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Channel: Cronaca Giudiziaria
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Inchiesta Aias: rinviate a giudizio moglie e figlie di De Mita e altre 7 persone

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Dieci persone rinviate a giudizio nell’inchiesta Aias. E’ questa la decisione del giudice per l’udienza preliminare di Avellino, Marcello Rotondi. Il prossimo 9 ottobre, dovranno comparire in aula l’ex presidente della struttura, Gerardo Bilotta, Anna Maria Scarinzi, moglie di Ciriaco De Mita, Simona e Floriana De Mita, Luca Catallo, Antonio Nigrelli, Carmine Preziuso, Massimo Preziuso, Annamaria Preziuso e Marco Preziuso. Dovranno rispondere a vario titolo dei reati di peculato, riciclaggio, malversazione ai danni dello Stato e truffa aggravata. Secondo la Procura di Avellino sarebbe stato messo in piedi un sistema atto a distrarre fondi pubblici destinati all’attività sanitaria

Cronache della Campania@2018


Rissa a Cadice, ordine di cattura per il presunto aggressore spagnolo: è irreperibile. Migliora il ferito

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Cadice. Resta in carcere il giovane studente Erasmus coinvolto nella rissa all’uscita di una discoteca a Cadice ma il giudice spagnolo ordinano la cattura del presunto aggressore spagnolo che ieri non si è presentato in tribunale per testimoniare al processo. Emilio Di Puorto di Villa di Briano in provincia di Caserta, finito in cella a Cadice, dieci giorni fa,  per lesioni ai danni di un giovane del posto resta in cella. Di Puorto è  stato coinvolto con altri tre giovani campani in una rissa con ragazzi spagnoli all’uscita di una discoteca. “Ma nelle prossime ore ci potrebbero essere delle novità positive”, afferma il suo difensore Cipriano di Puorto. “Ieri era prevista l’udienza – spiega il penalista – dinanzi al giudice che segue il caso per l’escussione di uno dei ragazzi spagnoli, presunto aggressore, ma non si è presentato e il magistrato ne ha decretato la irreperibilità con contestuale ordine di cattura. Inoltre per fortuna il ferito non è più sedato all’ospedale di Puerta del Mar ma è quasi completamente guarito”. Dalla ricostruzione dei fatti, secondo alcuni testimoni e dalle immagini di altri video messi a disposizione della magistratura, sembrerebbe che il gruppo dei giovani spagnoli, effettivamente avrebbe atteso al varco gli italiani per dargli una punizione dopo un primo litigio verbale avvenuto nella discoteca. “Emilio avrebbe colpito lo spagnolo con un calcio solo per legittima difesa” chiude il difensore. 

Cronache della Campania@2018

Politica e camorra a Scafati, Aliberti pronto a tornare in città: il pm mette sul tavolo il ‘tris’ di pentiti

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Scafati. Scambio di voto: l’ex sindaco Angelo Pasqualino Aliberti pronto a ritornare a Scafati dopo il ballottaggio del 9 giugno. L’istanza per la revoca del divieto di dimora nel Comune di Scafati e in quelli limitrofi da parte della difesa è pronta per essere presentata e i giudici del Tribunale di Nocera Inferiore che stamane hanno rinviato il processo ad ottobre prossimo la dovranno valutare. Non è escluso che – finita la bagarre elettorale con la sconfitta della coalizione ispirata proprio da Angelo Pasqualino Aliberti con il candidato sindaco Antonio Fogliame che non è riuscita ad arrivare al ballottaggio – il collegio giudicante – presieduto da Raffaele Donnarumma – possa ritenere passato il pericolo di un possibile inquinamento del voto ed accogliere la richiesta di revoca della misura cautelare. Lo spera la difesa che aveva già chiesto prima della tornata elettorale che Aliberti potesse essere libero di ritornare a Scafati, in cui il consiglio comunale è stato sciolto per infiltrazioni camorristiche, e in quell’occasione i giudici avevano rigettato l’istanza. Angelo Pasqualino Aliberti, sottoposto alla misura cautelare di divieto di dimora a Scafati e nei comuni limitrofi, ha potuto votare al primo turno delle amministrative e potrà ritornare per il 9 giugno per il ballottaggio che vedrà contrapporsi Cristoforo Salvati del centrodestra, suo ex assessore e poi avversario politico, e Michele Russo del centrosinistra.
L’udienza che si è tenuta stamane dinanzi ai giudici nocerini, in cui sono imputati oltre ad Aliberti anche la moglie Monica Paolino, consigliere regionale, Nello Maurizio Aliberti, fratello dell’ex sindaco, Giovanni Cozzolino, ex staffista, Roberto Barchiesi, ex consigliere, Ciro Petrucci, ex vicepresidente dell’Acse e Andrea Ridosso non ha riservato grandi sorprese. Finito il controesame di Alfonso Loreto in pochissimi minuti per alcune domande che si era riservato l’avvocato Michele Sarno difensore di Ridosso, il processo è stato rinviato ad ottobre nonostante fosse presente in videoconferenza Romolo Ridosso, per il quale si prospetta un consenso ad acquisire i verbali resi dinanzi al pm Vincenzo Montemurro. Ad ottobre, quindi, l’antimafia porta in aula altri tre pentiti che dovrebbero essere determinanti per l’accusa: Luigi Cassandra, ex sindaco e assessore a Trentola Ducenta, amico del boss Michele Zagaria, diventato poi collaboratore di giustizia; Saverio Tammaro, ‘o principe, pentito scafatese degli anni ’90, legato al clan Aquino-Annunziata; Andrea Spinelli, soprannominato ‘Dario’. I tre dovrebbero raccontare particolari relativi al clan Loreto-Ridosso e le cointeressenze dell’ex sindaco Aliberti con personaggi legati alla camorra casertana.
Nel corso della breve udienza il pm Vincenzo Montemurro, a sorpresa, ha chiesto di anticipare l’esame dell’imputato Andrea Ridosso, figlio di Salvatore ucciso in un agguato di camorra, che i pentiti sostengono non essere mai stato organico al clan Loreto-Ridosso. Il giovane era uno degli aspiranti candidati al consiglio comunale nel 2013. Il suo difensore, l’avvocato Roberto Acanfora, non ha prestato il consenso ad anticipare l’esame del suo assistito previsto dopo le testimonianze di tutti i testimoni. (r.f.)

Cronache della Campania@2018

Torre del Greco, il pentito: ‘Così raccogliavamo le estorsioni dagli imprenditori’

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Torre del Greco. Un vero e proprio sistema criminale volto a garantirsi l’aggiudicazione degli appalti pubblici scoperto dagli inquirenti che, al termine delle indagini, hanno emesso sette ordinanze di custodia cautelare. A raccontare il sistema è stato Filippo Cuomo, collaboratore di giustizia ma con un passato da braccio destro del boss di Gioia. Gli imprenditori dovevano versare una tangente al clan. Nelle oltre 50 pagine di ordinanza di custodia cautelare emergono gli interessi per la criminalità negli appalti del comune e le estorsioni a danni delle imprese che lavoravano nel settore dei lavori pubblici. Cesti, regali, pensieri, denaro. Bastava investire poco più di 20mila euro per garantirsi l’apertura delle buste. “Mangiamo tutti quanti. Io investo, faccio il mio dovere”. Delle sette persone, sei erano in carcere. Poi figura Ciro Vaccaro, alias Ciruzzo, imprenditore 54enne imprenditore che gestiva il servizio di pulizia all’interno degli uffici comunali, Ciruzzo era riuscito a garantirsi una posizione tanto da indirizzare appalti, una sorta di ponte tra la macchina amministrativa e l’imprenditoria. Incensurato e insospettabile. Secondo gli inquirenti avrebbe assunto la sua figura di “collante tra politica, imprenditoria e criminalità organizzata locale, con astuzia” scrive il gip. A parlare di Ciro Vaccaro è stato proprio il collaboratore di giustizia Filippo Cuomo che ha fatto chiari riferimenti al 54enne. «Mi parlarono -spiega Cuomo – di come organizzare la raccolta delle estorsioni. Mi dissero che avremmo dovuto raccogliere cinquanta mila euro dalla “Valle dell’Orso”, 5mila euro da Ciro (Vaccaro secondo la polizia), poi una cifra forfettaria dei pescivendoli dietro la piazzetta, i soldi degli ormeggiatori del porto. Poi parlarono anche delle pompe funebri. Per loro si era pensato di fare un’unica società e ci avrebbero dovuto dare 150mila euro l’anno”.

Cronache della Campania@2018

Bombe nei cantieri dell’Agro per imporre il pizzo, condannati padre e figlio

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Due condanne ed un’assoluzione, nell’inchiesta sul racket eseguito a suon di bombe, tra Sant’Egidio e Angri. Ieri il tribunale di Nocera ha condannato a 6 anni e 2 mesi G.M. , il figlio G.M. ad 1 anno e 8, con pena sospesa, mentre ha assolto A.F.E. per non aver commesso il fatto. I primi due – secondo le accuse – avevano organizzato un sistema per imporre il terrore alle proprie vittime, in particolare imprenditori edili, per ottenere il pagamento del pizzo. Tra le accuse, quella di aver piazzato ordigni esplosivi contro dei cantieri, rivendicando il messaggio con chiamate anonime e messaggi.
L’inchiesta della Dda era partita dopo l’esplosione di un ordigno in un cantiere edile di Sant’Egidio del Monte Albino, nel 2016, dove era prevista la costruzione di un centro medico polispecialistico. Con una telefonata, dopo l’esplosione della bomba che danneggiò una porta in vetro, padre e figlio avrebbero minacciato il titolare di quel centro, obbligandolo a «rivolgersi alla malavita locale per ottenere protezione in vista dell’apertura della nuova sede». Agli atti d’indagine diverse intercettazioni, nelle quali gli imputati avrebbero fatto esplicito riferimento a quell’ordigno. E ne sarebbe stato promesso anche un altro in futuro, diretto allo stesso imprenditore, ma questa volta sotto la sua macchina. Molti dei fatti si sono consumati ad Angri, dove risiedevano la maggior parte degli imputati. Il rappresentante della ditta in questione avrebbe dovuto versare -secondo le accuse – la somma di 50mila euro, per poi divedere l’appalto con una seconda persona. Un’altra delle vittime invece, impegnata a realizzare per conto sempre di una ditta un sottovia carrabile ad Angri, commissionato da Rete Ferrovie Italiane, fu anch’ella minacciata. Poi toccò ad una società immobiliare, anch’essa raggiunta dalla minaccia di versare 5000 euro per la cessione di una quota di una comproprietà familiare collegata all’impresa stessa. A seguire, un’altra ditta di costruzioni, che avrebbe dovuto assumere personale indicato dagli imputati. Le attività investigative si concentrarono tra il 2016 e il 2017. Nel collegio difensivo, gli avvocati Michele Sarno, Maria Cammarano e Giuseppe Fedele. Toccherà attendere i tempi previsti dalla legge per conoscere le motivazioni. G.M. è stato tuttavia assolto dal resto delle imputazioni, per i quali era finito sotto processo.

Cronache della Campania@2018

Camorra, colpo di scena al processo per l’omicidio Castello: furono in due a sparargli

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Napoli. Sarebbero state due le pistole che hanno fatto fuoco contro Andrea Castello, uccidendolo, e ferendo il suo guardaspalle Castrese Ruggiero la sera del 14 marzo del 2014 nel pieno della faida interno agli Amato Pagano. E’ quanto è emerso dal processo che si sta disputando davanti al giudici della Terza sezione della Corte di Assise di napoli (presidente Providera, giudice a latere Sassone). Accusati dell’omicidio sono Francesco Paolo Russo detto Cicciariello (difeso dall’avvocato Massimo Autieri) Dario Amirante o’ gemello e Renato Napoleone. Sul luogo del delitto, che fu ascoltato in diretta dagli investigatori, che avevano sotto controllo alcuni telefoni e auto per una indagini sul clan, come raccontato nel corso dell’udienza, furono repertati 4 bossoli di due calibri diversi. Gli avvocati difensori hanno quindi chiesto la perizia balistica per stabilire da quali armi siano stati esplosi. Ma anche stabilire se si sia trattato di una sola arma modificata. Il processo è stato aggiornato al 3 luglio prossimo in attesa della perizia balistica. Secondo i pentiti a far parte del gruppo di fuoco ci sarebbe stato anche Raffaele Mauriello detto o’ chiatto figlio del boss Ciro, latitante probabilmente a Dubai dallo scorso anno. Contro di lui ci sono le accuse, che il gip definisce “granitiche”, di tre collaboratori di giustizia che lo collocano sul luogo dell’agguato. Nel dettaglio sarebbero stato proprio Raffaele Mauriello, con Dario Amirante, a esplodere diversi colpi d’arma da fuoco all’indirizzo di Castello e di Ruggiero che erano all’interno di un’auto poi ritrovata bruciata. Il giorno prima ovvero il 13 marzo, era scomparso Antonio Ruggiero, zio di Castrese, e il cui cadavere non è mai stato ritrovato. Nella ricostruzione della degli inquirenti, i due delitti maturarono all’interno del clan Amato-Pagano, di cui le vittime facevano parte, dopo l’arresto alla fine di una lunga latitanza di Mariano Riccio, reggente del clan e genero del boss Cesare Pagano. Da quel momento parti’ una sorta di epurazione da parte dei fedelissimi degli Amato, che erano rimasti nell’ombra durante la reggenza di Riccio, nei confronti di quelli dei Pagano.

Cronache della Campania@2018

Camorra, la Cassazione annulla la decisione del Riesame sul primario del Cardarelli ed ex sindaco di Capua

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 La Corte di Cassazione – quinta sezione – ha annullato con rinvio la decisione del Tribunale del Riesame di Napoli, che il 22 febbraio scorso aveva confermato la carcerazione per l’ex sindaco di Capua nonché primario dell’ospedale napoletano Cardarelli, Carmine Antropoli; i giudici partenopei avevano ritenuto sussistenti i gravi indizi di colpevolezza e le esigenze cautelari in relazione al reato di concorso esterno in associazione camorristica, confermando l’ordinanza d’arresto emessa dal Gip di Napoli il precedente 4 febbraio, quando era scattato il blitz dei carabinieri che aveva portato l’ex sindaco in carcere insieme all’imprenditore Francesco Zagaria, ritenuto colluso con il clan dei Casalesi. Nel frattempo Antropoli ha affrontato l’udienza preliminare, dove è stato rinviato a giudizio – il dibattimento inizierà il tre luglio prossimo al tribunale di Santa Maria Capua Vetere – ottenendo però la scarcerazione per l’insussistenza delle esigenze cautelari; e’ stato quindi posto agli arresti domiciliari. Intanto la Suprema Corte, adita dai legali di Antropoli, Vincenzo Maiello e Mauro Iodice, nonostante il procuratore generale avesse chiesto la conferma della decisione del Riesame, ha disposto il rinvio ad un’altra sezione del tribunale partenopeo perché verifichi nel merito la sussistenza della gravità indiziaria del reato di concorso esterno. L’auspicio dei legali è che la decisione arrivi prima dell’inizio del dibattimento.

Cronache della Campania@2018

Torre del Greco, la camorra chiedeva il pizzo ma anche posti di lavoro agli imprenditori

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Torre del Greco. Non solo tangenti per aggiudicarsi gli appalti dei lavori pubblici ma anche posti di lavoro. Un vero e proprio sistema articolato gestito, secondo gli inquirenti, da Vaccaro. Chi voleva aggiudicarsi l’appalto si riferiva a Vaccaro che poi gestiva la rata da versare alla criminalità organizzata. Ritirata la parte che gli spettava e che sarebbe servita per elargire regali “io investo” diceva, il resto era consegnato al boss di riferimento. Vaccaro viene indicato da tutti come il collante tra camorra e colletti bianchi. Un imprenditore che si mette a disposizione di tutti, facendo interessi di tutti. Al centro dell’inchiesta c’è anche la gestione del servizio di nettezza urbana con promesse, assunzioni pilotate e tangenti. Prima la Sa.Ba Ecologia, poi la Ego Eco che sarebbero state costrette a versare una somma fissa ogni mese che poi Vaccaro avrebbe smistato garantendo, inoltre, le assunzioni di parenti dei camorristi. Ma l’allora sindaco Borriello, fin quando è restato in carica, decise di revocare l’appalto interrompendo così il giro di soldi. Tuttavia su questa vicenda c’è un altro filone investigativo che vede Borriello accusato di corruzione. Un appalto, quello della Ego Eco, di 450mila euro mensili. La ditta avrebbe dovuto quindi versare una tangente da 5mila euro al mese che veniva divisa tra Vaccaro, il collaboratore di giustizia Pellegrino e Garofalo. Tutto cambiò quando venne scarcerato Luigi Papale, Garofalo tratteneva una cifra minore in favore di Papale. Il super testimone dell’inchiesta è Filippo Cuomo insieme a Giuseppe Pellegrino, braccio destro del boss Di Gioia e collaboratore di giustizia.
“Mio fratello – ha detto il collaboratore agli inquirenti durante un interrogatorio – mi ha racconta-to che Ciro si era accordato per la mia assunzione con la ditta di rifiuti che sarebbe venuta a lavorare a Torre del Greco da lì a poco. Era una ditta di Cassino che doveva subentrare alla Balsamo. Questa ditta era amica di Ciro Vaccaro. Questa azienda, però non ha mai iniziato a lavorare a Torre del Greco, quindi la mia assunzione è stata posticipata”.

Cronache della Campania@2018


La Cassazione annulla anche il sequestro di beni e aziende dei fratelli Diana

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La sesta sezione della Corte di Cassazione strappa anche l’ultima pagina del caso Diana. Ieri in serata i giudici hanno annullato il sequestro delle diciassette aziende riconducibili ai fratelli Diana, figli di Mario, vittima innocente della criminalità organizzata. I giudici hanno rinviato gli atti al tribunale del riesame di Napoli per una nuova motivazione in merito al sequestro disposto dai pm Alessandro D’Alessio e Maurizio Giordano e confermato, a febbraio, proprio dai giudici della Libertà partenopei.
Una sentenza, quella emessa ieri, dopotutto, meno devastante per le conclusioni della pubblica accusa, almeno rispetto a quella che gli stessi giudici della Suprema Corte hanno emesso pochi giorni fa quando, dopo quasi cinque mesi agli arresti domiciliari, i fratelli Diana e il loro zio, Armando, sono tornati liberi. La Cassazione ha infatti annullato senza rinvio la misura cautelare dei domiciliari disposta dal gip di Napoli, Luisa Miranda, nei confronti degli imprenditori di Casapesenna.

Cronache della Campania@2018

Armi, droga ed investimenti: ecco il business dei Casalesi sull’asse Catania-Roma

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Una vera e propria “fusione tra catanesi e casalesi”: così definiva il rapporto tra le due organizzazioni criminali Alessandro Fragalà, 61 anni, a capo del clan omonimo che si era ritagliato un dominio criminale in terra laziale, lontano da Catania, città d’origine. L’ordinanza di custodia cautelare relativa ai soggetti coinvolti nell’operazione “Equilibri” mette nero su bianco i capi d’imputazione che vanno dalle estorsioni, effettuate ai danni di imprese utilizzando i tipici metodi dell’intimidazione mafiosa, al traffico internazionale di droga, passando per la detenzione di armi. I rapporti con i Casalesi
Come racconta CataniaToday, Il clan Fragalà aveva stretto rapporti di collaborazione con una fazione del clan dei casalesi, nello specifico quella capeggiata da Corrado De Luca. Secondo quanto descritto nell’ordinanza di custodia cautelare il rapporto dei Fragalà con i camorristi è di tipo stabile. “La relazione tra le organizzazioni si costituisce, nel tempo, su un piano di parità – scrive il giudice – il raccordo operativo era rappresentato da Santo D’Agata mentre la compagine campana era rappresentata, oltre che da Corrado De Luca stesso, dai suoi emissari Vincenzo Di Lauro e Emiddio Coppola, detto “Emilio” e Nicola Diana, inteso ‘U Mancin’. La collaborazione tra i due sodalizi comprendeva l’uso della forza di intimidazione dei Fragalà per la risoluzione di problematiche maturate in ambito criminale in territorio laziale e riguardanti persone di interesse del clan campano; la creazione di sinergie per investimenti immobiliari e commerciali in Italia e all’estero e la partecipazione dei casalesi a viaggi e incontri in Sicilia per la trattazione di affari o interessi illeciti. Gli inquirenti, nell’arco temporale compreso tra luglio e settembre 2014, registrano ben 304 contatti telefonici tra i componenti del clan Fragalà e i casalesi. In una prima fase il rappresentante di Corrado De Luca presso i Fragalà era Vincenzo Di Lauro che però viene destituito a causa di frizioni interne ai casalesi, ruolo che verrà dunque assunto ad agosto del 2015 da “Emilio” Coppola: “Oggi rivesti un ruolo particolare – dice Alessandro Fragalà intercettato – Corrado ti ha reso responsabile e ogni qualsiasi cosa la devi riferire a me e a Santo”.
Traffico di droga
Gli inquirenti hanno fatto emergere i contatti tra i due sodalizi criminali soprattutto in relazione al traffico di stupefacenti. Una delle transazioni più consistente portate a termine ha avuto come oggetto un carico di 400 chilogrammi di hashish dalla Spagna: nell’affare erano coinvolti Alessandro Fragalà, Santo D’Agata e ‘Emilio’ Coppola dei Casalesi. Era appunto la Spagna il paese dal quale i Fragalà importavano il maggior quantitativo di hashish e marijuana. A riscontro delle dichiarazioni rese dal collaboratore Sante Fragalà ci sono i numerosi viaggi in terra iberica effettuati da Salvatore Fragalà: ben 4 nel bimestre giugno agosto del 2014. Dopo la scarcerazione del capofamiglia Alessandro nel 2015, gli inquirenti ricostruiscono, attraverso le intercettazioni telefoniche, la detenzione e l’offerta in vendita di un quantitativo di hashish e marijuana pari a 200 chilogrammi, parte del quale destinato a una “famiglia palermitana operante nel quartiere di Ciaculli”. In questa occasione Santo D’Agata e gli emissari palermitani avevano posto le basi per l’instaurazione di un rapporto continuativo che avrebbe previsto la vendita di centinaia di chili al mese in territorio palermitano: “Sto ragazzo dice che vuole duecento chili alla settimana, dice se si può portare direttamente là cosi evitiamo di fare queste cose, gli ho detto il trasporto lo fate voi o lo volete da noi?”.

Cronache della Campania@2018

Cold case, si riapre l’inchiesta per la morte di Romina Del Gaudio: tre gli indagati

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Aversa. Cold case: quindici anni dopo la morte di Romina Del Gaudio si potrebbe arrivare ad una svolta. Le indagini degli investigatori privati ingaggiati dalla famiglia hanno permesso di individuare tre persone che potrebbero avuto un ruolo nella scomparsa e nell’omicidio della giovane promoter napoletana scomparsa da Aversa e ritrovata morta nel bosco nei pressi della Reggia di Carditello a San Tammaro. Una svolta vicina, secondo li inquirenti. Quella che ha sempre cercato la mamma della ragazza, deceduta nel frattempo, ed a cui stanno dedicando la propria vita gli altri familiari, in particolare lo zio Ciro, che ha fatto anche un po’ da padre alla giovane Romina. Grazie al lavoro di un team di investigatori privati, infatti, ci sono tre persone che risultano indagate per la scomparsa e la morte della ragazza ed un paio di loro sembrano essere della zona aversana. Tre persone non collegate, sulle quali sono in corso accertamenti da parte della Procura. Le tre persone non sono collegate tra loro e dunque le piste seguite dagli inquirenti sono tre. Gli accertamenti dovranno verificare quali dei tre sospettati ha avuto un ruolo determinante nella morte della giovane e potrebbe essere indicato come l’assassino.

Cronache della Campania@2018

Processo ”Panta Rei”: chiesti 3 secoli di carcere in Appello

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Sono complessivamente 253 gli anni di carcere chiesti oggi dalla Procura generale di Palermo per i 37 imputati, accusati di associazione mafiosa, estorsione, intestazione fittizia di beni, danneggiamento e traffico di stupefacenti, nel processo Panta Rei, che si svolge in Appello con il rito abbreviato.
Un procedimento che nasce dall’indagine dei carabinieri, datata 2015, che riuscì a ricostruire gli assetti delle famiglie mafiose dei clan di Porta Nuova, Villabate e Bagheria. Emerse anche che erano diverse le attività commerciali soggette al racket con bar, artigiani, imprese, negozi di abbigliamento, supermercati costretti a pagare la “rata” più somme per le festività di Natale e Pasqua. In particolare gli inquirenti accertarono il ruolo di Teresa Marino moglie del boss Tommaso Lo Presti. Sarebbe stata lei a gestire la cassa dei soldi destinati alle famiglie dei carcerati. Nell’operazione finirono in manette anche i capimafia del Borgo Vecchio Domenico e Giuseppe Tantillo. Quest’ultimo è divenuto poi collaboratore di giustizia e le sue rivelazioni hanno confermato l’impianto accusatorio degli inquirenti: pizzo, spaccio di cocaina e controllo del mercato dei frutti di mare come assi portanti degli affari della Mafia. In primo grado le condanne furono per 268 anni di carcere, 5 le assoluzioni.
Nel dettaglio, i pm chiedono per Paolo Calcagno 18 anni, per Teresa Marino 18 anni, per Alessandro Bronte 15 anni, per Pietro Catalano 11 anni, per Tommaso Catalano 11 anni, per Carmelo D’Amico10 anni, per Salvatore David 12 anni, per Francesco Paolo Desio 12 anni e 4 mesi, per Giuseppe Di Cara 12 anni, per Pasquale Di Salvo 16 anni, per Nunzio La Torre 8 anni e 4 mesi, per Francesco Paolo Lo Iacono 12 anni, per Rocco Marsalone 13 anni e 4 mesi, per Andrea Militello 5 anni e 6 mesi, Salvatore Mulè 14 anni, Giampiero Pitarresi 16 anni, Massimiliano Restivo 4 anni e 4 mesi, Giuseppe Ruggeri 12 anni, per Antonino Salerno 6 anni e 2 mesi, per Salvatore Scardina 12 anni, per Lodovico Scurato 6 anni, per Domenico Tantillo 18 anni, per Giuseppe Tantillo 5 anni e 4 mesi, per Antonino Giuseppe Maria Virruso 12 anni, per Antonino Abbate 6 anni e due mesi, per Salvatore Ingrassia 8 anni, per Bartolomeo Militello 13 anni e 4 mesi, per Vincenzo Vullo 6 anni, per Salvatore D’Asta 2 anni (pena sospesa), per Giuseppe Minardi 6 anni e 2 mesi, per Francesco Terranova 6 anni, per Maria Rosa Butera 2 anni (pena sospesa), per Gaspare Parisi 6 anni, per Massimo Monti 2 anni (pena sospesa), per Angelo Mendola 6 anni, per Giuseppe Di Giovanni, 12 anni..

Cronache della Campania@2018

Giudice della Corte di Appello di Salerno indagato per corruzione

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Non solo i giudici della Tribu­taria nel mirino della magistratura. L’attenzione della Procura si sposta anche su altri settori giustizia. Nei giorni scorsi la Procura di Napoli ha disposto la perquisi­zione e acquisizione di nume­rosi file contenuti nel pc del giudice Alessandro Brancac­cio, assegnato, fino a qualche tempo fa, al settore civile (esecuzioni immbiliari) ed oggi in forza alla Corte di Ap­pello di Salerno – Sezione Ci­vile in qualità di Consigliere. Sulla vicenda al momento vige il massimo riserbo L’accusa per il giudice sa­rebbe di corruzione in atti giudiziari. Al centro dell’inchiesta vi è l’attribu­zione di alcuni incarichi. Sarebbero stati numerosis­simi i file acquisiti dal computer personale del giudice. Gli inquirenti pare abbiano “bussato” direttamente presso l’abitazione salerni­tana di Alessandro Brancac­cio.
L’unica cosa certa è l’iscri­zione nel registro degli inda­gati del consigliere della Corte di Appello di Salerno.

Cronache della Campania@2018

‘Divise sporche’ nel Casertano: le decisioni della Cassazione

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Divise sporche, Sette condanne confermate annullata la condanna per due poliziotti. Altre 5 dovranno essere rivalutate. Annullata la sentenza per i due poliziotti Alessandro Albano di Marcianise e Domenico Petrillo ma solo in relazione al reato di peculato. Accolta l’istanza per illegittimità costituzionale per Immacolata e Rosa Bencivenga e Donato Bucciero in relazione allo spaccio di droghe pesanti. Confermata la sentenza pronunciata dalla Corte d’Appello per gli altri. Questa la decisione della Corte di Cassazione nei confronti di 12 imputati, tra cui anche due poliziotti che fecero parte della scorta del cantante Gigi D’Alessio, coinvolti nell’inchiesta “Divise Sporche”, sulle connivenze di pezzi dello Stato con due bande dedite allo spaccio di stupefacenti nella zona di Marcianise.
I giudici della Corte d’Appello avevano condannato gli agenti di polizia Alessandro Albano di Marcianise (condannato in Appello a 5 anni e 8 mesi) e Domenico Petrillo di San Nicola la Strada (condannato in Appello a 3 anni). Oltre a loro erano stati condannati anche Donato Bucciero di Capodrise (condannato in Appello a 7 anni e 10 mesi); Giuseppe Liberato di Capodrise (condannato in Appello a 15 anni e 4 mesi in continuazione con un’altra sentenza passata in giudicato); Immacolata Bencivenga (condannata in Appello a 4 anni e 10 mesi); Rosa Bencivenga (condannata in Appello a 3 anni e 8 mesi); Michele Iafulli (condannato in Appello a 5 anni e 4 mesi); Antonio Cirillo (condannato in Appello a 2 anni); Pasquale Piccirillo (condannato in Appello a 6 anni e 1 mese); Daniele Pugliese (condannato in Appello a 5 anni e 4 mesi); Francesco Trillicoso (condannato in Appello a 4 anni e 8 mesi); Roberto Delle Curti (condannato in Appello a 7 anni e 4 mesi).
Le indagini, condotte dagli uomini della Squadra Mobile della Questura di Caserta e coordinate dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Napoli, consentirono di sgominare due organizzazioni criminali dedite allo spaccio di sostanze stupefacenti prevalentemente hashish e cocaina. In particolare venne scoperto un sistema di vendita itinerante, organizzato da Bucciero, il quale utilizzava come base logistica dello spaccio, un negozio di articoli sportivi di Marcianise. Lo scambio avveniva in luoghi preventivamente concordati e talvolta anche all’interno del negozio, allo scopo di sfuggire ai controlli. I due sodalizi criminali, come emerso dall’indagine, godevano delle connivenze e della complicità di tre poliziotti (tra cui i due che hanno proposto ricorso in Cassazione) in servizio presso il Commissariato di Marcianise che “orientando” le indagini su gruppi criminali concorrenti, fornivano una sostanziale copertura. I tre poliziotti coinvolti vennero indagati anche per falso e peculato, in particolare perché utilizzarono durante l’orario di servizio l’auto del Commissariato per accompagnare il cantante Gigi D’Alessio a Napoli per un evento promozionale.

Cronache della Campania@2018

Napoli, falsi permessi di soggiorno: si indaga sull’ingresso di presunti terroristi

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 Il Tribunale del Riesame di Napoli ha confermato il carcere per Flavio Scagliola, 44 anni, il poliziotto sospeso dal servizio coinvolto nell’ indagine della Procura di Napoli (pm Catello Maresca e Maria Di Mauro, coordinati dal procuratore aggiunto Giuseppe Borrelli) sui permessi di soggiorno a extracomunitari concessi dietro compenso. I due avvocati di Scagliola, Angelo Raucci e Dario Mancino, avevano fatto istanza di attenuazione della misura cautelare del carcere chiedendo gli arresti domiciliari. Stessa linea difensiva anche per l’avvocato di Salim Fourati, detto “Zaito” o “Samuele”, di 48 anni, un altro dei sette arrestati, e analoga decisione del Riesame che anche in questo caso ha confermato il carcere. Il Giudice ha ritenuto sussistente la possibilità di reiterazione del reato attraverso la commissione del quale potrebbero essersi introdotti in Italia e quindi in Europa personaggi legati a terrorismo. Le indagini della Procura stanno infatti proseguendo anche per accertare se il sistema possa essere stato funzionale anche all’ingresso di terroristi.

Cronache della Campania@2018


Lite per l’eredità di famiglia, indagato maresciallo dell’Aeronautica

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E’ finito sotto processo per lesioni A.R., maresciallo dell’Aeronautica militare originario di Santa Maria Capua Vetere ed in servizio nella base di Grazzanise. Il 50enne avrebbe infatti aggredito con violenza il fratello P.R., di 10 anni già grande, pure lui maresciallo dell’Aeronautica ma da tempo in pensione e residente in un comune della cintura padovana (Maserà di Padova). In particolare A.R. gli sferrò un forte pugno in faccia procurandogli lesioni al viso e al mento. I fatti risalgono a circa tre anni fa e si verificarono nel palazzo di proprietà della famiglia, situato in una zona centrale della città del Foro.
Stamane la prima udienza dinanzi al Giudice penale del Tribunale sammaritano, con il pm che formulato il capo di accusa a carico di A.R., difeso dall’avvocato Enrico Monaco. Nel corso dell’udienza vi è stato un acceso scontro in aula tra la difesa del maresciallo imputato e il difensore della parte civile, l’avvocato Raffaele Crisileo. Tutto ciò dopo che ha deposto in aula, durante un pubblico dibattimento, a persona offesa, il maresciallo P.R., il quale ha spiegato che tutto l’accadimento è avvenuto per motivi di astio legato alla divisione dell’eredità familiare. La vittima ha poi descritto come avvenne il fatto e le modalità dell’aggressione, la sua telefonata al centralino 112 con l’intervento dei carabinieri in forza al Comando Stazione di Santa Maria Capua Vetere, guidata dal maresciallo Mario Iodice, da lui allertati, l’arrivo dei medici del Pronto Intervento con l’ambulanza di servizio ed infine il suo successivo ricorso alle cure dei sanitari del nosocomio sammaritano a seguito delle complicazioni successive all’ aggressione subita ad opera del fratello. Prossima udienza già fissata per il 13 novembre per sentire l’imputato, il maresciallo A.R., che dovrà esporre le proprie ragioni.

Gustavo Gentile

Cronache della Campania@2018

Inchiesta ‘Hospice’ di Eboli: a giudizio ‘il medico della morte’ e altri 16

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Tutti a processo i medici e gli infermieri coinvolti nell’inchiesta sull’hospice “Il Giardino dei girasoli” di Eboli . Il 3 ottobre la data della prima udienza per i diciassette accusati di truffa, peculato e abuso d’ufficio. Uno di loro, il dottore Alessandro Marra, risponde anche dell’accusa di omicidio, per aver aiutato a morire uno dei pazienti dell’hospice, Carmine Giannattasio, il 28enne di Battipaglia malato terminale. Secondo la Procura di Salerno, infatti, Marra, “nella sua qualità di medico – chirurgo (esperto di cure palliative), mediante la somministrazione di concentrazioni molte elevate di Midazolam, rientranti tra quelle potenzialmente tossiche, cagionava la morte di un giovane, agendo consapevolmente e deliberatamente  in contrasto con le ultime volontà espresse dal paziente e dai suoi familiari che avevano richiesto solo cure palliative atte a fronteggiare il dolore”. Ieri il tribunale del Riesame di Sa­lerno ha accolto l’appello pre­sentato dal pubblico ministero Elena Guarino ritenendo la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza a carico del me­dico di Roccapiemonte. L’accusa di omicidio volonta­rio era caduta alcuni mesi fa a seguito del ricorso presentato sempre al tribunale del Rie­same dal difensore di Marra, Michele Tedesco. Ieri, i giudici hanno accolto to­talmente la tesi presentata dal magistrato titolare del fasci­colo investigativo. All’epoca al dottor Marra, a se­guito del pronunciamento del Riesame, furono revocati gli arresti domiciliari i quali fu­rono sostituiti con la misura interdittiva della sospensione dalla professione per gli altri capi d’imputazione a suo ca­rico. A processo, oltre Marra, andranno, nello specifico:  Giovanni Zotti,  Antonio Magrini, Luigi Mastrangelo, Mario Vicidomini, Davide Di Maio, Carmine Iorio, Cosimo Galdi, Gerarda Conte, Loredana De Ruberto, Liliana Moccaldi Sinibaldi Rufolo, Pasqualina Calzaretta, Claudio Schettini, Giuseppe Valletta, Guglielmo Zottola, Vito Pastena. Per loro le accuse mosse dalla Procura della Repubblica riguardano episodi di assenteismo e sottrazione di medicinali.

Cronache della Campania@2018

Assenteisti in ospedale, chiuse le indagini su 28 indagati

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La Procura della Repubblica di Santa Maria Capua Vetere ha chiuso le indagini sulle 28 persone (medici, infermieri e personale amministrativo) che sono rimaste coinvolte nell’inchiesta sull’assenteismo all’ospedale San Rocco di Sessa Aurunca. Il provvedimento è stato notificato agli indagati che avranno adesso 20 giorni di tempo per presentare le loro memorie difensive: successivamente toccherà al magistrato che ha curato le indagini chiedere il rinvio a giudizio degli indagati o archiviare la loro posizione.
Nell’inchiesta della Procura sono rimasti coinvolti Ferdinando Pasquariello, 62 anni di Caserta; Maria Rosa Matano, 47 anni di Caserta; Nives De Francesco, 63 anni di Mondragone; Rocco Leone, 54 anni; Francesca Macrì, 49 anni; Anna Maria Sorrentino, 64 anni; Alfredo Miosotis, 52 anni di Sessa Aurunca; Giacomo Freda, 52 anni di Sessa Aurunca; Carlo Gallinaro, 63 anni di Formia; Giuseppe Di Iorio, 62 anni di Sessa Aurunca, Martina Battaglia, 46 anni di Caserta; Salvatore Migliozzi, 69 anni di Carinola; Elio Maria Gaetano Avagliano, 60 anni di Roccamonfìna; Elvira Maggi, 41 anni di Caserta; Domenico Perretta, 53 anni; Antonietta Olimpia Di Bella, 64 anni; Luigi Mascolo, 55 anni; Gaetano Tessitore, sindaco di Francolise; Ugo Attanasio (di Sessa Aurunca), Anna Bufano (residente a Sessa Aurunca), Giuseppina Ricciardi (di Carinola), Domenico Bova (di Carinola), Gloria Dell’Estate (residente a Sessa Aurunca), Vinicio Ferone (di Casoria), Nicoletta Iannotta (di Napoli), Valentina Carpine (di Teano), Salvatore Di Cerbo (di Piedimonte Matese) e Luigi Ragucci (di Napoli).
L’indagine è iniziata nel febbraio 2017 ed è stata conclusa nel mese di giugno dello stesso anno, ed è stata condotta mediante servizi di osservazione controllo e pedinamento, suffragati da costante attività d’intercettazione telefonica delle utenze utilizzate dai soggetti indagati, dall’analisi di tabulati di traffico telefonico con rilevamento delle relative posizioni delle utenze e attraverso numerosissime riprese video, eseguite con le telecamere installate nei pressi di tutti gli orologi marcatempo presenti nell’ospedale, nonché nei pressi di un’uscita secondaria posta sul retro del nosocomio, accesso da cui molti degli indagati riuscivano ad allontanatasi arbitrariamente durante l’orario di lavoro.

Cronache della Campania@2018

Inchiesta ‘Divise sporche’: vanno in cella in tre dopo la sentenza della Cassazione

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La Polizia di Stato di Caserta ha arrestato Daniele Pugliese, 30 anni, Francesco Trillicoso, 61 anni, e Roberto Delle Curti, 48 anni, poiché colpiti da ordine di esecuzione per la carcerazione emessi il 7 giugno dalla Procura Generale della Repubblica presso la Corte d’Appello di Napoli – Ufficio Esecuzioni Penali.
Gli arrestati furono coinvolti nell’indagine ‘Divise sporche’, condotta dalla Squadra Mobile di Caserta tra il 2013 e il 2014, all’indirizzo di venti persone, tre delle quali appartenenti della Polizia di stato
Al termine delle attività investigative, gli indagati sono stati ritenuti responsabili, a vario titolo, di associazione per delinquere finalizzata al traffico e allo spaccio di stupefacenti, incendio, usura, riciclaggio, favoreggiamento personale, peculato, truffa, falsità ideologica commessa dal pubblico ufficiale, corruzione per un atto contrario ai doveri d’ufficio, abbandono del posto di servizio, abuso d’ufficio e accesso abusivo ad un sistema informatico o telematico.
In particolare Pugliese è stato riconosciuto responsabile di associazione per delinquere finalizzata al traffico di droga a Capodrise e altrove, e spaccio continuato di stupefacenti, sempre in Capodrise, fino al 6 febbraio 2014, dovendo espiare la pena di reclusione per 5 anni e 4 mesi; Trillicoso di concorso in spaccio continuato di stupefacenti a San Nicola la Strada, Marcianise e altrove, fino al 16 novembre 2013, dovendo espiare la pena della reclusione per 4 anni, 7 mesi e 12 giorni e dovendo corrispondere la somma di 20.000 euro a titolo di multa; Delle Corti di associazione per delinquere finalizzata al traffico di droga a Capodrise e altrove e spaccio continuato di stupefacenti, sempre a Capodrise, Marcianise, Frignano e altrove fino al 15 febbraio 2014, così dovendo espiare la pena della reclusione per 7 anni e 3 mesi.
Gli arrestati, inoltre, sono stati colpiti dalle pene accessorie del ritiro della patente di guida (per 3 anni), del divieto di espatrio (per 3 anni) e dell’interdizione dai pubblici uffici (per 5 anni ), perpetua invece per Delle Curti. Terminati gli atti di rito Pugliese, Delle Curti e Trillicoso sono stati associati presso la Casa Circondariale di Santa Maria Capua Vetere.

Cronache della Campania@2018

La Cassazione: ‘Il boss al carcere duro può usufruire delle ore di aria e di socialità’

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Il boss Domenico Belforte può usufruire di due ore d’aria al giorno e di un’ora di socialità con gli altri detenuti. E’ quanto ha stabilito la Corte di Cassazione respingendo il ricorso presentato dal Ministero della Giustizia contro il boss del clan di Marcianise detenuto al carcere duro. Il Ministero aveva presentato ricorso contro il provvedimento del tribunale di Sorveglianza di Sassari che aveva ‘aumentato’ il periodo di uscita dalla cella del capoclan, in particolare relativamente all’ora di socialità. “La permanenza del detenuto all’aria aperta – si legge nelle motivazioni della Cassazione rese note pochi giorni fa – risponde ad esigenze igienico-sanitarie, mentre lo svolgimento delle attività in comune in ambito detentivo è valorizzata nell’ottica di una tendenziale funzione rieducativa della pena, che non può essere del tutto pretermessa neppure di fronte ai detenuti connotati da allarmante pericolosità sociale, come appunto quelli sottoposti al regime differenziato di cui all’art. 41 bis”.

Cronache della Campania@2018

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