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Riciclaggio & camorra a Marano: assolti dal Gup l’imprenditore di ‘Rosso pomodoro’ e il consulente di Cannavaro

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Napoli. Tutti assolti gli imprenditori e i commercialisti che hanno scelto il rito abbreviato coinvolti in un’inchiesta della Dda per intestazioni fittizie e riciclaggio per conto di esponenti del clan Polverino. Lo ha deciso il giudice per le indagini preliminari Ferrigno del Tribunale di Napoli che ha assolto imprenditori e noti commercialisti accusati di avere agevolato, mediante l’intestazione di quote societarie, Carlo Simeoli – genero di Angelo Simeoli, considerato referente di spicco delle famiglie malavitose Nuvoletta-Polverino – che sarebbe stato il dominus occulto delle imprese finite sotto i riflettori della procura. Tra gli assolti c’è l’imprenditore Roberto Imperatrice, che è stato socio di riferimento del gruppo imprenditoriale che aveva in gestione il marchio di ristorazione ‘Rosso Pomodoro’. Imperatrice rispondeva sia di concorso esterno in associazione mafiosa che di riciclaggio di denaro sporco. Assoluzione dalle accuse più gravi anche per il commercialista Giovanni De Vita – consulente finanziario di Fabio Cannavaro -, che però è stato condannato ad un anno e otto mesi per reimpiego di capitali ma senza alcuna aggravante. L’inchiesta culminata in nove arresti nel settembre del 2016 delineava uno scenario in cui gli indagati effettuavano operazioni immobiliari e finanziarie per conto del clan Polverino. Tra le operazioni finite sotto la lente degli inquirenti, anche la costruzione di un centro sportivo del valore di 10 milioni di euro nel quartiere Vomero di Napoli, e quella di un centro commerciale a Zumpano, in provincia di Cosenza, con annesso cinema multisala: attività svolte con l’obiettivo di riciclare i proventi illeciti accumulati dell’organizzazione criminale. 

Cronache della Campania@2018


Spari nella Movida di Napoli, condannato a 10 anni il figlio del boss Troncone di Fuorigrotta

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Napoli. Dieci anni di reclusione per tentato omicidio e porto e detenzione di armi: è questa la condanna inflitta a Giuseppe Troncone, 21 anni, figlio del boss della camorra del quartiere di Fuorigrotta. Secondo i giudici della settima sezione penale è il responsabile della sparatoria avvenuta la notte del 19 novembre del 2017 tra via Carlo Poerio e via Bisignano nella zona della movida e dei baretti di Chiaia. In quell’occasione si scatenò una rissa tra un gruppo di Fuorigrotta e uno di San Giovanni a Teduccio, capeggiato di Gaetano Formicola, nipote del boss Antonio, e all’epoca dei fatti minorenne. Troncone fu aggredito e poi accoltellato, dopo esplose sei colpi di pistola nel mucchio e ferì tre persone, tra cui una ragazza. Il motivo della rissa, secondo il pm della Dda Celeste Carrano, fu il controllo del territorio da parte dei due gruppi di appartenenza per lo spaccio di sostanze stupefacenti. Ma il giudice ha escluso nella condanna sia l’aggravante del metodo mafioso che quello dei motivi futili e abbietti e così da una condanna chiesta di 14 anni si è passati a 10 anni.

Cronache della Campania@2018

In aula Nicola Inquieto, uomo del boss Zagaria in Romania, racconta la sua verità

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Caserta. Racconta la sua verità Nicola Inquieto, l’imprenditore 44enne, accusato di essere l’uomo in Romania del boss Michele Zagaria. E’ proseguito oggi, infatti, davanti ai giudici del tribunale di Napoli Nord, l’esame dell’imprenditore ritenuto il gestore – secondo la Dda di Napoli – dell’impero del boss a Pitesti. Inquieto, detenuto nel carcere di Secondigliano, è stato estradato dalla Romania per il tempo necessario del processo che dovrà concludersi entro la fine del mese, in quanto destinatario di altri procedimenti in Romania.  L’imprenditore ha risposto fornendo la sua versione dei fatti al pubblico ministero antimafia Maurizio Giordano. Il controesame della difesa è fissato per lunedì 13 mentre nei giorni a seguire è prevista la requisitoria e la discussione della difesa. L’imprenditore fu arrestato in Romania  un anno fa, in virtù di un mandato di arresto della Procura europea Eurojust, spiccato nei suoi confronti in seguito ad un’inchiesta della Dia per associazione camorristica e sul presunto reinvestimento di capitali del boss Zagaria e venne consegnato alle autorità italiane in via temporanea. 

Cronache della Campania@2018

Omicidio Materazzo: l’avvocato chiede le attenuanti. Parla l’imputato per 2 ore: “Il pm è stato approssimativo”

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Napoli. Due ore di arringa difensiva per ricostruire il delitto e chiedere le attenuanti per il suo assistito che gli permetterebbero di evitare l’ergastolo: questa la richiesta dell’avvocato Bruno Cervone, avvocato di Luca Materazzo, l’uomo che compie 38 anni oggi, accusato di aver ucciso il fratello Vittorio con oltre trenta coltellate. Alla fine dell’arringa l’imputato ha chiesto la parola ed ha tenuto una seconda arringa difensiva, e si è scagliato contro il pm e le modalità con le quali sono state condotte le indagini tanto che anche il suo difensore ha tentato di fermarlo per ben due volte. “Ho raso al suolo la sua credibilità” ha detto Luca Materazzo a proposito del pm.
Udienza finale quella per l’omicidio di Vittorio Marrazzo, è attesa, infatti, per stasera, non prima delle 21,30, la sentenza dei giudici della prima corte d’assise del Tribunale di Napoli per il delitto dell’ingegnere ucciso il 28 novembre del 2016, in via Maria cristina di Savoia, nel quartiere Vomero a Napoli. Se i giudici accogliessero la richiesta di attenuanti generiche del difensore, l’imputato potrebbe evitare il carcere a vita. Elena Grande, moglie dell’ingegnere, ha ascoltato in silenzio le parole dell’avvocato difensore del cognato, come sempre, seduta in fondo all’aula 115. Nel corso dell’arringa l’avvocato Cervone ha anche puntato il dito contro un uomo indicato da uno dei testimoni come una persona che avrebbe potuto avere particolari rancori nei confronti di Vittorio, per via di un debito contratto dal padre Lucio. Nel corso del dibattimento, tuttavia, questa persona ha ammesso che la vittima aveva saldato la sua parte del debito, che ammontava a qualche centinaio di euro. La difesa ha contestato i risultati delle analisi del DNA sulle tracce genetiche trovate sul casco e i guanti usati dall’assassino. Dopo l’arringa del suo avvocato, Luca Materazzo ha chiesto di rilasciare dichiarazioni spontanee durante le quali ha cercato di spiegare i motivi che lo hanno spinto a sostituite una quindicina di avvocati nell’arco di circa un anno di processo. Un discorso lungo e circostanziato, praticamente una seconda arringa difensiva, durato un’ora e 45 minuti. Ha cercato di minare la correttezza dell’operato degli investigatori (“il pm è stato approssimativo” e “ho raso al suolo la sua credibilità”, ha sottolineato rivolgendosi al presidente Giuseppe Provitera). Inoltre ha puntato ancora una volta il dito contro i giornalisti (“sono stato distrutto a livello mediatico”). In due occasioni l’avvocato Cervone ha cercato di interrompere le dichiarazioni del suo cliente e per due volte Luca ha respinto quelle esortazioni al mittente. Ha parlato della sua fuga in Spagna spiegando di avere deciso di andare via da Napoli perchè dopo l’omicidio “al supermercato, quando mi vedevano, i clienti scappavano…e lo stesso è successo con alcuni amici”.

Cronache della Campania@2018

Camorra, il pentito:’Volevamo uccidere i Rinaldi dal balcone di D’Amico ‘o pirata’

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Napoli. Avevano deciso di uccidere i Rinaldi con dei fucili di precisione attraverso i balconi o le finestre dei palazzi di fronte alla “47” del Rione Villa dove abita il boss Ciro Rinaldi detto mauè in carcere dal mese di febbraio. Lo ha rivelato agli investigatori il pentito di famiglia dei Mazzarella, ovvero Alfonso Mazzarella nipote di Vincenzo, Gennaro e Ciro, oltre che fratello di Mazzarella Francesco o’ parente.Le sue dichiarazioni sono contenute nel decreto di fermo e poi nell’ordinanza cautelare che da 4 giorni tieni in carcere Umberto D’Amico o’ lione, Umberto Luongo e altri 5 gregari responsabili dell’omicidio dello”zainetto” del 4 aprile scorso in cui al rione Villa fu ucciso Luigi Mignano, cognato del boss Rinaldi. Parlando in modo particolare di Salvatore D’Amico o’ pirata, il pentito Alfonso Mazzarella ha raccontato alla Dda di Napoli: “Sono andato personalmente a prenderlo all’aeroporto di Capodichino a giugno quando è stato scarcerato. Insieme alla moglie e a Gennaro lmprota. Gli abbiamo fatto da scorta. Nel mese scarso che siamo stati liberi insieme, mi disse che era pronto ad attaccare i Rinaldi e io concordavo anche perché avevo subito un agguato mentre ero insieme a mia figlia, a maggio, da Di Pede Giovanni e Maddaluno Vincenzo. A livello economico lui sta benissimo grazie ai traffici illeciti commessi con i fratelli. Franco Mazzarella lo sostiene economicamente se ce n’è bisogno. … poiché le abitazioni di D’Amico Salvatore, Reale Carmine e la palazzina dei Rinaldi sono vicine, abbiamo provato con un fucile di precisione ad ammazzare uno di loro che si affacciava ma purtroppo la cartuccia per il fucile di precisione non è potente, volevamo attrezzarci con un’altra arma, che portasse qualche cartuccia più grande. lo, Gennaro Importa, Salvatore D’Amico e Salomone avevamo provato ad entrare da dietro ma da lì potevano vederci.. io avevo una 92 S, D’Amico una UZI, Salomone e lmprota non erano armati ma guidavano gli scooter. Abbiamo usato due TMAX grigi intestati a prestanome, siamo andati a giugno 2015. Siamo andati due volte…di Salomone ce ne sono due. Uno è stato arrestato prima che io uscissi dal carcere per un’estorsione se non erro…le armi stanno sopra al lastrico del palazzo di D’Amico Salvatore. Sono messe in borse…siamo andati io e Salvatore d’Amico a casa di Silenzio Vincenzo, che abita nel Rione dei profughi, per ammazzarlo o farci dare 100mila euro. La moglie ci disse che era latitante…Omissis… in quel periodo io e Salvatore D’Amico abbiamo cacciato la famiglia Tammaro da San Giovanni a Teduccio. La famiglia Tammaro si occupa di grossi quantitativi di sigarette e dava mensilmente a Rinaldi Ciro uno stipendio. Noi abbiamo detto ai Tammaro che non dovevano dare più i soldi ai Rinaldi ma a noi che eravamo liberi dei Mazzarella. Abbiamo parlato con Giovanni o Stuort. Lui disse che preferiva andarsene da San Giovanni con i suoi figli e cosi ha fatto… omissis… Nel periodo in cui siamo stati liberi io e Salvatore D’Amico ho ricevuto la mia quota di 12.000,00 euro per le estorsioni periodiche. Da solo invece appena uscito dal carcere ho chiesto e avuto da Caputo tramite il suo commercialista…omissis…, la somma di 25 mila euro”.

Cronache della Campania@2018

Camorra: la Dda chiede il processo immediato per l’imprenditore Greco e i suoi presunti complici

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La direzione distrettuale antimafia di Napoli ha presentato la richiesta di giudizio immediato per l’imprenditore stabiese Adolfo Greco e le altre quindici persone coinvolte nell’inchiesta Olimpo. Per il pm Giuseppe Cimmorotta, titolare delle indagini, ci sono gli elementi sufficienti per andare subito al processo alla luce degli elementi di accusa raccolti fin qui. I sedici imputati di cui solo Antonio Di Martino, figlio di Leonardo o’ lione, boss dei Monti Lattari, è latitante, sono tutti accusati a vario titolo di estorsione aggravata dal metodo mafioso, violenza privata, armi ed esplosivi. Il blitz Olimpo scattò agli inizi di dicembre scorso con gli arresti ma soprattutto con la cattura dell’imprenditore lattiero caseario Adolfo Greco, ma con interessi nell’edilizia, nel turismo, e considerato “il burattinaio” della politica stabiese capace di influenzare con il suo carisma e il suo passato di ex cutoliano (fu uno degli intestatari del famoso Castello di Cutolo ad Ottaviano). A Greco, che da vittima di estorsione dei clan della camorra della zona stabiese era passato nel corso degli anni ad essere un vero e proprio “consigliori” dei camorristi. A lui si rivolgevano tutti i clan locali. Greco, nella cui casa furono trovati nascosti oltre 2, 5 milioni di euro in contanti, il giorno dell’arresto, aveva anche rapporti di tipo personale con importanti politici non solo locali ma anche con parlamentari europei. La richiesta di processo immediato riguarda Teresa Martone, unica ai domiciliari (vedova del defunto padrino stabiese Michele D’Alessandro, e mamma dei boss Pasquale, Luigi ed Enzuccio) e con lei davanti al gip ci saranno anche Michele Carolei e Raffaele Carolei, Attilio Di Somma, l’imprenditore del clan Liberato Paturzo detto cocò, Vincenzo Di Vuolo, Giovanni Cesarano (detto Nicola), Luigi Di Martino o’ profeta, Nicola Esposito o’ mostro, Aniello Falanga, i fratelli Raffaele o’ burraccione e Francesco Afeltra, Umberto Cuomo e Giovanni Gentile.

Cronache della Campania@2018

Falsi referti medici per incidenti stradali: condannati medico e infermiere

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Due condanne e sei assoluzioni per i medici, infermieri e avvocati coinvolti nell’inchiesta scoppiata 11 anni fa e che portò all’arresto di 20 persone per falsi incidenti stradali. Il tribunale di Santa Maria Capua Vetere ha condannato nel processo di primo grado a 3 anni il medico Giuseppe Tartaglione e 6 anni l’infermiere Nicola Iodice, entrambi di Santa Maria Capua Vetere e in servizio all’ospedale di Capua all’epoca dei fatti.
Assoluzione e prescrizioni invece per Carmine Lisi, direttore dell’istituto di medicinale legale di Caserta, il tecnico radiologo Pasquale Marino, di Caserta, oltre a Gaetano Annunziata, Luigi Golino, Vincenzo Golino e Angelo Piccolo.

Cronache della Campania@2018

Napoli. Maxi evasione fiscale: Scavone resta in carcere

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Luigi-Scavone

Napoli. Resta in carcere Luigi Scavone, ex numero uno dell’Alma Spa ed ex presidente della Pallacanestro Trieste. Secondo quanto riporta il Piccolo oggi in edicola, il gip del Tribunale di Napoli, Valentina Gallo, ieri ha respinto la richiesta dei domiciliari avanzata nei giorni scorsi dal difensore, l’avvocato Alfonso Furgiuele. Secondo il Gip sono ora necessari riscontri in merito alle dichiarazioni rese dall’indagato nel corso dell’interrogatorio fiume reso un mese fa davanti ai due pm del pool di magistrati della Procura di Napoli cui fa capo il fascicolo. Scavone, indagato assieme ad altri imprenditori per l’ipotesi di reato di associazione a delinquere finalizzata alla commissione di reati fiscali in relazione al giro di affari della società di lavoro interinale, rimane dunque in cella a Poggioreale. Scavone è detenuto dal 26 marzo scorso, dopo l’arresto avvenuto a Napoli.

Cronache della Campania@2018


Due ordinanze per il boss ex latitante della 167, Giuseppe Monfregolo. IL VIDEO

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Nel tardo pomeriggio di ieri, ad Afragola, i Carabinieri del Nucleo Investigativo di Castello di Cisterna hanno localizzato e tratto in arresto il latitante Giuseppe Monfregolo, 31enne, destinatario di due ordinanze di custodia cautelare in carcere emesse dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Napoli su richiesta della locale D.D.A.
Il latitante, considerato vertice del gruppo camorristico detto della “167 di Arzano”, promanazione del clan Amato-Pagano di Napoli ed egemone nel comune di Arzano e in quelli limitrofi, è ritenuto responsabile di estorsioni aggravate dal metodo mafioso commesse nei confronti di esercenti arzanesi tra il 2015 e il 2017.

L’articolata attività investigativa, coordinata dal Procuratore Aggiunto dr. Giuseppe Borrelli, dai Sostituti Procuratori dr.ssa Vincenza Marra e dr.ssa Maria Sepe della D.D.A di Napoli e condotta dal Nucleo Investigativo dei Carabinieri di Castello di Cisterna, ha consentito di localizzare il luogo dove il latitante aveva trovato rifugio, ad Afragola.
L’intervento è stato portato a termine nel tardo pomeriggio di ieri quando gli investigatori avevano ormai la certezza della presenza del latitante all’interno di un’abitazione sita nel centro abitato, dove il latitante è stato trovato in compagnia di una 42enne poi denunciata in stato di libertà perché avrebbe favorito la sua latitanza.

Giuseppe Monfregolo era latitante dal novembre 2017 quando si sottrasse all’esecuzione di un decreto di fermo emesso dalla Procura delle Repubblica di Napoli – D.D.A., in quanto ritenuto responsabile di un’estorsione ai danni di un imprenditore in nome per conto del gruppo camorristico della “167 di Arzano” di cui Monfregolo è ritenuto il vertice.
Il latitante si sottraeva inoltre a un secondo provvedimento, un’ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Napoli su richiesta della locale D.D.A. nel marzo 2018 per varie di estorsioni commesse da Monfregolo nei confronti di imprenditori e commercianti di Arzano, sempre a favore del gruppo camorristico della “167 di Arzano”. L’arrestato è stato rinchiuso nel Centro Penitenziario Napoli-Secondigliano dove è a disposizione dell’Autorità Giudiziaria.

Cronache della Campania@2018

Caserta, dissequestrati i beni del pasticciere Fontana: “Sono leciti, non ci sono i soldi del boss Michele Zagaria”

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Dissequestrati tutti i beni dei familiari dell’imprenditore Pasquale Fontana, l’imprenditore 46enne ritenuto dalla Dda ‘legato’ al capoclan Michele Zagaria e proprietario di una serie di pasticcerie in provincia di Caserta. 
Ieri davanti ai giudici dell’ottava sezione del Tribunale del riesame di Napoli si è svolta l’udienza di riesame per discutere sulla legittimità dei sequestri operati dall’autorità giudiziaria nei confronti di Fontana. 
All’esito della camera di consiglio il Tribunale, accogliendo l’istanza dell’avvocato difensore Guido Diana, ha disposto il dissequestro di tutti i conti correnti ed i buoni fruttiferi intestati alla moglie di Fontana, Genoveffa Fontana, e dei figli minori. 
Il Tribunale del riesame ha affermato la proporzione tra i redditi dichiarati dalla famiglia Fontana rispetto a quelli effettivamente posseduti, oltre alla lecita provenienza degli stessi. Fontana era stato già in precedenza scarcerato dallo stesso Tribunale del Riesame che aveva annullato l’ordinanza di custodia cautelare disposta a suo carico dal gip di Napoli.

Cronache della Campania@2018

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La Cassazione annulla la condanna al narcos Riccio, presto tornerà libero

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Accolti il ricorso  proposto dagli avvocati  Dario Vannetiello e Massimo Fumo in favore di colui che era accusato di appartenere ad una associazione  finalizzata alla diffusione della cocaina e dell’hashish operante, dal 2002 al 2011 in Napoli, Giugliano in Campania, Villaricca e territorio spagnolo. La Corte di Cassazione, terza sezione penale, ha annullato la sentenza di condanna ad anni 13 di reclusione inflitta a Nicola Riccio sulla base di numerose intercettazioni telefoniche. Il quadro accusatorio a carico sembrava solido atteso che la ordinanza di custodia cautelare fu confermata dal Tribunale del riesame ed in primo grado le accuse furono condivise pienamente  dal Tribunale di Napoli che inflisse anni 15 di reclusione, poi ridotti ad anni 13 in appello. Nicola Riccio era ritenuto dagli inquirenti persona di fiducia di Salvatore Ferrigno, promotore ed organizzatore della compagine criminale che avrebbe operato dagli inizi degli anni 2000 e sino all’anno  2011. La decisione partorita dalla Suprema Corte è di evidente elisione della ipotesi accusatoria  in quanto i giudici capitolini hanno annullato senza rinvio due capi di  imputazione relativi a due episodi di importazione di hashish di 59 chilogrammi e di 28 chilogrammi, oltre ad annullare con rinvio un episodio di cessione di 5 chilogrammi  di cocaina, fatti verificatisi tra Napoli e Palermo nel dicembre 2010. Non solo. L’annullamento deciso dalla Suprema potrà avere avrà l’effetto di produrre la remissione in libertà di Nicola Riccio per il superamento dei termini di custodia cautelare. 

Cronache della Campania@2018

Assolto il boss Bidognetti: le accuse del figlio non bastano

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Il figlio non basta a far condannare il padre. Il boss dei Casalesi Francesco Bidognetti, alias Cicciotto ‘e Mezzanotte, è stato assolto. Secondo la Dda avrebbe continuato ad avere un ruolo apicale all’interno del sodalizio criminale Casalese nonostante la detenzione al carcere duro. In particolare, secondo l’accusa, Bidognetti avrebbe inviato messaggi all’esterno del carcere attraverso i colloqui con i familiari ed in particolare con le figlie, Katia e Teresa, già condannate in primo grado per gli stessi fatti.
Stamattina il pubblico ministero Alessandro D’Alessio dato un’altra mazzata al boss, collegato in videoconferenza con il palazzo di giustizia di Napoli Nord, depositando un verbale del figlio-erede, Raffaele Bidognetti, anch’egli reggente del clan, che dalla metà di aprile ha iniziato ad intraprendere il suo percorso di collaborazione con la giustizia. Nell’interrogatorio sono contenute generiche accuse sul patrimonio del padre e sul suo ruolo nel clan. Ma Raffaele Bidognetti, detenuto dal 2006, riferisce esclusivamente di fatti antecedenti al 2013, anno da cui parte l’accusa. Per questo il collegio presieduto dal giudice Ciampa (Giordano e Paone a latere) ha accolto le tesi dei difensori, gli avvocati Carlo De Stavola e Nicola Filippelli, ed assolto Cicciotto ‘e Mezzanotte per il quale il pm aveva invocato la condanna a 15 anni di reclusione.

Gustavo Gentile

Cronache della Campania@2018

Sei mesi in carcere da innocente, ora chiede il risarcimento per l’ingiusta detenzione

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Autotrasportatore salernitano in carcere sei mesi da innocente è stato assolto dall’accusa di traffico internazionale di droga perché “il fatto non sussiste” e ora chiede il risarcimento allo Stato per l’ingiusta detenzione. Fu arrestato dalla Guardia di Finanza di Napoli perché sor­preso alla guida di un veicolo che trasportata 69 chilo­grammi di droga occultata nei vasetti della maionese. Rosario Muscari, 54 anni, dopo aver scontato sei mesi di prigione nel carcere di Pog­gioreale è stato as­solto perché il fatto non sussiste e, oggi lo Stato deve risarcirlo, con una somma che potrebbe arrivare fino a 45m ila euro, per l’ingiusta detenzione. I fatti risalgono al 2013. Mu­scari, difeso da Pierluigi Vicidomini, alle dipendenze della ditta Autuori, si era recato in Spagna. Era stato incaricato di prele­vare un carico presso la Dhl Iberica.
Caricato il camion riparte da Saragozza alla volta dell’Ita­lia, giunto in Campania e sot­toposto ad un controllo da parte della Guardia di Fi­nanza l’uomo fu arrestato per traffico di sostanza stupefacente. Dalla perquisi­zione del mezzo pesante ven­nero fuori, occultati in dei vasetti della maionese, ben 69 chilogrammi di cocaina. Sottoposto all’abbreviato, Rosario Muscari, è stato as­solto.
Il gup accoglie la tesi della difesa secondo la quale il 54enne non era assolutamente a conoscenza del con­tenuto del carico trasportato: il camion una volta riempito era stato chiuso e sigillato e il salernitano era ripartito. Non vi era prova che l’auto- trasportatore avesse assisto alle operazioni di carico.

Cronache della Campania@2018

Falso testamento, condannato giudice onorario

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L’essere umano per il denaro è disposto a tutto: un uomo avrebbe formato un falso testamento olografo al fine di esercitare un preteso diritto ereditario e per fare ciò non ha esitato ad introdursi nell’appartamento del parente deceduto, un professore di Salerno in pensione.
Un anno e 4 mesi di reclusione per G.C., giudice onorario presso il tribunale di Potenza, trascinato in un’aula di tribunale da un amico fraterno del defunto che, sostenendo di essere lui il reale erede del professore, si è costituito nel procedimento parte civile attraverso l’avvocato Silverio Sica. La sentenza è stata pronunciata ieri quando, all’esito del processo di primo grado, l’imputato, assistito dall’avvocato Paolo Carbone è stato condannato ad una pena più alta di quella chiesta dal pubblico ministero ma per la sola accusa di falso in scrittura privata incassando invece l’assoluzione dalle ipotesi di reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni e violazione di domicilio. La vicenda risale al novembre 2011, ovvero la data della morte dell’anziano

Cronache della Campania@2018


Attore di ‘Gomorra’ condannato all’ergastolo per un duplice omicidio

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Nel film Gomorra di Matteo Garrone vestiva i panni di “Zi’ Bernardino”, uno spietato killer. Nella realtà Bernardino Terracciano lo era stato davvero. Aveva fatto parte infatti della sanguinaria cosca dei Bidognetti dei casalesi e nel 1992 insieme con il fratello Giuseppe aveva ucciso a Villa Literno padre e figlio: Luigi e Giuseppe Caiazzo. Ieri i due Terracciano e il boss Francesco Bidognetti detto cicciotto e mezanotte sono stati condannati al massimo della pena.
La Corte di Cassazione ha confermato l’ergastolo per i fratelli Bernardino e Giuseppe Terracciano. Sono accusati del duplice omicidio di Luigi e Giuseppe Caiazzo, padre e figlio uccisi a Villa Literno nel 1992. La Suprema Corte ha, quindi, convalidato le condanne al carcere a vita per i due, sancite anche in primo e secondo grado. Fine pena mai, confermata anche per Francesco Bidognetti, “Cicciotto ‘e mezzanotte”, che in un altro processo, sempre ieri, ha incassato un’assoluzione. Il duplice delitto Caiazzo avvenne in una masseria di Villa Literno. Il delitto maturò nell’ambito di una guerra di camorra con la la Nco di Raffaele Cutolo. Quello di Bernardo Terracciano non è l’unico caso di attori di Gomorra (sia relativamente al film che alla serie attualmente in onda su Sky Atlantic) arrestati per reati molto simili a quelli presenti nella fiction.

Cronache della Campania@2018

Estorsione a Impregilo, Lavitola colpevole ma la pena va ridotta: le motivazioni della Cassazione

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Roma. L’ex direttore de L’Avanti è colpevole ma la pena va ridotta. Sono state rese note le motivazioni della Cassazione nel processo per la tentata estorsione ad Impregilo per la costruzione di un ospedale a Panama nel quale è imputato Valter Lavitola – indagato tra l’altro nella compravendita dei senatori, nella vicenda escort, in quella della casa di Montecarlo di An, condannato per truffa sui fondi per l’editoria -, i giudici ritengono però che la pena debba essere ridotta perché è venuta meno un’aggravante. “Correttamente – si legge nella sentenza – è stato ritenuto il tentativo di estorsione sul presupposto dell’idoneità e dell’inequivocabilità degli atti compiuti” e la motivazione della sentenza impugnata “possiede una stringente e completa attività persuasiva”, mentre “non risulta provata – conclude la Cassazione – la sussistenza dell’aggravante delle più persone riunite, integrata dalla simultanea presenza di non meno di due persone nel luogo e al momento della realizzazione della minaccia”. Lavitola, secondo l’accusa, nell’estate del 2011 minacciò impresilo di danni in borsa se non avesse costruito un ospedale gratis a Panama, come desiderava l’ex presidente panamense Ricardo Martinelli.
I giudici della Suprema Corte hanno reso note le motivazioni del processo che si è celebrato il 20 dicembre scorso ricostruendo la vicenda nella quale anche Silvio Berlusconi fu sentito come testimone.
Impregilo non raccolse la richiesta di Lavitola per conto di Martinelli ma per mantenere i rapporti con l’allora presidente – poi arrestato per spionaggio ai danni degli oppositori – pagò una vacanza in Sardegna ai componenti dello staff del governo sudamericano, attraverso Lavitola. Fermo restando la dichiarazione di responsabilità dell’ex direttore de L’Avanti, però, gli ermellini hanno annullato la sentenza rinviando gli atti alla Corte di Appello di Napoli affinché riduca la pena di tre anni inflitta in secondo grado per il venir meno dell’aggravante sul numero di persone. Secondo quanto ricostruisce la Suprema Corte, Lavitola, che si trovava a Panama dove è stato latitante, “per inoltrare tale minacciosa richiesta si sarebbe avvalso anche del presidente del Consiglio italiano Berlusconi il quale avrebbe a sua volta preso contatto con Massimo Ponzellini”, allora presidente di Impregilo. “A tali richieste del Lavitola, veicolate attraverso Berlusconi, Impregilo decise però di non sottostare” e il 3 agosto, il giorno dopo aver ricevuto le pressioni telefoniche, Ponzellini e Alberto Rubegni, al tempo ad di Impregilo, “concordarono la linea da seguire nel tentativo di fronteggiare la ventilata minaccia”. “I vertici di Impregilo, percepita la portata intimidatoria del messaggio, amplificata dalle modalità utilizzate per veicolarla, – dice la Cassazione – sono subito corsi ai ripari manifestando l’intenzione di recarsi a Panama per incontrare il presidente Martinelli e vedere che cosa si poteva fare per ricucire i rapporti”. “Intenzione – prosegue il verdetto – che si è concretizzata con il finanziamento del viaggio privato in Sardegna di una delegazione panamense, che ha visto l’intermediazione del Lavitola sul cui conto è stato versato l’importo”. Questo processo per la tentata estorsione a Impregilo, ricorda ancora il verdetto, “ha dato origine a un separato procedimento per corruzione” in concorso con Rubegni, conclusosi per Lavitola con sentenza definitiva e pena concordata davanti al Tribunale di Napoli il 22 gennaio 2015.

Cronache della Campania@2018

Spaccio a San Giuseppe Vesuviano, ai domiciliari il pusher della circum: aveva un panetto di hashish

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San Giuseppe Vesuviano. Spacciava nei pressi della Circum: arrestato Salvatore Ambrosio, 38 anni, per detenzione e spaccio di sostanza stupefacenti. Oggi pomeriggio, gli agenti del Commissariato di San Giuseppe Vesuviano, mentre stavano percorrendo via Croce Rossa, nei pressi della stazione della circumvesuviana, hanno notato alcune persone parlare tra di loro, i quali alla vista degli agenti si sono divisi, allentandosi. Tra questi, gli agenti  sono riusciti a bloccare Salvatore Ambrosio, già conosciuto alle forze dell’ordine, il quale durante il controllo è apparso in evidente stato di agitazione. Infatti, all’interno del giubbotto, aveva 1 panetto di hascisc, del peso di 101,05 grammi. L’uomo è stato arrestato ed in attesa del processo per rito per direttissima che si terrà nella giornata di domani, è stato collocato in regime degli arresti domiciliari.

Cronache della Campania@2018

Ventisei condanne al processo “Jackpot“: camorra, droga e slot per gli stipendi per gli affiliati detenuti in carcere del clan Schiavone-Venosa

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Ventisei condanne inflitte per in appello per l’inchiesta Jackpot che ha consentito di ricostruire gli affari del gruppo “Schiavone – Venosa” che attraverso lo spaccio di droga e l’imposizione delle slot riusciva a far entrare in cassa 30-30mila euro al mese che assicuravano lo stipendio agli affiliati detenuti.
I giudici della corte partenopea hanno inflitto 2 anni e 4 mesi ad Anna Cammisa; 9 anni e 10 mesi a Gennaro D’Ambrosio, detto o’ zio; 9 anni e 4 mesi a Massimiliano D’Ambrosio, di Casaluce; 9 anni e 4 mesi per Teresa Venosa; 11 anni e 8 mesi per Giuseppe Verrone; 10 anni e 4 mesi per Giuliano Venosa; 2 anni per Anna Cerullo; 10 anni e 4 mesi per Angelo D’Errico; 9 anni e 4 mesi per Salvatore Frattoluso; 2 anni e 4 mesi per Ettore Pacifico; 7 anni a Pasquale Picone; 9 anni per Vittorio Pellegrino; 2 anni per Angelo Mennillo; 3 anni e 8 mesi per Raffaele Micillo; 9 anni per Mario Pinto; 9 anni per Angelo Prece; 2 anni a testa, con pena sospesa, per Angelina Simonetti e Silvana Venosa. Confermata la sentenza di primo grado per Giuseppe Bianchi (6 anni); Augusto Bianco (8 anni); Salvatore Cantiello (8 anni), Massimo Venosa (10 anni), il collaboratore di giustizia Yuri La Manna (4 anni), Antonio Venosa (5 anni). Sentenza di non luogo a procedere per Luigi Venosa, detto ‘o cocchiere, per il decesso dell’imputato

Cronache della Campania@2018

Camorra da esportazione: chiuse le indagini per i boss dei Lattari per le piantagioni di marijuana in Abruzzzo

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La Direzione distrettuale Antimafia dell’Aquila ha inviato la chiusura delle indagini per i 12 indagati che avevano messo in piedi un lucroso traffico di droga sui Monti della Marsica in provincia de L’Aquila. Tra i 12 ci sono i due boss dei Monti Lattari Ciro Gargiulo detto o’ biondo e Antonino Di Lorenzo detto o’ lignammone recentemente scarcerato. Secondo le accuse la camorra aveva messo le mani sui monti dell’Abruzzo dove grazie alle loro conoscenze avevano messo in piedi una copiosa produzione di marijuana. Oltre ai due boss tra i 12 indagati ci sono Carmine Di Lorenzo, figlio di o’ lignammone, Diodato Di Martino, suo braccio destro e ancora lo stabiese Romeo Pane, il ge­nero Antonio Criscuolo e il gragnanese Pasquale Di Nola. E infine i complici locali come Gianfranco Scipioni, la sua compagna di origini napole­tane, Anna Scotto Di Gregorio, e i suoi due figli di primo letto, Gennaro e Veronica Casillo.

Il boss della marijuana del Monti Lattari, Antonino Di Lorenzo o’ lignammone aveva investito trentamila euro per avviare una coltivazione di marijuana che avrebbe fruttato milioni di euro. Ma non sui rigogliosi monti tra Gragnano, Casola e Lettere perché quelle zone erano troppo “scoperte” dalle forze dell’ordine, bensì lontano da occhi indiscreti. Una vera e propria delocalizzazione, come fanno i grandi gruppi industriali. Avevano scelto i monti della Marsica in provincia de L’Aquila per una produzione che garantiva un prodotto di qualità degno della fornitura che hanno sempre offerto ai clienti. Non a caso nel maggio scorso i carabinieri sequestrarono  oltre 3mila e 500 piante di marijuana per il peso di sei tonnellate.

Dalle intercettazioni telefoniche effettuate dai carabinieri de L’Aquila nel corso dell’inchiesta vengono ricostruiti i ruoli e i compiti della holding della marijuana sull’asse Lattari-Marsica. “Io a tuo marito gli ho dato trentamila euro per comprare il gasolio”, così Romeo Pane risponde all’abruzzese Anna Scotto Di Gregorio al telefono quando la donna gli chiede un prestito di denaro. “Devo dare duemila euro all’avvocato, Tonino (Antonino Di Lorenzo, ndr) mi ha detto che li ha dati a te”, la donna si preoccupa di recuperare denaro in quanto il marito è stato appena arrestato dai carabinieri dopo essere stato sorpreso in flagrante nella piantagione di marijuana. Romeo nel rispondere alle pressanti richieste della donna fa capi- re che per l’avviamento della produzione di erba sono già stati dati trentamila euro all’agricoltore. “Ma parli di inizio estate, io dico ora…mi servono i soldi per l’avvocato”, la precisazione della donna che poco prima era stata rassicurata da Tonino ’o lignammone sull’invio di un bonifico da 2mila euro per pagare l’avvocato all’indomani dell’arresto del proprietario del terreno dove i carabinieri hanno messo a segno il maxi sequestro da 6 tonnellate di marijuana. Le intercettazioni dei militari dell’Aquila accerteranno poi successivamente che dal campo di Luco dei Marsi al momento del blitz sono scappati via lo stesso Romeo Pane e Pasquale Di Nola. I coltivatori arrivati da Gragnano e Castellammare per seguire le precise indicazioni di Di Lorenzo e Gargiulo per coltivare in maniera ottimale l’erba. Di fatti il gruppo aveva fatto già un buco nel-l’acqua nel 2015 quando il raccolto non andò bene e il campo pieno di pianta di canapa indiana fu dato alle fiamme. Ma in questa nuova produzione a seguire la fioritura della marijuana e a dare indicazioni sulla corretta irrigazione e essiccazione delle piante ci avevano pensato il figlio di o lignammone e Di Martino che seguivano i dettami dei due narcos Di Lorenzo e Gargiulo. I due stabiesi Pane e Criscuolo hanno provveduto all’acquisto dei semi per mettere su piante di marijuana per oltre un ettaro di terreno.

(nella foto da sinistra Antonino Di Lorenzo, Ciro Gargiulo, Carmine Di Lorenzo, Diodato Di Martino, Romeo Pane, Antonio Criscuolo, Pasquale Di Nola, Anna Scotto Di Gregorio, Gianfranco Scipioni, Veronica Casillo, Gennaro Casillo)

Cronache della Campania@2018

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