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Channel: Cronaca Giudiziaria
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Depredevano le case in tutta la Campania: chiesti quasi 70 anni di carcere per la banda di Mario Falanga

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Si avvia alla conclusione il processo che vede sul banco degli imputati la banda di topi di appartamento composta da italiani e romeni, che la scorsa estate ha messo a segno furti tra le province di Napoli, Caserta, Salerno e Avellino, che fu sgominata dai carabinieri di Torre Annunziata. Sentenza prevista per il 12 Luglio, con altra udienza interlocutoria prevista per il 26 giugno, quando discuteranno i difensori degli imputati.Le indagini evidenziarono che i «topi di appartamento» eseguivano dei sopralluoghi prima di entrare in azione, per studiare la «pericolosità» delle case da svaligiare e per organizzarsi. Poi, in batterie composte da 4 o 5 elementi, partivano su macchine con targa straniera per fare razzia di gioielli, denaro, televisori o attrezzature agricole. I carabinieri scoprirono addirittura che i malviventi rivendevano il materiale di cui facevano razzia ai mercatini domenicali dell’usato. In una occasione i militari bloccarono la Fusco Giovanna mentre rivendeva il materiale rubato al mercato di Boscotrecase. In soli quattro mesi, tra maggio e agosto dello scorso anno, i componenti della banda di ladri specializzati in furti negli appartamenti hanno messo a segno trenta colpi. Furti avvenuti sia di giorno sia di notte e anche alla presenza negli appartamenti presi di mira dei legittimi proprietari.Durante le indagini condotte dai militari dell’Arma era stato inoltre possibile procedere all’arresto in flagranza di due autori di furto in un’abitazione in provincia di Salerno e alla successiva individuazione di tre complici, che inizialmente erano riusciti a darsi alla fuga.Oggi il pm ha chiesto condanne “pesanti” per tutti i sodali dell’associazione, chiedendo pene esemplari per Falanga Mario e la nipote Giovanna Fusco (entrambi difesi dall’avvocato Donato De Paola). Per loro il pm ha chiesto una condanna, rispettivamente, ad anni 10 per quello che viene individuato come il promotore del gruppo. Per la nipote, Fusco Giovanna l’ufficio di procura ha chiesto una condanna di 8 anni, ritenendola il braccio operativo dello zio Mario ed organizzatrice del sodalizio. Richiesta una condanna esemplare anche per Mutuliga Nicolae Ilie per il quale la richiesta è stata di 10 anni, figura di vertice dell’associazione. Per gli esecutori dei furti, Panariello Aniello ( difeso dall’avvocato Gennaro De Gennaro) e Cervero Giuseppe ( difeso dall’avvocato Gennaro Toscano) il PM ha chiesto una condanna di 6 anni. Per l’altro esecutore dei furti Carbone Carmine ( difeso dall’avvocato Antonio Iorio) la richiesta è stata leggermente più bassa ovvero di 5 anni e 6 mesi. È andata meglio alla sorella del Falanga Mario, Maddalena, per la quale il PM ha chiesto una condanna di 3 anni e 6 mesi. Per Paduano Ferdinando ( anche  egli difeso dell’avvocato Gennaro De Gennaro) la richiesta di condanna dell’ufficio di procura è stata di 4 anni. Stessa condanna è stata richiesta per Trifan Gabriel, rumeno, difeso dall’avvocato Vincenzo Salomone.Ora la parola spetta ai difensori che dovranno smantellare le gravi accuse che vengono mosse ai loro assistiti e controbattere alle accuse della procura oplontina.

Cronache della Campania@2018


Partita la richiesta di estradizione per il giovane narcos Bellopede arrestato ieri in Spagna

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Sono già partite le operazioni di estradizione dalla Spagna del giovane narcos del clan Vigilia, Antonio Bellopede, arrestato ieri a Ibiza dai carabinieri insieme con la polizia spagnola. Antonio Bellopede, classe 1996, era ricercato dal 2018, quando era riuscito a sfuggire a un’ordinanza di custodia cautelare in carcere eseguita nei confronti di 33 soggetti ritenuti inseriti o vicini, al gruppo dei Vigilia di Soccavo. E’ accusato di associazione di tipo mafioso, associazione finalizzata allo spaccio di stupefacenti, estorsione, rapina nonché di detenzione illegale e
ricettazione di armi da sparo. Il provvedimento cautelare fu emesso dopo indagini dei carabinieri coordinate dalla
Direzione distrettuale antimafia di Napoli iniziate dopo l’omicidio di camorra di Rosario Grimaldi che avvenne a
Seccavo nel luglio 2013. Quelle indagini hanno permesso di documentare l’ascesa del clan Vigilia nel quartiere dopo
la sua scissione dal gruppo dei Grimaldi. Nelle 694 pagine dell’ordinanza cautelare firmata dal gip Chiara Bardi del Tribunale di Napoli su richiesta del pm Francesco De Falco della Dda di Napoli viene ricostruita la storia della camorra di Soccavo e la scissione dei Vigilia e l’alleanza con i Sorianiello, a loro volta diventati autonomi dopo l’uccisione di uno dei figli del boss Alfredo o’ biondo. Centinaia di intercettazioni telefoniche e ambientali, il racconti dei pentiti Salvatore Romano muollo muollo , Pasquale Pesce e Pasquale Esposito junior hanno contribuito a delineare ruoli e alleanze dei clan di Soccavo nel traffico di droga anche verso la Puglia e in modo particolare a Foggia, ma anche le estorsione e il traffico di armi.I militari accertarono l’operatività del clan e individuarono il reggente in Alfredo Vigilia Junior, figlio di Alfredo Le accuse per indagati, a vario titolo, erano quelle di associazione di tipo mafioso e associazione finalizzata alto spaccio di stupefacenti detenuto dal 2009. Dalle intercettazioni telefoniche emerge chiaramente la partecipazione al gruppo di spacciatori di Soccavo da parte del giovane Antonio Bellopede, figlio di Ciro storico affiliato alla cosca, fin da quando era ancora minorenne. Il giovane era al servizio del capo piazza Giuseppe Mazziotti e insieme con Marco Chianes e Francesco Mazziotti, fratello di Giuseppe, gestivano in proprio una piazza di spaccio. Bellopede era addetto al rifornimento e alla consegna.

Cronache della Campania@2018

Camorra, chiesti 7 ergastoli per il duplice omicidio di ‘Ultimo’ Cepparulo e dell’innocente Ciro Colonna

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Richiesta di condanna all’ergastolo per le sette persone imputate per l’agguato di camorra avvenuto a Ponticelli nel giugno del 2016 in cui vennero ammazzati il boss della Sanità, Raffaele Cepparulo detto ‘Ultimo’ (vero obiettivo del raid) e l’innocente Ciro Colonna, di 19 anni. Il pubblico ministero antimafia Antonella Fratello ha chiesto il carcere a vita per il boss Ciro Rinaldi di San Giovanni a Teduccio (indicato come mandante), Michele Minichini (esecutore materiale), Antonio Rivieccio (esecutore materiale), Anna De Luca Bossa (‘filatrice’), Vincenza Maione, Giulio Ceglie, Cira Cepollaro e Luisa De Stefano. Il pm ha chiesto al giudice per le indagini preliminari di non concedere attenuanti agli imputati. L’agguato si consumò all’interno di un circoletto ricreativo nel Lotto 0. Ciro Colonna stava giocando a biliardino con un’amica quando i killer fecero irruzione, uno dall’ingresso principale e l’altro dal retro. A sparare a Colonna, secondo la ricostruzione, fu Rivieccio, mentre Minichini sparò a Cepparulo.

Cronache della Campania@2018

Era al mare il boss latitante Arturo Sparandeo: deve scontare 15 anni di carcere

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Si era dato alla latitanza da quando aveva avuto saputo di essere stato condannato definitivamente a quasi 15 anni di carcere ma nella notte il pluripregiudicato Arturo Sparandeo, 52 anni di Benevento è stato catturato nella località marina di Campomarino in provincia di Campobasso dai carabinieri del Nucleo Investigativo del Comando Provinciale di Benevento con l’ausilio dei militari della Compagnia di Termoli. Sparandeo dovrà scontare la pena di 14 anni, 7 mesi 7 e 21 giorni di reclusione per i reati di associazione di stampo camorristico finalizzata al traffico e spaccio di sostanze stupefacenti, incendio, rapina, estorsione, danneggiamento, usura, porto e detenzione armi. L’uomo, avuto sentore delle decisioni della Suprema Corte di Cassazione, si era allontanato dal capoluogo sannita facendo perdere le proprie tracce e rendendosi irreperibile. Avviati i servizi per la sua localizzazione i carabinieri di Benevento hanno avviato una serie di controlli, appostamenti, pedinamenti e monitoraggio, riuscendo ad individuarlo e a catturarlo con un blitz in casa durante la notte. Sparandeo è stato quindi rinchiuso nella casa circondariale e di Reclusione di Larino, in provincia di Campobasso.

Cronache della Campania@2018

Ucciso mentre dormiva, indiano condannato a 30 anni di carcere

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Eboli. E’ stato condannato a trent’anni di carcere per l’omicidio di un connazionale e suo collega di lavoro, Harmanded Singh, al termine dell’udienza preliminare dinanzi al gup del tribunale di Salerno. La vittima era Lakhvor Singh, morto per dieci coltellate tra collo e torace. Sessantuno quelle contate in totale dal medico legale. L’imputato ha sempre negato di essere stato lui l’autore dell’omicidio, spiegando che quelle ferite la vittima se l’era provocate da solo, con dei cocci di bottiglia.

Cronache della Campania@2018

Fece uccidere due testimoni, il boss Belforte eviterà l’ergastolo: l’omicidio avvenne prima dell’istituzione della Dda

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Caserta. Era l’11 novembre del 1986 quando Salvatore Belforte di Marcianise, capo del clan dei Mazzacane ed ex collaboratore di giustizia, fece uccidere Orlando Carbone, un testimone scomodo. A distanza di 33 anni si sta celebrando il processo ma Belforte secondo l’avvocato Piccolo che lo difende non può essere processato dalla Corte d’Assise e non potrà essere condannato all’ergastolo perché l’omicidio è avvenuto prima che fosse istituita, nel 1991, la Direzione distrettuale antimafia. Colpo di scena per un procedimento a carico del boss Salvatore Belforte di Marcianise ed ex collaboratore di giustizia. Il boss, secondo la difesa, non dovrà essere giudicatodinanzi al tribunale di Napoli e alla Direzione Distrettuale Antimafia ma dovrà essere processato per l’omicidio di Orlando Carbone con il rito ordinario con i giudici competenti territorialmente e con legge in vigore all’epoca dei fatti. “Orlando l’ho ucciso era un testimone scomodo a soli 20 anni qualche giorno dopo la strage di San Martino avvenuta a Marcianise l’11 novembre 1986”. La confessione era arrivata proprio da Belforte nel periodo in cui è stato collaboratore di giustizia. In quegli anni non era stata istituita ancora la Dda  e non erano stati introdotti i reati collegati alla criminalità organizzata cioè le associazioni di tipo mafioso. Il magistrato Giovanni Falcone contribuì in modo significativo alla costituzione dell’attuale sistema investigativo antimafia prima della sua uccisione. Decreto del novembre del 1991 convertito in legge nel gennaio del 1992. Quindi il procedimento per Belforte, con episodi antecedenti  al 1992,  seguirà il vecchio rito ordinario e potrà chiedere, come anticipato dalla difesa, il rito abbreviato. Rito alternativo, con sconto di un terzo della pena non consentito, invece, con la recente legge proprio per gli omicidi di mafia. I resti delle ossa di Orlando Carbone furono fatti ritrovare nelle campagne di Marcianise nell’aprile del 2015 proprio da Belforte, a pochi mesi dalla sua collaborazione. Carbone fu ucciso a soli 20 anni insieme a un’altra persona, Giuseppe Tammariello. ‘Pinuccio o’ romano’ classe 1932, invalido in quanto gli mancava un braccio non è stato trovato nulla. Fu sciolto nell’acido, sotterrato e interrato nel cemento. Il giudizio sulla attendibilità di Salvatore Belforte è cambiato un anno fa quando gli stessi pm della Dda di Napoli hanno capito che il boss non diceva tutta la verità soprattutto su alcuni fatti di sangue e d’onore della famiglia Mazzacane come la sparizione e l’uccisione di una donna sparita nel nulla perchè amante del fratello di Belforte.

Cronache della Campania@2018

Spaccio di droga a Scafati, sconto di pena per Matteo Albano e il suo complice

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Scafati. Spaccio di cocaina: sconto di pena per Matteo Albano e il complice Angelo Sorrentino. E’ stata rideterminata la pena, su richiesta dell’avvocato Gennaro De Gennaro, per il noto pluripregiudicato scafatese Matteo Albano della famiglia dei ‘benedetti’, condannato con rito abbreviato a 5 anni di reclusione per detenzione e spaccio di stupefacenti e il suo complice. I due soggetti furono arrestati in flagranza di reato dai carabinieri di Scafati che attuarono un lungo servizio di osservazione, culminato nel ritrovamento ai primi di ottobre 2017 di oltre 200 grammi di cocaina purissima e di crack pari a 666 dosi singole, nascoste sotto le tegole di una casa abbandonata adiacente alla roccaforte degli Albano. I due pluripregiudicati, avevano riportato una condanna inflitta dal Gup Alfonso Scermino di 5 anni di reclusione, nonostante la gravità delle accuse ed al quantitativo sequestrato, ottenendo l’esclusione di tutte le aggravanti contestate sebbene Albano annoverasse un lungo ventennio di carcere alle spalle per reati della stessa specie e due condanne per associazione dedita al traffico di stupefacenti. Il difensore di Albano e di Sorrentino, l’avvocato Gennaro De Gennaro, sfruttando la sentenza della corte costituzionale n.40/19 ha avanzato proposta di rideterminazione della pena, riuscendo ad ottenere un’ulteriore riduzione di un anno, con una condanna finale di anni 4 nonostante l’ingente quantitativo. Il GIP del Tribunale di Nocera inferiore ha accolto l’istanza ed ha ridotto la pena a 4 anni.

Cronache della Campania@2018

‘Se mi succede qualcosa sapete da che parte andare’, Nurcaro aveva paura

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“Se mi succede qualcosa sapete da che parte andare”. E’ Salvatore Nurcaro (la vittima mancata dell’agguato di piazza Nazionale in cui sono rimaste ferite anche la piccola Noemi e la nonna) che al telefono (intercettato) si sfoga con un familiare. E’ questa una delle piste e delle ipotesi che porta gli investigatori a pensare quale sia il movente per il quale Armando Del Re (che si professa innocente) avrebbe tentato di ucciderlo. Doveva colpirlo in faccia in segno di spregio perché avrebbe commesso l’affronto di picchiare il figlio di un boss di San Giovanni a Teduccio. Nurcaro infatti avrebbe picchiato Antonio Marigliano, figlio di Stanislao, esponente di primo piano del clan Formicola e al quale Del Re sarebbe legato da vincoli di amicizia.Ma non è l’unica pista seguita: c’è anche quella che sembra quella più probabile di un grosso debito che Nurcaro aveva nei confronti di Del re che nei giorni precedenti all’agguato lo avrebbe cercato e telefonato con insistenza. Il presunto killer ha confermato di conoscere Nurcaro perché frequentano lo stesso bar nella periferia Orientale di Napoli ma di non avere mai avuto contatti o fatto affari con lui. Su questo gli inquirenti avrebbe delle prove che lo confermerebbero. Ma come si è arrivati alla sua cattura e soprattutto all’individuazione attraverso i filmati del tragitto della Benelli Gialla e “Dell’uomo nero” il pomeriggio del 3 maggio scorso? C’è una testa che avrebbe fornito agli investigatori tre numeri della targa della famosa Benelli gialla su cui scappa dal luogo dell’agguato l’uomo nero. E grazie a questa segnalazione che attraverso le telecamere “cattura targhe” che ci sono in città che è stato possibile ricostruire il percorso della moto. Ma su questo versante ci sono due punti che giocano a favore della difesa affidata all’avvocato napoletano Claudio D’Avino. Dagli atti non emergono le generalità della teste e dunque su quelle cifre ci sono dubbi. E poi ci sarebbe il “giallo” del cambio di abiti. Ad ora di pranzo del 3 maggio Armando Del Re viene ripreso da un sistema di video sorveglianza in abito bianco e grigio. Poi, secondo l’accusa, tra le 16. 57 e le 16.59, è l’uomo nero immortalato dalle telecamere mentre in via Acquaviva comincia a sparare contro Nurcaro e poi lo insegue fino al Bar Elite di Piazza Nazionale dove continua a fare fuoco colpendo anche Noemi e la nonna e poi torna indietro si rimette sulla Benelli e va via. Ma alle 17.04, Armando Del Re viene inquadrato sempre in sella alla moto rubata, ancora una volta con abiti bianchi e grigi, ma a distanza di un chilometro dalla precedente immagine. Possibile? E’ possibile che in cinque minuti si sia cambiato di abito o meglio che si sia disfatto di giubbotto, casco e pantalone nero perché gli abiti grigi e bianchi li indossava sotto. Ma dove stanno quegli abiti? O c’è qualcuno che li ha recuperati? E dove sta la Benelli gialla non ancora ritrovata? Sono tutti punti questi favore della difesa. Lui Armando Del Re ieri ha professato la sua innocenza per oltre un’ora davanti al gip napoletano in servizio al Tribunale di Siena, Alessandro Buccino Grimaldi (lo stesso magistrato che, quando era a Napoli Nord, si occupò di un altro delicatissimo caso, l’omicidio della piccola Fortuna Loffredo, uccisa al Parco Verde di Caivano). “Quel giorno ero vestito di nero, ma non sono mai andato in sella a quella Benelli rubata e non ho sparato io in piazza Nazionale. Riconosco anche altri passaggi in scooter che mi vengono mostrati, ma io e mio fratello viviamo nella zona, ci capita di andare su e giù in sella agli scooter”. Ha anche spiegato si essere stato con il fratello fino alle 16, poi è tornato a casa perché doveva inizialmente recarsi con la moglie da un consulente per accendere un mutuo, ma l’appuntamento sarebbe saltato perché la donna non aveva con sé i documenti. Dopo, Del Rè sarebbe andato dal suo podologo di fiducia nella zona di San Giovanni a Teduccio, ma avrebbe rinunciato alla seduta perché c’era folla. Quindi sarebbe rimasto fino alle 18.30 in una sala giochi e scommesse. Ma c’è un altro punto poco chiaro per l’accusa ovvero il fatto che il tre maggio il suo telefono (che era sotto intercettazione per un’altra indagine del Gico della Guardia di Finanza) sarebbe risultato spento per tutto il giorno, a partire dalla tarda mattinata. Un modo per “sparire” nel giorno dell’agguato? Ha spiegato che il suo cellulare lo avevano i figli che guardavano filmati su Youtube. La Dda però con le tre pm Antonella Fratello, Gloria Sanseverino e Simona Rossi (che con il procuratore aggiunto Giuseppe Borrelli coordinano le indagini condotte da squadra mobile, reparto operativo dei carabinieri e dal Gico della Guardia di finanza), ha anche depositato una perizia antropometrica che attesta come lui è compatibile con le immagini in cui si vede il killer sparare davanti al bar. Secondo il perito, infatti, il killer ha un’altezza compresa tra 1.64 e 1.70: Del Rè è alto 1.65 e nei giorni scorsi era stato accompagnato in Questura proprio perché l’esperto gli prendesse le misure. Il gip Grimaldi si è preso di tempo fino a domani per decidere sulla posizione di Armando Del Re. Intanto domani davanti al gip del Tribunale di Nola si svolgerà l’udienza di convalida di Antonio Del Rè, (che è stato arrestato a Marigliano) il fratello diciottenne di Armando accusato di averlo aiutato a pianificare l’attentato, in particolare pedinando l’obiettivo e facendo sopralluoghi per scegliere il luogo più adatto.

Cronache della Campania@2018


Ischia, convalidato l’arresto dell’uomo positivo all’alcol test che ha causato la morte di un 17enne

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Ischia. Causò un incidente nel quale ha perso la vita Francesco Taliercio, 17 anni di Lacco Ameno: il Giudice delle Indagini Preliminari del Tribunale di Napoli, Roberto Attena, ha convalidato l’arresto e la misura cautelare dei domiciliari per Davide Elia, 37 anni. Nella notte tra il 9 ed il 10 Maggio alla guida della sua “Panda”, nel tratto di strada tra Casamicciola e Ischia, Elia si era scontrato con il giovane Francesco Taliercio, 17 anni, di Lacco Ameno, che era in sella ad un ciclomotore, ed era stato colpito dall’auto, morendo nell’incidente. Secondo una prima ricostruzione dei carabinieri, appena dopo la curva Elia avrebbe invaso la corsia di marcia nella quale procedeva Taliercio in direzione opposta. Il 37 enne dopo lo scontro venne fermato dai carabinieri e sottoposto ad accertamenti all’Ospedale Rizzoli di Lacco Ameno, risultando positivo all’alcool-test con un tasso di 1,5 g/l. Per Elia l’ accusa è di omicidio stradale.

Cronache della Campania@2018

Imprenditore condannato per i legami con il boss Zagaria: Donciglio ottiene gli arresti domiciliari

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Caserta. Era stato condannato perchè ritenuto organico all’associazione mafiosa dei Casalesi, grazie alla quale aveva ottenuto gli appalti: nonostante una condanna a 7 anni di reclusione l’imprenditore Raffaele Donciglio ottiene gli arresti domiciliari dopo 3 anni di reclusione. Donciglio era stato condannato in primo grado ad anni nove di reclusione, ridotti in appello a sette, per appartenenza al cosiddetto clan dei Casalesi, secondo l’accusa avrebbe ottenuto numerosi appalti per ingenti somme grazie alla intercessione del boss Zagaria, nei giorni scorsi la Corte di appello di Napoli ha accolto la richiesta di scarcerazione. Nonostante il parere negativo della Procura Generale, le diffuse ed articolate argomentazioni offerte dagli avvocati Dario Vannetiello e Saverio Campana hanno convinto i giudici partenopei i quali sono giunti alla sorprendente decisione di sostituire la misura carceraria con quella degli arresti domiciliari nonostante il divieto generale contenuto nel codice di procedura penale. Così il noto imprenditore potrà attendere a casa l’esito del ricorso per cassazione al quale sta lavorando l’avvocato Dario Vannetiello. Lo scopo della difesa è non solo quello di dimostrare che Donciglio non è stato mai intraneo alla famigerata e pericolosissima associazione – fa sapere la difesa – ma anche che non è stato la longa manus del boss Michele Zagaria nel settore degli appalti. Donciglio è stato accusato da tre collaboratori di giustizia: Massimiliano Caterino, Michele Barone e Venosa, ed inoltre nelle intercettazioni acquisite agli atti del processo si parla di fiumi di denaro movimentato dall’imprenditore. Infine, compito della difesa sarà anche quello di dimostrare che, sia i ben due milioni e cinquentomila euro in contanti sequestrati sui conti correnti delle sue società, sia l’ingente patrimonio immobiliare pari a circa dieci di milioni di euro, non sono frutto di appalti ottenuti illecitamente, ma solo opera di una regolare, intelligente e fruttuosa attività di un imprenditore dalle brillanti capacità, mai prima di tale procedimento penale coinvolto in alcuna indagine.

Cronache della Campania@2018

Dà un calcio in testa alla moglie mentre ha il bimbo in bracco: a processo

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Dovrà difendersi in un processo il 40enne di Cava de’ Tirreni accusato di maltrattamenti ai danni della moglie. Nel mirino della Procura di Nocera Inferiore è finito uno specifico episodio che risale al 29 novembre 2017 quando l’uomo – secondo la denuncia sporta dai carabinieri – avrebbe colpito la coniuge con un calcio alla testa nonostante avesse il figlio tra le braccia.
La donna venne trasportata in ospedale a causa della ferita riportata al capo. Ma altri casi di violenza tra le mura domestiche si sarebbero verificati anche negli anni precedenti. Alla base delle aggressioni vi sarebbero futili motivi. Il marito violento è imputato per “comportamenti aggressivi e minacciosi reiterati nel tempo, con lancio di oggetti, percosse, aggressioni verbali e offese”.

Cronache della Campania@2018

Estorsione e minacce ad un imprenditore: condannati il nipote del boss e il complice

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La Corte di Cassazione conferma le condanne, a tre anni e due mesi per Giovanni Maiale Junior (nipote dello storico boss della Piana del Sele) e Silvio Gerardi, accusati di tentata estorsione ai danni di un imprenditore di Eboli.
I fatti risalgono all’ottobre del 2013 quando Maiale, Gerardi e un’altra persona (risultata estranea) minacciarono la vittima intimandogli di consegnare loro una motozappa o 15 milioni di lire. Maiale – secondo quanto ricostruito dai carabinieri – era armato, prese a schiaffi l’imprenditore e poi minacciò di farlo sciogliere nell’acido. Quella stessa sera il nipote del boss e il complice vennero fermati ad un posto di blocco mentre erano a bordo di un’auto. E così, nel corso della perquisizione, futuro trovati in possesso di una pistola con tappo rosso e cinque colpi a salve. Nonostante la denuncia sporta subito dopo l’aggressione la vittima, nel corso del processo, ha ripetuto per ben 54 volte di “non ricordare” nulla rispetto all’accaduto. Determinate per gli inquirenti, invece, la testimonianza di un carabiniere che, all’epoca, ebbe modo di ascoltare anche una telefonata fatta dagli imputati proprio all’imprenditore.

Cronache della Campania@2018

I due fratelli Del Re avevano trovato rifugio a Marano, poi cambiarono idea e gettarono i cellulari

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Napoli. Avevano trovato un rifugio a Marano e poi avevano cambiato idea gettando anche i due telefoni cellulari “criptati” che avevano i due fratelli Armando e Antonio Del re accusati rispettivamente di essere l’autore materiale del triplice tentato omicidio del 3 maggio scorso in piazza Nazionale in cui è rimasta ferita la piccola Noemi e della complicità e nella pianificazione dell’agguato nei confronti del pregiudicato Salvatore Nurcaro, vero obiettivo del raid di camorra. E’ quanto emerge dal decreto di fermo emesso dai pm Gloria Sanseverino, Alessandra Fratello e Simona Rossi della Dda di Napoli. Dopo che era stato convocato inquestura Armando del re aveva capito di essere finito nel mirino degli investigatori e quindi aveva parlato con il fratello e avevano deciso di “sparire” distruggendo gli smartphone criptati in loro possesso. Ognuno per la sua strada per evitare di essere presi. E così mentre il 18enne Antonio decide di cercare riparo presso conoscenti nel Nolano Armando inscena la visita al padre, il noto narcos del clan Amato-Pagano, Vincenzo detto a’ pacchiana, nel carcere di San Giminignano. E chiede alla mamma e alla sorella di accompagnarlo in modo da far sembrare la sua non una fuga ma una visita di famiglia al congiunto detenuto. Ma già partendo da questo elemento la difesa di Armando affidata all’avvocato Claudio D’Avino cercherà di smontare il castello accusatorio. Si tratterebbe per loro appunto di una visita di famiglie e non di una fuga. E poi ci sono “l’errore” nel non aver identificato la testimone che avrebbe fornito agli investigatori i primi numeri della targa della moto Benelli gialla(rubata a Sorrento un anno fa) utilizzata dal killer in piazza Nazionale. E infine il giallo dei cambio di vestiti del presunto killer ovvero Armando Del Re che in tre diversi del 3 maggio scorso appare prima vestito di grigio e bianco, poi sarebbe “l’uomo nero” di Piazza nazionale e quindi di nuovo dopo pochi minuti vestito di grigio e bianco. Oggi il gip di Siena, dove è detenuto Armando del re, deciderà la sua sorte. Probabilmente confermerà il carcere. Mentre a Nola si deciderà la sorte del fratello Antonio. Ma la difesa già preannuncia battaglia su tutti i punti controversi dell’inchiesta.

Cronache della Campania@2018

La Procura decide l’archiviazione per l’ex senatore Diana

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Lorenzo-Diana

Sarà il gip del tribunale di Napoli a stabilire se archiviare o meno la posizione dell’ex senatore Lorenzo Diana, paladino antimafia del Casertano, coinvolto quattro anni fa in un’inchiesta di camorra sulla base delle dichiarazioni di alcuni pentiti, tra cui Antonio Iovine, ritenuti però inattendibile. Pertanto, la Procura antimafia ha chiesto l’archiviazione che verrà decisa dal gip in merito all’accusa di presunti appoggi ad alcune imprese legate al clan dei Casalesi all’interno del consorzio Cpl, che si occuparono della metanizzazione anche nel territorio di San Cipriano d’Aversa. I vertici del consorzio Cpl sono stati assolti dal Tribunale di Napoli Nord e si attende il processo di Appello.

Cronache della Campania@2018

Estorsioni a gioielleria e negozio, ordinanza in carcere per un boss “dei Muzzoni”

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Un’ordinanza di custodia cautelare emessa dal Gip del Tribunale di Napoli e’ stata notificata dai carabinieri all’esponente del clan camorristico “Esposito” di Sessa Aurunca Gaetano Di Lorenzo, 59 anni, detenuto al carcere di Milano-Opera. Di Lorenzo, ritenuto elemento di spicco del clan, denominato “dei Muzzoni”, operante a Sessa Aurunca e nei comuni vicini di Cellole e Carinola, è accusato di aver commesso ripetute estorsioni ai danni di una gioielleria di Sessa e del titolare di un negozio di autoricambi. Di Lorenzo fu catturato nel 2002 in Spagna, a Malaga, dalla Polizia di Stato, ed estradato; tornato in libertà ma sorvegliato speciale, fu poi arrestato nel 2014 e da allora è rimasto in carcere.

Cronache della Campania@2018


Agropoli, Alfieri e Coppola accusati di legami con i clan. Il sindaco: ‘Sono sereno’

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La sezione di Salerno della Direzione investigativa antimafia, diretta da Giulio Pini, ha effettuato diverse perquisizioni nel Cilento, tra cui quelle presso le abitazioni del sindaco di Agropoli, Adamo Coppola, e dell’ex sindaco, Franco Alfieri. Le perquisizioni sono state estese allo studio legale di quest’ultimo e all’ufficio in Comune di Coppola. Entrambi sono stati anche invitati a presentarsi per essere ascoltati dagli inquirenti nell’ambito di una indagine su una ipotesi di reato di scambio elettorale politico-mafioso della procura di Salerno, pm Vincenzo Montemurro. Di recente anche la polizia aveva compiuto una perquisizione in Comune nell’ambito di una inchiesta legata alla società Agropoli Cilento Servizi. Sindaco di Torchiara, piccolo comune del Cilento di cui è originario, nel 1988, poi primo cittadino di Agropoli, per due mandati, dal 2007 al 2017, Franco Alfieri, avvocato, 54 anni, nella sua carriera politica ha incassato record di preferenze da parte degli elettori dei due vicini comuni in provincia di Salerno. Più volte consigliere e assessore provinciale, nell’aprile del 2015 si dimette dalla carica di sindaco di Agropoli per candidarsi, nella lista del Partito Democratico, alle elezioni regionali in Campania, salvo poi, nei giorni seguenti, fare un passo indietro come chiesto, spiegò lui stesso in un’intervista dell’epoca, “dall’unico che poteva, Vincenzo De Luca”, il quale diventerà, di li’ a poco, presidente della Campania. Nel febbraio 2016, Alfieri approda in Regione, con gli incarichi di consigliere del presidente per l’Agricoltura, Caccia, Foreste e Pesca e di capo della segreteria del presidente. Nove mesi dopo, il fedelissimo di De Luca è protagonista della vicenda legata alle “fritture di pesce”, quando furono pubblicate alcune dichiarazioni di De Luca nel corso di un incontro con gli amministratori locali per promuovere il ‘si” al referendum costituzionale. Il 23 marzo scorso, Alfieri annuncia la discesa in campo per la corsa a sindaco di Capaccio Paestum, questa volta sostenuto da otto liste civiche, senza il simbolo del Pd. Intanto, nel giugno 2017, primo cittadino del Comune di Agropoli viene eletto per il Pd e altre liste di centrosinistra Adamo Coppola, in passato vice proprio di Alfieri. Commercialista, 46 anni, Coppola, dal 2004 al 2006, e’ stato consigliere comunale d’opposizione, per poi rientrare nella maggioranza di Alfieri dall’anno successivo. Nei dieci anni di amministrazione Alfieri, Coppola e’ stato prima assessore al Bilancio, poi alle Politiche Economiche e Finanziarie con delega al Bilancio, ai Tributi, al Patrimonio, con riferimento alle società partecipate. In una nota, il primo cittadino, ricordando che “da qualche giorno ufficiali e agenti di polizia giudiziaria hanno richiesto atti e documenti vari riguardanti procedimenti amministrativi già conclusi da alcuni anni”, sottolinea come, con le perquisizioni di oggi, “presso la mia abitazione e il mio ufficio comunale, tali operazioni possono dirsi terminate in quanto detti operatori hanno redatto processo verbale di conclusione”. Dicendosi “tranquillo e fiducioso del lavoro dei magistrati”, Coppola conclude ribadendo che “in riferimento agli atti che hanno visto la mia partecipazione, quale sindaco della città di Agropoli, rimango sereno in quanto la stessa è stata sempre leale, imparziale e legittima”.

Cronache della Campania@2018

Giugliano, abusava delle figlie: 10 anni di carcere per un 45enne

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Il tribunale di Napoli ha condannato a 10 anni di carcere un uomo di 45 anni per violenza sessuale nei confronti delle sue due figlie. All’uomo, residente a Giugliano in Campania all’epoca dei fatti, sono state applicate anche varie pene accessorie, tra cui la perdita della responsabilità genitoriale e l’interdizione perpetua dai pubblici uffici. Le indagini risalgono al febbraio del 2017 a seguito della denuncia della madre delle due minorenni (una adolescente e l’altra più piccola), che aveva raccolto le confidenze inquietanti delle figlie: le avevano raccontato che per tre anni, a seguito della separazione della madre, il papà aveva abusato di loro, a casa dei nonni paterni, in occasione delle visite domenicali del padre. Le minori, hanno poi in Procura confermato integralmente quanto riferito alla madre. A seguito di una consulenza psicologica gli inquirenti hanno ritenuto attendibile quanto testimoniato e lo scorso marzo l’uomo è stato posto agli arresti domiciliari per violenza sessuale nei confronti delle due minorenni, nell’ambito di una indagine coordinata dalla Procura di Napoli Nord e condotta dai carabinieri della stazione di Napoli Pianura. Al 45enne sono state applicate altre misure restrittive tra cui il divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati abitualmente da minori, lo svolgimento di lavori che prevedano contatti abituali con minori e l’obbligo di tenere informati gli organi di polizia sulla propria residenza e sugli eventuali spostamenti.

Cronache della Campania@2018

Sparatoria a Napoli, resta in carcere anche Antonio Del Re, fratello di Armando

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Napoli. Avrebbe aiutato il fratello Armando per uccidere Salvatore Nurcaro: resta in carcere Antonio, il 18enne napoletano fermato sabato scorso. Il Gip di Nola Daniela Critelli ha convalidato il provvedimento di fermo emesso dai pm antimafia di Napoli nei confronti del 18enne accusato, insieme con il fratello, per il quale il Gip di Siena ha convalidato oggi il fermo, di avere premeditato il tentato omicidio di Salvatore Nurcaro, 32 anni, compiuto nel pomeriggio dello scorso 3 maggio, durante il quale sono stati feriti gravemente Nurcaro, Noemi, di appena 4 anni, che si trovava in piazza Nazionale insieme con la nonna, anche lei rimasta ferita ma lievemente.

Cronache della Campania@2018

Per volere di Zagaria: volevano eliminare Della Volpe perché si era messo “in proprio”. Il pm ha chiesto tre ergastoli

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Dell’Aversano, Conte e Virgilio accusati dell’omicidio di Nicola Villano e del tentato delitto del ras Della Volpe
Un doppio agguato. Il commando prima cercò di uccidere il ras Raffaele Della Volpe, capozona dei Casalesi su Aversa, che riuscì a salvarsi per la presenza in auto della moglie e della figlia di pochi mesi. Poi contro un suo uomo di fiducia, Nicola Villano, detto zeppetella, ucciso in un autolavaggio a San Marcellino. Era il 20 luglio del 2001 ed oggi, a 18 anni dai fatti, il pubblico ministero della Dda Alessandro D’Alessio ha chiesto il carcere a vita per 3 dei presunti responsabili del raid di camorra. Il pm dell’Antimafia, nel corso della sua requisitoria pronunciata nel corso del processo con abbreviato che si sta celebrando dinanzi al giudice Di Palma del tribunale di Napoli, ha invocato l’ergastolo per Cristofaro Dell’Aversano, Vincenzo Conte, detto nas ‘e cane, e Claudio Giuseppe Virgilio, ritenuto lo specchiettista di quel raid di morte. Adesso la parola passa ai difensori, gli avvocati Angelo Raucci, Alfonso Quarto e Paolo Caterino.
L’indagine, avviata nel 2016, anche a seguito di alcune dichiarazioni di collaboratori di giustizia quali Antonio Iovine, Bruno Lanza, Giuseppe Misso e Salvatore Orabona, ha consentito attraverso di far luce sui delitti.
Secondo la ricostruzione degli inquirenti, gli allora latitanti Antonio Iovine e Michele Zagaria avevano stabilito che Raffaele Della Volpe, capo zona su Aversa, doveva essere eliminato poiché aveva costituito un suo gruppo criminale che aveva cominciato a muoversi in autonomia, omettendo di versare al clan dei Casalesi il provento delle estorsioni. In tale contesto, venne organizzato un gruppo di fuoco che, il 20 luglio 2001, dopo aver incrociato ad Aversa l’auto su cui viaggiava Della Volpe, aprì il fuoco, ma la vittima riuscì a scampare all’attentato anche perché i killers non proseguirono nell’azione in quanto notarono la presenza in macchina della moglie e della figlia di pochi mesi.
Dopo poco il gruppo criminale, avendo riconosciuto Nicola Villano (ritenuto vicino a Della Volpe) in un autolavaggio di San Marcellino, durante il tragitto di ritorno verso San Cipriano d’Aversa, esplose nei suoi confronti numerosi colpi di arma da fuoco, uccidendolo.
Dalle attività investigative è quindi emerso che i mandanti dell’evento delittuoso sono stati Antonio Iovine e Michele Zagaria (che ha scelto il rito ordinario); gli esecutori materiali sono stati Cristofaro Dell’Aversano e Vincenzo Conte, mentre Claudio Giuseppe Virgilio avrebbe avuto il compito di agevolare negli spostamenti i componenti del gruppo di fuoco.

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Omicidio ‘dello zainetto’ il gip: ‘Se è morto solo Luigi Mignano è stato solo un caso…il killer voleva uccidere tutti, anche il piccolo’

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Napoli. “La circostanza, dunque, che sia stato ucciso solo Luigi Mignano è dipesa, certamente, esclusivamente dal caso”. La drammatica frase scritta dal gip nell’ordinanza di custodia cautelare nei confronti dei sette esponenti del clan D’Amico-Mazzarella di san Giovanni a Teduccio autori dell’omicidio di Luigi Mignano, cognato del boss Ciro Rinaldi mauè avvenuto al rione Villa il 4 aprile scorso, è la testimonianza ulteriore, ove mai ve ne fosse ancora bisogno, che le “belve” della camorra di ultima generazione non si fermano davanti a niente neanche ai bambini, come è successo per la piccola Noemi il 3 maggio per “l’uomo nero” in piazza Plebiscito e come stava per accadere il 4 aprile al rione Villa. Il fato ha voluto che questa volta non ci sono stati morti innocenti da piangere. Ne nel caso di Noemi che continua migliorare ne nel caso del nipote di Luigi Mignano che aveva come unica “colpa” quella di trovarsi col nonno e col padre quella maledetta mattina. Il killer Ciro Rosario Terracciano, che compirà 27 anni a fine mese mese, non ha avuto alcuna esitazione nel continuare a sparare nonostante avesse capito che l’obiettivo del radi ovvero Luigi Mignano era già morto. Non a caso scrive il gip: “.. al fine di ritenere configurabile il reato contestato, nessun dubbio può sussistere sull’esistenza dell’elemento oggettivo, costituito dalle lesioni riportate da Pasquale Mignano (il figlio della vittima e papà del piccolo), dalla pluralità e direzione dei colpi, dall’idoneità dell’arma e alla condotta degli indagati pregressa e successiva che rendono ipotizzabile anche il tentativo nei confronti del piccolo …”. Dopo aver colpito la vittima, che dalla ricostruzione effettuata anche attraverso l’ambientale negli uffici della Questura risulta aver ricevuto il primo colpo al petto, nonostante l’obiettivo fosse stato raggiunto, tanto che successivamente Luigi Mignano si è accasciato al suolo, i killer hanno continuato a sparare ulteriori 11 colpi, tutti ad altezza uomo, alcuni dei quali hanno centrato l’auto del figlio Pasquale infrangendo il lunotto posteriore e all’interno della quale si trovava già, nascosto sotto il sedile passeggero davanti, il piccolo. Scrive ancora il gip: “Appare evidente che sia gli indagati addetti al servizio di osservazione sia i killer abbiano notato tutti i movimenti di Luigi Mignano, del figlio Pasquale e del nipote e si siano, perciò resi conto, non solo della presenza del secondo ma anche che insieme a loro si trovasse il piccolo che aveva trovato riparo nel veicolo”.Anche gli stessi commenti dei familiari che hanno assistito all’agguato o ne hanno appreso i dettagli dal loro congiunto Pasquale, evidenziano che le modalità di esecuzione e le volontà dei killer fossero tali da far ritenere che avessero intenzione di colpire tutti i presenti. “Più volte, infatti, nella conversazione intercettata scrive sempre il gip- in ambientale negli Uffici della Questura, gli interlocutori si soffermano sulla circostanza che nonostante il bambino avesse trovato rifugio all’interno del veicolo, avesse rischiato di essere ucciso in considerazione della direzione dei colpi esplosi successivamente a quello che aveva già attinto mortalmente Luigi Mignano….Maggiore attenzione merita, invece, l’elemento soggettivo che può essere ricavato solo a un’approfondita analisi della dinamica dei fatti, con particolare riguardo alle modalità dell’agguato, al mezzo utilizzato, alla condotta degli indagati prima e dopo il fatto. Ebbene, come emerge dagli accertamenti espletati sul luogo teatro degli eventi, dalla numerosità e direzione dei colpi appare chiaro che se l’unico obiettivo fosse stato Luigi Mignano, dopo averlo colpito con il primo colpo i killer si sarebbero fermati.Dalla stessa condotta posta in essere risulta con chiarezza che gli autori hanno agito con dolo diretto, al massimo nella forma del dolo alternativo. Ed invero, se si considera il contesto nel quale l’evento si è verificato e si analizzano in concreto tutti gli elementi acquisiti appare chiaro che gli esecutori materiali abbiano agito, indifferentemente, allo scopo di uccidere una o più persone soprattutto in considerazione della qualità delle stesse, tutte appartenenti alla famiglia Rinaldi, in contrasto con il clan Mazzarella”.

(nella foto il luogo dell’agguato con la vittima a terra e nel riquadro a sinistra, in quello a destra il killer Ciro Rosario Terracciano)

Cronache della Campania@2018

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