L’ex sindaco di Capua e primario del Cardarelli, Carmine Antropoli torna a casa. Lo ha disposto il gup di Napoli Claudio Marcopido che, accogliendo l’istanza presentata dal difensore Mauro Iodice, ha sostituito la misura in carcere con quella meno afflittiva degli arresti domiciliari che il chirurgo ex primo cittadino sconterà fuori regione, a Rivisondoli. Antropoli è stato coinvolto nell’inchiesta della Dda sui legami tra la politica ed il clan dei Casalesi, in particolare di aver dato vita ad un patto con alcuni affiliati per avere appoggio elettorale in occasione delle elezioni amministrative del 2016, quelle in cui Antropoli non era candidato ma sosteneva la candidatura di Giuseppe Chillemi (non indagato). Secondo l’accusa Antropoli e l’imprenditore Francesco Zagaria, alias Ciccio ‘e Brezza, avrebbero esercitato pressioni su un candidato al consiglio comunale per costringerlo a ritirare la sua candidatura. L’aspirante consigliere venne convocato da Marco De Luca, persona di fiducia di Zagaria, presso lo studio medico dell’ex sindaco. Nel corso dell’incontro, a cui prese parte anche Armando Porciello, il candidato sarebbe stato addirittura percosso da Zagaria. Questo per favorire un altro aspirante consigliere, Marco Ricci, candidato in un’altra lista a sostegno di Chillemi. Accuse per le quali all’inizio di luglio comincerà il processo dinanzi alla Corte d’Assise del tribunale di Santa Maria Capua Vetere a carico di Antropoli, Zagaria, Ricci, l’ex assessore Guido Taglialatela, e Porciello mentre De Luca ha scelto il rito abbreviato. Antropoli lascia il carcere dopo 4 mesi.
Oltre cento persone sono state ascoltate dai carabinieri di Marcianise nel corso delle indagini andate avanti nell’ultimo anno sulla delicata vicenda delle firme false a sostegno della lista ‘Orgoglio Marcianise’ che ha appoggiato alle ultime elezioni amministrative il sindaco Antonello Velardi (che risulta egli stesso indagato). Dagli atti in possesso della Procura della Repubblica di Santa Maria Capua Vetere emerge come quasi la totalità degli elettori ascoltati come testimoni ha negato di aver messo la propria firma sul documento che è stato loro mostrato. A ciò va aggiunta una situazione ancora più delicata, quella relativa alla firma di Aniello Bruno che, il giorno in cui avrebbe sottoscritto la lista, era addirittura detenuto in carcere. Ora l’inchiesta, che ha sfiorato anche i due consiglieri eletti nella lista Tommaso Acconcia ed Antonio Golino, mira a far luce su chi abbia commesso il reato. E potrebbero esserci spunti interessanti anche sul fronte amministrativo: di fatto, la lista che ha eletto due consiglieri sarebbe stata esclusa senza le firme necessarie per la presentazione e questo avrebbe potuto cambiare il risultato elettorale
Cocaina e crack a domicilio: nuovi guai giudiziari per lo spacciatore delle palazzine popolari e per i suoi complici. Il Gip del tribunale di Nocera Inferiore, Gustavo Danise, ha emesso un’ordinanza cautelare a carico di Gianmarco Fattoruso finito in carcere, ai domiciliari invece finiscono Michele Ruggiero, alias Zigulì, e Yves Improta. Nei guai anche la mamma di Fattoruso, Giovanna Fienga e la compagna Noemi Donnarumma per le quali è scattato il divieto di dimora nella provincia di Salerno. I cinque sono accusato di detenzione e spaccio di stupefacenti per un’inchiesta che è durata solo pochi mesi ma che ha evidenziato un fiorente spaccio di cocaina, crack e marijuana, organizzato da Gianmarco Fattoruso. A fornirgli la droga che poi Fattoruso consegnava a bordo della sua Fiat 500, Vincenzo Starita e tale Peppe di Napoli che i carabinieri della Tenenza di Scafati non sono riusciti ad identificare. A rendere evidente quello che era emerso già nel corso di una precedente attività investigativa che aveva portato all’arresto, lo scorso anno, di Giovanna Fienga la mamma di Fattoruso, le intercettazioni telefoniche chieste e ottenute dalla Procura di Nocera Inferiore nei confronti di Fattoruso. Ed è proprio grazie alle intercettazioni telefoniche che i carabinieri sono riusciti a documentare gli incontri per le cessioni di stupefacenti e a sequestrare numerose dosi di droga. A coadiuvare l’attività di spaccio di Fattoruso, prima la madre (al momento dell’arresto presso la sua abitazione però riversa tutte le colpe sul figlio) poi la compagna. Nonostante fosse affidato ai servizi sociali per un precedente arresto per spaccio, Fattoruso continuava la sua attività. In un’occasione, all’inizio di quest’anno il 31enne scafatese era stato bloccato nei pressi dell’abitazione della compagna e per disfarsi della droga aveva passato un ovulo degli ometti di cioccolata dove era nascosta lo stupefacente alla compagna. Ma l’ovatto era caduto accidentalmente dalla gambe della ragazza ed era stato ritrovato dai carabinieri. La perquisizione in casa non aveva fatto altro che avvalorare la tesi. Il modus operandi dello spacciatore era sempre lo stesso: gli assuntori lo contattavano su un’utenza telefonica e poi si recavano a casa sua nelle palazzine oppure ricevevano la droga direttamente a domicilio. Prezzi modici e rapidità Gianmarco Fattoruso disponeva di numerose dosi di cocaina e droghe leggere e le consegnava in un batter d’occhio. Ma in numerose trasferte il 31enne è stato seguito e osservato e i suoi clienti fermati e interrogati: tutti hanno sostenuto di aver acquistato la droga da tale ‘Marco’ e lo hanno riconosciuto. I carabinieri hanno messo fine al fiorente spaccio di Fattoruso e dei suoi complici.
Coinvolge un’intera famiglia di noti imprenditori, gli Apuzzo, in primis i fratelli Michele e Antonio, e poi Immacolata Apuzzo, Giovanni Apuzzo, Genoveffa Di Somma e il romeno Bodgan Luta un prestanome romeno neppure residente in Campania l’inchiesta della Procura della Repubblica di Napoli (pm Orlandi, Raimondi e Pavia, procuratore aggiunto Piscitelli) che ipotizza nei confronti di sei indagati, amministratori di fatto e di diritto di due società, i reati di bancarotta fraudolenta e frode fiscale. Il provvedimento di sequestro preventivo emesso dal gip di Napoli, Vincenzo Caputo eseguito oggi dai finanzieri del Nucleo di Polizia Economico Finanziaria di Napoli, riguarda la “Ap srl” e la “Ap Commerciale srl”, due società alle quali fanno capo i supermercati “Sole 365”, 41 punti vendita in quattro province campane (Napoli, Salerno, Caserta e Avellino, per un valore di circa 20 milioni di euro) che hanno avuto, nell’ultimo anno, un volume d’affari pari a oltre duecento milioni di euro. Nei supermarket, particolarmente apprezzati dalla clientela, lavorano circa 1800 dipendenti che ora stanno continuando a fornire il proprio contributo alle fiorenti attivita’ commerciali sotto il coordinamento di due amministratori giudiziari. I finanzieri hanno messo i sigilli a numerosi beni riconducibili agli indagati a cui era riconducibile un’altra catena di supermarket, la Sunrise Supermercati srl, fallita lasciandosi dietro numerosi debiti come quello con l’Erario che ammonta a circa 5 milioni di euro. Sotto sequestro preventivo sono finiti undici immobili, due Maserati, e una barca di pregio, del valore di 700mila euro, registrata a Massa Carrara ma trovata dalle Fiamme Gialle nel porto di Castellammare di Stabia (Napoli). Le indagini hanno consentito di ricostruire l’intero patrimonio mobiliare e immobiliare sottratto alla procedura di fallimento della Sunrise e di individuare la frode fiscale. Gli inquirenti avevano ipotizzato anche il reato associativo e chiesto nei confronti dei sei indagati altrettante misure cautelari personali che però non sono state accordate dal giudice. Un giro di affari di oltre 200milioni di euro. I baschi verdi hanno perquisito anche le sedi delle società. L’accusa è di bancarotta fraudolenza e frode fiscale. I responsabili avrebbero pianificato e realizzato, in modo organizzato e perdurante nel tempo, una serie di condotte distrattive in danno di una società fallita a loro riconducibile (SUNRISE SUPERMERCATI SRL) nonché posto in essere operazioni volte a omettere il versamento delle imposte a favore dell’Erario. In particolare, la compagine ha operato, attraverso varie società facenti capo alla medesima, con il preciso scopo di mantenere, mediante vorticosi avvicendamenti, integro il patrimonio aziendale a fronte dei debiti accumulatisi nel corso degli anni con i creditori della società poi fallita, tra cui spicca il credito vantato dall’Erario per imposte e sanzioni mai versati per valore di oltre 5 milioni di euro. Il valore commerciale d’affari è di circa 20 milioni di euro. I punti vendita posti sotto sequestro resteranno aperti e curati da amministrazione giudiziaria. L’attività commerciale dei supermercati estesi su buona parte del territorio regionale continueranno senza soluzione di continuità sotto l’amministrazione provvisoria, composta da due professionisti nominati dalla Procura, al fine di tutelare le centinaia unità impiegate nei market.
Rito abbreviato per il 67enne di Recale accusato di violenza sessuale aggravata per aver palpeggiato una bambina di 8 anni all’interno della Confraternita Santa Maria del Suffraggio della parrocchia di Santa Maria Assunta a Recale durante la festa di Ferragosto. L’udienza preliminare, celebrata nei giorni scorsi, è stata rinviata per motivi tecnici e si è aggiornata a settembre quando si entrerà nel merito con le discussioni delle parti. Protagonista della vicenda è D.F., difeso dall’avvocato Nando Trasacco, che nell’agosto dell’anno scorso era stato arrestato dai carabinieri al termine di un’indagine lampo. A riscontro delle dichiarazioni della vittima, che ha raccontato tutto agli inquirenti, ci sono le immagini del sistema di video sorveglianza installato nei locali della Confraternita. In particolare, è stato accertato che l’indagato, abusando delle condizioni di inferiorità fisica e psichica della persona offesa, dovuta all’età della minore di 8 anni, la costringeva, mentre era intenta a giocare con un’amichetta, a subire atti sessuali, consistiti nel palpeggiarla ripetutamente nelle parti intime nonché nella zona del petto.
Scafati. Due medici dell’ospedale Umberto I di Nocera Inferiore saranno processati per il decesso del 37enne di Scafati, Raffaele Granata, morto il 12 marzo 2016. Sono accusati di omicidio colposo. Il gup ha rinviato entrambi a giudizio: avrebbero sbagliato diagnosi, durante la fase assistenziale dell’uomo, figlio di un ex consigliere comunale. Una fase che durò quasi quattro ore, durante la quale l’uomo passò dal pronto soccorso alla shock room, senza mai migliorare Quel giorno, “Lello” arrivò in pronto soccorso alle 12.30 circa. In codice giallo, gli fu prelevato del sangue per delle analisi. Dopo circa due ore, fu trasferito nella sala ecografie e alle 15.50, gli fu somministrata una seconda flebo. L’uomo soffriva di una cirrosi in stato avanzato. Le sue condizioni peggiorarono, fino a quando alle 16.15, trasferito nella shock room per un edema polmonare acuto, fu colto da un arresto cardiaco. Il decesso fu accertato alle 16.50 circa. Secondo la procura, i due medici che lo ebbero in cura avrebbero omesso di diagnosticare un’insufficienza renale acuta, dovuta all’abuso di antinfiammatori, con ritenzione idrica. Per via di quella forma di cirrosi, tra l’altro, si sarebbe dovuto praticare un trattamento ‘emodialitico extracorporeo’ per ridurre la ritenzione idrica e poi superare la fase acuta.
Condanna a 3 anni e 3 mesi. Questa la sentenza a carico di G.F., imprenditore di Recale, accusato di maltrattamenti e violenza nei confronti della ex compagna. La sentenza è stata pronunciata dalla Corte d’Appello di Napoli che, accogliendo le tesi dell’avvocato difensore Nello Sgambato, ha rideterminato la pena concedendo un notevole “sconto” rispetto ai 4 anni e 9 mesi inflitti in primo grado. L’imprenditore era accusato di maltrattamenti, lesioni e violenza privata nei confronti della ex compagna. In particolare avrebbe colpito la vittima con una padella procurandole una ferita che è stata medicata con 4 punti di sutura oltre a calci e pugni. Condotte violente per le quali adesso è arrivata la condanna in Appello mentre per l’accusa di violenza sessuale i giudici hanno confermato il verdetto di assoluzione.
Non pagavano le tasse grazie a compensazioni fiscali attraverso false fatture emesse da società fantasma e così potevano tenere i prezzi più bassi rispetto ai concorrenti aumentando così i loro ricavi. Era questo l’ingegnoso sistema messo in piedi dai tre arrestati ieri su richiesta della Procura della Repubblica di santa Maria Capua Vetere. “Gli indagati, forti del considerevole risparmio d’imposta conseguito, hanno potuto collocare sul mercato beni ad un prezzo di costo inferiore rispetto a quello comunemente praticato e praticabile dagli altri imprenditori”. E’ un passaggio saliente dell’ordinanza con la quale il gip del tribunale di Santa Maria Capua Vetere ha disposto l’arresto (ai domiciliarI) di Leone Stefano Cicala, 53 anni, Abdeloeti Ahmed Abdelfattah, 29 anni, ed Antonio Caldore, 45 anni, indagati dalla Procura per frode al fisco e colpiti da un provvedimento di sequestro preventivo pari a 9 milioni di euro.“Gli imprenditori dello stesso settore – continua il gip nelle motivazioni – pagando regolarmente le imposte sono costretti a maggiorare il preso di vendita del carico fiscale sopportato. In questo modo gli indagati hanno beneficiato degli effetti di una illecita concorrenza a discapito degli onesti imprenditori. A ben vedere, dunque, le condotte contestate sono gravi proprio perché contribuiscono a mettere in crisi l’intero sistema economico fondato su una libera e leale concorrenza
La frode fiscale da nove milioni di euro è stata contestata ai tre imprenditori finiti agli arresti domiciliari nel Casertano su ordine del Gip del tribunale di Santa Maria Capua Vetere. Si tratta del 53enne Leone Stefano Cicala, titolare della Cls srl, società con sede a Marcianise che commercia all’ingrosso bevande non alcoliche, del cittadino egiziano Abdelmoeti Ahmed Abdelfattah di 29 anni e del 45enne Antonio Caldore. I tre rispondono di numerosi reati fiscali, tra cui l’emissione di fatture per operazioni inesistenti, falsi crediti Iva portati a compensanzione di debiti tributari. Secondo quanto accertato dalla Procura di Santa Maria Capua Vetere che ha coordinato le indagini, e dai finanzieri del Nucleo di Polizia Economico-Finanziaria di Caserta, Cicala avrebbe realizzato un’ingente evasione fiscale attraverso transazioni economiche con le società degli altri due indagati, vere e proprie imprese fantasma, prive di strutture operative, personale e mezzi, definite “società cartiere”; queste ultime avrebbero fornito beni per venti milioni di euro alla Cls, ma solo su carta, emettendo poi fatture per operazioni mai verificatesi. A sua volta la Cls avrebbe rifornito di beni – sempre solo su carta sostengono gli inquirenti – le due società fittizie, emettendo anch’essa fatture per oltre 20 milioni di euro senza applicare dell’Iva. Inoltre, dal 2015 al 2017, la Cls avrebbe compensato, con i crediti Iva accumulati in modo illecito, imposte che doveva all’Erario per 800mila euro. La Finanza ha sequestrato anche soldi e beni del 53enne Cicala.
Torre del Greco. In data odierna, i Carabinieri del Nucleo Investigativo di Torre Annunziata hanno eseguito un’ordinanza di applicazione della misura cautelare della custodia cautelare in carcere emessa dall’ufficio G.I.P. del Tribunale di Napoli su richiesta della Direzione Distrettuale Antimafia – nei confronti di VACCARO Ciro (classe 65), GAROFALO Maurizio (classe 72), PAPALE Luigi (classe 62), ORIUNTO Andrea (classe 86), MAGLIULO Franca (classe 69), SORRENTINO Raimonda (classe 66), GAUDINO Domenico (classe 79) ritenuti responsabili a vario titolo di concorso esterno in associazione mafiosa e concorso in estorsione con l’aggravante di aver commesso il fatto per finalità mafiose avvalendosi della forza d’intimidazione che promana dal sodalizio camorristico dei clan DI GIOIA-PAPALE e FALANGA operanti in Torre del Greco. L’odierno provvedimento scaturisce da un’articolata attività di indagine coordinata dalla Direzione Distrettuale Antimafia della Procura della Repubblica di Napoli e sorta nell’anno 2012 al termine dei lavori svolti dalla Commissione d’accesso al Comune di Torre del Greco che aveva passato al setaccio tutti gli atti amministrativi dell’epoca e le gare espletate. Le indagini immediatamente avviate dal Nucleo Investigativo Carabinieri di Torre Annunziata hanno evidenziato una pluralità di condotte estorsive in danno di imprese edili impegnate in lavori pubblici, servizi e forniture pubbliche nel Comune di Torre del Greco, in particolare la raccolta dei rifiuti solidi urbani ed i lavori di recupero dell’edificio comunale, ex pescheria borbonica, sito in Largo Costantinopoli, da adibire a Comando di Polizia Municipale. Le attività permettevano, altresì, di disvelare come la criminalità organizzata torrese (Clan “DI GIOIA-PAPALE” e “FALANGA”) si attivava per conoscere gli appalti deliberati per sottoporre ad estorsione le ditte aggiudicatrici. Le fonti di prova raccolte hanno permesso, inoltre, di contestare il concorso esterno in associazione mafiosa a VACCARO Ciro ritenuto il collante tra le ditte aggiudicatrici e la criminalità organizzata locale. Le dichiarazioni di alcuni collaboratori di giustizia corroborate dalle attività tecniche hanno permesso di accertare che tra le ditte vessate dai clan FALANGA e PAPALE vi era la società EGO. ECO. Srl di Cassino, vincitrice della gara d’appalto sull’igiene urbana indetta nel comune di Torre del Greco nel marzo dell’anno 2012. La predetta ditta, già oggetto di altre indagini, è risultata essere contigua a VACCARO Ciro, ed era proprio grazie all’intermediazione di quest’ultimo che era stato assunto un militante del clan FALANGA. Uno dei dominus di tale attività estorsiva è risultato essere GAROFALO Maurizio, esponente di rilievo del clan PAPALE. Pienamente coinvolte nelle vicende estorsive erano anche le donne, MAGLIULO Franca (moglie del capo clan GAROFALO Maurizio) e SORRENTINO Raimonda, amante di GAROFALO Maurizio, dalla cui relazione era nato un figlio che dunque la legittimava ad avanzare la richiesta dei proventi estorsivi. Le attività d’indagine hanno consentito di delineare un vero e proprio “SISTEMA VACCARO” attuativo di una gestione ad personam delle gare pubbliche: VACCARO Ciro, con il placet della malavita locale, si era accreditato con arguzia e scaltrezza, quale interfaccia qualificata a concludere delicati accordi con taluni imprenditori, disposti ad accollarsi una quota estorsiva pur di aggiudicarsi una gara d’appalto bandita dal Comune o per evitare di ricevere danni al cantiere. “Un pensiero per tutti quanti”, cosi testualmente riferisce nel corso di una intercettazione ambientale: la frase è alquanto significativa e racchiude in poche semplici parole il cuore del “Sistema Vaccaro”. Contestualmente alle odierne ordinanze di custodia cautelare in carcere, è stato inoltre eseguito, nei confronti di VACCARO Ciro, un decreto di sequestro preventivo d’urgenza emesso dalla Procura della Repubblica di Napoli – Direzione Distrettuale Antimafia – relativamente a beni mobili, immobili e quote di società per un valore complessivo di euro 3.000.000,00.
Si riportano i nomi dei soggetti tratti in arresto:
1. VACCARO Ciro, nato a Torre del Greco il 03.08.1965;
2. GAROFALO Maurizio, nato a Torre del Greco il 01.09.1972;
3. PAPALE Luigi, nato a Ercolano il 24.06.1962;
4. ORIUNTO Andrea, nato a Torre del Greco il 05.07.1986;
5. MAGLIULO Franca, nata a Torre del Greco il 14.05.1969;
6. SORRENTINO Raimonda, nata a Torre del Greco il 21.11.1966;
7. GAUDINO Domenico, nato a Torre del Greco il 11.07.1979.
Minacce aggravate dal metodo mafioso a Roberto Saviano e Rosaria Capacchione: attesa, questa mattina l’udienza preliminare dinanzi al giudice Livio Sabatini del tribunale di Roma, a carico del boss Francesco Bidognetti e due avvocati Michele Santonastaso ex difensore di esponenti del clan dei Casalesi, e Carmine D’Aniello. Due anni fa è stata dichiarata nulla la sentenza di primo grado dalla Corte di Appello di Napoli per incompetenza territoriale, il procedimento è passato a Roma. Il processo doveva essere celebrato a Roma perché nel testo dell’istanza letta da Santonastaso in aula nel 2008, durante il procedimento di Appello a Napoli, denominato Spartacus I contro il clan dei Casalesi – sono stati inseriti anche i nomi dei magistrati di Napoli e Santa Maria Capua Vetere che hanno occupato un ruolo di primo piano nella lotta al crimine organizzato dell’area casertana. Per i giudici, dunque, il processo è stato spostato a Roma perché la procura di competenza per i magistrati citati è quella romana. L’istanza letta da Santonastaso portava la firma dei boss Antonio Iovine, ora collaboratore di giustizia, e Francesco Bidognetti, il figlio Raffaele inoltre è da un mese collaboratore di giustizia. Entrambi poi assolti “per non aver commesso il fatto”. La sentenza di primo grado, emessa dalla terza sezione del Tribunale di Napoli, ha già assolto anche l’avvocato Carmine D’Aniello. Santonastaso, attualmente libero, è l’unico imputato condannato alla pena di un anno di reclusione.
Fernando Spanò, uno dei giudici coinvolti nell’inchiesta legata alla corruzione in atti giudiziari in provincia di Salerno, sarebbe disposto a fornire la sua versione dei fatti. Il giudice è stato arrestato 15 giorni fa, insieme ad altre persone, dai finanzieri del Nucleo di Polizia Economico Finanziaria di Salerno, con l’accusa di aver intascato mazzette in cambio di sentenze favorevoli. Stando alle ricostruzioni degli inquirenti, Spanò sarebbe disposto a rilasciare dichiarazioni importanti sul caso. Intanto, lo stesso giudice ha chiesto una perizia per potere verificare le proprie condizioni di salute e rendersi conto se il suo stato sia compatibile con il carcere.
Appalti, clan e politica al Comune di Torre del Greco: duro il giudizio del Gip del Tribunale di Napoli, Giovanna Cervo, sulla commistione tra istituzioni e camorra che ha portato all’arresto di sette persone coinvolte nell’inchiesta su appalti e camorra nel comune corallino. “Si è fatta luce sulla profonda commistione affaristica tra camorra, imprenditoria e politica anche nel Comune di Torre del Greco” scrive il gip che ha accolto le richieste della DDA e del pm Maria Di Mauro. Il ruolo e la figura di Ciro Vaccaro, colui che ricopriva il ruolo di “collante” tra le imprese e i clan, destinatario insieme con altre sei persone di una misura cautelare in carcere emerge dal monitoraggio degli investigatori su alcuni personaggi gravitanti nell’orbita della pubblica amministrazione di Torre del Greco e sugli appalti indetti dal Comune, in particolare quello sull’igiene urbana vinto nel 2012 dalla Ego Eco srl di Minturno, con un ribasso dell’8,22% sul prezzo base d’asta, e per un importo di oltre 28 milioni di euro. Tra i dipendenti “occulti” della Ego Eco i carabinieri hanno individuato anche un ex consigliere comunale di Torre del Greco, peraltro gravitante nell’entourage di un politico provinciale, che ricopriva il ruolo di consulente esterno.
I Della Valle respingono l’accusa di tentata estorsione ai campi da calcetto. Ammesso il contrabbando di sigarette Hanno respinto l’accusa della tentata estorsione ai campi di calcetto di San Tammaro mentre Antonio Della Valle ha ammesso le contestazioni sul contrabbando di sigarette. Questo in estrema sintesi l’esito dell’interrogatorio di garanzia di Antonio Della Valle e di suo nipote Giuseppe Della Valle, rispettivamente di 49 e 20 anni di Capua, da ieri detenuti al carcere di Secondigliano in seguito ad un’inchiesta della Dda. Stamattina presso la casa circondariale napoletana zio e nipote, accompagnati dal loro legale di fiducia, l’avvocato Nello Sgambato, hanno risposto alle domande del giudice Isabella Iaselli. Entrambi hanno sconfessato l’accusa di tentata estorsione ai danni di alcuni campi di calcetto. Sia Antonio che Giuseppe Della Valle hanno negato la visita, denunciata dal titolare della struttura sportiva, per imporre la vendita di bibite. Antonio Della Valle, inoltre, ha ammesso la contestazione relativa al contrabbando di “bionde”. Secondo la Dda sarebbe il promotore di un gruppo, operante tra Capua e Napoli, dedito alla vendita di tabacchi privi del marchio del Monopolio di Stato. All’esito dell’interrogatorio di garanzia l’avvocato Sgambato ha annunciato il ricorso al Riesame. Intanto sono stati fissati per giovedì gli interrogatori di altre persone coinvolte nella medesima inchiesta
La Corte di Cassazione ha confermato, rigettando il ricorso presentato dalla Procura Generale e dalla parti civili, la sentenza della Corte di Appello di Napoli che il 14 ottobre 2018 aveva assolto l’ex sottosegretario all’Economia del Pdl Nicola Cosentino, i fratelli Giovanni e Antonio, e gli altri imputati del processo cosiddetto “Carburanti”, relativo a fatti concernenti l’azienda di famiglia dei Cosentino, l’Aversana Petroli. Le accuse erano a vario titolo di estorsione e illecita concorrenza con l’aggravante mafiosa. In primo grado l’ex politico di Casal di Principe era stato condannato a 7 anni e sei mesi di carcere, mentre ai fratelli Giovanni e Antonio erano state inflitte rispettivamente condanne a 9 anni e mezzo e 5 anni e 4 mesi. Assolti anche il funzionario della Regione Campania Luigi Letizia (condannato in primo grado a cinque anni e quattro mesi), i dipendenti della Q8 Bruno Sorrentino e Giovanni Adamiano (entrambi condannati a tre anni e sei mesi), e l’imprenditore ritenuto vicino al clan Zagaria Michele Patrizio Sagliocchi (sette anni in primo grado); il tribunale di Santa Maria Capua Vetere aveva poi gia’ dichiarato prescritto il reato per l’ex prefetto di Caserta ed ex deputato Pdl, Maria Elena Stasi. Il processo “Carburanti” riguardava l’Aversana Petroli, fondata dal padre dell’ex politico, che secondo la Dda di Napoli sarebbe stata avvantaggiata illecitamente ai danni della societa’ di un altro imprenditore, Luigi Gallo, accusatore dei Cosentino insieme all’ex sindaco di Villa Di Briano Raffaele Zippo. Tra gli episodi contestati le presunte pressioni fatte dai Cosentino perche’ il Comune di Villa di Briano negasse l’autorizzazione – cosa effettivamente avvenuta – alla richiesta di apertura di una pompa di benzina avanzata da Gallo; ma anche i legami con la prefettura di Caserta, che secondo la Procura Antimafia, nel 2006, quando era retta dalla Stasi, cancello’ l’interdittiva antimafia a carico dell’azienda dei Cosentino nonostante il provvedimento fosse stato confermato da una sentenza del Consiglio di Stato. La Stasi divenne poi parlamentare nel partito di Cosentino. I giudici di appello pero’ avevano giudicato poco attendibili Gallo e Zippo, e a loro carico avevano disposto il rinvio degli atti alla Procura per verificare la sussistenza del reato di falsa testimonianza. “Siamo contenti che finalmente sia stata messa la parola fine a questa vicenda lunga e dolorosa. Come sempre ha prevalso la giustizia, nella quale abbiamo sempre creduto, come difensori di una persona che ritenevamo e riteniamo innocente”. Cosi’ Agostino De Caro, difensore di Nicola Cosentino insieme a Stefano Montone ed Elena Lepre, commenta la sentenza della Cassazione che ha rigettato il ricorso della Procura generale di Napoli e delle parti civili confermando in toto la sentenza di assoluzione emessa dalla Corte di Appello di Napoli a carico di Nicola Cosentino e degli altri imputati, tra cui i fratelli Giovanni e Antonio. “Esprimiamo nuovamente massima fiducia nella magistratura e nel suo senso di equilibrio”, conclude De Caro.
Pagani.Dovrà difendersi in un processo il 48enne di Pagani accusato di maltrattamenti nei confronti della moglie e della figlia minorenne. Al termine delle indagini condotte dai carabinieri, a seguito della denuncia da parte della consorte, è partita la richiesta di rito immediato alla luce delle prove raccolte finora dagli inquirenti. La moglie ha raccontato che l’uomo, molto spesso ubriaco, ha aggredito ripetutamente sia lei che la figlia. In un caso, la donna sarebbe stata colpita con pugni violenti alla testa; qualche settimana dopo è toccato anche alla figlia che, dopo essere stata spinta a terra, sarebbe rimasta ferita a causa del lancio di mattonelle da parte del genitore. Poi altri episodi di violenza si sarebbero consumati dietro le mura domestiche sempre per futili motivi. L’uomo, nei giorni scorsi, è stato allontanato dall’abitazione a seguito di un’ordinanza di misura cautelare emessa dal tribunale
Maltrattamenti nei confronti della ex moglie e violenza sessuale alla figlia, ancora minorenne, avuta dalla donna da una precedente relazione. Per questo motivo è stato condannato D.M., dipendente di un’azienda agricola, di Alife. La sentenza è stata pronunciata dal gup Sergio Enea del tribunale di Santa Maria Capua Vetere, al termine del processo celebrato con rito abbreviato, che ha inflitto 7 anni e 4 mesi all’orco. Secondo quanto ricostruito le due vittime hanno subito, sia pure in forme differenti, i soprusi dell’uomo per diversi anni fino a quando nell’aprile del 2018 hanno trovato il coraggio di denunciare tutto ai carabinieri. La moglie ha denunciato continue condotte vessatorie, con botte e minacce di morte anche per futili motivi. Ma è stata la ragazza, oggi 20enne, ad aver subito i trattamenti peggiori. Secondo quanto ha riferito ai carabinieri dal 2011, quando aveva appena 12 anni, al 2018 ha subito continui abusi sessuali da parte del marito della mamma. Tutto è cominciato con palpatine e man mano, con la giovane che diventava una donna, si è arrivati a consumare rapporti orali ed anche rapporti sessuali completi. Un orrore che si ripeteva con una certa frequenza con la giovane che, minacciata, non poteva sottrarsi. “Ti uccido se parli”, le ripeteva. Per evitare che la ragazza potesse denunciarlo l’avrebbe anche costretta a scattarsi delle fotografie nuda minacciando di divulgarle qualora avesse raccontato quegli amplessi a qualcuno. Immagini che sono state rinvenute su due cellulari in uso all’imputato che sono stati sequestrati. Angherie per le quali le due donne, entrambe costituitesi parte civile rappresentate dall’avvocato Elvira Rispoli in collaborazione con il dottore in giurisprudenza Antonio Pontillo, si sono viste riconoscere una provvisionale di 12mila euro complessivi (2mila alla madre e 10mila alla figlia).
Questa mattina, nell’ambito di un’indagine coordinata dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Napoli Nord, i Carabinieri della Compagnia di Giugliano in Campania hanno dato esecuzione ad un’ordinanza di custodia cautelare degli arresti domiciliari nei confronti di 9 persone per associazione a delinquere finalizzata alla commissione di frodi assicurative. L’attività investigativa – condotta dai carabinieri della Stazione di Frattamaggiore tra i mesi di ottobre 2016 e settembre 2017 anche mediante l’esecuzione di operazioni di intercettazioni telefoniche e di acquisizione di documentazione assicurativa relativa alle varie richieste di risarcimento – ha consentito di raccogliere numerosi indizi circa la sussistenza di un sodalizio criminale, radicato a Napoli, che era riuscito a percepire indebitamente dalle compagnie assicurative una serie di rimborsi per sinistri stradali mai avvenuti. In particolare, secondo l’ipotesi accusatoria avvalorata dal GIP, il sodalizio per la liquidazione dei falsi incidenti stradali si avvaleva di persone disponibili ad apparire come responsabili o danneggiati producendo, tra l’altro, anche certificati medici di lesioni che in realtà erano riferite a circostanze diverse da quelle rappresentate. Sono state, infatti, individuate le modalità di attuazione delle numerosi frodi assicurative, nonché il ruolo avuto da alcuni carrozzieri nella simulazione dei danni sui veicoli, l’opera dei falsi testimoni e i comportamenti di alcuni avvocati utilizzati dall’organizzazione per promuovere le cause civili di competenza del Giudice di Pace, innanzi al quale di volta in volta venivano citate in giudizio le malcapitate compagnie assicurative. Nel corso dell’attività venivano contestate circa 30 frodi in danno di diverse compagnie di assicurazione e deferiti circa 90 individui. L’indagine è manifestazione di un ben noto e diffuso fenomeno illecito, quello delle truffe assicurative, che, soprattutto nel nostro territorio, così gravemente incide, a danno dei cittadini, sull’ingiustificato innalzamento delle tariffe.
La Corte di appello di Napoli – III sezione penale -, presieduta dalla dott. ssa Del Balzo e che ha visto come relatore il giudice Carbone, ha deciso che Capezzuto Vincenzo, dopo soli tre anni sofferti all’interno del carcere, dovrà essere rimesso in libertà.La difesa, rappresentata dagli avvocati Dario Vannetiello e Luigi Petrillo, ha ottenuto un risultato di straordinaria importanza alla luce sia della gravità delle accuse, sia della caratura dell’accusato, sia della pregressa latitanza di cui si è reso protagonista l’accusato, braccato il sette giugno 2016, dopo estenuanti ricerche, nell’elegante centro di Vienna, grazie ad un mandato di arresto internazionale. I giudici di partenopei hanno condiviso la articolata istanza di scarcerazione per decorrenza dei termini. Capezzuto Vincenzo era ritenuto dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Napoli colui che avrebbe rifornito di droga le organizzazioni napoletane dedite al narcotraffico per circa dieci anni, promuovendo, dirigendo ed organizzando la vasta associazione che contava un numero impressionante di affiliati. Premiato il lavoro difensivo e le scelte di Capezzuto Vincenzo, il quale ebbe inizialmente ad affidarsi al noto avvocato Giulia Buongiorno, per poi rimettersi alle sapienti “cure giudiziarie“ dell’avvocato Dario Vannetiello le quali oggi hanno portato innegabili frutti.
Va segnalato che la remissione in libertà decisa dalla Corte di appello è totale, senza alcuna altra misura, senza alcuna prescrizione da rispettare.L’indagine complessiva fu curata incessantemente e con successo dalla direzione distrettuale antimafia e dimostrò il lusso smodato a cui erano dediti i narcotrafficanti. Non a caso furono disposti sequestri per beni aventi valore di decine di milioni di euro, tra cui yacht, ville, appartamenti e numerosissimi conti correnti. All’esito del giudizio di primo grado, il Tribunale di Napoli, presieduto dal dott. Barbarano e che vide come relatrice la dott.ssa Primavera, condannò il ritenuto narcotrafficante internazionale ad anni 24 di reclusione, grazie alle accuse provenienti da numerosi collaboratori di giustizia nonché valorizzando il contenuto di alcuni colloqui carcerari con il fratello Alessandro, con istruttoria svoltosi in costanza della latitanza di Capezzuto.
Nel processo di appello l’accusato fece sentire la sua voce, protestando la sua innocenza, evidenziando la sua ininterrotta dedizione lavorativa nel settore dell’oro e dei preziosi, con la sua attività oramai radicatasi nella città austriaca, ma le accuse, pur ridimensionate, ressero anche nel giudizio di secondo grado. Ma il colpo di grazia all’impianto accusatorio è giunto in data 08.05.19 con la decisione della Suprema Corte. Infatti, in totale accoglimento dell’articolato ricorso proposto dagli avvocati Dario Vannetiello e Luigi Petrillo, la terza sezione penale della Corte di Cassazione ha annullato in toto la sentenza di condanna inflitta a Capezzuto Vincenzo, sia rispetto al gravissimo reato di promozione/direzione/organizzazione della associazione finalizzata al traffico internazionale di stupefacenti, sia rispetto agli specifici episodi di ingente importazione in Italia di cocaina, hashish e marijuana. Il fine lavoro difensivo ha fatto così franare il castello delle accuse, determinando la regressione del procedimento in appello, circostanza questa che ha consentito alla difesa di invocare con successo la scarcerazione del gioielliere per decorrenza dei termini.
Adesso si rimane in attesa della di fissazione della data del nuovo giudizio di appello che, però, Capezzuto affronterà da uomo libero, con la speranza di ottenere finanche una assoluzione. Nonostante la pluralità delle fonti a carico, rappresentate da numerosi collaboratori di giustizia, da intercettazioni ambientali ed, infine, dalla irrevocabile sentenza di condanna emessa nei confronti di tutti gli altri capi e partecipi della associazione, la difesa ha la indubbia consapevolezza di aver ottenuto un significativo annullamento innanzi ai giudici capitolini.Infatti, la Suprema Corte di Cassazione – III sezione penale – ha integralmente condiviso il sapiente lavoro difensivo snodatosi per anni e pure in costanza della latitanza di colui che, secondo l’ accusa, dal 2002 al 2011, avrebbe fornito di stupefacente di vario tipo numerose organizzazioni criminali campane .Viceversa, secondo la linea difensiva, Capezzuto sarebbe solo un brillante imprenditore del settore dell’oro e dei preziosi, ingiustamente accusato da pentiti inaffidabili, il tutto condito da intercettazioni dal contenuto equivoco. Un caso giudiziario che indubbiamente farà ancora discutere. All’esito di una vera e propria battaglia giudiziaria, vi è solo una unica certezza : il ritorno in piena libertà di Vincenzo Capezzuto.
Caivano. Il gip del Tribunale di Napoli Pietro Carola ha disposto l’imputazione coatta nei confronti di Marianna Fabozzi e Raimondo Caputo, già condannati in primo grado per l’omicidio di Fortuna Loffredo (la bimba precipitata da un palazzo del Parco Verde di Caivano il 24 giugno 2014) in relazione alla morte di Antonio Giglio, figlio della Fabozzi morto nel 2013 in circostanze analoghe. Il gip ha rigettato la richiesta di archiviazione avanzata dal pm Maria Carolina De Pasquale e ha disposto che, entro 10 giorni, il pm formuli l’imputazione per il reato di omicidio nei confronti di Marianna Fabozzi, e per favoreggiamento nei confronti di Raimondo Caputo. L’inquietante vicenda della morte del piccolo Antonio Giglio, avvenuta il 27 aprile del 2013 quando il piccolo aveva 4 anni, ha preceduto di circa un anno quella della morte di Fortuna. Anche Antonio Giglio, figlio di Marianna Fabozzi e Gennaro Giglio (quest’ultimo difeso dall’avvocato Angelo Pisani), è precipitato da un palazzo nel Parco Verde di Caivano, precisamente da una finestra nell’abitazione della madre di Fabozzi, Angela Angelino, al settimo piano dell’isolato C3. Secondo il gip “sono stati acquisiti sufficienti elementi che consentono di celebrare il giudizio nei confronti degli indagati”, in particolare le dichiarazioni di Antonietta Caputo, sorella di Raimondo (compagno della Fabozzi) secondo cui sarebbe stata la madre a lanciare dalla finestra Antonio Giglio, e non il bimbo a cadere accidentalmente guardando un elicottero dei carabinieri, come invece Marianna Fabozzi aveva raccontato agli investigatori. Inoltre un compagno di cella di Raimondo Caputo avrebbe appreso da quest’ultimo che non si era trattato di un incidente ma che era stata la madre ad averlo fatto cadere dalla finestra, e che lui la stava difendendo per evitare che la stessa parlasse della morte di Fortuna Loffredo. Infine, secondo il gip, “è del tutto inverosimile che un bambino di 4 anni si arrampichi su una finestra per infilarsi nello strettissimo spazio di 25 centimetri, anche perché sotto la finestra non vi è nessun mobile che consenta di salirvi sopra e raggiungere il davanzale”. “Soddisfazione” viene espressa dagli avvocati Angelo e Sergio Pisani, difensori di Gennaro Giglio, per l’imputazione coatta decisa dal gip di Napoli nei confronti di Marianna Fabozzi e Raimondo Caputo per la morte di Antonio Giglio. “Finalmente oggi lo Stato vuole vederci chiaro e garantire giustizia – dichiarano gli avvocati – ma se le istituzioni fossero intervenute prima, soprattutto con una bonifica ambientale e di tutela dei cittadini che purtroppo non c’è stata neanche dopo le inspiegabili morti e violenze su tanti bambini, nessuno avrebbe potuto uccidere la piccola Fortuna”. Il riferimento è all’omicidio di Fortuna Loffredo, bimba morta in circostanze analoghe a quella di Antonio Giglio, per il quale Caputo e Fabozzi sono stati condannati in appello rispettivamente all’ergastolo e a 10 anni di reclusione. “Uno Stato presente e attento – aggiungono gli avvocati Angelo e Sergio Pisani – avrebbe dovuto tutelare anche il piccolo Antonio Giglio, un’altra vittima innocente che almeno oggi merita giustizia”.
Il gip di Napoli, Saverio Vertuccio ha condannato a pene variabili tra 12 anni e 4 mesi e 8 mesi e 10 giorni di reclusione, dieci persone, tra cui figurano Francesco Maturo, ritenuto reggente del clan vesuviano dei Fabbrocino (11 anni e 4 mesi) e Valerio Bifulco, ritenuto l’intermediario e l’uomo di fiducia negli affari dei Fabbrocino. Complessivamente i giudice ha comminato anche multe per oltre 366mila euro. La pena e la multa più pesante è stata inflitta proprio a Bifulco, soprannominato “Vallanzasca”: 12 anni e 4 mesi e 120mila euro. Ad arrestare le persone condannate oggi (Valerio Bifulco, Salvatore Esposito, Antonio Federico, Raffaele Nappo, Giovani De Liso, Francesco Tagliaferro, Aniello Cardo, Francesco Ranieri, Francesco Maturo, Carmine Amoruso) sono stati i carabinieri del Nucleo Investigativo di Castello di Cisterna. L’attivit investigativa di approfondimento eseguita dai militari dopo la cattura di Maturo consentirono di scoprire una serie di estorsioni nei confronti di alcuni imprenditori vesuviani e anche che alcuni degli indagati spacciavano sostanze stupefacenti nei comuni della zona ritenuti sotto il controllo criminale dei Fabbrocino.