito. Chi ha fatto fuoco non aveva intenzione di ucciderlo visto che i colpi sono arrivati alle parti basse. Ora gli investigatori stanno cercando di individuare attraverso la lettura delle chat, delle telefonate e della messaggistica, i rapporti di Luigi Torino.Capire con chi era in ‘affari’ e soprattutto decifrare a chi avrebbe pestato i piedi tanto da scatenare la decisione di una punizione a colpi di piombo.

Cronache della Campania@2018

Processo immediato per il fratello del boss Spavone che uccise il suocero nel Milanese

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E’ stato mandato a processo con rito immediato, davanti alla Corte d’Assise di Milano, Emanuele Spavone il 35enne che nel febbraio scorso a Rozzano, nel Milanese, ha sparato e ucciso il suocero Antonio Crisanti che era indagato per aver abusato della nipotina. Lo ha deciso il gip Teresa De Pascale che, accogliendo la richiesta del pm Monia Di Marco e dell’aggiunto Letizia Mannella, ha rinviato a giudizio anche il complice dell’omicida, Achille Mauriello, 27 anni, pure lui napoletano. I due sono finiti in cella per omicidio premeditato aggravato. Il genero dell’anziano, che è anche il fratello del boss di Secondigliano Ciro Spavone in carcere da anni, aveva detto: “Ho avuto un black out”. L’omicidio è avvenuto lo scorso 25 febbraio, in un parco a Rozzano, in provincia di Milano. Lo stesso giorno, al palazzo di Giustizia, si era concluso un incidente probatorio nel quale la bimba di otto anni aveva parlato degli abusi che avrebbe subito dal nonno. E in quell’occasione, davanti al giudice e alla madre della piccola, figlia del 63enne ucciso, era arrivata, in sostanza, la conferma dei racconti già resi dalla bambina alla polizia in un’audizione protetta. Poco dopo il nonno è stato ucciso come in una “esecuzione”. Tra le varie ipotesi investigative, è stata vagliata anche quella che il 63enne sia stato attirato in una trappola per portare a termine la vendetta contro di lui, ed essere stato, dunque, invitato appositamente a tornare da Napoli a Rozzano, dove non passava più da mesi ormai, solo pochi giorni prima di essere ucciso. “Quando l’ho visto, ho avuto un black out improvviso, immediato”, aveva detto, in sostanza, il padre della bimba davanti ai pm e al gip subito dopo il suo arresto. L’uomo ha sostenuto anche che il suo amico di 27 anni, che guidava lo scooter da cui sono partiti i colpi, non era a conoscenza di ciò che lui avrebbe fatto. I pm, invece, hanno contestato la premeditazione a entrambi, aggravante che non era stata inserita in precedenza nel decreto di fermo.

Cronache della Campania@2019

Fiumi di droga dalla Spagna per i clan, coppia di trasportatori casertana condannata

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Fiumi di droga provenienti dalla Spagna destinati a rifornire le organizzazioni criminali che gestiscono le piazze di spaccio napoletane. Condannata la coppia di trasportatori del maxi sequestro di droga realizzato dalla Guardia di Finanza di Napoli. Tre anni è stata la pena ad Agatino Pignata, 48 anni napoletano e tre anni alla compagna Giuseppina Apicella, 47 anni di S.Angelo in Formis (Caserta) che ha ottenuto gli arresti domiciliari dopo il rito abbreviato dinanzi al gup del tribunale di Napoli. All’interno del loro capannone in via S. Maria a Pianto a Napoli, nei pressi del cimitero a Napoli, nell’aprile del 2018 gli uomini delle fiamme gialle sequestrarono ben 8 tonnellate di hashish, contenuti in 24 cassette, migliaia di panetti, da un chilo ciascuno, corrispondenti a ben 8 milioni di dosi. La droga avrebbe fruttato ai clan, in particolare si pensa che fosse destinata al gruppo Mazzarella, circa 80 milioni di euro. Il titolare dell’impresa di trasporti di frutta e altro materiale, Pignata, insieme alla compagna intestataria della società avrebbero gestito l’ingrosso napoletano. La droga proveniente dal Marocco, dopo essere giunta in Spagna veniva trasportata in Italia fino a Napoli a bordo di tir. Per evitare che i cani antidroga l’individuassero, la sostanza stupefacente era stata chiusa in sacchi di juta plastificati. Il pm aveva chiesto una condanna a sette anni Pignata e sei per la donna assistita dall’avvocato Guglielmo Ventrone con l’aggravante camorristico. Il gup nella condanna ha però escluso l’art 7.

Cronache della Campania@2019

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