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Channel: Cronaca Giudiziaria
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‘Vengo ad incendiarti l’auto se non paghi’, le minacce degli usurai di Torre al netturbino di Castellammare

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“Vengo ad incendiarti la macchina se non paghi”, di questo tenore le minacce che un netturbino di Castellammare ha subito per oltre dieci anni da un gruppo familiare di usurai di Torre Annunziata che ieri sono stati arrestati dalla Guardia di Finanza dopo che l’uomo si era deciso a denunciarli. In manette sono finiti Salvatore Musto, 55 anni, Giuseppe Esposito di 50, Amedeo Nazionale di 72, Filippo Longobardi di 52 e ancora Ida Flauto di 68 e Anna Gioia Costabile di 32. Le due donne sono rispettivamente moglie e cognata di Alessandro e Pasquale Fiorente, detto il nano. I due sono i famosi narcotrafficanti dell’inchiesta che coinvolse anche la “dama bianca” Federica Gagliardi. Pasquale Fiorente raccoglieva il denaro dalle organizzazioni criminali italiane e andava ad acquistare la droga in America Latina provvedendo al trasporto nel nostro Paese. Fu arrestato in Cile due anni fa e solo lo scorso giugno è stato estradato. Le accuse mosse ai sei indagati da parte del pm Antonella Lauri della Procura di Torre Annunziata, che ha disposto il fermo, sono di usura ed estorsione, con minaccia di uso di armi.

Grazie ad intercettazioni telefoniche e attraverso riscontri analitici, le fiamme gialle stabiesi sono riuscite ad accertare come gli indagati, a fronte dei prestiti concessi, richiedevano e ottenevano, applicando alle somme corrisposte tassi di interesse superiori anche al 240 % annuale, non solo la restituzione di denaro contante, ma anche l’intestazione diretta di beni immobili, obbligati a cederli quando ormai non erano più in grado di onorare i propri debiti. La vittima principale era stata costretta a coinvolgere loro malgrado anche alcuni parenti stretti e degli amici, che avevano fatto da garanti con gli strozzini per ulteriori debiti accumulati tra il 2008 e il 2018.

Cronache della Campania@2018


Pizzo a commercianti e imprenditori del Casertano, 12 a processo

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Prenderà il via a maggio l’iter giudiziario di secondo grado per i 12 imputati nel processo per le estorsioni aggravate dal metodo mafioso. Davanti alla prima sezione della Corte di Appello di Napoli si ritroveranno Mario Migliozzi, 61enne di Castel Volturno, Biagio Ianuario, 41 anni, Giovanni Sciorio, 48 anni, Antonio e Biagio Santamaria, tutti di Cancello ed Arnone, Umberto Maiello, 59 anni, Antonio Baldascini, 58 anni, entrambi di Casal di Principe, Annibale Tummolo, 52enne di Teverola, Salvatore Ianuario, 45enne di Cancello ed Arnone, Luigi Bitonto, 42enne di Aversa, Ferdinando De Rosa, 31enne di Cancello ed Arnone, Antonio Ruocco, 42enne di Carinaro.

I 12 sono accusati di estorsioni ai danni di imprenditori e commercianti nell’area del basso Volturno e dell’agro aversano. Le condotte criminali sarebbero avvenute tra il 2006 ed il 2013 con l’obiettivo di agevolare il clan Bidognetti-Zagaria.
Nel processo di primo grado del settembre scorso, con rito abbreviato, Baldascini venne condannato a 6 anni di reclusione, Migliozzzi 6 anni e 8 mesi, Ianuario e Santamaria 5 anni e 4 mesi, 6 anni invece per Ruocco, Maiello e Sciorio, 7 anni e 4 mesi per Tummolo e 2 anni e 8 mesi per il collaboratore di giustizia Salvatore Ianuario.
L’attività investigativa coordinata dalla DDA di Napoli e svolta dai carabinieri della Compagnia di Casal di Principe portò nell’aprile del 2018 all’arresto di 6 degli indagati.

Cronache della Campania@2018

Racconti dei pentiti contrastanti, il gip archivia le accuse contro i boss per l’omicidio dell’innocente Scherillo

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L’omicidio di Dario Scherillo, una delle tante vittime innocenti delle tre faide di camorra che negli anni scorsi hanno insanguinato le strade di Scampia, Secondgliano e di quartieri e comuni a Nord di Napoli, rimane senza colpevoli. Nonostante i numerosi pentiti abbiamo raccontato come la decisione sia venuta dal clan degli scissionisti degli Amato- Pagano, indicando anche i nomi dei killer e dei mandanti appunto, per il gip Giovanna Cervo del Tribunale di Napoli “non ci sono gli elementi sufficienti per sostenere l’accusa” come richiesto dallo stesso pm della Dda Vincenza marra, che ha firmato la richiesta di archiviazione accolta appunto dallo stesso gip. Eppure il mese scorso dopo la presentazione del film “Ed è subito sera” al Los Angeles Italia Film Festival sotto la regia di Claudio Insegno e poi la presentazione alla Camera dei Deputati e l’uscita nelle sale cinematografiche italiane, si pensava che qualcosa avesse smosso le coscienze. E invece no. Dario Scherillo, incensurato di 26 anni di Casavatore fu ucciso la sera del sei dicembre del 2004. La vittima fu massacrata mentre tornava a casa in sella alla sua moto. Lavorava come dipendente di un’agenzia di pratiche automobilistiche a Secondigliano. Si pensò che fosse stato ucciso perché a conoscenza di qualche segreto lavorando a Secondigliano o che fosse entrato in contatto con i pregiudicati coinvolti nella faida e per questo ucciso. Ma il pentito Pasquale Riccio nel suo oramai famoso verbale del 18 marzo 2015 in cui ha chiarito alcuni omicidi inediti di quella guerra di camorra parla anche dell’agguato a Scherillo: “Fu un omicidio commesso dagli scissionisti, nei sentii parlare da Rito Calzone, che mi disse che vi era stato uno scambio di persona, relativo alla vittima da abbattere”. Lo sapevano bene i suoi familiari e soprattutto il fratello Pasquale che da anni si batte per riabilitare la memoria di Dario andando in giro per l’Italia a raccontare la sua storia: “Dario aveva lo stesso scooter, dello stesso colore e con una targa simile a quello di un pusher della zona che fino a pochi minuti prima aveva stazionato in quella strada. Era innocente. Si trovava nel posto sbagliato, al momento sbagliato”. E ora dopo la decisione dell’archiviazione tirano un sospiro di sollievo di due capi degli scissionisti ovvero i cognati Cesare Pagano e Raffaele Amato, indicati come mandanti e Davide Francescone, come presunto autista del commando di cui avrebbero fatto parte, secondo l’iniziale ricostruzione, anche due killer nel frattempo deceduti.

Cronache della Campania@2018

Corruzione, scarcerato l’ex sindaco di San Felice a Cancello

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Questa mattina è stato scarcerato dalla Corte di Appello di Napoli l’ex primo cittadino di San Felice a Cancello, Pasquale De Lucia, condannato a 9 anni per la tangentopoli sanfeliciana. Proprio ieri, per questo procedimento, è stato celebrata la prima udienza in Corte di Appello a Napoli con rinvio al primo luglio per alcune omesse notifiche ad alcuni dei 23 imputati. Oltre a De Lucia, sono sotto accusa per corruzione al  Comune, anche consiglieri e imprenditori di San Felice a Cancello.  L’ex sindaco, difeso dagli avvocati Giuseppe Stellato e Federico Simoncelli, si trovava agli arresti domiciliari da due anni e due mesi. La prima sezione della Corte di Appello di Napoli, a partire da questa mattina, gli ha sostituito gli arresti domiciliari con l’obbligo di dimora nel comune di San Felice a Cancello.

Cronache della Campania@2018

Rubava corrente per alimentare il bunker del boss: a processo

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Un allaccio abusivo alla corrente elettrica per alimentare il bunker dove si nascondeva il boss dei Casalesi Michele Zagaria, in via Mascaagni a Casapesenna dove venne arrestato nel 2011. Questa l’ipotesi della Procura di Santa Maria Capua Vetere che ha rinviato a giudizio Rosaria Massa, moglie di Vincenzo Inquieto, vivandiera del capoclan.
Secondo quanto riferito da Cronache di Caserta la Massa avrebbe alimentato l’abitazione dove si nascondeva il boss con energia elettrica rubata all’Enel. Ieri dinanzi al giudice Stadio del tribunale sammaritano si è celebrata un’udienza del processo durante la quale è stato ascoltato un poliziotto che ha riferito come quel contatore fosse intestato ad una persona deceduta. Il processo è stato dunque rinviato per il prosieguo del dibattimento.

Cronache della Campania@2018

Fissato il processo al carabiniere corrotto che faceva le soffiate al boss

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Notificato nel carcere militare di Santa Maria Capua Vetere l’avviso per la prima udienza dibattimentale, fissata per il 21 maggio, dinanzi al tribunale di Napoli Nord , a Lazzaro Cioffi, 57 anni, carabiniere  originario di Casagiove finito in cella per corruzione e spaccio d droga con l’aggravante del metodo mafioso.  Secondo le indagini della Procura della Dda di Napoli, Cioffi avrebbe informato esponenti del clan Ciccarelli di indagini riservate e su imminenti perquisizioni da farsi al ras del Parco Verde di Caivano, Pasquale Fucito.   I fatti contestati a Cioffi risalgono a quando il 57enne era in forza al nucleo investigativo dei carabinieri di Castello di Cisterna (Napoli), ruolo che ha ricoperto fino al giorno dell’arresto scattato il 19 aprile del 2018. Secondo le indagini nel corso degli anni Cioffi avrebbe dato soffiate alle cosche e rivelato retroscena su blitz ed inchieste, inquinando dunque le indagini. La moglie, Emilia D’Albenzio, di Maddaloni, ritenuta legata da rapporti di parentela a soggetti della camorra locale, coinvolta pure lei in questa vicenda giudiziaria, insieme a Pasquale Fucito ha scelto e ottenuto di essere processata con rito abbreviato, formula che prevede lo sconto di un terzo della pena (udienza fissata a fine maggio). Un’altra contestazione mossa a Cioffi e alla moglie, in concorso con Fucito, riguarda la compravendita di un ristorante a Casagiove sulla Nazionale Appia (Caserta): secondo l’accusa lo avrebbero acquistato a 60mila euro per poi rivenderlo per 120mila euro a Fucito. Il brigadiere, secondo indagini della procura di Salerno, sarebbe coinvolto nell’omicidio del sindaco di Pollica (Salerno) Angelo Vassallo ‘il pescatore’ con un’altra persona in via di identificazione. Nella contestazione, sintetica, fatta a suo carico, non sono formulati né il movente né il ruolo che il carabiniere avrebbe avuto nel delitto.

Cronache della Campania@2018

Il ras dei Casalesi resta in carcere

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La Cassazione rigetta l’istanza di scarcerazione anticipata di Cacciapuoti
Il ras Alfonso Cacciapuoti, 61 anni di Casal di Principe e capozona dei Casalesi nell’area di Grazzanise, ha mantenuto vivo un disegno criminoso finalizzato all’imposizione sul territorio del clan. E’ quanto ha messo nero su bianco la Corte di Cassazione che ha rigettato l’istanza di liberazione anticipata presentata da Cacciapuoti.
Già il tribunale di Sorveglianza di Catanzaro aveva respinto il reclamo il 28 settembre del 2017 e per questo Cacciapuoti, attraverso il suo legale, si era rivolto alla Suprema Corte chiedendo il riconoscimento della scarcerazione prima dei termini di espiazione della pena.
I giudici della Settima Sezione del Palazzaccio hanno evidenziato come ” la condotta regolare tenuta in carcere dal ricorrente non è indice rassicurante di partecipazione all’opera di rieducazione in quanto lo stesso, per suo stesso riconoscimento, ha mantenuto vivo un disegno criminoso che non ha conosciuto momenti sospensivi né interruttivi, in quanto finalizzato all’imposizione del controllo sul territorio da parte del gruppo operante sotto la protezione del clan dei Casalesi, capeggiato dallo stesso Cacciapuoti”. Pertanto il ricorso è stato dichiarato inammissibile.

Cronache della Campania@2018

I pentiti raccontano gli interessi del clan D’Alessandro: 30 indagati. I NOMI

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Castellammare di Stabia. Allargare gli interessi criminali e non occuparsi dello spaccio di droga per il clan D’Alessandro. Estorsioni ad attività commerciali, piccole, medie e grandi, cantieri edili, salumerie, stabilimenti balneari e perfino una tangente del 10% su un atto di vendita di una fabbrica. Le vicende trovano riscontro nei verbali depositati dai collaboratori di giustizia Belviso Salvatore, Vincenzo Polito e Cavaliere Renato che sono agli atti dell’indagine che vende coinvolti 30 indagati. Il 3 aprile scorso il pm Giuseppe Cimmarotta della Dda di Napoli, ha firmato la chiusura indagini. Ed è proprio Renato Cavaliere a dire che “Vincenzo D’Alessandro, dopo la sua scarcerazione, ha deciso che non dovevamo fare la droga ma che dovevamo fare le cose più importanti, cioè gli omicidi e soprattutto le estorsioni (infatti a Castellammare dovevano arrivare gli stanziamenti dell’Unione Europea). Erano Vitiello Antonio, Carolei Paolo e Tore ‘o Zuppo a segnalare i lavori che erano in corso a Castellammare di Stabia. Per segnalare i lavori si rivolgevano, in prima battuta a Ciccio Belviso (morto due mesi fa per una grave malattia) – racconta Cavaliere – che però lì mandava da me ed ero io a prendere i soldi”. I soldi venivano quasi sempre suddivisi per sostenere anche le varie spere che gravavano in seno all’organizzazione criminale. “Ad esempio – dice Renato Cavaliere – se io portavo a D’Alessandro Vincenzo 100mila euro, lui prendeva 50mila per la sua famiglia e dava 50mila euro a me dicendomi che dovevo vedermela io per gli avvocati, per gli affiliati e anche per i ragazzi…”
Ad entrare più nel dettaglio dei fatti è il collaboratore di giustizia Belviso Salvatore. Belviso racconta che un imprenditore, impegnato anche nel settore edile, consegnò una busta contenente poco più di 10mila euro. La somma mensile poteva anche avvenire in più soluzioni a patto che l’intera somma venisse consegnata in un periodo compreso tra il giorno 10 e 15 di ogni mese. “Fino al mio arresto – dice Belviso – l’imprenditore OMISSIS mi ha consegnato ogni mese la somma di 10-15mila euro”. “In un’altra occasione Vincenzo D’Alessandro mi ha mandato a chiedere i soldi a OMISSIS”. In questo caso si tratta di un imprenditore impegnato nel campo della ristorazione. “Io sono andato al ristorante OMISSIS e ho incontrato OMISSIS, il quale si è rifiutato di darmi i soldi richiesti perché aveva dei problemi economici. Sono andato a riferire quella risposta a Vincenzo D’Alessandro, il quale mostrando il suo fastidio, ha detto, riferendosi all’imprenditore, che aveva già versato un importo”. Non solo attività ristorative, c’è anche un piccolo supermercato che versava 1500 euro ogni quattro mesi. “Questa persona – dice il collaboratore di giustizia – aveva sempre consegnato i soldi. Ricordo che a Natale 2008 il proprietario del supermercato mi ha consegnato un cesto all’interno del quale c’era una busta contenente 1500 euro. La somma fu così suddivisa: 400 euro a me, 400 euro a Cavaliere Renato e 300 euro a Lello Romano e 300 euro a Bellarosa Nunzio. I restanti 100 furono impiegati per spese di viaggio”. Anche un grande negozio di elettrodomestici finì nel mirino del clan. Il proprietario fece sapere che “ a livello di soldi non era in condizioni di dare niente e che tuttavia per qualsiasi cosa relativa al magazzino era a nostra disposizione. D’Alessandro Vincenzo – racconta Belviso – mi ha detto di rispondere che a noi non serviva niente. Successivamente, Paoluccio Carolei, mi ha detto che stava bene come stava e che poi ne avremmo parlato, nel senso che avremmo potuto uccidere OMISSIS”. Non solo attività commerciali, anche una tangente del 10% sulla vendita di una fabbrica. Una fabbrica che era stata messa sul mercato al costo di 2milioni di euro. Il proprietario della fabbrica comunicò “che non c’erano problemi e che, quando l’avesse venduta, il 10% quindi circa 200mila euro sarebbero stati nostri”. Le intenzioni del clan erano anche rivolte verso i lidi balneari, soprattutto ai parcheggi. Estorsioni di 10mila euro e gestione dei posteggi per le autovetture. Erano queste le richieste che provenivano da Scanzano. Tutte le cifre venivano consegnate in formula unica o dilazionate ma in un arco temporale ristretto. Sempre in tema spiagge “dopo un incontro in un Hotel– dice il collaboratore di giustizia – relativamente al porto turistico di Castellammare di Stabia […] Vincenzo D’Alessandro mi ha detto che per qualsiasi cosa che riguarda il porto turistico bisognava rivolgersi a tre persone” di cui una occupava un ruolo di rilievo all’interno del Consiglio Comunale di Castellammare di Stabia.

1.continua

GLI INDAGATI

1 D’ ALESSANDRO VINCENZO, dom. a Nuoro

2 CAROLEI PAOLO, detenuto alla Casa Circondariale di Catanzaro,

3 CAVALIERE RENATO,dom. presso il S.C.P.,

4 SOMMA GIUSEPPE

5 PASQUA GENNARO

6 COPPOLA GUGLIELMO

7 BELLAROSA NUNZIO

8 INGENITO VINCENZO

9 ESPOSITO SANSONE ANTONINO

10 OCCIDENTE ANTONIO

11 D’ ALESSANDRO MICHELE di Luigi

12 LUCCHESE ANTONIO

13 AMODIO ESPEDITO

14 MARESCA LUIGI

15 SOMMA GIOVANNI

16 SOMMA GIANLUCA

17 GUIDA DIEGO

18 GARGIULO FERDINANDO

19 D’ALESSANDRO PASQUALE detenuto per altro alla Casa Circ. di Sassari

20 MARTONE TERESA attualmente detenuta agli arresti domiciliari

21 BUONOCORE LORENZO detenuto agli AA.DD

22 AMENDOLA MARIA CONCETTA

23 BELVISO SALVATORE att. dom. presso il S.C.P.

24 BARBA CARMINE irreperibile

25 POLITO VINCENZO

26 POLITO CATHERIN IDA

27 ESPOSITO SALVATORE

28 DE MARTINO ARMANDO

29 AMODIO GIORGIO

30 MASSA MICHELE

Cronache della Campania@2018


Uccise due prostitute, la Cassazione conferma l’ergastolo per il killer di Nocera

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La Corte di Cassazione ha confermato l’ergastolo per Nobile Izzo, il tappezziere 56enne di Nocera Inferiore accusato dell’omicidio di Santina Rizzo e Maria Ambra, le due donne che si prostituivano a Nocera Superiore. I giudici hanno respinto il ricorso presentato dal suo legale ritenendo determinanti le prove raccolte dagli inquirenti nel corso delle indagini. Tra queste le tracce di Dna trovate sui luoghi del delitto e alcune telefonate intercettate dai carabinieri.

Cronache della Campania@2018

Cutolo: ‘Potevo salvare Moro ma fui fermato. I miei segreti moriranno con me’

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“Potevo salvare Moro, fui fermato”. Cosi’ il super boss della camorra, Raffaele Cutolo, in carcere da anni, in un verbale inedito di un interrogatorio del 2016 di cui riferisce oggi in esclusiva Il Mattino. “Aiutai – spiega Cutolo – l’assessore Cirillo (rapito e successivamente rilasciato dalle Br, ndr), potevo fare lo stesso con lo statista. Ma i politici mi dissero di non intromettermi”. Nel ’78 Cutolo era latitante e si sarebbe fatto avanti per cercare, sostiene lui, di salvare Moro. “Per Ciro Cirillo si mossero tutti, per Aldo Moro nessuno, per lui i politici mi dissero di fermarmi, che a loro Moro non interessava”. Le dichiarazioni di Cutolo risalgono al 25 ottobre del 2016, come risposte alle domande del pm Ida Teresi e del capo della Dda, Giuseppe Borrelli, nel corso di un’indagine legata all’evoluzione criminale di un suo fedelissimo, quel Pasquale Scotti arrestato dopo 30 anni di latitanza.

Cutolo ricorda anche l’indifferenza della Procura di Napoli rispetto alle trame di quel periodo; cita l’autorevolezza del magistrato Carlo Alemi, “unico deciso ad andare fino in fondo”; ma anche l’omicidio di tre carabinieri per consentire a un camorrista di recarsi dal “professore di Ottaviano” nel carcere di Ascoli Piceno. Ed è ancora Cutolo a chiudere il suo colloquio con i pm napoletani, con un riferimento sibillino: “Avevamo dei documenti da usare contro i politici per i fatti della trattativa; alcuni li aveva Enzo Casillo (‘che fu ucciso anche dai servizi, non solo da Alfieri’, spiega), altri documenti invece li ho io ma moriranno con me”.

Cronache della Campania@2018

La moglie di Cutolo: ‘E’ malato e merita rispetto’

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“E’ malato, merita rispetto”. Immacolata Iacone è la donna che per amore ha legato la sua vita a quella di Raffaele Cutolo, fondatore e boss della Nuova Camorra Organizzata. Nel 1983 Immacolata ha 17 anni e sposa un uomo più grande di 20 e che in quel momento si trova in carcere. La loro relazione e’ costruita su pochi contatti, qualche bacio e tantissime lettere. I loro colloqui in carcere non sono mai privati. Oggi che di anni ne sono trascorsi 36, quella donna gli è ancora fedele. In una lunga intervista a Fanpage.it, Immacolata Iacone parla delle “delicate condizioni” del marito, condannato e recluso in carcere al 41bis a Parma. Del loro matrimonio e di trattative ancora oscure. Come il rilascio del consigliere della Democrazia Cristiana Ciro Cirillo, in cui Cutolo pare aver avuto una parte importante e del mancato rilascio di Aldo Moro. Misteri a cui solo il boss di NCO può rispondere.

Cronache della Campania@2018

Castellammare, il pentito: ‘Incontrammo Tommasimo e un altro esponente del Pd e ci lamentammo dei posti che si erano presi nell’azienda dei parcheggi…’

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Castellammare. Un incontro alle Terme per la divisione dei posti di lavoro nell’azienda che gestiva il servizio parcheggi a Castellammare tra i politici e il clan D’Alessandro. Un incontro voluto da Francesco Belviso detto ‘Ciccio o’ mister’ per i suoi trascorsi da calciatore e da allenatore ma soprattutto cognato di Teresa Martone moglie del defunto padrino Michele D’Alessandro e madre dei tre boss che da anni controllano gli affari illeciti in città. Belviso (tra l’altro padre di Salvatore, il primo pentito ‘di famiglia’ del clan è morto due mesi fa a causa di una grave malattia mentre si trovava sotto il programma di protezione. Le dichiarazioni di Francesco Belviso sono agli atti della conclusione indagine nei confronti di 30 tra boss e affiliati del clan D’Alessandro per una serie di estorsioni e altri reati commessi negli anni scorsi nella cittadina stabiese. In un verbale reso davanti al pm Claudio Siragusa datato 11 settembre 2012 Francesco Belviso racconta: “…Si è svolto un incontro alle Terme al quale abbiamo partecipato io, Gino Tommasino (il consigliere comunale del Partito Democratico, morto poi in un agguato il 3 febbraio del 2009), Omissis (un altro consigliere comunale del PD dell’epoca di cui Belviso fa il nome) , un referente dell’Azienda con un socio e Cavaliere Renato. Durante quell’incontro si è verificato anche un attrito tra i referenti dell’azienda, Gino Tommasino e OMISSIS consigliere comunale del PD”. Tutto questo perché i referenti politici avevano piazzato, su quattro posti disponibili, tre persone a loro vicine lasciando un unico posto al clan. “Si sono lamentati – prosegue Francesco Belviso – perché mentre loro avevano messo a disposizione della famiglia quattro posti di lavoro di tre posti si erano impossessati OMISSIS consigliere comunale del PD e Gino Tommasino”. Secondo quanto raccontato dal collaboratore di giustizia Tommasino aveva fatto assumere una persona a lui vicina e l’atro consigliere comunale del PD aveva fatto assumere due fratelli (entrambi pregiudicati e che da qualche anno controllavano gli affari illeciti nella vicina Scafati con altri familiari e camorristi ndr) l legati a lui da un vincolo di parentela. “Durante l’incontro Cavaliere Renato – dichiara il pentito – ha manifestato il proprio disinteresse per il posto di lavoro ed ha detto che poi avrebbe dato una risposta. Alla fine io ho chiesto a Tommasino di assumere mio nipote[…] per l’assunzione si è seguita una prassi normale”. Dopo l’incontro alle terme tra alcuni degli esponenti della maggioranza di governo cittadino, “Renato Cavaliere è venuto al bar e mi ha chiesto di andare a prendere a ‘quello dei parcheggi’ ai Cantieri. Renato Cavaliere mi ha detto che era un ordine di Enzo D’Alessandro. Io sono andato a prendere OMISSIS, referente della partecipata comunale, e l’ho portato nel posto indicatomi da Cavaliere Renato. Durante il tragitto verso Scanzano io ho parlato con OMISSIS soltanto della sponsorizzazione della squadra di calcio”. Francesco Belviso accompagna quindi questa persona al posto che gli è stato indicato ed aspetta che ritorni per riportarlo da dove l’aveva preso. Passa circa mezz’ora. Al rientro “ho notato – racconta il collaboratore di giustizia – che OMISSIS era di cattivo umore e gli ho chiesto che cosa era successo. OMISSIS mi ha detto che durante l’incontro con Enzo D’Alessandro gli era stato chiesto un regalo a Pasqua e a Natale. Appreso ciò, io ho manifestato la volontà di tornare indietro per lamentarmi con Enzo D’Alessandro e Cavaliere Renato ma OMISSIS ha allora messo una mano sul volante e mi ha convinto ad andarcene”.

2. continua

(nella foto da sinistra Enzo D’Alessandro, Francesco Belviso, Luigi Tommasino, Renato Cavaliere)

Cronache della Campania@2018

Napoli, confermata la condanna a 10 anni al boss Nicola Rullo

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Napoli. La Cassazione ha confermato la condanna a 10 anni di carcere per estorsione e associazione di tipo camorristico nei confronti del boss Nicola Rullo o’ nfamone elemento del vertice del clan Contini al centro di un clamoroso caso giudiziario per la sua ‘inaspettata’ scarcerazione il mese scorso. Ora Rullo è in carcere da due settimane perché solo due giorni dopo la sua clamorosa scarcerazione la Dda gli aveva notificato un decreto di fermo (poi tramutato in ordinanza cautelare) con l’accusa di traffico di droga ma nel frattempo il ministero della Giustizia (come anticipa Il Mattino) ha inviato gli ispettori a napoli per capire cosa è accaduto. Il boss in pratica non risultava detenuto, ma a piede libero. e quindi la Cassazione non avrebbe attuato alcuna urgenza per valutare il caso della sua condanna a dieci anni di carcere. L’udienza era stata fissata per la scorsa settimana, cosa che è avvenuta regolarmente con la conferma della condanna.

Cronache della Campania@2018

Delitto di Katia Tondi, il marito disse:’Sta tutta nera’ e non ‘Sono stato io’

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Disse ‘Sta tutta nera’ e non ‘Sono stato io’. E’ questa la conclusione alla quale è giunto il perito della Corte di Assise di Santa Maria Capua Vetere analizzando l’audio della telefonata che Emilio Lavoretano, l’ex gommista accusato del delitto di Katia Tondi fece al 113 quando rinvenne il cadavere della moglie. La donna, 33 anni, madre di un bambino, fu trovata strangolata proprio dal marito, nel 2013 nell’appartamento coniugale  di San Tammaro.La perizia è stata depositata oggi a seguito della richiesta, da parte del pubblico ministero, di analizzare la telefonata effettuata da Lavoretano al 113, nel corso della quale – secondo un servizio della trasmissione televisiva Quarto Grado – l’uomo avrebbe detto ‘Sono stato io’. La perizia fonica ha sconfessato però questa tesi mediatica. Lavoretano, peraltro, già nel corso dei primi interrogatori agli inquirenti parlò del corpo della donna diventato scuro, un evento che si verifica per morte da soffocamento.

Cronache della Campania@2018

Libri sequestrati all’ex ministro Zecchino, il Riesame di Benevento annulla il provvedimento

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Benevento. Il tribunale del Riesame di Benevento ha annullato il sequestro di 27 libri antichi presi dalla biblioteca del centro europeo di studi Normanni, di cui è fondatore e legale rappresentante l’ex ministro dell’Istruzione Ortensio Zecchino. Zecchino, difeso dall’avvocato Vincenzo Regardi, respinge l’accusa di riciclaggio della procura sannita e sottolinea: “Una prima riparazione mi giunge dal Tribunale Penale di Benevento – Sezione Riesame, che ha disposto l’immediata restituzione dei 27 libri sequestratimi”. Revocato dunque il sequestro dei libri portati via dai Carabinieri del Nucleo di tutela del patrimonio artistico e culturale di Roma perché si sospetta siano stati rubati.

Cronache della Campania@2018


Business dell’eolico &‘Ndrangheta: rinviate a giudizio 9 persone, c’è anche Scognamiglio di Napoli

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Vibo Valentia. Nove persone, tra le quali Pasquale Mancuso, alias “Luni scarpuni”, boss di Limbadi in provincia di Vibo Valentia, sono state rinviate a giudizio dal gup di Catanzaro Claudio Paris, con l’accusa, a vario titolo, di associazione mafiosa, estorsione, illecita concorrenza con violenza o minaccia, danneggiamento e induzione indebita a dare o promettere utilità aggravati dal metodo mafioso nell’ambito dell’inchiesta “Via col vento”, incentrata sull’ingerenza delle cosche di ‘ndrangheta nella realizzazione di alcuni parchi eolici in Calabria. Per una serie di contestazioni gli imputati dovranno rispondere al Tribunale di Catanzaro, per altri a quello di Crotone. Nello specifico, a partire dal 25 giugno prossimo, avrà inizio a Catanzaro il processo a carico di Pantaleone Mancuso; Rocco Anello di Filadelfia; Riccardo Di Palma di Guardaregia (Campobasso); Romeo Ielapi di Filadelfia; Mario Scognamiglio di Napoli. Saranno processati dai giudici di Crotone Riccardo Di Palma, di Guardaregia (Campobasso); Giuseppe Errico di Cutro; Pantaleone Mancuso; Giovanni Trapasso di Cutro. Il processo avrà inizio il 26 giugno. Aveva chiesto, invece, il rito abbreviato Giovanni Giardino, di Maida, per il quale l’udienza davanti al gup è fissata il 19 luglio prossimo. L’indagine è stata coordinata dalla Dda di Reggio Calabria. Per competenza territoriale, alcune posizioni sono state stralciate ed i fascicoli inviati ai tribunali competenti. Il fascicolo con le posizioni di quella che viene ritenuta la cellula catanzarese del gruppo, è arrivato al pm Antonio De Bernardo, oggi alla Dda di Catanzaro. Ogni settore legato all’eolico – sostiene l’accusa – era controllato dai clan: dagli hotel al trasporto materiali, dal montaggio delle turbine alla costruzione di strade, dalle forniture alla vigilanza sui cantieri. Quando non poteva gestire gli affari direttamente, la criminalità guadagnava subappalti. Senza contare le estorsioni imposte attraverso il sistema delle sovrafatturazioni e dei pagamenti di indennità.

Cronache della Campania@2018

Cardito, il riesame conferma il carcere per la mamma del piccolo Giuseppe

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Il tribunale del Riesame di Napoli ha confermato la misura di custodia cautelare in carcere per Valentina Casa, la mamma di Giuseppe Dorice, il bimbo ucciso a botte dal patrigno Tony Essobti a Cardito, in provincia di Napoli. La donna era stata arrestata l’11 aprile per omicidio e per il tentato omicidio nei confronti dell’altra figlia, anche lei picchiata violentemente dall’uomo. I giudici avevano contestato che Valentina Casa, pur non prendendo parte attiva ai pestaggi, col suo comportamento omissivo e complice aveva determinato sia che le violenze proseguissero, sia la morte del piccolo Giuseppe. Non aveva infatti mai denunciato i maltrattamenti e le botte ai figli da parte di Essobti e aveva anche pulito le tracce di sangue in quel drammatico 27 gennaio nella casa di via Marconi.

Cronache della Campania@2018

Castellammare, il pentito: ‘Il boss ordinò niente spaccio a Scanzano, attira le forze dell’ordine’

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Castellammare di Stabia. Nessuna piazza di spaccio a Scanzano perché avrebbe attratto l’attenzione delle forze di polizia nel quartiere. Questa era la volontà del boss Vincenzo D’Alessandro che era, all’epoca dei fatti, latitante in Calabria. La volontà di lasciare al rione Savorito quale piazza di spaccio principale della città la motiva lo stesso D’Alessandro. E’ quanto emerge nelle dichiarazioni del collaboratore di giustizia Vincenzo Polito che racconta agli investigatori di un suo incontro proprio con Vincenzo D’Alessandro in Calabria. Le dichiarazioni sono contenute nell’avviso di conclusione indagini firmato dal pm Giuseppe Cimmarotta della Dda di Napoli che alcune settimane fa è stato notificato a 30 tra boss e gregari della cosca di Scanzano. Si tratta di un filone della maxi inchiesta denominata “Tsunami” con 99 persone iscritte nel registro degli indagati.
“Durante un nostro incontro in Calabria, D’Alessandro Vincenzo – racconta il pentito Polito il 9 febbraio 2011 nel corso di una deposizione davanti al pm Claudio Siragusa – mi ha detto che a Scanzano non doveva essere aperta nessuna piazza di spaccio, perché avrebbe attirato nel quartiere l’attenzione della Polizia. D’Alessandro Vincenzo mi ha detto che l’unica piazza di spaccio che doveva operare a Castellammare era quella del rione Savorito perché gli Imparato erano degli amici fedelissimi e avevano sempre pensato alla famiglia D’Alessandro”. Vincenzo Polito, inoltre, racconta la sua intenzione di gestire la piazza di spaccio a Scanzano. “Io volevo gestire la piazza di Scanzano ma Belviso Salvatore mi ha spiegato – dice Polito – che ognuno di noi aveva un compito e che c’era chi faceva la piazza di spaccio e chi faceva le estorsioni. Belviso mi ha detto che il mio compito era quello di fare le estorsioni sostituendo Lucchese Antonio…Belviso Salvatore aveva un buon rapporto con tutti coloro che gestivano le piazze di spaccio a Castellammare di Stabia e, quando si rivolgeva a loro per ottenere qualcosa la otteneva…”.

3. continua

Cronache della Campania@2018

Abolita la sorveglianza speciale al ‘riciclatore’ dei Casalesi fazione Schiavone

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Abolita la misura di sorveglianza speciale a carico di Luigi Di Sarno, 50enne di San Cipriano d’Aversa, che per il clan dei Casalesi, fazione Schiavone, riciclava e reimpiegava somme di denaro nonché investimenti in proprietà immobiliari nel Nord Italia.
Condannato per queste vicende dal Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, che gli applicò la misura di sorveglianza dopo aver scontato la relativa pena per riciclaggio, è stato accolto il ricorso in Cassazione presentato dal difensore di fiducia di Di Sarno, l’avvocato Ferdinando Letizia, i giudici hanno annullato senza rinvio la misura di sorveglianza speciale con effetto retroattivo.
Di Sarno finì in manette assieme ad altre 10 persone nell’ambito di una operazione coordinata dalla DDA di Napoli sul riciclaggio del denaro della camorra tra Lazio, Emilia Romagna e Campania, con il blitz della Guardia di Finanza partito da Pisa.

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Sequestrò un uomo per rapinarlo, condannato a sei anni un 21enne di Casapulla

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Accusato di  un sequestro di persona stile ‘arancia meccanica’, ora arriva il verdetto per  Ciro Martone, 21enne di Casapulla in provincia di Caserta. Il giudice Meccariello del tribunale di Santa Maria Capua Vetere lo ha condannato alla pena di sei anni. Il complice, Biagio Bianco, 44enne di Frattamaggiore è stato già condannato a 5 anni e 6 mesi alcuni mesi fa. I due,  arrestati un anno fa, sono stati processati per sequestro di persona, rapina e lesioni aggravate per  aver picchiato brutalmente, anche con una chiave ‘stringitubo’, rinchiudendolo nel bagagliaio dell’auto un uomo di 49 anni anch’egli noto alle forze dell’ordine. La vittima si salvò grazie all’aiuto di alcuni passanti che sentite le grida provenienti dal bagagliaio dell’auto di Bianco e Martone, allertarono la polizia. Per Bianco in questi giorni è stato già fissato il processo in Appello per il 30 giugno. Nel collegio difensivo gli avvocati Pierluigi Grassi e Silvio Ferro

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