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Channel: Cronaca Giudiziaria
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Il sindaco delle ‘fritture’ e il suo successore eletti grazie ai voti del clan Marotta. Alfieri: “Cielo sereno”, gli avversari attaccano

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Agropoli. Scambio di voto politico mafioso: questa l’accusa che ha portato all’emissione dei decreti di perquisizione e al contestuale avviso di garanzia nei confronti dell’ex sindaco di Agropoli, Franco Alfieri, oggi in corsa per la poltrona di primo cittadino a Capaccio Paestum, e del suo successore Adamo Coppola. I militari della Dia di Salerno, coordinati dal colonnello Giulio Pini, hanno perquisito – su disposizione del pm della Dia Vincenzo Montemurro – hanno perquisito le abitazioni e gli uffici di Adamo Coppola e dell’ex primo cittadino Franco Alfieri, attualmente consigliere politico del presidente della Regione Campania assurto alle cronache come ‘il sindaco delle fritture di pesce’ dopo che in un audio reso pubblico il presidente della Campania Vincenzo De Luca lo invitava ironicamente a raccogliere voti anche offrendo “fritture di pesce”. Alfieri e Coppola sono coinvolti in un’indagine su un presunto scambio elettorale politico-mafioso relativo alle elezioni amministrative del 2017 nel comune di Agropoli. Oltre alle abitazioni, nei comuni di Agropoli e Torchiara, gli uomini della Direzione Investigativa Antimafia hanno perquisito anche lo studio legale di Alfieri e l’ufficio del sindaco. Nel corso degli accertamenti sono stati sequestrati vari documenti. L’inchiesta è scaturita dalle recenti indagini che hanno riguardato il clan Marotta, la potente e ricca cosca di Agropoli di origine rom, dedita ad usura, estorsioni e spaccio di stupefacenti, più volte colpita da provvedimenti giudiziari e sequestri patrimoniali. “Stamattina il mio studio legale ad Agropoli, e la mia abitazione a Torchiara, sono stati oggetto di una perquisizione da parte della Dia di Salerno. Mi dispiace che queste attività investigative abbiano luogo nel pieno della campagna elettorale”. Ha scritto sul suo profilo Facebook Alfieri commentando la perquisizione ricevuta oggi. Il messaggio è preceduto dalla testatina ‘Cielo sereno non teme tempesta’. “Nell’esprimere – prosegue Alfieri – come sempre, la mia piena fiducia nel lavoro della magistratura, vado avanti a testa alta perché la forza di un uomo è anche quella di reagire alle difficoltà e mettere ancora più energia e determinazione nel lavoro quotidiano”. La notizia dell’indagine a carico dei due politici ha suscitato le reazioni degli avversari politici. Mario Gianrusso, senatore del M5S e capogruppo della commissione parlamentare antimafia ha detto: “Il sindaco di Agropoli Adamo Coppola e il suo predecessore Franco Alfieri sono indagati dalla Direzione Investigativa Antimafia di Salerno per voto di scambio politico-mafioso. Non un’accusa qualunque, si tratta di uno dei reati più gravi che possa essere commesso in una democrazia. Alfieri è una vecchia conoscenza: è l’uomo a cui, in vista del referendum costituzionale di Renzi, il presidente della Campania De Luca chiedeva di organizzare una ‘clientela scientifica, come Cristo comanda’, anche a costo di ricorrere a una frittura di pesce o a una visita sugli yacht. Prima o poi i nodi vengono sempre al pettine. Anche per contrastare queste condotte che demoliscono i pilastri della legalità, fra poche ore verrà approvata una nuova legge del Movimento 5 Stelle che colpirà come merita il voto di scambio politico-mafioso. Le pene saranno esemplari e accompagnate dal daspo a vita, inoltre sarà più facile individuare i politici e i mafiosi che fanno patti impresentabili e l’oggetto del loro scambio. Per noi mafie e corruzione sono nemici giurati e vogliamo combatterli con la massima fermezza”. Lo afferma in una nota il senatore del Movimento 5 Stelle Mario Giarrusso, capogruppo nella commissione parlamentare Antimafia.

Cronache della Campania@2018


Napoli, il raid di piazza Nazionale nato per vendicare il pestaggio del figlio del boss

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Napoli. Sussistono “gravi indizi di colpevolezza”. Non solo. “Deve ritenersi sufficientemente dimostrato che alla guida del Benelli rubato (usato per l’agguato, ndr) vi fosse Armando Del Re”: restano in carcere Armando e Antonio Del Re, i fratelli di 28 e 18 anni ritenuti dalla Procura di Napoli coloro che lo scorso 3 maggio hanno organizzato e attuato il tentato omicidio del 32enne Salvatore Nurcaro, in piazza Nazionale, durante il quale é stata gravemente ferita la piccola Noemi, di appena 4 anni. A deciderlo sono stati il gip Alessandro Buccino Grimaldi, del Tribunale di Siena, e il gip di Nola, Daniela Critelli. Il gip di Siena, come anche quello di Nola, ha disposto la misura cautelare ritenendo sussistenti nei riguardi di Armando Del Re e del fratello Antonio, “gravissimi indizi di colpevolezza”. Nell’ordinanza di convalida affiora anche quello che potrebbe essere il movente, riconducibile, forse, a un pestaggio subito a metà aprile da Stanislao Marigliano figlio del boss Armando del quartiere San Giovanni a Teduccio. Le attività investigative interforze coordinate dalla Procura di Napoli intanto proseguono. L’obiettivo è incamerare quanto più materiale probatorio e blindare l’accusa di tentato omicidio premeditato di Nurcaro portato a termine con tipiche modalità mafiose. Al lavoro anche i legali dei due indagati, gli avvocati Claudio Davino (per Armando) e Leopoldo Perone e Antonietta Genovino (per Antonio).

Cronache della Campania@2018

Centomila firme per far liberare Cutolo, la protesta di Annamaria Torre: ‘Sveli i suoi segreti e collabori con lo Stato’

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Cutolo continua a far parlare di sé. Dopo l’ap­pello dell’ex deputata dei radicali Bernardini, che aveva sollevato il caso sullo stato di salute del professore, c’è il caso di una interpellanza lanciata dal criminologo savianese, Francesco Franzese. La petizione, on line da alcuni anni sulla piat­taforma change.org, si è chiusa con la raccolta di centomila firme: centomila adesioni per chiedere il trasferimento del superboss della Nco, Raffaele Cutolo dal carcere ai domici­liari. Pentito davanti a Dio, ma irriducibile davanti allo Stato, alla legge e agli uomini, il padrino di Ottaviano è in carcere da più di 55 anni, 25 dei quali passati in regime di 41bis. Si è più volte detto depositario di segreti “in­confessabili”, custode di documenti che, a suo dire, farebbero luce su un periodo che va dalla fine degli anni Settanta alla metà degli anni Ottanta, lasso di tempo in cui avvengono, giu­sto per ricordare un paio di episodi da consi­derarsi “epocali”, il rapimento e la liberazione di Ciro Cirillo, e l’omicidio dell’onorevole Aldo Moro. Non ha mai taciuto “il professore” con la licenza elementare (così ribattezzato per il fatto che portasse gli occhiali e scrivesse un pò meglio del resto dei carcerati), di essere a co­noscenza e di aver giocato un ruolo di media­tore tra certi “apparati dello Stato”, politica, criminalità organizzata e estremismo nero e rosso. Nei fatti, oltre ad alcune verità emerse da inchieste della magistratura e avallate da sentenze – ci riferiamo soprattutto al caso Ci­rillo – i “misteri” continuano ad essere tali da più di 40 anni.Perché, non essendo un collaboratore di giu­stizia, Raffaele Cutolo non ha potuto mai dare serio sostegno a risolvere detti misteri Che se è vero, è in condizioni precarie di salute, aggra­vatesi alla fine del 2017 è altrettanto vero che è stato a capo di una organizzazione criminale che ha contribuito a spargere sangue sul no­stro territorio. Sulla notizia della petizione per la scarcerazione del boss di Ottaviano, è inter­venuta Annamaria Torre (referente provin­ciale per la memoria di Libera Salerno), figlia del sindaco di Pagani, assassinato l’undici di­cembre del 1980 su ordine di Raffaele Cutolo, sul suo profilo Facebook. “Scusatemi se invado con questo post mentre c’è Noemi che com­batte tra la vita e la morte, ma sento il bisogno d’intervenire senza essere giustizialista o altro, essendo costui il mandante dell’omicidio di mio padre… come da sentenza del 2001 con­fermata in Cassazione nel 2002, chiedo solo la Resurrezione della verità per tutte le sue vit­time… la giustizia riparativa è possibile se si ammettono i propri errori e si collabora con la Legge”, scrive Annamaria Torre.

Cronache della Campania@2018

Mazzette a funzionari pubblici, arresti nel Cilento

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L’indagine parte dalla denuncia di un funzionario pubblico del comune di Pollica contattato da un imprenditore che avrebbe chiesto l’aggiudicazione a suo favore della gara per il rifacimento della rete fognaria suggerendo, per facilitare l’aggiudicazione, la nomina di tre funzionari compiacenti. I tre, consapevoli della proposta corruttiva dell’imprenditore, erano funzionari pubblici degli uffici tecnici dei comuni di Cannalonga, Castellabate, Santa Marina e Torchiara
Istigazione alla corruzione. È questa l’accusa che pende sul capo di tre responsabili di uffici tecnici comunali e un imprenditore del Cilento, arrestati questa mattina nel corso di una operazione dei carabinieri della Compagnia di Vallo della Lucania. Le misure cautelari sono state eseguite nei comuni di Torchiara, Castellabate, Cannalonga e Santa Marina.
I funzionari pubblici sono ritenuti responsabili tra di loro di “istigazione alla corruzione”.
Stando a quanto trapela, pare che l’indagine sia partita dalla denuncia del responsabile dell’ufficio tecnico del comune di Pollica. L’uomo avrebbe riferito ai Carabinieri di essere stato contattato da un imprenditore che avrebbe chiesto l’aggiudicazione a suo favore della gara per il rifacimento della rete fognaria suggerendo, per facilitare l’aggiudicazione, la nomina di tre funzionari compiacenti. Per la nomina dei commissari sarebbe stato promesso un compenso di 10mila euro. I tre, mostratisi pienamente consapevoli della proposta corruttiva dell’imprenditore, rivestivano il ruolo di funzionari pubblici nell’ambito di uffici tecnici dei comuni di Cannalonga, Castellabate, Santa Marina e Torchiara.

Cronache della Campania@2018

Busta con proiettile inviata a un noto medico dopo l’assoluzione

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Un proiettile in una busta è stato spedito ad un noto medico di Santa Maria Capua Vetere. Il professionista qualche mese fa è stato assolto, presso il tribunale di Santa Maria Capua Vetere, in un processo per omicidio colposo, dopo il decesso di un paziente, insieme ad altri colleghi.
L’atto intimidatorio è stato subito denunciato ai carabinieri della locale Compagnia, che hanno avviato le indagini. Il medico ha raccontato di aver notato la busta sospetta nella cassetta delle lettere. Il nome e l’indirizzo del destinatario erano stati scritti a mano, in carattere maiuscolo. Nella busta non c’era altro.
La lettera e il proiettile sono stati sequestrati dai militari dell’Arma. I militari indagano su diverse piste. Al momento intorno all’inchiesta c’è il massimo riserbo.

Cronache della Campania@2018

Pedofilo ucciso nel Beneventano, confermato l’arresto dei due killer

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Sono stati i respinti dai giudici della Corte di Cassazione i ricorsi presentati dagli avvocati contro l’arresto di Giuseppe Massaro e Generoso Nasta, i due uomini di Sant’Agata de’ Goti e San Felice a Cancello arrestati nel dicembre 2018 con l’accusa di aver ucciso Giuseppe Matarazzo.
La vittima, 45 anni, era appena uscito dal carcere, dove aveva scontato 11 anni per violenza sessuale nei confronti di due sorelle di Frasso Telesino, nel beneventano, venne ucciso il 19 luglio 2018 dai due a bordo di un’auto, con diversi colpi di pistola esplosi avanti l’abitazione di Matarazzo. Gli inquirenti incastrarono Massaro e Nasta grazie al segnale Gps, stabilendo che l’auto di uno dei due si trovasse proprio sul luogo del delitto, così come nei giorni precedenti il delitto. Inoltre i due killer vennero inchiodati anche da un testimone che riconobbe Nasta. Per il delitto di Matarazzo nel dicembre scorso era stato indagato anche il padre delle due ragazzine vittime degli abusi, ritenuto mandante dei due killer.

Cronache della Campania@2018

La Dda:’Ecco tutti gli appalti che il comune di Casapesenna ha dato al clan Zagaria’

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Il pm antimafia di Napol, Maurizio Giordano, nel corso della sua requisitoria al processo in corso nel Tribunale di Santa Maria Capua Vetere che vede tra gli imputati l’ex sindaco di Casapesenna Fortunato Zagaria, ha anche elencato alcuni appalti del Comune andati a ditte del clan, come quello per i lavori e la gestione del cimitero comunale, affidati in project financing a Nicola Fontana, imprenditore ritenuto colluso. “L’ex sindaco Zagaria – ha fatto notare Giordano – ha sempre detto che era l’ufficio tecnico a firmare, eppure per questo appalto ha ammesso di aver ampliato la concessione, dopo l’affidamento dei lavori, da 20 a 25 anni; e’ una cosa vergognosa”. Dal dibattimento e’ emerso anche il tentativo ordinato da Michele Zagaria ai suoi uomini di uccidere Zara; a raccontarlo e’ uno dei killer del boss, Michele Barone, che riferisce del progetto di attentato attraverso un “finto incidente stradale”, con Zara e la moglie pedinati a più riprese. Alla fine non se ne fece nulla, perché Zara era intanto diventato noto e dunque il boss decise che era meglio soprassedere. Determinanti, per questo processo, sono risultate le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia che avevano conoscenza diretta del legame tra il boss e l’ex sindaco, come Massimiliano Caterino, Generoso Restina e Michele Barone. Importante anche le dichiarazioni rese da Nicola Schiavone, figlio del boss Sandokan, qualche mese fa, deponendo al processo: “Noi del clan restammo un po’ interdetti quando fu eletto sindaco a Casapesenna Giovanni Zara, che era dichiaratamente contro la camorra”. Per la Dda di Napoli, Fortunato Zagaria, nel 2008, dopo una decade da sindaco, non potendo ricandidarsi vista la norma sui due mandati, decise di indicare Zara, allora giovane avvocato, come suo successore, ritenendo di poterlo controllare e continuare cosi’ a curare gli interessi del capoclan. Quando però Zara fu eletto, iniziò a sfuggire al controllo del suo predecessore, parlando a più riprese di legalità. Zara ha denunciato le intimidazioni subite da Fortunato Zagaria, come quella, di cui ha dato conto il pm nella requisitoria, avvenuta il primo ottobre del 2008 allo stadio di Casapesenna, il giorno dopo la nota in cui Zara auspicava la cattura dei boss Zagaria e Iovine. In quella circostanza Fortunato Zagaria incontro’ Zara e gli disse a brutto muso: “fai la fine di Tonino Cangiano”, ex assessore di Casapesenna gambizzato dalla camorra nel 1988 e morto nel 2009 dopo vent’anni passati sulla sedia a rotelle. L’ex sindaco Zagaria si è difeso dicendo che il vero motivo della rottura con Zara furono altri episodi, “frutto di spiegazioni kafkiane” ha detto il pm, tra cui la presunta lite sui vigili urbani, con Zagaria che voleva cacciare il Comandante, beccato a giocare al biliardino, mentre Zara – secondo lo stesso Zagaria – avrebbe voluto difenderlo; “non si può pensare che la rottura si sia consumata per un episodio del genere – ha detto il pm – quando il comune di Casapesenna era fortemente infiltrato, con funzionari e amministratori imparentati con il boss o i suoi fedelissimi”. “Zara – ha poi aggiunto – è persona perbene, mai indagata e per il quale non sono mai emerse collusioni, al netto dei tentativi della difesa di screditarlo con il riferimento a parentele con esponenti del clan”.

Cronache della Campania@2018

Omicidio Biancur, chiesta la conferma dell’ergastolo per Giovanni Buonanno di Marcianise

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Caserta. Chiesta la conferma dell’ergastolo al processo di secondo grado, in corso davanti ai giudici della Corte di Assise di Appello di Napoli per Giovanni Buonanno, 38 anni accusato di un delitto di camorra commesso 19 anni fa, quello di Andrea Biancur. L’imputato di Marcianise è libero. Per gli stessi fatti, quattro anni fa, era stato coinvolto il fratello maggiore, Pasquale Buonanno che si era accusato del delitto. La Procura chiese la condanna ma i giudici lo assolsero condannando il fratello minore per il quale invece era stata chiesta l’assoluzione. La sentenza è attesa per il 20 maggio prossimo.

Cronache della Campania@2018


Le pesanti accuse della Dda a Franco Alfieri, consulente del governatore De Luca

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Scambio elettorale politico-mafioso, concussione, violenza privata e minaccia, tutti aggravati dal metodo mafioso. Sono le pesanti accuse rivolte dalla Dda di Salerno a Franco Alfieri, candidato sindaco del Pd a Capaccio Paestum e consigliere del governatore De Luca per caccia, pesca e agricoltura. Le ipotesi di reato emergono dal decreto di perquisizione eseguito ieri dalla Dia di Salerno, diretta dal colonnello Giulio Pini, nei confronti dell’ex capo segreteria di De Luca. Un quadro investigativo scaturito dalle indagini sul presunto clan Marotta di Agropoli. La cosca degli zingari era stata travolta dall’inchiesta del Ros carabinieri di Salerno, sfociata in un blitz da 25 misure cautelari a novembre. Di quell’indagine, l’affaire Alfieri è un collegamento, sorto da un rimpallo tra le procure di Vallo della Lucania e Salerno. Nell’ambito dell’ultima vicenda, anche l’attuale sindaco di Agropoli, Adamo Coppola, risulta indagato per scambio elettorale politico-mafioso. E come il predecessore Alfieri, il primo cittadino è stato destinatario di perquisizioni in casa e negli uffici, concluse solo a tarda notte. Si tratta di un complesso intreccio di competenze e pronunce giurisdizionali, ancora senza sentenze definitive, sulla presunta mafiosità dei Marotta-Cesarulo. In origine, un carattere non riconosciuto a queste famiglie rom, dal gip di Salerno, che aveva trasmesso gli atti a Vallo della Lucania. La presenza di alcuni profili di interesse, tuttavia, aveva portato la procura cilentana a spedire alcune carte alla Dda. La “navetta” tra uffici giudiziari, quindi, aveva prodotto l’apertura di un fascicolo dell’anticamorra, affidato al pm Roberto Montemurro. Peraltro, i nuovi spunti non provengono da dichiarazioni dei collaboratori di giustizia. Adesso gli inquirenti puntano al capitolo delle infiltrazioni nel comune di Agropoli, dove Alfieri è stato sindaco per dieci anni, fino al 2017. Accertamenti che, in caso di riscontri, potrebbero condurre all’invio di una commissione d’accesso prefettizia. Quattro amministratori di Agropoli – tra i quali Alfieri – due anni fa erano incappati in una condanna definitiva alla Corte dei conti, per danno erariale da complessivi 40mila euro. Un procedimento avviato per il mancato utilizzo di alcuni beni confiscati. Immobili sottratti dallo Stato proprio ai Marotta, e rioccupati abusivamente da alcuni suoi esponenti. Intanto, nel giorno in cui al Senato arriva la riforma del reato di scambio elettorale politico-mafioso, con pene più alte, il M5S torna a chiedere il ritiro della candidatura di Alfieri. «Di fronte a un’accusa di questo tenore – si legge sul Blog delle stelle – ci chiediamo perché il Partito Democratico rimanga in silenzio. Vi ricordate chi era Franco Alfieri? Il fedelissimo del presidente della Regione Campania Vincenzo De Luca, che balzò agli onori delle cronache nazionali per quello che è stato definito il ‘patto della frittura di pesce?».

Cronache della Campania@2018

Castellammare: ecco tutte le accuse della Dda nei confronti di Adolfo Greco e i suoi presunti ‘alleati’

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Castellammare. Il rombo di un elicottero che volava basso sulle case dei Monti Lattari, i lampeggianti delle auto della squadra mobile di Napoli per le strade di Gragnano e Castellammare. Quella mattina, lo scorso cinque dicembre, era in corso un blitz che portò ad arresti eccellenti e che scosse l’intera città per il calibro delle persone coinvolte. Una vasta operazione nell’ambito dell’inchiesta denominata “Olimpo” che dal greco significa ostacolo, barriera, impedimento. Con questa inchiesta è stato smantellato un vero e proprio sistema criminale basato su estorsioni, minacce, detenzione di armi. Il tutto con l’aggravante del metodo mafioso. Destinatari di un’ordinanza di custodia cautelare quindici persone, tutti i vertici delle cosche locali in libertà furono arrestati. Tra le persone finite in carcere, in totale quindici di cui quattro ai domiciliari, anche il “Re del latte” Adolfo Greco, l’imprenditore stabiese ritenuto vittima del sistema ma anche complice allo stesso tempo. Per tutti il pubblico ministero, Giuseppe Cimmarotta, ha chiesto il giudizio immediato sulla base degli elementi raccolti nelle centinaia di pagine agli atti dell’indagine. La richiesta è stata accolta dal gip Tommaso Perrella e il processo si celebrerà il prossimo primo luglio al Tribunale di Torre Annunziata.
Carolei Michele, Carolei Raffaele, Greco Adolfo: perché, in concorso e in riunione tra loro, mediante minaccia concretatasi nella valenza intimidatoria derivante dalla nota riconducibilità dei Carolei al clan D’Alessandro, inducevano frollo Giovanni Bosco, titolare di una catena di supermercati e cognato di Adolfo Greco, ad assumere r
Carolei Domenico, figlio di Raffaele, presso la ditta “Cominvest S.r.l.”, appartenente al gruppo f ollo, procurandosi in tal modo un ingiusto profitto patrimoniale con corrispondente danno della persona offesa. In particolare, dapprima Carolei Michele, avanzava la richiesta di assunzione a Stefano frollo e a Longobardi Giovanni, addetto alle assunzioni nelle aziende del gruppo frollo, poi Carolei Raffaele faceva irruzione presso la ditta di Adolfo Greco per sollecitare l’assunzione, ed infine il Greco, facendo da mediatore, diceva al Longobardi: “tu hai capito, in mezzo alla via … quelli hanno ragione se la prendono con te .. Giovanni questa non è una cortesia che voi fate a me … io sono intervenuto a vostro favore … “.
Con l’aggravante dell’avere commesso il fatto avvalendosi delle condizioni previste dall’art. 416 bis c.p., nonché al fine di agevolare l’attività della organizzazione di stampo camorristico dei D’Alessandro, operante sul territorio di Castellammare di Stabia.
In Castellammare di Stabia in data immediatamente precedente all’assunzione avvenuta nel mese di novembre del 2015. B) OMISSIS C)OMISSIS

Martone Teresa per aver commesso un’estorsione ai danni di Adolfo Greco. La moglie del defunto capo del clan D’Alessandro si presentava presso la sede dell’azienda di Adolfo Greco chiedendo 5mila euro, in un primo momento, e poi una somma superiore dicendo “la madre si prende collera… i figli – diceva – si sono fatti grandi… avete capito?”
Paturzo Liberato e Di Vuolo Vincenzo per aver minacciato e commesso estorsioni ai danni di imprenditori impegnati nel settore edile. Inoltre a Paturzo Liberato viene contestata anche la minaccia al direttore del Banco di Napoli dopo che l’impiegato aveva rigettato una richiesta di fido per la società di Paturzo.
Nicola Esposito, referente del clan Cesarano, dovrà rispondere di estorsione con metodo mafioso ai danni di Adolfo Greco. Esposito aveva chiesto ad Adolfo Greco il versamento, a Natale e a Pasqua, di 5mila euro.
Di Martino Luigi, Cesarano Giovanni e Falanga Aniello dovranno rispondere di estorsione con l’aggravante del metodo mafioso. Dopo l’arresto di Nicola Esposito, Luigi Di Martino si era recato nell’impresa di Greco Adolfo chiedendo un pagamento mensile per i carcerati.
Di Martino Luigi e Di Somma Attilio dovranno rispondere anche di detenzione di detenzione di materiale esplosivo. Di Martino incaricò Di Somma a far esplodere una bomba carta contenente tra i 500 grammi e 1 chilogrammo di esplosivo davanti al supermercato Sole 365 di via Pietro Carrese per mettere a segno un estorsione ai danni del proprietario del supermercato che si era visto chiedere una somma di danaro che la società avrebbe incassato dopo un accordo con una piattaforma di distribuzione alimentare.
Cesarano Giovanni e Falanga Aniello per aver chiesto 50 euro per ogni apparecchiatura elettronica ad un imprenditore impegnato nella fornitura di apparecchi per il gioco d’azzardo impegnato nel territorio di Castellammare di Stabia e Pompei. Falanga Aniello dovrà rispondere anche di un’ estorsione ai danni di un ingegnere che stava seguendo i lavori in un condominio a Pompei.
Afeltra Raffaele, Afeltra Francesco, Cuomo Umberto, Giovanni Gentile e Greco Adolfo perché inducevano il titolare di un’attività commerciale a corrispondere somme di danaro al clan. In particolare Adolfo Greco consigliava all’imprenditore, dopo le istruzioni ricevuta da Afeltra Raffaele, Afeltra Francesco e Gentile Giovanni, di versare prima la somma di 5mila euro e poi quella di 50mila euro perché Afeltra Raffaele e Gentile Giovanni avrebbero potuto ucciderlo.

Cronache della Campania@2018

I nomi dei fratelli Del Re nell’inchiesta sull’omicidio di Santangelo o’ casalese

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I nomi dei due fratelli Armando e Antonio Del Re compaiono in un’inchiesta del Gico della Guardia di Finanza su un grosso traffico di droga gestito dal clan Amato-Pagano con altri clan della zona orientale di napoli con il sistema delle quote. In questo contesto si è registrato anche il plateale omicidio avvenuto la sera dell’11 dicembre scorso proprio mentre allo stadio San Paolo il napoli scendeva in campo e batteva il Liverpool in Champions League. E’ l’omicidio di Giuseppe Santangelo detto o’ casalese ucciso al rione Amicizia. In quella circostanza fu ferito gravemente anche il suo amico Fabio De Luca. La vittima era stata legata agli Amato-Pagano e poi era passato con i Mazzarella con i quali faceva i passaggi di mano di grossi quantitativi di droga. I due fratelli Del Re conoscevano la vittima come conoscevano Salvatore Nurcaro, il 32enne legato al clan Reale e quindi ai Rinaldi, che hanno tentato di uccidere il 3 maggio scorso in piazza Nazionale in un agguato in cui è rimasta ferita anche la piccola Noemi insieme con la nonna. I nomi dei due Del Re compaiono nell’inchiesta legata all’omicidio conseguenza di uno “sgarro” nel traffico di droga anche se il loro ruolo è coperto dal segreto dall’indagine ma il clamore mediatico del ferimento di Noemi sta facendo uscire fuori tutto il possibile sul coinvolgimento malavitoso dei due fratelli che risultano incensurati.E sul fronte delle indagini dell’ormai famoso agguato di piazza Nazionale emergono sempre più particolari dalle indagini. Infatti lo scorso 10 aprile Armando Del Re, era salito su un aereo che da Napoli lo avrebbe condotto ad Amsterdam per una visita di due giorni nella capitale olandese. Con lui c’erano altre tre persone tra cui Antonio Marigliano, (arrestato qualche settimana fa) e considerato dagli inquirenti uno degli affiliati di maggiore rilievo del clan Formicola e indicato da alcuni collaboratori di giustizia come reggente della cosca per alcuni periodi. Si tratta dell’organizzazione camorristica egemone a San Giovanni a Teduccio. Ed è proprio in quella stessa zona, il Rione Villa, feudo dei Formicola, che Armando Del Re “quotidianamente impegnato in una vasta attività legata al traffico di stupefacenti” a volte reperiva le sostanze da spacciare. E’ quanto ha ricostruito il Gip del tribunale di Nola nell’ordinanza che ha confermato la custodia in carcere per Antonio Del Re, fratello e presunto complice di Armando. Ci sarebbe proprio il legame tra i Del Re e gli affiliati al clan Formicola di San Giovanni a Teduccio alla base del movente che avrebbe spinto l’uomo a sparare in piazza Nazionale il 3 maggio. La vittima designata dell’agguato Salvatore Nurcaro, ancora ricoverato all’ospedale del Mare, è legata, come si diceva, al clan Reale del Rione Pazzigno di San Giovanni a Teduccio. Ed é proprio questa faida interna ai clan di Napoli Est ad aver aperto un faro sul movente. A tre giorni dall’agguato di piazza Nazionale, riporta il Gip, una fonte confidenziale riferiva che la causa dell’agguato a Nurcaro andava messa in relazione con un pestaggio fatto dallo stesso Nurcaro contro Stanislao Marigliano, figlio di Antonio, anche lui partito per Amsterdam con Del Re. Secondo la fonte, “l’esecutore materiale dell’agguato era da individuarsi in tale Armando di Secondigliano” che indica anche come l’autore anche di un altro omicidio commesso in un locale di Mergellina dove un ragazzo fu “colpito perché amante della moglie di Antonio Marigliano”.  Le immagini riprese dalle telecamere di videosorveglianza, gli spostamenti dei mezzi impiegati da Antonio e Armando Del Re prima e dopo l’agguato, le indagini condotte dopo il raid e la perfetta corrispondenza tra l’identikit dell’aggressore e le caratteristiche fisiche dell’arrestato, hanno poi permesso agli inquirenti di verificare che l’uomo identificato come “Armando di Secondigliano” fosse proprio Del Re. Antonio ed Armando Del Re, secondo quanto confermano le indagini svolte dalla guardia di finanza, sono coinvolti nel traffico di droga insieme a padre e figlio Marigliano e vantano rapporti con il clan Formicola di San Giovanni a Teduccio. Lo scorso 4 maggio, un giorno dopo il raid di piazza Nazionale, furono eseguiti 11 arresti a Napoli Est. Insieme ai 7 esponenti del clan D’Amico-Mazzarella,accusati dell’omicidio “dello zainetto” ovvero di Luigi Mignano, cognato del boss Ciro Rinaldi detto mauè ucciso appunto davanti al nipotino che accompagnava a scuola altre 5 persone furono arrestate per due omicidi commessi ad inizio anni Duemila. Tra questi c’è proprio Antonio Marigliano che era stato detenuto ininterrottamente dal 2005 al 2014 prima di beneficiare della detenzione domiciliare e l’affidamento in prova ai servizi sociali fino all’agosto 2015

Cronache della Campania@2018

Venti anni di carcere ad Anna ‘a masculona: portò ‘la battuta’ per l’omicidio del fratello del boss

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E’ stata condannata a 20 anni di carcere Anna Esposto detta a masculona un passato seppur breve da attrice. E’ accusata di aver portata “la battuta” al commando di killer che il 10 febbraio del 2007 uccise Antonio Papale, fratello del boss Mario. La Esposito è stata giudicata in un processo con il rito abbreviato e quindi ha ottenuto uno sconto di pena. La donna era al servizio del boss Vincenzo Oliviero detto “Il papa buono” all’epoca reggente della cosca dei Birra-Iacomino nemiici degli Ascione Papale. I killer erano stati presi in prestito dai Gionta e dai Lo Russo, . Fu lei a dare l’ok ai killer per farli entrare in azione al corso Resina. Quando l’auto con a bordo Antonio Papale arrivò sul corso fu crivellata da proiettili e per lui non ci fu scampo. In appello per questo omicidio sono già stati condannati Stefano Zeno, reggente dei Birra-Iacomino, Francesco Zavato e Michele Chierchia a 30 anni, Raffaele Perfetto, Vincenzo Bonavolta e Ciro Uliano a 20 anni, Michele De Crescenzo a 16 e il pentito Francesco Ruggiero a 12. Lo stesso giorno, a Terzigno furono uccisi i fratelli Marco e Maurizio Manzo. Per l’omicidio Papale, anche in appello sono arrivate pesanti condanne per gli esecutori materiali: Stefano Zeno, reggente dei Birra-Iacomino, Francesco Zavato e Michele Chierchia a 30 anni, Raffaele Perfetto, Vincenzo Bonavolta e Ciro Uliano a 20 anni, Michele De Crescenzo a 16 e il pentito Francesco Ruggiero a 12.

Cronache della Campania@2018

La Cassazione conferma il carcere duro per il boss dei casalesi

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Niente annullamento della proroga del regime di carcere duro per il boss dei Casalesi Oreste Reccia. Per il 50enne di San Cipriano d’Aversa, ritenuto fino al suo arresto compiuto nel giugno 2012 al vertice della cosca Venosa-Zagaria-Iovine, i giudici della Cassazione hanno respinto il ricorso presentato dagli avvocati difensori.
Come riporta ‘Cronache di Caserta’, nei confronti di Reccia era scattato anche il sequestro di alcune lettere spedite dal carcere in cui era recluso in regime di detenzione ordinaria: secondo la Dda erano la prova che il boss impartiva ordini anche dalla casa circondariale. Un pericolo, quello di guidare il clan anche da dietro le sbarre, da impedire con la reclusione al 41bis. Così due anni fa la decisione dell’inasprimento del regime carcerario disposta dal Ministero della Giustizia, confermato dalla Cassazione.

Cronache della Campania@2018

Napoli, uccise l’amico per vendicare l’onore di famiglia: 30 anni di carcere a Gaetano o’ chiatto, il figlio del boss Formicola

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La Corte di Assise di Appello di Napoli ha condannato a 30 anni di reclusione il baby boss Gaetano Formicola detto o’ chiatto e suo cugino Giovanni Tabasco detto birillino al termine del processo di secondo grado sull’omicidio del loro amico Vincenzo Amendola, assassinato a colpi di pistola il 5 febbraio 2016 e seppellito in un terreno, nella zona di San Giovanni a Teduccio. In primo grado il rampollo del clan e suo cugino vennero condannati all’ergastolo. Sia il baby boss che Tabasco hanno di recente confessato l’atroce delitto dell’amico messo in pratica dopo averlo attirato in una trappola. A dare una svolta alle indagini e a consentire il ritrovamento del cadavere, una ventina di giorni dopo l’omicidio, fu Gaetano Nunziato. Per timore di fare la stessa fine di Amendola dopo un lungo interrogatorio in Questura il giovane rivelò agli investigatori il luogo dove l’amico era stato seppellito. Amendola sarebbe stato ucciso per mettere fine alle voci che circolavano nel quartiere relativamente a una presunta relazione che il giovane stava intrattenendo con la mamma del baby boss, sposata con il detenuto Antonio Formicola, elemento di spicco dell’omonimo clan. 

Cronache della Campania@2018

Giudici arrestati a Salerno, ‘mozzarelle’ per soddisfare la ‘fame di soldi’: ecco come funzionava alla Tributaria

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corruzione-salernoSalerno. ‘Fame di soldi’ e linguaggio in codice: ecco il sistema organizzato da due giudici della commissione Tributaria di Salerno per pilotare cause ed evitare a noti imprenditori il pagamento di milioni di euro. Il sistema svelato dagli uomini della Guardia di Finanza, coordinati dai sostituti procuratori Elena Guarino e Luigi Lucio Caccavale ha portato stamane a 14 arresti, due giudici della commissione tributaria F. S. e G.D.C, due dipendenti amministrativi, sei imprenditori e quattro consulenti fiscali, tutti incensurati, con l’accusa di corruzione in atti giudiziari. “Una fame di denaro tale da rinviare un delicatissimo intervento chirurgico” pur di non mancare in udienza per decidere una causa che si doveva ‘pilotare’. Durissimo il Gip di Salerno, Pietro Indinnimeo, nell’ordinanza notificata stamane, nel descrivere la condotta di uno dei due giudici arrestati. Un’ordinanza emessa dal gip in “tempi rapidissimi”, ha sottolineato in conferenza stampa il procuratore capo facente funzioni di Salerno, Luca Masini, per una “indagine che ha consentito di disvelare un sistema corruttivo pericolosissimo e dannosissimo per lo Stato”. L’indagine “rappresenta solo la punta di un iceberg”, scrive ancora il gip, e per il procuratore aggiunto di Salerno, Luigi Alberto Cannavale, c’è la “tristezza il dover colpire chi ha messo una funzione di giustizia per interessi personali”. Masini sottolinea che la procura della Repubblica “ha dovuto necessariamente, per interrompere le attività criminose, depositare e concludere anzitempo le indagini perché le fattispecie corruttive erano via via programmate quotidianamente di giorno in giorno”. Nell’ordinanza, inoltre, si fa riferimento, ha detto il comandante provinciale della Guardia di Finanza di Salerno, generale Danilo Petrucelli, “alla sera del 23 novembre del 2018. Quella sera, dopo una sentenza, i due impiegati erano a cena al ristorante con l’amministratore delegato di un’azienda per festeggiare”. Il passaggio di denaro avveniva sempre in contanti, il giorno prima della decisione della commissione Tributaria ed in luoghi particolari, quali l’ascensore della commissione. Gli importi pagati ai due giudici per ottenere le sentenze favorevoli oscillavano tra i 5 e i 30 mila euro. Allo stato, sono state individuate dieci procedure il cui iter é stato condizionato dalla corruzione. Complessivamente, da una prima stima, le imposte evase, gli interessi maturati e le sanzioni amministrative annullate con le decisioni condizionate dalla corruzione ammontano a circa 15 milioni di euro. Una società di Siano, ad esempio, ha ottenuto, tramite la corruzione, la cancellazione di un debito di oltre otto milioni di euro; per un’altra, di Salerno, invece, la somma contestata ed annullata raggiungeva quasi il milione di euro. Oltre ai provvedimenti cautelari sono state eseguite perquisizioni anche negli uffici della Commissione Tributaria e nelle abitazioni e negli studi di altri professionisti indagati la cui posizione e in corso di valutazione. Ad uno dei due dipendenti della Commissione Tributaria, sono stati rinvenuti e sequestrati oltre 50 mila euro in contanti. Gli imprenditori erano tutti del Salernitano, tranne uno dell’Avellinese. Gli indagati secondo quanto accertato dagli inquirenti utilizzavano un linguaggio in codice. I ricorsi tributari da ‘aggiustare’ diventavano “comprare una macchina”, invece, il denaro prezzo della corruzione “mozzarelle”.

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Napoli, Nurcaro migliora ed è stato interrogato. Il padre intercettato: ‘A piazza Nazionale ti sei andato a mettere in bocca ai lupi…’

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Napoli. A quesi due settimane dall’agguato di piazza Nazionale è uscito dalla fase critica anche il pregiudicato Salvatore Nurcaro, il 31enne legato al clan Reale del Rione Pazzigno vero obiettivo dell’agguato in cui sono rimaste ferite anche la piccola Noemi e la nonna. Nurcaro, attualmente ricoverato all’Ospedale del Mare e dove sarà sottoposto a una Tac di controllo, potrebbe essere dimesso nei prossimi giorni. Nurcaro era stato trasportato all’ospedale Loreto Mare, dove è stato sottoposto alle prime cure, prima di essere trasferito all’Ospedale del Mare. Intanto continuano le indagini sui due fratelli Armando e Antonio Del Re in carcere da cinque giorni perché ritenuti esecutore materiale e oragnizzatore e complice dell’agguato. I due figli del noto pregiudicato Vincenzo a’ pacchiaina noto narcos legato prima ai Di Lauro di Secondigliano e poi al clan Amato Pagano avrebbero agito per vendicare un affronto subito dal boss Antonio Marigliano detto o’ silano (un carcere da due settimane) esponente di primo piano del clan Formicola al quale lo stesso Nurcaro avrebbe picchiato il figlio ma anche per motivi di debiti dovuti ai passaggi di mano nel traffico di droga. Nurcaro come sta emergendo dalle indagini, sarebbe stato attirato in una trappola da una donna che conosceva, una sua parente. Si tratterebbe della giovane moglie di un pregiudicato imparentato con loro e che si era anche presentata in ospedale subito dopo l’agguato. Mario Nurcaro, il padre del pregiudicato ferito, in una telefonata intercettata con un suo amico di nome Franco racconta: “Poi è andata pure questa ragazza… la nipote di Antonio ‘o Silano. È venuta qua, mi ha telefonato, ‘Hanno sparato a Salvatore, ha detto… adesso vengo, vi porto il bambino. E dico io: vai pure in ospedale? Dice che Totore (Nurcaro, ndr) l’ha guardata, gli ha detto ‘Infame, vedi di andare via!’… Non lo so Francò, se sono stati loro hanno fatto la cattiveria più grande del mondo”.

Era guardingo negli ultimi tempi, temeva per la sua vita, Salvatore Nurcaro. In un’altra telefonata intercettata subito dopo l’agguato tra il padre di Nurcaro e un amico di nome Ciro si capiscono gli scenari in cui è maturata la mancata sentenza di morte. Si tratta ovviamente di ipotesi investigative delle tre pm titolari del fascicolo, Fratello, Rossi e Sanseverino, coordinate dal procuratore aggiunto antimafia Giuseppe Borrelli. ”No papà io mi sono scoccia­to di pagare l’albergo. Bello e buono veniva e mi diceva: “A me non me ne fotte niente se mi ucci­dono…Ma com’è, tu per esempio volevi fare una cosa…solo tu andavi da uno, da un altro e da un altro, poi per esempio si è preso i soldi e gli assegni dei figli del ‘Silano’, hai capito cosa dico io, quell’altro infame del parente nostro dice che è andato dietro alla cappella vicino a mio figlio Salvatore dicendo il problema sei tu, poi a chi vedo …a chi vado a pensare io, guarda, Cirù, sto dalle quattro del giorno, sono scioccato, hai capito, ma proprio qua, vuoi stare in mezzo alla via …Tu andavi di qua, sopra al Pallonetto, sopra ai Quartieri, a Napoli, a piazza Mercato, Ponticelli, San Giovanni, San Giorgio, hai capito cosa dico io? Hai capito che dico io, che ha combinato? Mò per esempio hai capito, Cirù, mi deve morire mio figlio Luca, altrimenti non devo vedere i miei figli, tanto stanno tutti e tre, ma talmente scemo con questi qua, hai capito, Cirù “o frat’ ”, perché là è la cosa che io mi arrabbio, tu…stanno questi chiari di luna, tu ti vai a mettere per esempio con i fratelli cugini tuoi e sei andato a fermare a uno, a uno, a uno a San Giovanni, servono i soldi, hai capito cosa dico io…Ma poi piazza Nazio­nale?… ti sei andato a mettere in boc­ca ai lupi”.

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Inquinamento, al via il processo Fonderie Pisano: gli imputati chiedono tutti l’abbreviato. Costituite 46 parti civili

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Salerno. Inquinamento: al via il processo per le Fonderie Pisano, lo stabilimento salernitano al centro di un’inchiesta per l’impatto ambientale e inquinante nel quartiere di Fratte. Stamane davanti al Gup Maria Zambrano ha preso il via il processo nel quale tutti gli imputati hanno scelto di essere giudicati con rito abbreviato, il giudice ha ammesso la costituzione di 46 parti civili. A processo, ci sono Guido, Ugo e Renato Pisano, consiglieri di amministrazione e co-amministratori delle Fonderie Pisano spa, Ciro Pisano, direttore tecnico delle Fonderie, Antonio Setaro, direttore del settore provinciale di Salerno Ecologia, Tutela dell’Ambiente, Disinquinamento, Protezione Civile della Regione Campania e sottoscrittore del decreto dirigenziale del 2012 di rilascio dell’Autorizzazione Integrate Ambientale alle Fonderie Pisano e Luca Fossati, tecnico di parte redattore della relazione tecnica allegata all’istanza di rilascio dell’Aia del primo agosto del 2011. Fossati e Setaro, secondol’accusa, avrebbero procurato ai titolari delle Fonderie Pisano un ingiusto vantaggio patrimoniale rilasciando il decreto Aia del 2012, ritenuto dagli inquirenti sia “illegittimo”, sia “perché fondato su documenti contenenti false attestazioni”. Guido, Renato, Ciro e Ugo Pisano, secondo la ricostruzione dei tre sostituti procuratori Mariacarmela Polito, Silvio Marco Guarriello e Carlo Rinaldi, sarebbero responsabili di illeciti ambientali. Tra questi, il superamento dei valori limite di emissione; lo scarico di acque reflue industriali nel fiume Irno; lo smaltimento illecito di rifiuti speciali, pericolosi e non; l’emissione in atmosfera in assenza dell’Aia; la diffusione in atmosfera di emissioni nauseabonde; la mancata richiesta di rilascio del certificato di prevenzione incendi.
Tra le parti civili ammesse, il ministero dell’Ambiente e i Comuni di Salerno, Baronissi e Pellezzano, oltre a diverse associazioni, tra le quali il Codacons e il comitato ‘Salute e Vita’ che si batte, da anni, per la delocalizzazione delle Fonderie. Nonostante le promesse non si è costituita come parte civile la Regione Campania e l’assessorato all’Ambiente. Il processo dovrebbe concludersi il 14 gennaio del prossimo anno, con la pronuncia del gup.

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Scontri Inter-Napoli, incarico al Ris per le fibre trovate sotto un’auto che avrebbe ucciso Belardinelli

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Milano. Perizia sulle fibre trovate sotto l’auto del tifoso napoletano indagato per la morte di Daniele Belardinelli. Il gip di Milano Guido Salvini ha dato al Ris di Parma l’incarico di analizzare le fibre tessili ritrovate sotto una delle auto su cui si stanno concentrando le indagini. Nel corso di un aggiornamento dell’incidente probatorio (in corso da alcune settimane), che si è tenuto oggi alla presenza dei pm e degli avvocati degli indagati, il giudice ha incaricato il perito di confrontare le fibre tessili presenti nell’imbottitura del giubbotto (un piumino) del tifoso, morto in ospedale dopo essere stato travolto dall’auto, con le tracce di tessuto ritrovate sotto la vettura al centro delle indagini, una Renault Kadjar. L’ipotesi dei magistrati è che sia stata proprio quest’auto – a bordo c’erano 4 ultras napoletani e il guidatore più volte non ha risposto ai pm in questi mesi – a schiacciare il tifoso. Stando ai rilievi effettuati finora alla presenza dei consulenti delle difese, questa vettura presenterebbe anche segni compatibili con l’investimento. La relazione finale, con analisi genetiche, dovrebbe essere depositata a giugno nell’inchiesta per omicidio volontario condotta della Digos e coordinata dall’aggiunto Letizia Mannella e dai pm Rosaria Stagnaro e Michela Bordieri.

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Matachione, ‘molto rumore per nulla’: assolto ‘perché il fatto non sussiste’

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Molto rumore per nulla per parafrasare Shakespeare. E così dopo cinque anni di guai giudiziari l’ex “re delle farmacie” è stato assolto perché “il fatto non sussiste”.Era accusato di evasione fiscale. Una evasione inizialmente stabilita intorno ai nove milioni di euro e poi rideterminata a due. Il pm che che aveva incardinato l’inchiesta e il processo, Sergio Raimondi, prima di lasciare la procura di Torre Annunziata nei mesi scorsi aveva chiesto 3 anni di carcere e la confisca dei beni di Matachione. Ma la determinazione del suo difensore, l’avvocato Elio D’Aquino, nel condurre il processo e nello smontare pezzo per pezzo il castello accusatorio hanno fatto cadere tutto. Già nei mesi scorsi si erano registrate delle avvisaglie positive per Matachione, quando il giudice monocratico Riccardo Sena, che oggi ha emesso la sentenza di assoluzione, aveva accolto la richiesta dell’avvocato D’Aquino di avere una nuova perizia di un esperto contabile. Perizia determinante ai fini dell’assoluzione tanto che oggi lo stesso pm Giuseppe Borriello ha chiesto che Matachione non venisse condannato. Con l’ex re della farmacie sono stati assolti anche due suoi coimputati e titolari di farmacie nella zona vesuviana riconducibili a Matachione, ovvero Teresa Di Martino e Vincenzo Coppola difesi dagli avvocati Pasquale Coppola e Francesco Morello. Soddisfazione ed emozione è stata espresso da Matachione al termine dell’udienza per l’assoluzione.

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Caserta, ex dirigente del Pd condannato per stalking

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Noto imprenditore di Caserta, G.C. 64 anni, ex  dirigente provinciale del Pd, ex gestore di un noto albergo sul viale Carlo III è stato condannato in Cassazione ad 1 anno e 8 mesi per il reato di stalking. In primo grado su di lui pendeva una pena a sette anni e sei mesi per l’accusa di violenza sessuale a maltrattamenti ai danni di una donna di Ruviano , una sua ex dipendente, da cui è  stato assolto in secondo grado. Il giudice della Corte di Appello di Napoli, lo scorso anno,  lo ha condannato ad 1 anno e 8 mesi solo per stalking. Pena che è stata confermata oggi dalla Cassazione.  La vittima lo aveva accusato di averla chiusa a chiave per ore in un appartamento di  Capua dove l’avrebbe minacciata di morte. La ragazza raccontò di aver iniziato una relazione con l’uomo, ma i problemi sono iniziati quando lei avrebbe voluto interrompere la relazione. A quel punto sarebbe stata anche minacciata di diffondere loro foto e video nell’intimità e di volersi recare a casa della donna per svelare la relazione al marito di lei.   Dopo la condanna in  secondo grado vi è stato il ricorso in Appello presentato dagli avvocati Agostino Imposinato e Carlo De Stavola che non è  stato accolto quindi confermata la pena  ad 1 anno e 8 mesi. La parte civile è stata rappresentata dagli avvocati Mauro Iodice e Olimpia Rubino.

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